Da Pietro al Papato
di Fausto Salvoni

CAPITOLO QUINDICESIMO

IL PROBLEMA DELL'INFALLIBILITA' PAPALE
dalle origini all'odierno dissenso teologico (parte seconda)


Chiesa e vescovi sono sottoposti alla Bibbia

L'infallibilità papale non è che l'ultima conseguenza dell'infallibilità attribuita da parte cattolica alla Chiesa, la quale nella sua parte direttiva – vescovo o papa – è divenuta «Chiesa docente». I rappresentanti della parte cattolica alla disputa di Losanna del 1536 asserirono:

« La Chiesa è anteriore e superiore alla Scrittura. Questo significa che la Chiesa è anteriore alla Scrittura e ha maggiore autorità, perché la Chiesa è il corpo di Gesù Cristo » (68) .

Perciò la S. Scrittura va esposta:

« Secondo la mente della Chiesa, che da Nostro Signore è stata costituita custode e interprete di tutto il deposito della verità rivelata » (69) .

Gesù Cristo si identifica in tal modo con la Chiesa e specialmente con il papa, per cui ogni appello «al di sopra del magistero cattolico è impossibile perché significherebbe in ultima analisi porre qualcosa al di sopra di Cristo » (70) .

« Viene così ad essere perduto il senso dei riferimenti alla Parola dell'Evangelo che testimonia della Parola stessa di Cristo in quanto la Chiesa considera se stessa il riferimento di se stessa »...
« Questo dimostra la sterilità, non relativa ma fondamentale, di ogni biblicismo cattolico e la miopia dogmatica dei teologi protestanti che lo interpretano come cattolicamente non può essere interpretato in quanto nel cattolicesimo l'Evangelo non è ascoltato come parola del Signore detta alla Chiesa, che ammaestra la Chiesa a salvezza e mette i suoi eventuali errori a confronto con la verità di Dio, ma come parola detta dal Signore nella Chiesa, e per mezzo della Chiesa, affidata in deposito alla Chiesa di cui la Chiesa (e si intenda bene: la Chiesa di Roma ed essa soltanto) ha in esclusiva la chiave interpretativa »(71) .

Per restare fedeli all'Evangelo occorre far sentire che non vi è una Chiesa docente, ma solo una Chiesa discente che sempre impara da Cristo che è l'unico Maestro e il cui insegnamento sta racchiuso, una volta per sempre, nella Parola della Bibbia. « Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti discepoli » (Mt 23, 8). Occorre dimostrare che la Chiesa è « figlia nata dalla Parola, non madre della Parola » e che sta perennemente « tutta intera sotto l'autorità ultima della verità rivelata »(72 ).

Mai nel Nuovo Testamento si trova che i vescovi sono fondamento della Chiesa dotati di dottrina infallibile, Pur essi sono sottoposti all'insegnamento apostolico, che non è affidato a loro come un deposito da migliorare, bensì come un deposito da conservare integro; non come una gemma da far crescere, bensì come un tesoro da non sperperare cambiandolo con tesori falsi. Tutti i cristiani, vescovi compresi, devono sforzarsi di « combattere per la fede che è stata tramandata una volta per sempre ai santi » (Giuda 3). Non si deve modificare in alcun modo l'insegnamento di Paolo, accostando al sangue purificatore di Cristo altri elementi di salvezza siano la circoncisione dei «fratelli giudaizzanti introdottisi di soppiatto nella chiesa dei Galati» (Ga 1, 2) siano i santi o la madre di Cristo dei giorni nostri. E' attraverso l'Evangelo e non attraverso la Chiesa che si può raggiungere la fede in Cristo Gesù e, mediante tale fede ubbidiente, ottenere la salvezza ed entrare nella vera «Chiesa di Cristo».

« Queste cose sono state scritte, affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figliuol di Dio, e affinché credendo abbiate vita nel suo nome» (Gv 20, 31). La Chiesa è la famiglia di coloro che sono «discepoli», «scolari» di Cristo. Essa non è la «verità» ma la «colonna della verità», in quanto, come le colonne dell'antichità su cui si appendevano i decreti imperiali, presenta a tutto il mondo l'invariabile messaggio salvifico dell'Evangelo, che è l'amore di Dio incarnatosi in Cristo.

E' qui che si tocca la divergenza fondamentale e inconciliabile – nonostante ogni ostentato ecumenismo – tra Chiesa cattolica e Cristianesimo (73) Per questo Lutero aveva collocato la Chiesa di Roma sul medesimo piano degli «Spirituali» perché si gloria di possedere lo Spirito Santo deducendone la sua indipendenza nei riguardi della Parola. Karl Barth pone il cattolicesimo nello stesso piano del modernismo neo-protestante, perché entrambi concordano nell'idea fondamentale di voler derivare la fede dalla coscienza personale o ecclesiale (74) .

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Reazioni moderne

La definizione dell'infallibilità papale nel 1870 fu intesa nel senso che tutto il potere (potentia) effettivo e l'iniziativa fu concentrata nel papa, nel quale risiede la pienezza dell'autorità divina (potestas). Furono quindi riferite a lui le parole che, secondo la Bibbia, il Faraone disse di Giuseppe: «Senza il tuo comando nessuno alzerà mano o piede in tutto il paese d'Egitto». Di qui l'affermarsi sempre più rigido della Curia con il suo sistema assolutista. Siccome il papa non può essere dovunque, e siccome nessuno può agire senza di lui, ne derivò «un popolo di Dio congelato» per usare l'espressione di un protestante.

Se le osservazioni precedenti possono essere accusate di opportunismo, in quanto sono spesso dovute alla penna di protestanti che intendono sostenere il loro movimento, lo stesso non si può dire di un recente studio dal titolo «L'infallibilità e la sua prova». Esso proviene da un cattolico che per di più funge da vescovo nella diocesi di Indore in India. In esso Monsignor Francis Simon – tale è il suo nome – d'origine olandese, dichiara chiaramente:

« Sono giunto alla conclusione che la Chiesa è in errore quanto all'infallibilità del papa e non potevo far altro che pubblicare le mie tesi nonostante che molti amici, pur ammettendo che forse avevo ragione, mi suggerissero di tacere e di non entrare in problemi teologici »(74bis) .

