Da Pietro al Papato
di Fausto Salvoni

CAPITOLO NONO

DAL COLLEGIO PRESBITERIALE
ALL'EPISCOPATO MONARCHICO


INDICE PAGINA

Periodo apostolico
Verso l'episcopato monarchico
In Occidente
I Cataloghi
L'episcopato occidentale del III secolo
Secolo IV: una riflessione di Girolamo


Periodo apostolico

Nel periodo apostolico le singole «chiese» o «comunità» cristiane erano dirette collegialmente da un gruppo di anziani o vescovi coadiuvati dai diaconi(1)

Durante il periodo apostolico troviamo alla direzione delle singole chiese non una singola persona, bensì un gruppo di presbiteri o vescovi. Li troviamo a Gerusalemme dove accettano le offerte portatevi da Barnaba e Saulo (At 11, 30), firmano assieme agli apostoli la lettera da inviare alle chiese della gentilità (At 15, 23; 16, 4) e con Giacomo ascoltano il resoconto di Paolo sul suo lavoro missionario (At 21, 18).

Anche nelle chiese della gentilità stabilite da Paolo troviamo l'esistenza di una direzione collegiale da parte dei presbiteri. Parecchi sono i presbiteri di Efeso (At 20, 18), come lo sono quelli di Filippi ai quali Paolo manda i saluti (2) Paolo nel suo secondo viaggio missionario stabilì in ogni chiesa da lui fondata degli «anziani» (plurale «presbiteri») per ogni città (At 14, 23).

Non penso che sia in contrasto con tale documentazione il vocabolo «vescovo» che si trova sempre al singolare nelle lettere pastorali (3) Si tratta di un «singolare di categoria» favorito forse dal fatto che nelle riunioni era solitamente una sola persona a tenere la presidenza (4) .

Non è neppure in contrasto con la costituzione collegiale il fatto che Giovanni nell'Apocalisse indirizzi le sue sette lettere all'angelo (singolare) delle sette chiese dell'Asia Minore, che alcuni esegeti vogliono identificare con il vescovo il quale nelle singole chiese avrebbe già individualmente la responsabilità dei cristiani (5) Tuttavia è difficile accogliere tale esegesi per il semplice motivo che nell'Apocalisse ciò che è celeste viene descritto in forma umana, mentre mai ciò che è terreno è raffigurato in forma celestiale. Lo stesso angelo assume l'aspetto di un uomo (come del resto avviene di Dio in persona) per cui sembra inconcepibile che un vescovo terreno possa esservi descritto con l'aspetto angelico. Lo stesso Cristo glorioso è presentato come « uno che rassomiglia al Figlio dell'Uomo» (Ap 1, 3), per cui sarebbe presentato in una forma inferiore a quella del vescovo.

Penso che la terminologia dell'Apocalisse vada spiegata con l'idea apocalittica che ciò che esiste in terra è copia di ciò che sta in cielo (cfr Eb 8, 5). Per questo accanto al Cristo vi sono sette stelle e sette candelabri: « Le sette stelle sono i sette angeli delle sette chiese e i sette candelabri sono le sette chiese » (Ap 1. 20). Il contrasto tra la luce stellare, che brilla del continuo per potenza interiore e la luce incerta ed intermittente del candelabro, che abbisogna di essere alimentata di continuo, mostra appunto la diversità tra il prototipo celeste della chiesa (angelo) e la chiesa quale purtroppo si attua su questa terra con le sue continue deficienze (candelabro). L'angelo della chiesa è la controfigura celeste della realtà terrestre, così come gli angeli e i principi danielici sono la controfigura dei vari imperi terrestri in lotta tra di loro (Dn 10, 13.10; 11, 1). Giovanni con le sue lettere all'angelo, vale a dire al prototipo celeste delle chiese, lo rimprovera di non aver saputo realizzare la sua entità in modo più completo nelle singole chiese, delle quali mette in mostra i difetti e i pregi. Si tratta di un metodo simbolico ed apocalittico per insegnare una verità e rimproverare i difetti delle chiese del suo tempo, per cui è assai pericoloso poggiare su di esso per sostenere l'episcopato monarchico, contraddetto da chiare testimonianze paoline.

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Verso l'episcopato monarchico

Il primo passo si attuò, pare, in Palestina presso i giudeo-cristiani al tempo della caduta di Gerusalemme. Quivi, già con gli apostoli, si stagliò la persona di Giacomo, fratello del Signore, che sembra quasi fungere da capo perché decide autoritativamente gli obblighi riguardanti i neoconvertiti del gentilesimo (At 15, 19). Fu visitato con deferenza da Paolo (Ga 1, 19; At 21, 18) e ricevette l'annunzio della fuga miracolosa di Pietro dal carcere (At 12, 17). Siccome talvolta Giacomo è nominato da solo (At 21, 18) mentre tal altra lo sono solo i «presbiteri» (At 11, 30), si vede che egli non aveva ancora raggiunto la posizione monarchica del vescovo attuale (6) .

