LE  EPISTOLE  PASTORALI
1, 2 TIMOTEO e TITO
Problemi introduttivi
Autenticità, data e luogo di stesura

a cura di Gianfranco Sciotti - articolo tratto da Ricerche Bibliche e Religiose, n. 2-3, II e III Trimestre 1972 pp. 11-30


INDICE

Introduzione
I. Autenticità
    A. Situazione sino al XIX secolo
    B. Dal secolo XIX
II. Argomenti addotti nella discussione sull'autenticità
    A. Evidenza storica
    B. Evidenza linguistica
    C. Evidenza teologica
III. Luogo e data di composizione


Introduzione

Il termine « Pastorali» con cui si è soliti designare le nostre Epistole, risale a Paul Anton (1726), a motivo del carattere esortativo del loro contenuto. Già nel 2° secolo il « Frammento Muratoriano» riportava: « ... (scritte) per attaccamento ed affetto, esse nondimeno sono composte come scritti sacri per l'onore della Chiesa cattolica (= universale n.d.a.) e per il buon ordine della disciplina ecclesiastica» (1) Agostino esigeva che «fossero costantemente presenti a chi nella Chiesa è preposto all'ufficio di Maestro »(2) Infatti, benché si presentino come lettere personali a Timoteo e a Tito, la loro destinazione è più ampia, secondo la natura stessa dell'epistolario paolino, avente di mira la comunità dei credenti (3) .

I. Autenticità

Stato della questione . La paternità delle nostre epistole è stata attribuita a Paolo sin dai primi secoli, salvo qualche eccezione. Dal secolo XIX la critica biblica ha rimesso in discussione la questione ed ancor oggi, nonostante gli studi degli ultimi anni, i pareri sono discordanti. Ma procediamo con ordine.

A. Situazione fino al XIX secolo

Le tre epistole si presentano innanzi tutto come scritte da Paolo (4) e questo fatto è stato costantemente accettato dai primi scrittori cristiani nelle cui opere sono rintracciabili citazioni di passi delle nostre. La presenza di riferimenti in Clemente Romano ha fatto dire allo Harrison (5) che l'autore delle pastorali apparteneva allo stesso periodo di Clemente (95 d.C.). Altri invece fanno dipendere quelle da quest'ultimo (6) A questo proposito, degna di rilievo è l'opinione del Falconer (7) che è contro l'autenticità paolina, secondo il quale le somiglianze vanno spiegate nel senso di una conoscenza da parte di Clemente delle pastorali. Analoga situazione in Policarpo, Giustino Martire, Eracleo, Egesippo, Atenagora, Teofilo ed Ireneo, a dimostrazione del fatto che esse erano ampiamente conosciute. Così pure in Tertulliano e Clemente Alessandrino.

Ma, dicevamo, con alcune eccezioni. Marcione (150 d.C.), Basilide e Taziano ne hanno negato l'autenticità: e mancano pure nel P64, papiro di Chester Beatty (II-III sec.). La questione tuttavia non destò alcuna preoccupazione sino al sec. XIX.

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B. Dal secolo XIX

Col sorgere del criticismo razionalista(8) la tesi dell'autenticità paolina viene analizzata in modo scientifico e da molti rigettata a vantaggio di altre teorie.

1. Teoria dei « frammenti». Secondo i sostenitori di questa teoria, Renan. Harnack, Falcone ed in particolare Harrison (9) alla base delle nostre epistole ci sarebbero degli autentici brani, biglietti ed appunti di Paolo, frammisti ad altre inserzioni, raccolti e poi editi a cura di un tardo «paolinista» (10) .

Ma questa teoria non ci sembra sufficientemente valida per i seguenti motivi:

a) tra i fautori non esiste un accordo generale sui frammenti paolini e sulla loro collocazione nelle pastorali(11) ;

b) non viene spiegato il processo di composizione seguito dal curatore, specialmente per la 2 Timoteo; né viene data adeguata motivazione della incorporazione dei frammenti in modo così irregolare;

c) non è scientificamente né scritturalmente provata la premessa dello Harrison che gli Atti contengano la storia completa di Paolo;

d) non è neppure scientifico il sistema di modificare il carattere dell'evidenza storica (come appunto fa questa teoria nei confronti degli accenni personali delle nostre epistole) in quanto non concorda con altri dati storici accertati (12) .