Gli apostoli – egli continua – non avevano bisogno di tale carisma soprannaturale in quanto ben conoscevano quel che avrebbero dovuto predicare: « Essi avevano un ricordo indelebile dell'insegnamento e dei fatti salienti della vita di Cristo, che non sarebbero certo caduti in errore » (pag. 71). Ad ogni modo ad essi è stata garantita una speciale assistenza dello Spirito Santo perché si ricordassero di tutti i particolari e fossero guidati in tutta la verità: tale aiuto dello Spirito Santo fu dato loro perché potessero ricordare tutto quanto Gesù aveva insegnato (Gv 14, 26). E' quindi evidente che solo essi e non i loro successori godevano di tale dono.

Il « Tu sei Pietro», pur dimostrando che Pietro era il principe degli apostoli (74ter) non prova affatto che egli godesse di carismi speciali. Il preteso dono dell'infallibilità non ha impedito che « pontefici, vescovi e altri membri della Chiesa cattolica cadessero in errori e dimenticanze». A causa del concetto di infallibilità « anche i buoni argomenti della dottrina cattolica cessano di esercitare il loro peso. Dietro di loro, infatti, la grande massa degli uomini vede solo degli strani contorcimenti teologici e non un tentativo di dire la verità » (pp. 89-91). Perciò «il dogma dell'infallibilità è un ostacolo al progressivo affermarsi dell'evangelo» (p. 119).

Non è forse di buon auspicio che anche un vescovo cattolico ammetta quanto è stato asserito nel presente studio? Non è forse un segno che chiunque studia la Bibbia senza preconcetti, presto o tardi, giunge alle medesime conclusioni?

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Il papato ai nostri giorni

Dinanzi al progressivo allontanamento delle masse popolari, che sfuggono sempre più al potere ecclesiastico, la Chiesa cattolica si raccolse per studiare nuovi mezzi di penetrazione nella civiltà e nella cultura odierna per riconquistare il mondo a sè. A tale scopo fu indetto da Giovanni XXIII il Concilio Vaticano II svoltosi in quattro sezioni (75) .

Per meglio conquistare il mondo, il Cattolicesimo si diede ad evangelizzare l'America (Stati Uniti) tramite l'opera infaticabile dei Cavalieri di Colombo (Knights of Columbus); quivi il fatto di essere cattolico più non suscita le diffidenze di un tempo, per cui Kennedy potè persino diventare presidente. Si cercò di facilitare la penetrazione in terra di missione eleggendo dei cardinali e vescovi nativi e accettando non pochi costumi locali. Con la visita del papa in Israele, in Arabia (Amman), in India e in Turchia (Istanbul) si è cercato di accostare anche questi popoli. Gli Ebrei furono sciolti dall'accusa di deicidio loro rivolta nei secoli passati. Gli incontri ripetuti con il Patriarca ortodosso Atenagoras, ebbero l'intento di facilitare la riunione dei due rami dell'Oriente e dell'Occidente (76) .

Lo stesso dicasi dei contatti con gli altri «fratelli separati» del ceppo protestante. Finora tuttavia so sono in genere evitati gli argomenti prettamente teologici, che non godono troppa simpatia da parte di Paolo VI (77) .

Per la riconquista del mondo la Chiesa cattolica volle riconoscere una maggior importanza ai laici pur mantenendoli sottoposti alla gerarchia, e volle dare alla sua liturgia un colorito più moderno mediante l'uso delle lingue parlate pur conservando la fissità degli antichi schemi, che è ben differente dalla individuale libertà del tempo apostolico. Politicamente, data l'importanza dei recenti movimenti politici, presenta una dottrina che più non condanna come prima il socialismo, ma si accosta ad esso pur evitandone (per ora) gli estremi del comunismo.

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Spirito critico della nuova generazione cattolica

La generazione cattolica odierna non è più contenta delle prove tradizionali, ammette la libertà di religione, l'indagine personale della Bibbia, si mostra insofferente della sottomissione alle gerarchie ecclesiastiche, è pronta a mettere in dubbio tante e tante cose. Vescovi e preti hanno espresso opinioni personali sul controllo delle nascite, sulla presenza eucaristica di Gesù, sull'indipendenza individuale. Non li soddisfa più l'argomento di autorità, ma cerca una soluzione personale e intellettuale dei propri problemi, tenta una maggiore apertura verso le classi operaie (vedi i preti operai!), verso i protestanti, verso idee sociali nuove. Pretende esaminare la Bibbia con maggiore spirito d'indipendenza giungendo a conclusioni talvolta sin troppo spinte.

Dove possa condurre tale spirito nei riguardi del papa non si può dire. Si pensi che in Cina dei vescovi si sono costituiti una gerarchia propria, senza approvazione del papa e con tendenza scismatica. Ad ogni modo Paolo VI conscio di questo pericolo, più volte ha espresso in modo assai forte il suo richiamo ad una vita più santa, in cui domini l'ubbidienza che è costituzionale nell'andamento della Chiesa:

« E' palese a tutti che oggi si vive in un periodo di profonde trasformazioni di pensiero e di costume; ed è perciò spiegabile come siano spesso messe in questione certe norme tradizionali, che facevano buona, ordinata, santa la condotta di chi le praticava. Spiegabile, ma non lodevole, non approvabile se non con grande studio e cautela, e sempre secondo la guida di chi ha scienza ed autorità per dettare legge del vivere cristiano.
Oggi, purtroppo, si assiste ad un rilassamento nell'osservanza dei precetti che la Chiesa ha finora proposto per la santificazione e per la dignità morale dei suoi figli. Uno spirito di critica e perfino di indocilità e di ribellione mette in questione norme sacrosante della vita cristiana, del comportamento ecclesiastico, della perfezione religiosa. Si parla di «liberazione», si fa dell'uomo il centro di ogni culto, si indulge a criteri naturalistici, si priva la coscienza della luce dei precetti morali, si altera la nozione di peccato, si impugna l'obbedienza e le si contesta la sua funzione costituzionale nell'ordinamento della comunità ecclesiale, si accettano forme e gusti di azione, di pensiero, di divertimento, che fanno del cristiano non più il forte e austero discepolo di Gesù Cristo, ma il gregario della mentalità e della moda corrente, l'amico del mondo, che invece d'essere chiamato alla concezione cristiana della vita è riuscito a piegare il cristiano al fascino e al giogo del suo esigente e volubile pensiero. Non certo così noi dobbiamo concepire l'aggiornamento a cui il Concilio ci invita: non per svigorire la tempra morale del cattolico moderno è da concepirsi questo aggiornamento, ma piuttosto per crescere le sue energie e per rendere più coscienti e più operanti gli impegni, che una concezione genuina della vita cristiana e convalidata dal magistero della Chiesa ripropone al suo spirito » (78) .