Egli poi, come «apostolo», era automaticamente superiore ai «presbiteri» e per aver fissato stabile dimora nella città santa, creò la base per lanciare l'episcopato monarchico. Infatti alla sua morte (nel 68 d.C.) vi successe come vescovo il cugino di Gesù, Simone, dando così inizio alla successione episcopale che fu quivi, almeno inizialmente, dinastica:

« Dopo che Giacomo il Giusto fu martirizzato fu costituito vescovo (di Gerusalemme)il figlio di uno zio del Salvatore, Simone di Cleofa; lo prescelsero con consenso unanime, perché era cugino del Salvatore »(7) .

Tale esempio fu seguito anche in Asia Minore al tempo di Ignazio (ca 110 d.C.) che fu presentato da Eusebio come secondo vescovo di Antiochia (8) Questi, mentre veniva condotto a Roma per subirvi il martirio (9) scrisse sette lettere ora conservate e di cui attualmente si riconosce la genuinità(10) .

Con Ignazio assistiamo al sorgere della gerarchia ecclesiastica nella triplice classe di vescovo, presbiteri e diaconi (11) Che si tratti di fase iniziale dell'episcopato monarchico appare dal fatto che il contemporaneo Policarpo di Smirne , scrivendo ai Filippesi, tralascia di ricordarvi il nome del vescovo e ha un'intestazione che merita di essere riferita: « Policarpo e i presbiteri che sono con lui alla chiesa di Dio che abita in Filippi». Egli scrive sì in nome proprio, e in questo si diversifica dalla lettera a Clemente che è ancora collettiva, ma non si presenta solo bensì con i presbiteri. Nel c. 5, 3 insiste sull'ubbidienza dovuta « ai presbiteri e ai diaconi», suggerendo l'ipotesi che la chiesa locale avesse tuttora la forma collegiale ossia presbiteriale (12) Anche Ignazio, del resto, scrivendo alla chiesa di Roma non ne nomina il vescovo e si rivolge ad essa collegialmente, segno che non vi era ancora imposto il regime episcopale.

Siamo quindi tuttora in fase di transizione. Di più le affermazioni di Ignazio suonano più come un ideale da raggiungersi, anziché come una realtà già in atto. Tutto deve essere fatto dal vescovo, afferma Ignazio di continuo; segno quindi che la realtà era ben diversa, altrimenti tanta insistenza sarebbe stata superflua. Nella lettera ai Magnesi ricorda, come un esempio ben riuscito, i presbiteri che formano « una degna corona spirituale» al loro giovane vescovo (c. 3). Ma egli biasima anche coloro che quivi si radunavano senza la legalità del vescovo:

« Giova dunque non solo chiamarsi cristiani, ma anche esserlo: come vi sono alcuni che a parole invocano il vescovo, ma fanno tutto senza di lui. Costoro non mi paiono in buona coscienza, poiché non si radunano sicuramente (= in forma legale) secondo il precetto » (Ai Magnesi 4)

Ad ogni modo Ignazio è il corifeo dell'episcopato monarchico, che ebbe in Oriente uno sviluppo anticipato. Ecco alcune citazioni che mettono specialmente in risalto l'unità simboleggiata dall'episcopo, il quale possiede la celebrazione eucaristica:

« Ponete ogni cura a celebrare una sola eucarestia, poiché unica è la carne del Signore nostro Gesù Cristo, ed unica la coppa o comunione (= unione) del sangue suo, unico l'altare, come unico il vescovo insieme con il presbiterio e i diaconi, conservi miei: sicché ciò che fate fatelo secondo Dio» (Ai Filippesi 4).

Ignazio, non volendo che la Chiesa si frazioni in conventicole separate e discordi, afferma che l'assemblea deve essere presieduta dal vescovo:

Se infatti la preghiera di uno o due ha tale potenza, quanto più quella del vescovo e di tutta la chiesa (Efesini 5, 2). Tutto quindi deve essere attuato assieme al vescovo. «Seguite tutti il vescovo, come Gesù Cristo seguì il Padre suo, e seguite il collegio dei presbiteri, come se fossero gli apostoli, ma venerate i diaconi come la legge di Dio. Non fate nulla di ciò che concerne la chiesa indipendentemente dal vescovo. Considerate valida l'eucarestia celebrata dal vescovo e da chi ne abbia da lui l'autorità. Dovunque appaia il vescovo, ivi sia anche la moltitudine, come dovunque è Gesù Cristo ivi è la Chiesa universale. Non è lecito senza il vescovo battezzare o celebrare l'agape. Ciò che egli approva è anche grato a Dio, sì da rendere certa e valida ogni cosa che voi facciate» (Agli Smirnesi 8). E' bene conoscere Dio e il vescovo; colui che onora il vescovo è onorato da Dio: colui che compie cosa alcuna senza la conoscenza del vescovo serve il diavolo (Agli Smirnesi 9). Come dunque il Signore senza il Padre nulla fece, essendo (a lui) unito, nè egli stesso né per mezzo degli apostoli, così neppure voi fate nulla senza il vescovo e senza i presbiteri. Non arrischiatevi a considerare nulla benedetto privatamente per voi (= eucarestia), ma nella adunanza una sia la preghiera, una la supplica, una la mente, una la speranza (Agli Smirnesi 7). Sono infatti approvati solo «quelli che sono in comunione (con Dio), con Gesù Cristo, con il vescovo e con gli insegnamenti degli apostoli» (Ai Trallani 7) .