2. Negazione dell'autenticità. Il primo a contestare su basi scientifiche la paternità paolina fu lo Schmidt (13) subito seguito da Schleiermacher(14) per ragioni di lingua e storia della vita di Paolo. Aderirono a questa posizione altri critici quali Usteri, Neander, Eichorn (15) De Wette, Baur(16) e, più recentemente, H.J. Holtzmann, Dibelius e Bultmann. Per quasi tutti costoro, a parte singoli orientamenti, la redazione delle Pastorali non sarebbe altro che l'opera d'un plagiaro del II secolo, il quale avrebbe usato pure qualche frammento. Il Baur, applicando la sua teoria « delle tendenze », attribuì a questo autore sconosciuto l'intenzione di conciliare il paolinismo con il petrinismo, di combattere gli errori gnostici del II secolo (anti-Marcione), e di stabilizzare, sempre in nome di Paolo, la gerarchia ecclesiastica (17) .

Tuttavia non mancano coloro che hanno difeso la paolinicità delle nostre epistole. Ricordiamo Plank (1808), Becklaus (1810) e poi B. Weiss, T. Zahn, A. Schlatter, W. Michaelis e J. Jeremias.

Per i cattolici, la Pontificia Commissione Biblica intervenne il 13 giugno 1913 con quattro risposte «intorno all'autore, all'integrità e alla data della composizione delle lettere pastorali dell' Apostolo Paolo» (18) e ribadì la posizione tradizionale favorevole all'autenticità paolina. Dal 1913 ad oggi le posizioni, in campo cattolico, non sono molto mutate. C. Spicq, nella bibliografia del sec. XIX ad oggi, giudica brevemente i lavori più recenti(19) .

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II. Argomenti addotti nella discussione dell'autenticità

I negatori dell'autenticità hanno basato le loro asserzioni su tre argomenti fondamentali i quali, se veri, dimostrerebbero che Paolo non può essere stato l'autore delle pastorali. Sono: l'evidenza storica, l'evidenza linguistica e l'evidenza teologica.

A. Evidenza storica

Scott afferma: « Che Paolo non può essere stato l'autore appare assai chiaramente quando esaminiamo l'impalcatura storica delle lettere » (20) riassumendo così il concetto dei primi negatori dell'autenticità. A dire il vero, la biografia di Paolo non è abbastanza chiara per gli ultimi anni della sua vita. Luca, negli «Atti degli Apostoli», si ferma bruscamente al biennio della prigionia romana e da questo momento occorre dedurre gli avvenimenti dall'epistolario paolino.

Chi sostiene che Paolo sia stato ucciso al termine di questo biennio (63-64 d.C.) non trova logico inserire le Pastorali in questo periodo. Infatti la loro semplice lettura mette in rilievo i seguenti punti divisi un due gruppi:

Primo gruppo :

1) 1 Ti 1, 3. Paolo è stato recentemente ad Efeso, ha affidato a Timoteo la cura della comunità locale; ed è tuttora in Macedonia.

2) Tt 1, 5. Paolo ha effettuato una visita a Creta, della cui comunità conosce i diversi problemi e per la cui soluzione incarica Tito.

3) Tt 3, 12. Paolo intende passare l'inverso a Nicopoli (nell'Epiro) e chiede a Tito di raggiungerlo là.

Secondo gruppo :

1) 2 Ti 1, 17. Paolo è verosimilmente a Roma quando scrive e per di più prigioniero.

2) 2 Ti 4, 16. Paolo fa una chiara allusione al processo con un preciso presentimento sul suo esito.

Orbene, si fa notare che tutti gli avvenimenti del primo gruppo non possono assolutamente conciliarsi colla biografia di Paolo quale Luca l'ha descritta in « Atti». Pertanto, l'autore di queste Epistole non può che essere un personaggio a noi sconosciuto, non certamente Paolo, che venne decapitato al termine della prigionia (cf. la sua allusione in 2 Ti 4, 16).

Rispondendo a questa difficoltà, ci sembra innanzi tutto che ci sia un errore nella premessa, ritenere cioè che Luca abbia riportato in « Atti», tutta e completa la storia degli ultimi anni di Paolo. Bisogna invece analizzare obiettivamente i dati storici delle Lettere della Prigionia e delle Pastorali e poi concludere per la soluzione che sia in grado di armonizzare il tutto. Vediamo come stanno le cose.