Vi sono dei passi ancor più significativi: nella Mater et Magistra Paolo VI ammette che possano sorgere « anche tra i cattolici retti e sinceri delle divergenze ». Quando ciò accade « non ci si logori in discussioni interminabili e sotto il pretesto del meglio e dell'ottimo, non si trascuri di compiere il bene che è possibile e perciò doveroso». « E' altresì indispensabile che nello svolgimento di dette attività (i cattolici) si muovano nell'ambito dei principi e delle direttive della dottrina sociale cristiana in attitudine di sincera fiducia e sempre in rapporto di filiale obbedienza verso l'autorità ecclesiastica ».

Nella Pacem in terris, pur parlando di dialogo, si sottolinea i medesimi principi: « E' possibile collaborare con i non cattolici sempre tuttavia in accordo con la dottrina sociale della Chiesa e con le direttive dell'autorità ecclesiastica. Non si vede infatti dimenticare che compete alla Chiesa il diritto e il dovere non solo di tutelare i principi dell'ordine etico e religioso, ma anche di intervenire autoritativamente presso i suoi figli nella sfera dell'ordine temporale, quando si tratta di giudicare dell'applicazione di quei principi ai casi concreti».

La Chiesa è « immersa in una umanità » che « come le onde del mare avvolge e scuote la Chiesa stessa: gli animi degli uomini che in essa si affidano sono fortemente influenzati dal clima del mondo temporale ». Occorre quindi, essere convinti di ciò che la Chiesa è « secondo la mente di Cristo, custodita nella Sacra Scrittura e nella Tradizione e interpretata, sviluppata nella genuina interpretazione ecclesiastica » (Enc. Ecclesiam suam).

Nell'udienza generale del 31 marzo 1965, Paolo VI usciva in espressioni assai forti, lamentando l'insofferenza attuale verso l'autorità ecclesiastica:

Si proclama la necessità « per tutti urgente di alimentare quel senso di solidarietà, di amicizia, di mutua comprensione, di rispetto al patrimonio comune, di dottrine e di costume, di ubbidienza e univocità di fede, che deve distinguere il cattolicesimo». « Che dovremmo dire di quelli che invece non altro contributo sembra sappiano dare alla vita cattolica che quello di una critica amara, dissolvitrice e sistematica? Di coloro che mettono in dubbio o negano la validità dell'insegnamento tradizionale della Chiesa per inventare nuove e insostenibili teologie? Di quelli che sembra abbiano gusto a creare correnti l'una all'altra contraria, a seminare sospetti, a negare all'autorità fiducia e docilità, a rivendicare autonomie prive di fondamento e di saggezza? O di coloro che per essere moderni trovano tutto bello, imitabile e sostenibile ciò che vedono nel campo altrui, e tutto sopportabile, discutibile e sorpassato ciò che si trova nel campo nostro? »(79) .

Come si vede si profilano nella Chiesa cattolica errori e tendenze che potrebbero ferire ed umiliare la Chiesa.

Con chiarezza ancora maggiore, a coloro che vorrebbero tornare alla semplicità della Bibbia, Paolo VI, giocando su Matteo 13, 31 (dove si parla solo della crescita numerica della Chiesa e non della sua crescita dogmatica) oppone che non si può far ritornare la Chiesa «bambina». Come se fosse «bambina» la Chiesa guidata dallo Spirito Santo nella pentecoste e illuminata dalla parola ispirata degli apostoli, ed adulta quella odierna guidata dai papi!

« Non diremmo che sia altrettanto sintonizzato con la spiritualità del Concilio l'atteggiamento di coloro che prendono occasione dai problemi ch'essa solleva, e dalle discussioni ch'esso genera per eccitare in sè e in altri uno spirito di inquietudine e di riformismo radicale, tanto nel campo dottrinale, che in quello disciplinare, come se il Concilio fosse l'occasione propizia per mettere in questione dogmi e leggi, che la Chiesa ha inscritto nelle tavole della sua fedeltà a Cristo Signore; e come se esso autorizzasse ogni privato giudizio a demolire il patrimonio della Chiesa di tutte le acquisizioni che la sua lunga storia e la sua convalidata esperienza le hanno procurato nel corso dei secoli. Vorrebbero forse che la Chiesa tornasse bambina, dimenticando che Gesù ha paragonato il regno dei cieli ad un minuscolo seme che deve crescere e diventare pianta frondosa (Mt 13, 31) e che ha preannunciato lo sviluppo per opera del Paraclito della dottrina da lui insegnata (Gv 14, 26 e 16, 13)? vorrebbero per essere autentica, la vera Chiesa si contentasse di ciò che essi definiscono essenziale? si riducesse cioè a puro scheletro e rinunciasse ad essere corpo vivo, crescente ed operante, non ipotetico ed idealizzato, ma reale ed umano nella vissuta esperienza della storia?
Così pure, per un altro verso, non diremmo che siano buoni interpreti dell'ortodossia colo che diffidano delle deliberazioni conciliari e che si riservano di accettare soltanto quelle che essi giudicano valide quasi che sia lecito dubitare della loro autorità, e che l'ossequio alla parola del Concilio possa fermarsi là dove non esige alcun adattamento della propria mentalità, e dove si limita a confermarne la stabilità.
Non si pensa abbastanza che, quando la Chiesa maestra tiene cattedra, bisogna tutti diventare discepoli» (80) .