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In Occidente

In Occidente (= Roma) l'organizzazione episcopale monarchica si formò più tardivamente, ma vi si consolidò al massimo e vi trovò i suoi fautori più energici.

Alla fine del I secolo, al tempo di Clemente romano non vi era ancora una organizzazione monarchica (13) La lettera è tuttora collettiva perché Clemente non vi si nomina nemmeno e perché si suppone che tanto a Roma quanto a Corinto vi sia una organizzazione collegiale. I termini «vescovi» e «presbiteri» sono ancora sinonimi, ragion per cui non appaiono mai simultaneamente (14) Contro la rimozione dei presbiteri avveratasi a Corinto, l'autore della lettera ne sostiene l'inamovibilità (purché siano irreprensibili) e testifica le norme del come la elezione allora si effettuava.

« Non riteniamo giusto che coloro i quali furono da loro (= apostoli) stabiliti o, in seguito, da altri uomini ragguardevoli con l'approvazione di tutta la chiesa  e che servirono irreprensibilmente il gregge di Cristo con umiltà, tranquillamente e non volgarmente, e che per lungo tempo ebbero la testimonianza di tutti, siano rimossi dal ministero » (44, 3-5).

Chi siano costoro lo sappiamo da un altro passo:

« Gli apostoli portando l'annunzio per campagne e città stabilirono le loro primizie, dopo averle provate nello spirito, come vescovi e come diaconi, poiché così dice la stessa Scrittura: Stabilirò i loro vescovi in giustizia e i loro diaconi (= ministri) in fede » (15) .

Sarebbe strano nominare i vescovi e i diaconi saltando il gruppo importantissimo dei «presbiteri», se questi non fossero stati identici ai vescovi. Tale identificazione risulta dalla frase che segue:

« Anche i nostri apostoli sapevano per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo che sarebbero scoppiate contese per l'episcopato... sarebbe non piccola colpa se cacciassimo dall'episcopato persone che in modo irreprensibile hanno offerto i loro doni. Felici i presbiteri che già prima hanno compiuta la loro vita, che hanno avuto una fine coronata di frutti e completa. Essi non trepidano che qualcuno tolga loro il posto »(16) .

Verso la stessa epoca o poco più tardi Ignazio, che pur nomina molti vescovi nelle sue lettere, rivolgendosi alla Chiesa di Roma non fa nome del vescovo. Ciò si spiega con il fatto che verso il 110 l'episcopato monarchico non si era ancora stabilito in quella chiesa.

La conferma di tale ipotesi si ha dalla lettura del Pastore di Erma, scritto dal fratello di Pio, che la tradizione posteriore elencò tra i vescovi romani (17) In questo libro, ritenuto da alcune chiese ispirato, mai si nomina il «vescovo» al singolare, ma si ricordano i «presbiteri» come coloro che reggono la chiesa di Roma. Interessante al riguardo la visione terza. La Signora che è apparsa ad Erma così gli dice:

«Siedi qui!» Le dico «Signora, lascia che seggano prima i presbiteri». «Questo è quel che ti dico – dice – siedi!» Volendo io pertanto sedermi alla parte destra, non me lo permise, ma mi fa cenno con la mano di sedermi alla parte sinistra. Pertanto poiché ripensavo e mi affliggevo per il fatto che non mi aveva permesso di sedere alla sua destra, mi dice: «Ti affliggi, Erma? Il posto a destra è di altri, cioè di quelli che già sono piaciuti molto a Dio e hanno patito per il suo nome: a te invece molto manca per sedere con essi» (Vis 3, 1,8-9) .

In questa linea di precedenza Erma avrebbe dovuto dire: «Lascia che segga prima il vescovo»; mentre nominando solo i «presbiteri» lascia vedere che il vescovo, se già esisteva, non era altri che uno di loro, un primus inter pares.