Il libro degli « Atti degli Apostoli» menziona solo due prigionie, quella di Cesarea (c. 23) e quella di Roma (c. 28). recentemente qualcuno ha prospettato pure una prigionia ad Efeso.

a) Prigionia di Cesarea. Non si può attribuire la 2 Timoteo a questa prigionia per ovvi motivi: l'allusione della malattia di Trofimo a Mileto (4, 20) appare estranea alla prigionia di Cesarea poiché Trofimo era con Paolo a Gerusalemme e fu appunto causa del suo arresto (At 21, 29); Timoteo accompagnò Paolo a Gerusalemme (At 20, 4) e non fu pertanto lasciato ad Efeso.

b) Prigionia di Roma. On primo luogo, non ci sono dubbi sulla libertà relativa di cui Paolo godeva nell'Urbe. Paolo di incontrava con dignitari della Comunità ebraica e poteva ricevere chiunque (At 28, 23-28). Dalle « Lettere della Prigionia » sappiamo che era in continuo contatto con gli inviati delle varie chiese e che molti suoi collaboratori gli facevano visita (Ef 6, 21; Cl 4, 7ss), Aristarco, Marco, Epafra, Luca, Onesimo (Fi 10), Epafrodito (Fl 2, 25ss) ed altri. paolo parla, sì, di catene (Fl 1, 7.13-17) ma pure della speranza della prossima liberazione (Fi 22), tant'è vero che all'amico di Colosse raccomanda di preparargli l'ospitalità; ed ai Filippesi scrive che è fiducioso di far loro visita (2, 24). In secondo luogo, la « custodia libera », che caratterizza la prigionia romana (21) poneva Paolo in una situazione del tutto diversa da quella prospettata nella 2 Timoteo, in cui invece traspare una « custodia pubblica o carceralis».
Tutto ciò induce a pensare che la prigionia di 2 Timoteo sia diversa da quella delle Epistole della Prigionia romana.

c) Prigionia di Efeso. Questa recente ipotesi è sostenuta dal Duncan il quale attribuisce appunto le Pastorali a questo periodo (22) Ma si tratta di un'ipotesi senza alcun valido sostegno, al punto che il Duncan, per eliminare il riferimento a Roma in 2 Ti 2, 17, suggerisce un emendamento testuale; il che sa di sospetto. Eppoi le direttrici apostoliche per la Comunità efesina non si adattano affatto ad un tempo immediatamente successivo al ministero di Paolo e bisognerebbe quindi trovare uno spazio per la visita a Creta. Timoteo, inoltre, accompagnò Paolo a Gerusalemme per la consegna della colletta e non fu lasciato ad Efeso, come invece sostengono le Pastorali.
Ci sembra che il Guthrie abbia ragione quando afferma che «l'ipotesi efesina solleva più problemi di quanti ne risolve» (23) .

La difficoltà, pertanto, di trovare spazio al lavoro redazionale delle pastorali ha orientato la ricerca verso altre soluzioni. Ne sono state proposte tre.

1. L'ipotesi della «fiction » (narrazione fantastica) dell'Holtzmann (24) secondo la quale tutti gli accenni personali sono fittizi, inventati di sana pianta per favorire l'autenticità paolina delle epistole. E le divergenze? Sempre secondo l'Holtzmann, queste sarebbero degli errori dell'autore per mettere insieme questi riferimenti fittizi.
Che dire di questa ipotesi? Che non può reggere per i motivi messi ampiamente in luce dall'Harrison: «Le allusioni personali, aggiunge, recano l'impronta genuina di Paolo. Esse sono autentiche »(25) .

2. L'ipotesi dei frammenti dello Harrison, che considera gli elementi personali come frammenti separati che possono coincidere col racconti di «Atti ». Ma se n'è già parlato al punto B/1.

3. L'ipotesi della seconda prigionia romana, sostenuta da tutti coloro che sono favorevoli all'autenticità, ipotesi presumibilmente valida e coerente con i dati delle Pastorali e delle Epistole della prigionia.

a) La liberazione dalla prima prigionia romana . Paolo potrebbe essere stato liberato proprio perché non si verificarono mai le condizioni giuridiche indispensabili per un processo davanti all'imperatore.
Scrive A. Penna: « Il processo non ci fu con ogni probabilità perché non si presentarono gli accusatori dalla Palestina. Costoro avrebbero dovuto raggiungere Roma a proprie spese. Il disagio di un simile tragitto e le spese non indifferenti per promuovere il processo, oltre la speranza che Paolo non tornasse più in mezzo a loro, li distolsero dall'atteggiamento intransigente adottato in Giudea.. Avrebbero potuto seguire il sistema, messo in atto più volte in quel tempo, di interessare i Giudei di Roma. Forse proprio a questo intervento mancato alludono gli interlocutori di Paolo a Roma: "Noi non abbiamo ricevuto dalla Giudea lettere sul tuo conto né alcuno dei fratelli venuto qui, ha riferito o detto qualche cosa di male su di te " (At 28, 21)...» (26) Il Penna cita poi esempi d'una simile procedura e norme giuridiche secondo le quali un prigioniero, ammesso che si fossero verificate le condizioni sopra accennate, avrebbe dovuto essere liberato.