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Il problema del collegio episcopale

Due tesi si opponevano nella più recente teologia cattolica al riguardo dell'episcopato, al quale si attribuisce collegialmente la direzione della Chiesa. Una corrente ha supposto che l'autorità episcopale passasse a loro attraverso il capo che ne è il papa.

Leone XIII nell'enciclica Satis Cognitum (1896) cita un passo del suo predecessore Leone Magno in cui si afferma che:

« Avendo Pietro ricevuto molte cose da solo, nulla passò ad altri senza la sua partecipazione. Anche se Dio si degnò di conferire qualcosa agli altri principi della Chiesa, mai la diede loro se non per mezzo di Pietro »

Altri teologi al contrario suppongono che i vescovi ricevano direttamente la loro autorità da Dio, non solo singolarmente nel governo della loro singola diocesi. ma anche collegialmente nella direzione di tutta la Chiesa. Il papa è uno di loro, anche se con potere superiore.

Il Concilio ha dato il suo appoggio alla seconda opinione, in quanto al collegio degli apostoli (che non furono tali in virtù di Pietro) fa succedere il collegio dei vescovi. I «Dodici» agirono spesso collegialmente: assieme eleggono Mattia (At 1, 15-26), convocano l'assemblea per le elezione dei diaconi (At 6, 2), esaminano il caso di Paolo (At 9, 27; Ga 2, 1-9), presenziano al Concilio di Gerusalemme (At 15). Paolo afferma con la massima chiarezza che la Chiesa poggia «sugli apostoli - profeti» (Ef 2, 19) e Giovanni che « le mura » della Nuova Gerusalemme, ossia della Chiesa, hanno dodici fondamenti sui quali « stan scritti i nomi dei dodici apostoli dell'Agnello » (Ap 21, 14)

Perciò i vescovi ricevono il loro potere da Cristo non tramite il papa, ma attraverso il collegio degli apostoli.. Pietro regge la Chiesa non per mezzo degli apostoli ma con gli apostoli. per volere divino al collegio degli apostoli succede il collegio dei vescovi; il collegio apostolico continua la sua esistenza nel collegio episcopale il quale detiene la struttura, i poteri, le prerogative ordinarie del collegio apostolico.

Ma il Vaticano II non ha determinato chiaramente il rapporto tra i vescovi e il papa, per cui proprio su tale punto verte oggi la discussione teologica e si erge una critica serrata contro le strutture ecclesiastiche attuali. Anche se direttamente le opposizioni si rivolgono alla Curia romana e non al papa – noi biasimiamo la locomotiva e non l'ingegnere, disse il card. Suenens – di fatto anche il papa ne viene compromesso.

Il primate belga, card. Suenens, impersonò la voce di una buona corrente di teologi tedeschi (H. Küng), olandesi (Nimega) e belgi, quando affermò che « al centro prevale la tendenza, anche dopo il Vaticano II, di considerare tutto sotto l'aspetto formale e giuridico. Considerando la Chiesa come una società perfetta, con un potere supremo ben definito, fornito di leggi universalmente valide, si tende a dare la priorità alla chiesa universale rispetto alle chiese particolari, per cui si cerca più di reprimere che di comprendere ». In armonia con il docente tedesco H. Küng, che auspica un consiglio permanente di vescovi con valore non solo consultivo (81) il cardinale Suenens afferma che la « Chiesa deve essere una comunione di chiese... per cui le encicliche e i documenti più importanti dovrebbero presentarsi sempre come frutto di un'ampia collaborazione tra Roma e le chiese particolari ». Alla luce della collegialità ecclesiastica i vescovi e non i cardinali dovrebbero eleggere il papa; allo stesso modo che i vescovi devono agire in comunione con il papa, così anche il papa deve agire in comunione con i vescovi senza isolarsi nella sua superiorità personale. L'autorità dei nunzi, che agiscono spesso su di un terreno puramente diplomatico e civile controllando non di rado i vescovi locali, dovrebbe essere ridimensionata (82) .

Dopo le critiche di altri presuli che pretendevano una sua ritrattazione, il Cardinale tornò di nuovo in campo per insistere di non aver nulla da ritrattare e per asserire la necessità della libera circolazione delle idee anche nella chiesa cattolica. «So che sarò oggetto di attacchi; ma io amo la Chiesa e sono un capo. Sono disposto a pagare il prezzo delle mie convinzioni» (83) .

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Risposta di Paolo VI

Pur accogliendo l'idea che anche i vescovi devono avere una certa partecipazione collegiale nella direzione della Chiesa (si pensi ad esempio alla creazione del Sinodo episcopale da lui creata), Paolo VI non ammette che il papa debba agire di comune consenso con i vescovi, e sostiene il diritto, per autorità divina, di decidere per conto proprio con direttiva personale. Di qui la Nota explicativa praevia aggiunta per suo volere alla Costituzione della Chiesa. dove si legge: « Il Romano pontefice nell'ordinare, promuovere, approvare l'esercizio collegiale procede secondo la propria discrezione, avendo di mira il bene della Chiesa. Il Sommo pontefice, quale pastore supremo della Chiesa, può esercitare la sua priorità in ogni tempo a suo piacimento come richiesto dallo stesso ufficio ». Di qui le sue decisioni personali circa la professione di fede (il Credo del Popolo di Dio), la sua enciclica sul celibato e l'altra sul controllo delle nascite che crearono enormi opposizioni e problemi non indifferenti in seno al cattolicesimo odierno circa il valore dell'autorità papale.

Come rispose Paolo VI alle contestazioni odierne? Pur dichiarandosi disposto a modificare alcune strutture che più non si adeguano alla situazione sociale odierna (di qui la preparazione del nuovo codice di diritto canonico), il Papa ritiene di non essere obbligato ad agire sempre in comunione con i vescovi, ma di poter agire da solo senza il consenso della Chiesa (ex sese, non ex consensu ecclesiae)(84) . Inaugurando il Sinodo dei vescovi il 30 settembre 1967 Paolo VI ripeteva che l'ufficio sinodale è « normalmente consultivo» e biasimava le opinioni « di non pochi studiosi e pubblicisti che ardirebbero applicare la loro analisi agli aspetti giuridici di questa istituzione per darvi a loro talento forme e funzioni conformi a certi concetti nuovi del diritto costituzionale della Chiesa » (85) .