Erma riceve poi il compito di rimproverare i «dirigenti » (proegoùmenoi ) della chiesa «dicendo loro » che raddrizzino nella giustizia le loro vie, affinché conseguano pienamente, con molta gloria, le promesse (18) Erma doveva comunicare le sue visioni ai presbiteri ( presbiteroi) preposti alla chiesa, ma dice di non averlo ancora realizzato. «Hai fatto bene» dice la vecchia « perché ho da aggiungere delle parole. Quando dunque avrò terminato le parole, sarà fatto conoscere a tutti gli eletti per mezzo di te. Scriverai pertanto due libretti e ne manderai uno a Clemente e uno a Grapte. Clemente poi lo manderà alle città straniere, perché ciò è affidato a lui. Grapte invece ammonirà le vedove e gli orfani. Tu infine lo leggerai a questa città insieme con i presbiteri preposti alla chiesa» (19) .

Con questi presbiteri vanno perciò identificati quei « vescovi ospitali» ( epìscopoi xaì filóxenoi ) che sempre nelle loro case accolsero volentieri i servi di Dio senza ipocrisia; e quei vescovi che con il loro ministero protessero sempre ininterrottamente i bisognosi e le vedove e si diportarono sempre castamente (20) .

Al suo tempo v'erano tuttavia degli orgogliosi, che occupavano i primi «seggi» nella chiesa e sono duramente biasimati da Erma:

« Or dunque dico a voi, che state a capo della chiesa e occupate le prime cattedre: Non siate simili ai fattucchieri. I fattucchieri invero portano i loro farmachi nei bossoli e voi portate il vostro maleficio e veleno nel cuore » (21) .

Anche  quando Marcione si recò a Roma nel 139, quale agiato proprietario di navi, presentò la sua interpretazione del cristianesimo ai «presbiteri» romani, il che ci pone dinanzi a una direzione collegiale e non ancora episcopale-monarchica (22) .

Verso il 155 l'evoluzione in senso monarchico si attuò finalmente anche a Roma, poiché il vecchio Policarpo, vescovo di Smirne, recatosi quivi poco prima del suo martirio, discusse la controversia riguardante la festa di Pasqua con il vescovo Aniceto e non più con i presbiteri (23) .

Verso la metà del II secolo l'episcopato monarchico si trova praticamente in tutte le chiese, nonostante i diversi tentennamenti e contrasti con i presbiteri delle singole chiese. Da questo momento si cercò di legittimare tale posizione, falsamente ritenuta d'istituzione divina, attraverso il ragionamento e la storia presentata anacronisticamente.

Teologicamente il vescovo fu presentato come il depositario della tradizione apostolica e il garante della fede. Tale idea si trova germinalmente già negli scritti di Ignazio, che al vedere la chiesa di Filadelfia dilaniata da eretici fraternizzanti promiscuamente con i fedeli e che tentavano anzi di trascinare il martire dalla loro parte, grida loro di stare uniti al vescovo onde evitare tale malanno.

« Quando ero in mezzo a voi, a coloro ai quali io parlavo, ho gridato ad alta voce, con la voce di Dio: Ubbidite al vescovo, al collegio dei presbiteri e ai diaconi... Senza il vescovo non far nulla » (Ai Filadelfi 7)

Ma fu specialmente Ireneo (m. 202) che per meglio combattere le eresie trovò nella successione episcopale – che fece risalire agli apostoli – il più valido baluardo per la conservazione della verità rivelata.

« Se vuoi accertare quale sia la dottrina degli apostoli guarda alla Chiesa degli apostoli. Nella successione dei vescovi che derivano dall'età primitiva e che furono stabiliti dagli apostoli stessi, tu hai la garanzia per la trasmissione della pura fede, che nessun maestro isolato... può fornire. Vi è, ad esempio, la chiesa di Roma, la cui successione apostolica è perfetta in ogni anello e i cui primi vescovi sono Lino e Clemente, associati agli apostoli stessi; vi è pure la chiesa di Smirne, il cui vescovo Policarpo, il discepolo di Giovanni, morì solo l'altro giorno» (Adv Haer. 3,2,3.4).

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I Cataloghi

Da questo momento (fine del II secolo) per documentare tale legittima successione si crearono i primi cataloghi(24) dei vescovi romani, che tentano di retrodatare la situazione del loro tempo sino al periodo apostolico onde conferire maggiore dignità e valore al proprio vescovo. In essi quei presbiteri di primo piano di cui si era tramandato il ricordo, diventarono vescovi, pur recando con sè tutte le incertezze e le disarmonie di simili ricostruzioni storiche. Tre sono i principali cataloghi ora noti:

a) Quello di Ireneo(25) , che lo riferisce per mostrare come la successione apostolica sia garanzia di vera tradizione; si identifica probabilmente con quello di Egesippo. E' un puro elenco di nomi senza dati cronologici.

b) Quello di Eusebio (26) che vi aggiunge gli anni di governo dei singoli vescovi riallacciandoli agli imperatori loro contemporanei; forse deriva da Giulio Africano, cronografo del III secolo.