b) La seconda prigionia a Roma. La 2 Timoteo è il documento che testimonia la seconda prigionia romana, del tutto diversa dalla prima per trattamento. Ora Paolo è in una squallida prigione, in sofferenze fisiche, rese più gravi dall'età avanzata ed appesantita dagli ultimi viaggi in oriente. Un Paolo che ricorda gli affetti di Timoteo (1, 5), che rievoca tante sofferenze per Cristo e ringrazia Iddio per essere sfuggito al peggio (3, 11); un Paolo che non si illude, che sa ciò che l'attende e che comunque gli « è riservata la corona di giustizia » (4, 8), fiducioso nel futuro della chiesa, colonna di verità (3, 15). C'è solo Luca a Roma questa volta e chiede a Timoteo di raggiungerlo quanto prima (4, 9). Della comunità di Roma non parla direttamente, ma è probabile che non gli facesse mancare l'aiuto possibile (4, 21).

c) Tempo della visita a Creta e della missione di Tito e Timoteo di cui si parla nelle pastorali. Secondo quanto abbiamo visto finora, è naturale collocare i riferimenti storici delle Pastorali nel periodo che va dalla liberazione della prima prigionia romana (circa il 63 d.C.) all'arresto ed alla seconda traduzione a Roma (circa il 65 d.C.) (27) Una visita a Creta c'era sì stata durante la prima traduzione a Roma (At 27, 7.8), ma più che di visita si era trattato d'una sosta per motivi di navigazione e questa fu troppo breve per consentirgli un'opera missionaria quale invece risulta dai dati che scrive a Tito. E' più probabile che Paolo, dopo la liberazione, volle tornare proprio in quell'isola ove la sosta gli aveva fatto intravedere una vasta possibilità di evangelizzazione.

Risulta così senza valido fondamento la tesi dei negatori dell'autenticità che si basa sull'impossibilità storica dei dati biografici di Paolo presenti nelle Pastorali.

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B. Evidenza linguistica

La questione linguistica è considerata la più forte prova contro l'autenticità. Messa in evidenza da Schleiermacher (28) ha accolto man mano consensi sempre più grazie, grazie pure al favore di C.F. Baur (1835) e di H.J. Holtzmann (1880). Il contributo di Harrison (1921) è stato determinante: molti studiosi che ancora credevano nella autenticità, si convinsero e si schierarono dalla parte opposta (il Lock, ad esempio). I punti di vocabolario e di stile su cui si articola la questione sono i seguenti:

di vocabolario

1. Le Pastorali contengono 902 parole diverse, tra cui 54 nomi propri. Delle 848 parole che restano, ben 306 non si trovano nelle altre epistole paoline (29) Di queste 306, ben 175 (secondo altri 171) non si trovano in tutto il Nuovo Testamento (hápax legómena )(30) .

2. Vi sono moltissime parole comuni nelle pastorali ed agli altri scritti del N.T., ma assenti nelle epistole paoline(31) .

3. Indagando all'inverso, si sono trovate parole presenti nelle altre epistole paoline, ma assenti nelle Pastorali(32) .

di stile

Diverso da quello delle altre epistole, nelle quali emerge una « folla di pensieri», un'argomentazione piuttosto ampia ed a volte complessa (cf. Romani, Corinzi, Galati), nelle pastorali emerge invece un'argomentazione semplice e scorrevole, con predominio dell'affermazione e dell'ordine(33) .

Come rispondere a queste osservazioni?

1. Innanzi tutto col dire che la questione degli «hápax » non è sufficiente a negare l'autenticità. L'Epistola ai Romani, ad esempio, ne ha ben 261 su 993, eppure è universalmente riconosciuta come autentica.

2. Ogni epistola si riferisce ad una qualche situazione particolare e ciò vale soprattutto per le Pastorali. Per cui una diversa distribuzione di Parola non deve affatto sorprendere.

3. Ogni epistola, insomma, ha i suoi «hápax ». Uno scrittore tardivo che avesse voluto accreditare le epistole col nome di Paolo, non avrebbe certo mancato di evitare ogni indizio contrario e, ne siamo certi, avrebbe finito per « paolinizzare» ogni vocabolo (34) .

4. Quanto alla stile, il carattere speciale di queste epistole può aver anche determinato una diversità nei confronti di altre epistole. Per di più, Paolo era in età avanzata e ciò avrebbe potuto avere il suo peso. Altra possibilità è che Paolo si sia servito di un amanuense il quale avrebbe ordinato i pensieri e redatto il testo approvato e corretto da Paolo prima che fosse inoltrato ai destinatari.