Una sintesi che ben rispecchia la mentalità dell'attuale papa circa la costituzione della Chiesa si ha nella Istruzione per la evangelizzazione dei popoli del 24 febbraio 1969, n. 13:

« Il Sommo Pontefice ha in tutta la Chiesa la potestà piena, universale, immediata. I vescovi reggono le chiese particolari ad essi affidate con potestà propria, ordinaria e immediata. L'esercizio della potestà episcopale, però, è sottoposta in ultima istanza, al Romano Pontefice e può ben essere circoscritta entro limiti in vista del bene della Chiesa e dei fedeli. Per esercitare tale suprema potestà, il Romano Pontefice si serve dei dicasteri della Curia Romana » (86) .

Perciò il papa, pur desiderando meditare serenamente le rimostranze rivolte verso la sede apostolica (23 giugno 1969), deplora « chi sostituisce la propria esperienza spirituale, il proprio sentimento di fede oggettiva, la propria interpretazione della parola di Dio » alla tradizione. Chi agisce così produce certamente una novità, ma «è una rovina » (2 luglio 1969). Per cui deplorando coloro che sono causa di questi « pericoli gravi per la Chiesa di Dio », sottolinea che l'attuale è « un fermento praticamente scismatico » (a aprile 1969).

Nonostante che Paolo VI abbia ammesso l'utilità del Sinodo episcopale da riunirsi ogni due anni e sia disposto ad esaminare serenamente altre richieste episcopali (ottobre 1969), egli ha spesso esaltato il primato del vescovo di Roma, quasi ne temesse una menomazione da parte dei padri conciliari. E' impossibile ricordare tutte le espressioni del papa, tanto sono numerose: eccone le più importanti. Inaugurando il 29 settembre 1963 la seconda sessione del Concilio, così affermava:

« Salute, Fratelli! Così vi accoglie il più piccolo fra di voi, il Servo dei Servi di Dio, anche se carico delle somme chiavi consegnate a Pietro da Cristo Signore; così Egli vi ringrazia della testimonianza di ubbidienza e di fiducia che la vostra presenza Gli porta; così vi dimostra col fatto voler Egli con voi pregare, con voi parlare, con voi deliberare, con voi operare. Oh il Signore ci è testimonio quando Noi vi diciamo non essere nel nostro animo alcun proposito di umano dominio, alcuna gelosia di esclusivo potere; ma solo desiderio e volontà d'esercitare il divino mandato che tra voi e di voi, Fratelli, ci fa Sommo Pastore, e che da voi chiede ciò che forma il suo gaudio e la sua corona, la "comunione dei santi", la vostra fedeltà, la vostra adesione, la vostra collaborazione; ed a voi offre ciò che maggiormente Lo alletta donare, la sua venerazione, la sua stima, la sua fiducia, la sua carità » (87) .

Tale primato egli lo afferma nella enciclica Ecclesiam suam , dove si legge:

« Vi diremo subito Venerabili Fratelli che tre sono i pensieri che vanno agitando l'animo nostro quando consideriamo l'altissimo ufficio che la Provvidenza, contro i Nostri desideri e i Nostri meriti, Ci ha voluto affidare di reggere la Chiesa di Cristo, nella Nostra funzione di Vescovo di Roma, e perciò successore del beato Apostolo Pietro, gestore delle somme chiavi del regno di Dio e Vicario di quel Cristo che fece di lui il pastore primo del suo gregge universale... ».

Pur sapendo d'essere il papato una pietra d'inciampo per l'incontro, il papa ribadisce, con forza, tale sua dignità e missione:

« Un pensiero Ci affligge ed è quello di vedere come proprio Noi fautori di tale riconciliazione, siamo da molti Fratelli separati, considerati l'ostacolo ad essa, a causa del primato d'onore e di giurisdizione, che Cristo ha conferito all'apostolo Pietro e che Noi abbiamo da lui ereditato. Non si dice da alcuni che, se fosse rimosso il primato del Papa, l'unificazione delle Chiese separate sarebbe più facile? Vogliamo supplicare i Fratelli separati a considerare la inconsistenza di tali ipotesi; e non già soltanto perché, senza il Papa, la Chiesa cattolica non sarebbe più tale; ma perché, mancando nella Chiesa di Cristo l'ufficio pastorale sommo, efficace e decisivo di Pietro, la unità si sfascerebbe; e indarno poi si cercherebbe di ricomporla con criteri sostitutivi di quello autentico, stabilito da Cristo stesso: Vi sarebbero nella Chiesa tanti scismi quanti sono i sacerdoti, scrive giustamente S. Girolamo (Dial. contr. Luciferianos, P. L. 23, 173). E vogliamo altresì considerare che questo cardine centrale della santa Chiesa non vuole costituire supremazia di spirituale orgoglio e di umano dominio, ma primato di servizio, di ministero, di amore. Non è vana rettorica, quella che al Vicario di Cristo attribuisce il titolo: il servo dei servi di Dio » (88) .

Aprendo la terza sessione del Concilio, Paolo VI ribadì il medesimo concetto:

« Siamo infine la Chiesa, perché come Maestri della fede, pastori delle anime, Dispensatori dei misteri di Dio (1 Co 4, 1), noi qui tutta la rappresentiamo, non già come delegati o deputati dai fedeli, a cui si rivolge il nostro ministero, ma come Padri e Fratelli che personificano le comunità rispettivamente affidate alle nostre cure, e come assemblea plenaria, a buon diritto, da Noi convocata nella Nostra veste, che a voi tutti ci accomuna, di vostro fratello, come Vescovo di questa Roma fatidica, di Successore umilissimo, ma autentico dell'Apostolo Pietro, presso la cui tomba siamo piamente convenuti, e perciò come indegno, ma vero Capo della Chiesa cattolica e Vicario di Cristo, Servo dei servi di Dio » (89) .