c) Quello Liberiano, del 355, così detto perché raccolto dal vescovo Liberio; è di circa 30 anni posteriore a quello di Eusebio. La datazione segue gli anni consolari (27) .
 

a) Ireneo
b) Eusebio
c) Liberiano
1 Pietro 1 Pietro 1 Pietro (30-65)
2 Lino 2 Lino (per 12 a. fino all'a. 11 di Tito, 68-80) 2 Lino (56-67)
3 Anacleto 3 Anencleto (12 a. fino all'a. 12 di Domiziano, 80-92) 3 Clemente (68-75)
4 Clemente 4 Clemente (9 a.) fino a Traiano 3 (92-101) 4 Cleto (da kalein) (77-83)
5 Euarestos (Evaristo) 5 Euarestos (Evaristo 8 a.) fino a Traiano 12 (101-109) 5 Anacleto (84-95)
6 Alessandro 6 Alessandro (10 a. fino ad Adriano 3, 109-119) 6. Aristo (Evaristo) (96-108)
7 Xystos (Sisto) 7 Xystos (Sisto 10 a. fino ad Adriano 12, 119-129) 7 Alessandro (109-116)
8 Telesforo 8 Telesforo (martire secondo Ireneo) 10 a. fino ad Antonino Pio 1 (129-138)  8 Sisto (117-126)
9 Hygino 9. Hygino 4 a. (138-142) (invasione di eretici a Roma) 9. Telesforo (127-137)
10 Pio 10. Pio, 15 a. (142-155/56) 10. Hygino (138-149)*
11 Aniceto 11. Aniceto a. 11 (157-168) 11. Aniceto (150-153)*
12 Sotero 12. Sotero 8 a. fino a Marco Aurelio 17 (169-177) 12 Pio (146-170)*
13 Eleutero 13. Eleutero (177-188) 13. Sotero (162-170)

14 Vittore (inizia 10° di Commodo a. 189) 14. Eleutero (171-185)


15. Vittore (186-197)
* in parte contemporanei


 I nomi antichissimi ricordano indubbiamente alcuni presbiteri vissuti a Roma e la cui fama si era tramandata ai posteri; i cataloghi cercano di farli entrare in una ricostruzione cronologica. Se il Clemente – che ha l'incarico di tenersi in contatto con le altre chiese – fosse l'omonimo vissuto al tempo di Erma ci impedirebbe di accogliere la data antichissima di questo vescovo-presbitero. Anche la cronologia liberiana fa vivere simultaneamente tre vescovi romani: Hygino, Aniceto, Pio, indice di una loro contemporaneità nell'esercizio delle funzioni episcopali(28) Lo stesso si può dire di Aniceto che dovette essere stato vescovo contemporaneamente, almeno in parte, con Pio, essendosi incontrato con Policarpo il quale era già morto al principio del 155. L'incertezza della tradizione – creata tardivamente e che interpreta il passato secondo la posteriore concezione episcopale – spiega le divergenze di tali cataloghi.

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L'episcopato occidentale nel III secolo

Verso la metà di questo secolo si staglia la figura di Cipriano , vescovo di Cartagine (m. martire nel 258). Egli, pur chiamando cortesemente i suoi collaboratori «conpresbiteri », pur riconoscendo legittimo l'uso di consultare i « presbiteri» e i laici nell'elezione del vescovo, afferma che il vescovo è scelto direttamente da Dio, ha una diretta responsabilità verso Dio, ed è ispirato direttamente da Dio. Il vescovo è congiunto all'episcopato « non per suffragio umano, bensì per designazione divina »(29) L'unità della chiesa si attua con l'unione di ciascun fedele al proprio vescovo(30) : chi non sta con lui non sta neanche nella chiesa. L'unus episcopatus fu precedentemente conferito a Pietro e ad esso partecipano in solido tutti gli altri apostoli e vescovi (31)

Ormai l'evoluzione è compiuta e il vescovo è giuridicamente elevato al di sopra dei presbiteri che sono resi suoi inferiori. Solo qua e là restano le vestigia della loro antica autorità. Ad Alessandria, ad esempio, in mancanza di vescovi, i presbiteri potevano segnare con olio le persone da consacrarsi (32) Questi, ch'erano in numero di dodici in tale città, alla morte del vescovo, dovevano eleggere uno di loro, imporre su di lui le mani e crearlo patriarca, secondo un sistema che durò sino ad Alessandro (313-326). Fu costui a prescrivere che da quel momento tale rito si attuasse da parte di altri vescovi(33) .

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VI secolo: una riflessione di Girolamo

Girolamo (m. 420) è l'unico studioso che ritornando sulla storia precedente ed esaminando le Scritture, dice chiaramente che all'origine i vescovi e i presbiteri erano la stessa cosa e che il vescovo deriva dai presbiteri come uno a cui fu affidata la presidenza per meglio estirpare le eresie (34) .