Sta di fatto, comunque, che neppure questa seconda evidenza sembra contraddire l'autenticità paolina delle nostre Epistole.

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C. Evidenza teologica

S'intende per evidenza teologica, o dottrinale, l'analisi di tre importanti punti che, sempre secondo i negatori dell'autenticità, confermerebbero ulteriormente che le Pastorali non possono essere state scritte da Paolo. I tre punti sono: l'organizzazione ecclesiastica, la concezione del cristianesimo, gli errori combattuti.

1. L'organizzazione ecclesiastica. Si sostiene che l'organizzazione ecclesiastica presentata nelle pastorali è affine a quella del primo decennio del 2° secolo, quindi troppo progredita per essere di Paolo: episcopato monarchico, diaconi, ministri stipendiati dalla comunità, assistenza alle vedove, ecc. (1 Ti 3, 1-13; 5, 3-22; Tt 1, 5-9, ecc.).

Si risponde col precisare innanzi tutto che la premessa è anche qui diversa dalla realtà: nelle Pastorali non si parla affatto dell'episcopato monarchico. I termini «anziano » e «vescovo » appaiono usati scambievolmente. Si confronti Tt 1, 5-7. on v'è assolutamente nulla che faccia pensare ad un ufficio gerarchico d'un vescovo al di sopra degli altri vescovi o anziani. Il termine si trova al singolare, è vero, ma si tratta di un singolare generico; Paolo si riferisce alla categoria dei vescovi o degli anziani. Quanto all'affermazione di Easton: «... Nelle Epistole a Timoteo ed a Tito si ritrovano veramente i vescovi ignaziani in tutto fuorché nel titolo »(35) risponde Scott, benché contrario all'autenticità: « ... la loro funzione è semplicemente quella di servire come raccordi tra Paolo e la chiesa futura, trasmettendo quello che avevano udito da lui a uomini fedeli che a loro volta l'insegnassero ad altri (2 Ti 2, 2) »(36) Ed aggiunge Lock: «L'incertezza sulla posizione esatta occupata da Timoteo e da Tito e l'incertezza sulla relazione tra « epískopoi» e « presbuteroi» e il bisogno di regolare l'attività religiosa di uomini e donne sono del tutto diversi dalla situazione implicita nelle lettere d'Ignazio e indicano una data non posteriore al primo secolo»(37) .

Inoltre l'organizzazione della Chiesa in vescovi, diaconi e membri non è nuova nelle Pastorali. A parte la chiara presentazione nel libro degli « Atti degli Apostoli» (cc 6 e 15), se ne parla espressamente in altre epistole paoline (Filippesi e Tessalonicesi).

Rimane da parlare dell'assenza dei carismi nelle Pastorali.. A parte il fatto che questi seguono leggi proprie e che la Chiesa stava procedendo verso un'altra visione al riguardo, le Pastorali sono indirizzate a due collaboratori di Paolo i quali dovevano seguire scopi ben precisi in seno alla comunità di Efeso e di creta. per cui l'assenza di ogni accenno ai carismi non dovrebbe provocare alcun allarmismo quanto alla paolinicità delle nostre epistole.

2. Concezione del cristianesimo. Gli oppositori dell'autenticità hanno fortemente sottolineato certe differenze (a parer loro)teologiche tra queste epistole e le altre di Paolo, Nelle pastorali, dicono, appare un Cristianesimo diverso, «un Cristianesimo della retta dottrina e delle buone opere» (Dibelius), che si identifica con un ulteriore sviluppo del paolinismo, con un'enfasi marcatamente conservatrice. I presunti elementi non paolini sono i seguenti:

a) La concezione di Dio è in parte giudaica e in parte ellenistica. Titoli come « Re dei re», « Signore dei signori», « Luce inaccessibile» sarebbero ebraici; ed altri come «immortale », «invisibile », ellenistici.

b) E' assente il concetto della «Paternità » di Dio (eccetto nella formula di saluti). Dio appare lontano ed inaccessibile (1 Ti 1, 17; 6, 15s). Mentre è poco frequente la menzione dello Spirito Santo (solo tre volte) ed è ancora assente la dottrina dell'unione mistica del credente col Cristo: l'espressione « in Cristo» ricorre sette volte nella 2 Ti (1,1.9. 13; 1, 10; 3, 12.15) e due volte nella 1 Ti (1, 14; 3, 13), ma, secondo l'Easton, in nessuno di questi casi in senso mistico (38) E' stato anche fatto notare l'assenza di citazioni dal Vecchio testamento (39) .