Nelle udienze pontificie spessissimo – spesso con ampia rettorica – presenta tale sua dignità di successore di Pietro; tra di esse primeggia quella del 16 luglio 1964 (90) :

« Diletti Figli e Figlie! Noi pensiamo che ciascuno di voi, partecipando a questa Udienza, nella basilica di S. Pietro, vada cercando con lo sguardo le parole maiuscole, che costituiscono la fascia decorativa, sopra i pilastri dell'aula monumentale, e una parola sappia scoprire, la quale risuona singolarmente nello spirito d'ogni persona presente TU ES PETRUS, Tu sei Pietro; e immediatamente questa parola sembra farsi voce, la voce di Cristo, che la pronunciò a Cesarea di Filippo trasformando il discepoli Simone in Apostolo, anzi in principe degli Apostoli, e Capo di tutta la Chiesa; poi la parola: Tu es Petrus, si fa figura, si fa persona, e si posa sul Papa, vestito di bianco, che è apparso in mezzo a voi. La suggestione spirituale dell'Udienza, noi lo sappiamo, nasce principalmente dalla rievocazione misterica e immortale della parola evangelica, che prende, dopo venti secoli, forma vivente nell'umile aspetto d'uomo, che appare non soltanto quale successore, ma quasi fosse la stessa rediviva persona: Tu es Petrus... »
« Vi è chi incontra qualche fatica nel compiere questa identificazione di Pietro col Papa, così presentato, e si chiede il perché di così vistosa esteriorità, che sa di gloria e di vittoria, mentre nessuno dimentica certamente quante afflizioni pesano sempre sulla Chiesa e sul Papa: e come sia per lui doverosa l'imitazione dell'umile divino Maestro. Un povero mantello di pescatore e di pellegrino non ci darebbe immagine più fedele di Pietro, che non il manto pontificale e regale, che riveste il suo successore? »
« Può essere. Ma questo manto non esclude quel mantello! Ora bisogna comprendere il significato ed il valore di questa esteriore solennità, che vuole identificare il Papa, così rivestito con l'apostolo Pietro. Che cosa significa innanzi tutto, questo grandioso rivestimento? Significa un atto di fede, che la Chiesa dopo tanti secoli ancora pronuncia sicura: sì, questi è lui, è Pietro. E' come un canto a gran voce: Tu sei Pietro; è una ripetizione che celebra in un culto magnifico il prodigio compiuto da Cristo; non è sfarzo vanitoso, ma è come uno sforzo devoto per dare evidenza e risonanza ad un fatto evangelico, decisivo per la storia del mondo e per le sorti spirituali dell'umanità »
« Se è così, ognuno comprende che l'onore tributato al Papa come successore di San Pietro non va alla sua persona umana, la quale può essere, come nel caso presente, piccola e povera, ma va alla missione apostolica, che gli è affidata, va all'autorità di Maestro, di Sacerdote, e di Pastore che gli è stata conferita »
« Allora si comprende anche come l'onore tributato al Papa non si ferma a lui, e nemmeno, propriamente parlando, a Simone Pietro, ma sale a Cristo glorioso, al Quale tutto dobbiamo, e al Quale non avremo mai reso onore abbastanza. Noi possiamo ben dire, ed a maggior ragione, ciò che Papa leone Magno diceva di sè: Nell'umiltà della mia persona colui si veda e colui si onori (cioè Pietro – e noi possiamo spiegare: cioè Cristo), nella quale si contiene la sollecitudine di tutti i pastori... e la cui dignità non viene meno in un indegno erede (Serm. 2). »
« Fate vostri questi pensieri e trarrete dall'Udienza pontificia una benefica impressione spirituale, una profonda lezione religiosa, quella che ci fa trovare Pietro nel Papa e Cristo nel suo Vicario ».

Anche nell'udienza del 22 luglio 1965 a Castel Gandolfo, il papa si identificò in un certo senso con il Cristo:

« Chi è il papa? non è il Vicario di Cristo? sarà forse possibile scorgere nelle sue sembianze – che non possono che deludere l'aspettativa d'una visione sensibile – ma nel ministero, che in Lui si personifica, il mistero di una particolare presenza – quella della continuità storica, quella dell'autenticità rappresentativa, quella delle potestà di Gesù stesso, operanti il suo magistero, il suo sacerdozio, il suo regale pastorale governo – d'una particolare presenza, diciamo di Cristo? vedere il papa non porta forse a intravedere il Signore? » (91) .

Significativa è pure la benedizione della prima pietra del Santuario del Primato a El Tabga nella Galilea, dove secondo una tradizione, Gesù avrebbe pronunciato le celebri parole «Tu sei Pietro ». Pure significativo il modo con cui nel 1969 si è presentato all'assemblea ecumenica di Ginevra con la frase « il nostro nome è Pietro» (92) .

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Una voce onesta

Il domenicano inglese Edmund Hill ha suggerito la necessità di una riorganizzazione dell'autorità papale in modo che la teoria espressa del Concilio Vaticano abbia a tradursi in una pratica effettiva (93) .

Perciò il dotto domenicano fa delle osservazioni ben sensate: oggi praticamente papa, chiesa romana, chiesa cattolica si identificano. Bisogna rendere queste distinzioni effettive: il Concilio Vaticano II ha asserito che la Chiesa romana ha un «primato (principatus)» su tutte le altre chiese (Denz, 827). Se queste parole hanno un senso vuol dire che la chiesa romana dev'essere distinta dalle altre chiese, e che perciò la loro autonomia va rispettata.

« Nell'interesse di questa alleanza tra papalismo e conciliarismo, la chiesa romana deve lasciare sempre più alle altre chiese il potere di governarsi e di farsi leggi per conto loro.
...La Chiesa latina deve scindersi, per questo sviluppo strutturale, in una serie di chiese locali, sul sistema degli antichi patriarcati, costituite senza alcun dubbio da sinodi regionali e dalle conferenze episcopali.
D'altro canto è la chiesa romana che riprenderà la sua forma distinta, costituita forse come chiesa d'Italia, tenendo conto delle circostanze politiche contemporanee. Al suo centro il collegio dei cardinali, e la curia, a titolo di clero della sede romana, avranno la responsabilità particolare di consigliare il vescovo romano nelle sue relazioni con le altre chiese. In una chiesa cattolica così ristrutturata, la mia speranza è che gli atti della chiesa romana a riguardo delle altre chiese siano limitati alle decisioni giudiziarie e dottrinali, senza includere decisioni legislative od esecutive » (94) .