Ecco alcune citazioni di Girolamo: «In antico, vescovi e presbiteri erano le stesse persone, poiché il primo è nome di dignità, il secondo d'età» (Ep 69). E altrove egli afferma:

« L'apostolo mostra chiaramente che i presbiteri sono la medesima cosa dei vescovi... E' quindi provato chiaramente che i vescovi e i presbiteri sono la stessa realtà» (Ep. 146).

Dove ne parla più a lungo è nel suo commento alla lettera a Tito:

Il presbitero è quindi l'identica persona del vescovo; prima che sorgessero rivalità nella Chiesa per istigazione demoniaca e prima che vi fosse gente la quale diceva: Io sono di Paolo, io di Apollo, e io di Cefa, le chiese erano governate dalla comune deliberazione dei presbiteri.
Ma dopo, quando si pensò che i battezzati appartenessero a chi li aveva battezzati, fu deciso per tutto il mondo di porre uno sopra gli altri e che la cura di tutta la Chiesa dovesse appartenere a lui in modo che si potesse rimuovere il seme dello scisma.
Se uno pensa che l'opinione asserente l'identità dei vescovi e presbiteri sia mia e non sia il pensiero delle Scritture studi le parole dell'apostolo ai Filippesi(35) .

Poi continua:

« Noi citiamo queste scritture per mostrare che gli antichi presbiteri erano la stessa cosa dei vescovi, e che a poco a poco fu affidata ogni cura nelle mani di uno per eliminare ogni radice di discussione. Perciò come i presbiteri sanno che essi sono stati sottoposti ad uno che fu elevato sopra di loro, così sappiano i vescovi che essi sono stati resi superiori ai presbiteri per una costumanza (ecclesiastica) anzichè per un comando del Signore: sappiano pure che perciò essi devono reggere la chiesa assieme ai presbiteri, imitando Mosè che pur avendo il potere di reggere Israele da solo, si scelse settanta presbiteri con i quali guidare il popolo » (36)

Si può quindi concludere che l'episcopato monarchico non è d'origine apostolica, bensì una creazione ecclesiastica prodotta dal desiderio di conferire maggiore unità alle chiese, dal bisogno di meglio opporsi alle eresie e alla forte personalità di alcuni presbiteri.


NOTE A MARGINE

1. I diaconi apparvero ancora prima dei presbiteri per aiutare le vedove elleniste nei loro bisogni (At 6, 1-6); anche se quivi non sono ancora chiamati «diaconi» vi appare il verbo «diakonèo» che significa «servire», ministrare alle mense. Ireneo dice chiaramente che costoro erano dei veri «diaconi» (Adv Haer, 1, 26, 3 ecc.). La chiesa romana a ricordo di questo fatto, pur accogliendo un numero maggiore di presbiteri, restringeva il numero dei diaconi a sette (Eusebio, Hist. Eccl. 6, 13, 11). Anche il concilio di Neocesarea (315 d.C.) in ricordo della loro prima elezione stabilì che i diaconi non dovessero mai superare il numero di sette in ogni città per quanto grande essa fosse (Can. 14). Tale decisione fu respinta dal Concilio Trullano II (692 d.C. pure detto Quinisestino). Il diaconato fu una novità, in quanto non poteva assimilarsi al Chazan delle sinagoghe che si chiamava uperetès non diakonos ed equivaleva al sagrestano dei templi cattolici; il diacono biblico aveva invece l'incarico di servire alle tavole, ossia di compiere gli uffici più umili distinti dalla predicazione e dalla istruzione. Ciò non esclude che, eccezionalmente, i diaconi abbiano esercitato anche tale ministero, a cui del resto sono chiamati tutti i cristiani. I diaconi divennero un gruppo importante nelle chiese a fianco dei presbiteri (Fl 1, 1; ca. a. 52) e per i quali Paolo esige certe qualità (1 Ti 3, 8 s; ca. 66). torna al testo

2. Se l'epistola paolina fosse una lettera circolare, come molti pensano oggi, si avrebbe la documentazione che tutte le comunità possedevano vescovi e diaconi. torna al testo

3. 1 Ti 3, 1; Tito 1, 7. torna al testo

4. Per il singolare di categoria si considerino i seguenti esempi: «Tutti i militari dovranno portare le loro armi... poiché il soldato deve essere pronto a combattere». «I dottori dovranno partecipare alle riunioni di studio, perché il medico deve essere aggiornato nella medicina». «I credenti devono essere umili e pronti al sacrificio, perché il cristiano dev'essere un imitatore di Cristo», ecc. torna al testo

5. La Bibbia dei Paolini nel suo commento ad Ap 2, 1 scrive: «L'angelo è il vescovo rappresentante della chiesa e responsabile del suo buon andamento» (p. 1304). torna al testo