Ma si risponde:

Occorre ricordare che un'epistola non può essere presa come il compendio di tutta la concezione che Paolo aveva del Cristianesimo. Situazioni diverse stimolano occasioni diverse, scopi diversi, punti diversi nella trattazione sistematica della verità cristiana. nel caso della concezione di Dio, ci sono molti passi che bilanciano, per così dire, quelli citati da Easton, i quali presentano Dio come «Salvatore » (1 Ti 1, 2s ecc.) e che per questo ha scelto Paolo per l'evangelizzazione. Dio, in verità, non appare proprio così distante come l'Easton vuol far credere, tanto più che, a ben pensarci, il termine « Padre» ricorre solo due volte in 1 Corinzi (8, 6; 15, 24) e in Romani (6, 4; 15, 6), senza però che nei confronti di queste due Epistole si muovano appunti simili a quelli mossi alle Pastorali. Lo stesso vale per la menzione dello Spirito Santo: una sola volta nell'epistola ai Colossesi (1, 8) e nella 2 Tessalonicesi (2, 13). Nell'epistola a Filemone non compare neppure una volta. Quanto all'assenza di citazioni dal Vecchio Testamento, è proprio nelle Pastorali che si ha la più esplicita testimonianza dell'ispirazione delle Scritture ebraiche (2 Ti 3, 15s). D'altra parte Timoteo e Tito non erano di origine ebraica e le citazioni del V.T. non erano per essi indispensabili al compito affidato loro da Paolo.

3. Gli errori combattuti. Si sostiene che gli errori combattuti nelle pastorali si riferiscono ad elementi giudaici e ad elementi gnostici del II secolo (= Marcione). Le genealogie si riferirebbero ai Toledôt giudaici ma pure alle speculazioni gnostiche; la negazione della risurrezione alla divinazione gnostica (2 Ti 2, 18) (40) .

E' ora di tirare le somme. I vari punti sollevati dai negatori dell'autenticità sono certamente seri e vanno presi in considerazione. Ma francamente non ci sembrano determinanti. Ci sembrano invece tuttora validi gli argomenti a favore dell'autenticità paolina delle nostre Epistole:

1. Nella chiesa antica non è mai sorto alcun dubbio al riguardo, sia per la canonicità che per l'identità dell'autore.

2. Passi come Tt 3, 12-15; 2 Ti 4, 6-22; 1, 16 e tanti altri non possono che essere di Paolo e non avrebbero senso nella penna di qualche autore sconosciuto.

3. La differenza di stile e di vocabolario con altre epistole può essere dovuta sia al particolare argomento trattato, sia alla diversa situazione di Paolo. D'altra parte differenze simili si trovano pure in altre epistole ritenute autentiche (Romani, ad esempio).

4. La biografia di Paolo non è ferma ad At 28, 2. " Ti 1, 17 e 4, 16 fanno pensare ad una precedente assoluzione di Paolo e ad una ripresa della sua attività apostolica in oriente, con un secondo periodo di prigionia a Roma, seguito dal martirio.

5. La difficoltà dell'organizzazione ecclesiastica e della teologia potrebbero acquistare un certo rilievo a condizione che si fosse molto distanti dall'epoca apostolica. Ma né l'organizzazione né gli errori delle chiese suggeriscono questa possibilità, per cui il tutto può benissimo situarsi poco dopo la metà del 1° secolo.

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III. Luogo e data di composizione

Se sono esatte le notizie biografiche a cui già s'è fatto accenno, Paolo, liberato dalla prigionia romana del 63 d.C., che abbia o no effettuato il progettato viaggio in Spagna (Rm 15, 28-32), dev'essere tornato in Asia Minore. Si fermò evidentemente ad Efeso ove lasciò Timoteo (41) che nel frattempo s'era ricongiunto all'apostolo. Da Efeso Paolo proseguì per la Macedonia. E' pure probabile che prima di andare ad Efeso l'Apostolo abbia visitato creta assieme a Tito che viene lasciato nell'isola per « mettere ordine e ciò che era rimasto incompiuto e per stabilire anziani per ogni città » (Tt 1, 5).

Dalla Macedonia, dunque, Paolo deve aver scritto la 1 Timoteo e l'epistola a Tito. Presumibilmente si era attorno all'anno 64 d.C.