Deve cambiare – continua lo stesso – il sistema di coprire con il manto di Pietro ogni documento emanato da un qualsiasi dipartimento della santa sede.

Il concilio dei vescovi recentemente istituito deve assistere il papa, ma lo stesso domenicano si augura che non abbia a legiferare troppo, lascia che le leggi in un mondo tanto diversificato siano lasciate alle autorità  locali, e divenga solo un mezzo coordinativo.

« Potessimo disfarci del fascino che l'uniformità sia buona in se stessa! L'uniformità non ha nulla a che vedere con il cristianesimo: Essa è una sfortunata eredità dell'era della Ragione, della visuale matematica degli enciclopedisti e del codice napoleonico »(95) .

Secondo il codice la nomina dei vescovi deriva dal papa, l'elezione è solo ammessa come via del tutto eccezionale (can 329, per. 2,3). Il domenicano Hill propone che tale sistema sia rovesciato; il papa non può conoscere tutto, deve accettare i suggerimenti dei suoi consiglieri. E' quindi bene che si reintroduca una elezione episcopale nella quale il clero diocesano abbia voce in capitolo, il laicato non ne sia escluso e gli elettori siano loro stessi responsabili. Così avranno i vescovi che si meritano. Il che non esclude il diritto papale di conferma od anche di nomina in via eccezionale per il bene comune e mostrandone le ragioni.

Ancor più interessanti sono le considerazioni del domenicano Hill per ciò che egli chiama la chiesa della «diaspora» che penetra cioè nel mondo. Egli si richiama qui al concetto biblico della disseminazione dei grani, del lievito che invade la massa che è il rovescio dell'immagine del corpo, tracciato da Paolo. L'autore suggerisce perfino l'idea che l'immagine paolina sia più appropriata alla Chiesa celeste che a quella pellegrinante sulla terra. Il grano, il lievito esige una organizzazione minima. Se la chiesa si presenta con una superorganizzazione sarà presto preda dell'opposizione ostile. In Russia le chiese battiste, meno organizzate della cattolica, hanno resistito meglio di questa all'opposizione atea. La chiesa primitiva meno organizzata ha resistito bene alle persecuzioni dell'impero romano. Il minimum di questa organizzazione dovrebbe essere costituita dice lo Hill, dai vescovi, dai sacerdoti e dai diaconi (96) .

Se legate a questa gerarchia semplice delle strutture canoniche assai complesse, la chiesa perde la sua adattabilità e le cellule ecclesiali alle quali esse presiedono perdono l'aspetto sorridente che affascina il mondo (97) .

Dopo un lungo cammino siamo dunque quasi tornati alle soglie del Nuovo Testamento. I suggerimenti del domenicano – che saranno ben presto dimenticati ma che torneranno in futuro a farsi sempre più sentire, quando tutta la chiesa sarà una diaspora in un mondo scristianizzato – ci riconducono automaticamente alla gerarchia biblica della chiesa. La Chiesa totale, alla quale presiede il Cristo come capo, risulta da un insieme di piccole cellule, o comunità locali dirette da «vescovi»e da «diaconi» mentre ogni membro di queste cellule è un sacerdote di Dio. Sotto l'unica legge dell'amore queste cellule presentano agli uomini peccatori la buona novella della salvezza in Cristo Gesù.

« Una tale via della chiesa della diaspora potrebbe essere d'una quasi totale semplicità, severa o idillica, secondo il vostro temperamento. Nessuna proprietà per la Chiesa: forse ben poco clero a pieno tempo, non scuole, non seminari, non ordini religiosi altamente organizzati. Ma quanto sarebbe durevole! Lo possiamo dedurre da un colpo d'occhio sui Giudei o sulle chiese protestanti che sono le più semplicemente organizzate »(98) .

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NOTE A MARGINE

68. Les Actes de la Dispute de Lausanne 1536 , publiés par A. Poaget, Neuchâtel 1928, p. 43. torna al testo

69. Denz. B. 3014-3015, Enc. Humani Generis di Pio XII. torna al testo

70. P.E. Person , Evangelisch und Römisch-Katholisch , Göttingen 1961, p. 48. torna al testo

71. V. Subilia , Il problema del Cattolicesimo , Libr. Edit. Claudiana, Torino 1962, pp. 160 ss. torna al testo

72. Articoli di Smakalda del 1538; W. A. 50, 245. torna al testo

73. Questa obbiezione è invano confutata da W. Gasper , La Chiesa sotto la parola di Dio , in «Concilium» n. 2 (1965), pp. 64-71; egli sforzandosi di ricordare che anche la chiesa cattolica è sotto la Parola di Dio (Bibbia), dimentica di far vedere come questa parola di Dio sia vista dalla Chiesa Cattolica secondo il suo metro e giudizio. torna al testo

74. Si confronti Lutero, Verlesungen  über Mose, W.A. XLII, 334, 12 e da G. Flokovsky (ortodosso), Le corps du Christ vivant in La Sainte Eglise Universelle, Neuchâtel.Paris 1948, p. 53. Peccato che nè Lutero nè i suoi successori continuarono in questa opera sino a restaurare solo il cristianesimo primitivo, nell'ubbidienza assoluta e totale all'insegnamento rivelato. torna al testo

74bis. Francis Simons , Infallibility and Evidence , Templegate, Springfield (Illinois) 1968 (tradotto in italiano da A. Mondadori col titolo Discorso sull'infallibilità , Milano 1969). Il testo di cui sopra appartiene appunto a questo libro. torna al testo

74ter. Spero di aver dimostrato nel capitolo riguardante il «Tu sei Pietro» che con tali parole Pietro non è stato affatto preposto agli altri apostoli come capo. torna al testo