6. Per la sua trasformazione in capo della chiesa e in un vescovo dei vescovi si veda il capitolo decimo. torna al testo

7. Egesippo in Eusebio, Hist. Eccl. 4,22,4. torna al testo

8. Dopo Evodio che ne fu il primo vescovo, vi fiorì in ordine di tempo, Ignazio (Eusebio, Hist. Eccl. 3, 22; cfr 3,26,2). Secondo le Costituzioni Apostoliche Pietro avrebbe ordinato Evodio: «Di Antiochia, Evodio ordinato da me Pietro, e Ignazio da Paolo» (VII, 47 del sec. IV). torna al testo

9. La data della sua morte va posta prima dell'ottobre 113, quando Traiano partì contro i Traci; altrimenti nessuno avrebbe potuto graziarlo in assenza dell'imperatore, come Ignazio teme che avvenga per intercessione della chiesa romana. La brama del martirio è forse dovuta al convincimento che il martire avrebbe goduto dopo la morte l'immortalità beata, che per gli altri credenti era invece riservata al tempo della resurrezione finale dei corpi quando Cristo sarebbe tornato. Nell'Apocalisse le anime dei martiri serbati sotto l'altare invocano il giudizio finale, ma Dio li ricompensa dando loro la «stola» bianca, che nei misteri pagani rappresenta l'immortalità concessa all'iniziato. Indica quindi la concessione ai martiri di quella personale consistenza, equipollente al «corpo pneumatico» di Paolo che i risorti erediteranno al giorno della risurrezione (Ap 6, 9-11). torna al testo

10. L'epistolario si presenta in tre forme:
a) brevissima (recensione siriaca edita dal Cureton nel 1845) che è solo un estratto delle lettere autentiche.
b) media, sette lettere edite in greco nel 1646 (Codice mediceo Laurenziano 57, 7 di Firenze) e, nel 1689, quella a i Romani (inglobata nel Martyrium Antiochenum in un Ms colbertino della Bibliothèque Nationale di Parigi). E' la recensione ora preferita, e ammessa da tutti (contro la precedente critica negativa francese di Turmol) in conseguenza del giudizio favorevole che diedero loro gli anglosassoni (Th Zahn, F.X. Funk, J.B. Lightfoot, A, Harnack)
c) lunga, risalente a circa il sec. IV i V d.C. con interpolazioni alle sette lettere e l'aggiunta di altre sei, di cui due all'apostolo Giovanni a una a Maria, madre di Gesù, con la successiva risposta della Vergine al vescovo: La critica generalmente rifiuta d'accettare questo carteggio che è interpolato o apocrifo. torna al testo

11. Cfr A. Omodeo, Ignazio di Antiochia e l'episcopato monarchico , in «Saggi sul Cristianesimo Antico», Napoli 1958, pp. 205-255. torna al testo

12. Così, sia pure dubitativamente, afferma Altaner, Patrologia, o.c. n. 88. torna al testo

13. Cfr A. Omodeo, L'ordinamento della Chiesa secondo la I di Clemente , in «Saggi sul Cristianesimo antico», o.c.. pp. 195-202. torna al testo

14. Nomina «i vescovi e i diaconi» (42, 5, cfr 57, 1), i «presbiteri» o «vescovi» (c. 44) ma mai i «presbiter»i con i «vescovi». torna al testo

15. c. 42. La citazione è da Is 60, 17. Il fatto che nelle lettere si suggerisca la sottomissione ai «presbiteri», ci garantisce che costoro non erano altro che i vescovi nominati altrove. torna al testo

16. c. 44. Il parallelismo tra i vescovi deposti e i presbiteri precedentemente non deposti, milita per la loro identità. Forse si chiamavano «vescovi» in quanto presiedevano al «dono» eucaristico (siccome tale funzione di presidenza era unica, il nome vescovo si usa anche al singolare), mentre i «presbiteri» erano così chiamati in quanto comitato direttivo. torna al testo

17. Sedente Pio episcopo fratre eius si tratta di Pio I, vescovo romano tra il 130 e il 154; il libro di Erma fu composto verso il 130-140. Sul canone muratoriano da cui è tratta l'affermazione precedente cfr. P. de Ambroggi , Muratoriano canone , un «Encicl. Catt. vol. 8, coll. 1527.29. torna al testo