Dalla Macedonia Paolo raggiunse Nicopoli, nell'Epiro (Tt 3, 12), ove Tito avrebbe dovuto recarsi. Ed è l'ultima notizia di Paolo libero. Gli avversari religiosi debbono probabilmente aver creato ulteriori difficoltà all'Apostolo; oppure la rete del diritto romano contro la « nuova fede» deve aver imbrigliato questo pescatore d'anime. Fatto sta che Paolo deve essere stato arrestato e tradotto a Roma una seconda volta. Qui, prigione, stanco nelle membra ma non nello spiriti, avvicinandosi ormai il suo « ricongiungimento con il Signore», scrisse la 2 Timoteo, magari servendosi dell'amanuense Luca (42) Poteva essere l'anno 65 o 66 d.C.

Un carnefice neroniano, ignaro della grande spiritualità di quel prigioniero, doveva in quello stesso anno, secondo la storia del primo secolo, porre il vincitore d'ogni pericolo dinanzi all' «ultimo nemico» (1 Co 15, 26), liberandolo da quello e restaurandolo appieno nell'ordine che ormai gli era proprio: in Cristo.

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NOTE A MARGINE

1. Rigo 60-63. torna al testo

2. De Doctrina Christiana, 4, 16; PL 34, 103. torna al testo

3. Cf. 1 Ti 3, 15. torna al testo

4. Cf. 1 Ti 1, 1; E Ti 1, 1; Tt 1, 1. torna al testo

5. P.N. Harrison, The Problem of the Pastoral Epistles, 1921, p. 177ss. torna al testo

6. Cf. Streeter, The Primitive Church, 1929, p. 153. torna al testo

7. R. Falconer, The Pastoral Epistles, 1937, p. 5. torna al testo

8. Corrente di pensiero del secolo XIX il cui intento fu quello di sottoporre al vaglio critico ogni traccia di soprannaturale presente nella Bibbia e di rivalutare scientificamente i dati acquisiti tradizionalmente, in particolar modo nel campo dell'introduzione biblica. Principali rappresentati di questa corrente (detta pure «Razionalismo » per l'aggancio al «Deismo » inglese, che pretese fondare la religione solo sulla ragione) furono G.E.C. Schmidt (1804), F. Schleiermacher (1807), D.F. Strauss (1835), E. Renan, A Loisy, Wellhausen, Graf (più o meno tutti di questo periodo) nonché gli aderenti alla «Scuola Liberale » (H. Holtzmann, A. v. Harnack ed altri), alla « Scuola Escatologica » (Weiss, A. Schweitzer ed altri), alla  « Scuola delle religioni comparate» (A. Eichorn, H. Gunkel ed altri) ed alla « Scuola della storia delle forme » (= la Formgeschichte di M. Dibelius, R. Bultmann ed altri). torna al testo

9. o. c. torna al testo

10. o. c., p. 115ss. L'originaria sistemazione dei frammenti era, secondo lo Harrison. la seguente:
a) Tt 3, 12-15. Scritto dalla Macedonia a Tito, che è a Corinto. Tito deve proseguire per Nicopoli, nell'Epiro.
b) 2 Ti 4, 13-15.20.21a. Scritto dalla Macedonia dopo una visita a Troas. Timoteo deve raggiungerlo prima dell'inverno
c) 2 Ti 4, 16-18a. Scritto da Cesarea dopo la prima difesa di Paolo.
d) 2 Ti 4, 9-12.22b. Paolo è a Roma e dice a Timoteo di raggiungerlo.
e) 2 Ti 1, 16-18; 3, 10-11; 4,1.2a.5b-8-18b-19.21b-22a. Parti dell'ultima lettera di Paolo a Timoteo.
In seguito lo Harrison ridusse a tre questi frammenti, raggruppando il b) con d) e c) con e) ed assegnando il primo di questi frammenti a Nicopoli ed il secondo a Roma (cf. Harrison, Expository Times, 47, dic. 1955, p. 80). torna al testo