75. Sul Concilio Vaticano II rimando a studi specifici come: Ricca, Il cattolicesimo del Concilio, Torino 1956; V. Subilia , Il problema del cattolicesimo e La nuova cattolicità del cattolicesimo , Torino 1962 e 1967; G. Caprile , Le cronache del Concilio , Roma, Edizioni «La Civiltà Cattolica». Le quattro sezioni si svolsero così: I Sez. 11 ottobre - 8 dicembre 1962; II Sez. 29 settembre - e dicembre 1963; III Sez. 14 settembre - 21 novembre 1964; IV sez. 14 settembre - 7 dicembre 1965. Si cfr pure U. Riva , La Chiesa per il mondo , Brescia, Morcelliana 1964; Idem , La Chiesa in dialogo , ivi 1965. torna al testo

76. Durante l'incontro tra Paolo VI e Atenagora, ad Atene si svolgevano funzioni pubbliche di preghiere e di espiazione, nelle quali si chiedeva a Dio di far fallire questi incontri e di scomunicare i due vescovi che si stringevano la mano in modo amichevole. torna al testo

77. Nella pastorale del 22 febbraio 1962 il cardinale Montini (oggi Paolo VI) scriveva « che il concilio sciolga i vincoli di tanti tristi ricordi del passato i quali tuttora inceppano, con discussioni di esegesi storica e di prestigio onorifico, la dinamica che la soluzione del grande problema deve assumere a un dato momento » («Civiltà Cattolica», 1 aprile 1962, p. 81; «L'Osservatore Romano» 14 marzo 1962). torna al testo

78. «L'Osservatore Romano» 8 luglio 1965. torna al testo

79. «L'Osservatore Romano» 1 aprile 1965. torna al testo

80. Discorso del papa agli Assistenti delle ACLI e ai cattolici catechisti il 28 luglio 1965. Cfr «L'Osservatore Romano» di giovedì 29 luglio 1965, p. 1. Lo Spirito Santo è garantito agli  Apostoli, perché, compresa tutta la verità, la possano comunicare senza tema di errori ad altri; essi sono infatti il fondamento su cui deve poggiare la Chiesa (Ef 2, 20). torna al testo

81. Interessante il suo recente volume La Chiesa edito nel 1969 dalla editrice Queriniana di Brescia. torna al testo

82. Così in un'intervista alle Informations Catholiques Internationales del maggio 1969. torna al testo

83. Intervista concessa a Robert Serrou del Paris Match nel luglio 1969. torna al testo

84. Vaticano I, Denzinger Bannw. 1839. Si cfr Vaticano I, Denz, Ban, 1839. Cfr G. D'Ercole , Communio, collegialità, primato e sollecitudo omnium ecclesiarum dai Vangeli a Costantino , Roma Herder 1964, Jean Cuolson , L'episcopat catholique, Collégialité et primauté dans le trois premiers siècles de l'Eglise , Paris, Edit du Cerf, 1963; Yves M. J. Congar , Sainte Eglise, Etudes et approches ecclésiologiques , Paris, Edit du Cerf 1963; G. Dejaifve , Les Douze Apôtres et leur unité dans la Tradition Catholique, «Ephemerides Theologicae Lovanienses» 30 (1963), pp. 760-778; Idem, Episcopat et Collège Apostolique , in «Nouvelle Revue Théologique» 85 (1963), 807-818 (al successore di Pietro compete la funzione unitaria, al collegio apostolico la cattolicità); J. Brinktine , Quomodo se habeat Collegium Episcoporum ad summo Ponteficem , in «Freiburger Zeitschrift für Philologie und Theologie» 10 (1963), pp. 86-94 (la giurisdizione non è conferita loro mediante la consacrazione); E. Griffe , Le «principatus» romain ecclésiastique , in «Bulletin de Littérature Ecclésiastique» 64 (1963), pp. 161-171; E. Lanne , Eglises locales et patriarcats à l'èpoque des grands conciles, in «Irenikon» 24 (1961), pp. 292-321; J. Ratzinger , Le implicazioni pastorali della dottrina della collegialità dei Vescovi, in «Concilium», 1 (1965), pp. 44-73; K. Rahner , Note di Teologia pastorale sull'Episcopato nella dottrina del Vaticano II, «Concilium» 1 (1965), pp. 74-83 (con rel. bibliogr.); C. Colombo , Il Collegio Episcopale ed il primato del Romano Pontefice , in «La Scuola Cattolica» 93 (1965), pp. 35-56; M. Fagiolo e P. Gino Concetti, La collegialità episcopale per il futuro della Chiesa , Firenze, Valecchi 1969 (lo studio più completo). torna al testo

85. Insegnamento di Paolo VI, vol. V, Poliglotta vaticana 1968, pp. 475-476. Cfr Motu proprio Apostolica Sollecitudo, in «L'Osservatore Romano», 24 dicembre 1966. torna al testo

86. «L'Osservatore Romano», 23 marzo 1969. torna al testo

87. «L'Osservatore Romano», 30 settembre 1963, p. 1. Il sommo pastore è Gesù cristo e non Pietro, secondo 1 Pietro 5, 4. torna al testo

88. Enciclica «Ecclesiam Suam», in «L'Osservatore Romano», 16 agosto 1964. torna al testo

89. «L'Osservatore Romano», 14 settembre 1964, p. 3. torna al testo

90. «L'Osservatore Romano», 16 luglio 1964, p. 2. torna al testo

91. «L'Osservatore Romano», 22 luglio 1965, p. 1. torna al testo

92. Anche l'epiteto di «Madre della Chiesa» attribuito a maria contro il parere del concilio, mostra la sua autorità di capo della Chiesa, Da ambienti informati mi si disse che tale titolo fu una mossa diplomatica del papa nei riguardi degli Ortodossi i quali lamentarono il fatto che Maria fosse lasciata troppo in sottordine dal Concilio Ecumenico Vaticano II. torna al testo

93. Edmund Hill , Le papauté post-conciliaire , in «Istna» 1967, pp. 137-147. Tradotto dall'inglese apparso su New-Blackfriars 47 (1966). pp. 582-590. torna al testo

94. E. Hill, o. c., p. 143. torna al testo

95. Ivi, o. c., p. 144. torna al testo

96. E' l'organizzazione biblica, a cui però si aggiunge la distinzione tra vescovi e sacerdoti, che al contrario sono identificati nel Nuovo Testamento. torna al testo

97. E. Hill, o. c., pp. 145-147. torna al testo

98. E. Hill, o.c., p. 148. torna al testo