18. Vis. 2,2,6ss. Patrum Apostolicorum, SEI, Torino 1954, p. 478. torna al testo

19. Vis. 2,4,3 (l. c. p. 480). Si noti l'assenza del vescovo, il che sarebbe irragionevole se lui fosse stato la suprema autorità preposta alla chiesa. Grapte era un presbitero preposto alla cura delle vedove e degli orfani (secondo altri sarebbe una diaconessa). Clemente, pure lui presbitero, doveva essere una specie di segretario della chiesa a cui era affidata la corrispondenza con le chiese straniere. L'analogia tra il nome e l'incarico, potrebbe suggerire che si tratta del medesimo personaggio che scrisse la lettera ai Corinzi, che in tal caso dovrebbe essere posta assai più tardi, certo prima della morte di Policarpo di Smirne che la cita nella sua lettera ai Filippesi (Policarpo morì nel 156). La cronologia di Clemente è assai discussa, perché Ireneo ne fa il quarto vescovo di Roma e il catalogo liberiano il terzo. Tertulliano lo fa ordinare da Pietro (De Prescript. 32), ma per umiltà – dice Epifanio (Haer. 27, 6) – avrebbe ceduto l'episcopato a Lino. Il tutto è frutto di confusione tra il Clemente vescovo di Roma, e il Clemente collaboratore di Paolo (Fl 4, 3). torna al testo

20. Sim. IX 27, 2,  l. c., p. 730. torna al testo

21. Vis 3,9,7. torna al testo

22. A. Omodeo, Saggi sul cristianesimo antico, Napoli 1958 (Edizioni Scientifiche Italiane, via Roma 406), p. 412. torna al testo

23. Ireneo in Eusebio, Hist. Eccl. 4, 14, 1. Il passaggio è pure documentato dal fatto che mentre Policarpo si richiama a Giovanni per difendere la sua tradizione, Aniceto risponde che « bisognava ritenere la costumanza dei presbiteri suoi predecessori » (ivi 5,24,16). Strano questo richiamo ai «presbiteri» che erano stati prima di lui! segno che la creazione episcopale era una novità a Roma: i nomi erano ancora intercambiabili. torna al testo

24. Cfr A. Omodeo, I cataloghi dei vescovi di Roma, in «Saggi sul cristianesimo antico», o.c., pp. 478-485. torna al testo

25. Ireneo, Adv. Haer ., 3,3,2-3 e in Eusebio , Hist. Eccl., 5, 6,1-4. Forse il suo elenco va identificato con quello di Egesippo, che fu il primo a parlarne (ivi 4, 22, 3). torna al testo

26 Inizia in Hist. Eccl. 4, 19 e via via nel corso degli eventi, senza che vi sia un elenco riunito in un solo passo. torna al testo

27. Pubblicato da Mommsen in Monumenta Germanica Hist. Auct. antiquiss. IX , 1892, fu ricostruito nelle parti mutile dallo Harnack sulla base del Liber Pontificalis (che segue il catalogo liberiano) e ripubblicato dal Preuschen in Analecta 1 , p. 145 s. torna al testo

28. Siccome Aniceto ebbe un abboccamento con Policarpo (m. martire il 23 febbraio 155) dobbiamo riconoscere che, in quest'ultimo, la cronologia liberiana è più esatta di quella liberiana. torna al testo

29. Ep. 39 «Non humana suffragione sed divina dignitatione conjunctum». « Expectanda non sunt testimonia humana cum praecedunt divina suffragia » (Epist. 38). torna al testo

30. Ep. 43, 5; 69, 3. torna al testo

31. Episcopatus unus est, cuius a singulis in solidum pars tenetur (Ecclesiae Unitate 5). torna al testo

32. Ambrosiastro (= Ilario), in Ephes 4, 12, sembra suggerire che il presbitero più anziano vi diveniva vescovo; anche Girolamo afferma che i presbiteri ad Alessandria « nominarono sempre come vescovo uno scelto dal loro gruppo e lo posero in grado superiore, così come se un'armata avesse ad eleggersi un generale e i diaconi avessero a scegliere dal loro gruppo uno che essi diligentemente conoscono chiamandolo arcidiacono» (Epist. 146 ad Evang.). torna al testo

33. Eutichii, Patr. alex. Annales I, p. 331, Pococke, Oxon 1656. torna al testo

34. Ben chiaramente il patrologo cattolico B. Altaner così dice al suo riguardo: « Egli sostiene l'opinione che l'episcopato monarchico non sia juris divini, ma sia stato introdotto dalla legge ecclesiastica, soprattutto allo scopo di ovviare al pericolo di secessioni all'interno delle comunità cristiane. La preminenza dei vescovi poggerebbe quindi: magis consuetudine quam dispositionis dominicae veritate; e idem est ergo presbiter qui est episcopus (Tito 1, 5) ». Cfr B. Altaner, Patrologia, Torino 1951, p. 297. torna al testo

35. Egli cita qui Fl 1, 1-2; At 20, 28; Eb 13, 17; 1 Pt 5, 1-2. torna al testo

36. Cfr In Titum 1, 5 PL 26, 262 s. Alcuni teologi cattolici, con scarsa serietà scientifica, attribuiscono  tali affermazioni di Girolamo a rabbia repressa per il fatto che egli era rimasto solo un presbitero senza essere stato eletto vescovo. torna al testo