11. Ciò si nota dal confronto degli schemi di Falconer, di Easton e di McGiffert con quello di Harrison. torna al testo

12. Cf. D. Guthrie, Le Epistole Pastorali, ed. G.B.U., 1971, pp. 27 e 28. torna al testo

13. G.E.C. Schmidt, Einleitung in das N.T., I Giessen 1804, p. 257ss. torna al testo

14. F. Schleiermacher, Ueber den soggenanten ersten Brief des Paulus an den Timotheos, Berlin 1807. torna al testo

15. J.G. Eichorn, Einleitung in das N.T., Göttingen 1812, vol. III, I, pp. 315ss. torna al testo

16. F.C. Baur, Die soggenanten Pastoralbiefe des Apostels Paulus, Tübingen 1835. torna al testo

17. o.c. torna al testo

18. Acta Ap. Sedis 5 (1913) 292s; Enchir. Bibl., nn. 425-28. Denzinger-U., n. 2172-5. torna al testo

19. C. Spicq, Les Epitres pastorales, Paris 1947, pp. IX.XIX. torna al testo

20. Scott, The Pastorals Epistles, 1936. torna al testo

21. Cf. A. Penna, Le due prigionie romane, in «Rivista Biblica», 9 (1961), p. 189s. torna al testo

22. Duncan, St Paul's Ephesian Ministry, 1929, pp. 184-216. torna al testo

23. o. c., p. 22. torna al testo

24. H.J. Holtzmann, Die Pastoralbriefe, leipzig 1880. torna al testo

25. o. c., p. 96, torna al testo

26. o. c., p. 202. torna al testo

27. E' discutibile se Paolo abbia in questo tempo compiuto il progettato viaggio in Spagna (cfr Rm 15, 24). Favorevoli al viaggio sono il « frammento Muratoriano» (180) e Clemente (95). Fatto sta che manca nelle Pastorali qualsiasi allusione al riguardo, benché si faccia menzione di viaggi in Grecia, Macedonia e Asia Minore. A proposito della testimonianza di Clemente, occorre però notare che l'espressione « i confini dell'occidente» potrebbe benissimo riferirsi a Roma. Cf. F. Salvoni, Vita di Paolo e Lettera dalla Prigionia, C.S.B., Milano 1968, p. 33s. torna al testo

28. o. c. torna al testo

29. Secondo altri le parole sono 897, gli ápax 285 (Höpfl-Gut n. 529b). torna al testo

30. Hápax Legómena : termine greco tratto dall'espressione « hapax legomenon » che significa « parole dette o scritte una sola volta». Alcuni hapax sono: eusébeia (1 Ti 2, 2; 4, 7s; 6, 5.6; Tt 1, 1; 2 Ti 3, 5), theosébeia (1 Ti 2, 10), bébelos (1 Ti 1, 9; 4, 7; 6, 20; 2 Ti 2, 16), ecc. torna al testo

31. Cf. Spicq, o. c., p. CX. Gli argomenti linguistici contro l'autenticità delle pastorali sono stati messi a punto da K. Grayston - G. Herdan, The Autorship of the Pastorales in the Light of Statistical Linguistic, in «New T. St.» 6 (1969/60) pp. 1-15. torna al testo

32. Omesse anche particelle comunissime come: arti, dióti, éite, kalhá, nuni de, ouché ; e pochissime volte, in confronto all'abbondanza di altrove, particelle come: gar, oûn, ôs . torna al testo

33. Cf Bruno Corsani, Introduzione al N.T., II, Dispense ciclostilate a cura degli studenti della Facoltà Valdese di Teologia, Roma. torna al testo

34. Per una più ampia trattazione cf. D. Guthrie, o. c., p. 54ss; P. De Ambroggi, Le Epistole Pastorali di S. Paolo a Timoteo e a Tito, Marietti II ed 1964, p. 34ss.
Oggi gli autori, più che sugli «hapax » dovuti a speciali argomenti o contingenze, insistono sulla convergenza del vocabolario medio familiare che riflette meglio la mentalità dell'autore, cf. P. Geoltrain, Conférence, in Annuaire \970-1971 de l'Ecole Pratique des Hautes Etudes. Vème Section, Sciences Religeuses (Paris 1971), p. 247. torna al testo

35. B.S. Easton, The Pastoral Epistles (S.C.N. Commentary), 1948, p. 177. torna al testo

36. o. c. , p. XXIX. torna al testo

37. W. Lock, The Pastoral Epistles (The International Critical Commentary), 1924, p. XXIII. torna al testo

38. o. c., p. 210s. torna al testo

39. Per una più ampia trattazione cf. D. Guthrie, o. c., p. 45ss; P. De Ambroggi, o. c., p. 29ss. torna al testo

40. Cf studio F. Salvoni qui pubblicato. torna al testo

41. Ad Efeso Timoteo non poteva essere stato lasciato nel III viaggio missionario (54-57) poiché in quel tempo egli fu sempre con Paolo; anzi venne inviato in Macedonia e Paolo rimase ad Efeso, secondo Atti 19, 22. torna al testo

42. Così l'Harrison, o. c., p. 370 ed altri. L'ipotesi è avvalorata da 2 Ti 4, 10; C.F.D. Moule, Luc et les épitres pastorales, in «La Genèse du Nouveau Testament», Delachaux-Niestlé, Neuchâtel-Paris 1971, pp. 189s; A. Strobel, Schreiben des Lukes? Zum Sprachilichen Problem der Pastoralbriefe, N. T. St., 15 (1968/69), pp. 191-210 (65 apax legomena sono lucani). torna al testo