L’EPISTOLA DI PAOLO AI ROMANI

E S E G E S I
Capitolo 5°

c. Le benedizioni che accompagnano la giustificazione: pace, gioia, speranza (5, 1-11)

Fin qui l'apostolo ha esaurientemente spiegato quale sia stata la via seguita da Dio per la giustificazione dei peccatori e come sia basata sulla stessa legge divina e non in contrasto con essa. Ora Paolo passa a spiegare quali frutti, quali benedizioni ne derivano, prima di tutti la pace con Dio.

Gli uomini erano nello stato di ribellione, e tuttora lo sono, se non credono in Cristo. Per coloro che credono è stata resa possibile la riconciliazione per mezzo della morte di Gesù e gli umani sono invitati a credere, cioè ad accettarla, ad appropriarsi dei benefici che ne derivano, cioè ad essere in pace con Dio.

Questa pace porta al libero accesso a Dio: la giustificazione non è solamente la remissione della punizione, ma è anche l'ottenimento di una posizione di privilegio: lo stato di grazia per cui ne deriva una esaltazione, una gioia.

Tre sono i motivi di gioia:

1° La speranza della gloria di Dio, della quale Paolo parlerà più a lungo nel capitolo 8; la gloria di Dio è il fine per cui è stato creato l'uomo e la donna. Questo fine si raggiunge per mezzo dell'opera redentrice di Cristo; tuttavia fino a quando si rimane nel corpo mortale, la gloria rimane una speranza, speranza sicura, il cui adempimento è certo, avendo già avuto, nel dono dello Spirito Santo, la garanzia della sua realizzazione.

2° Il secondo motivo è, paradossalmente, nelle afflizioni. L'afflizione è la normale esperienza del cristiano: attraverso molte tribolazioni dobbiamo entrare nel regno di Dio (At 14, 22). La tribolazione è l'inevitabile caratteristica del destino cristiano ed era considerata da Paolo e dai credenti del suo tempo, come una prova di vero cristianesimo: . . . « noi stessi ci gloriamo di voi nelle chiese di Dio, per la vostra perseveranza e fede in tutte le vostre persecuzioni e afflizioni che sostenete. Questa è una dimostrazione del giusto giudizio di Dio, affinché siate ritenuti degni del regno di Dio per il quale anche soffrite » (2 Tess 1, 4-5).

3° Terzo motivo è la speranza di gloria, una speranza gioiosa; sapendo perché si soffre persecuzioni ed afflizioni, ci si rallegra in Dio, pure in mezzo ai guai. Nessuna gioia, infatti, è paragonabile a quella che si trova in Dio. I motivi per rallegrarsi in Dio sono innumerevoli, ma la riconciliazione ne è il principale. Per mezzo della morte di Gesù il credente è riconciliato con Dio e sperimenta quotidianamente la liberazione dal male per via della resurrezione di Cristo. Tutte le benedizioni sono segni continui dell'amore di Dio. Il primo e più importante segno dell'amore di Dio è proprio il Cristo che depone la sua vita per il peccatore, proprio per chi è nella condizione di ribellione e di inimicizia: « In questo è l'amore, non che noi abbiamo amato Dio, ma che Egli ha amato noi, e ha mandato il suo Figliolo per essere la propiziazione per i nostri peccati » (1° Gv 4, 10).

Amore, gioia, pace e speranza contraddistinguono la vita di chi è stato giustificato per fede in Dio. Il passato colpevole è stato cancellato, la gloria futura è assicurata e la presenza e la potenza di Dio garantiscono al credente tutta la grazia di cui ha bisogno per sopportare le prove, resistere al male e vivere da persona dichiarata giusta da Dio.
5 .1. Essendo stati giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Ricapitolando, dunque, ciò che è stato detto fino a questo punto, Paolo passa ad illustrare il nuovo stato del credente giustificato. Abbiamo pace, più correttamente: continuiamo ad avere pace. Il sistema del presente, in greco, indica azione non interrotta, o ripetuta, o abituale. Pace con Dio . Chi è stato giustificato da Dio ha pace con Lui. Non si tratta però di un semplice sentimento interiore di tranquillità, ma di uno stato oggettivo: essere in pace anziché in stato di inimicizia. La riconciliazione, dunque, è il primo effetto della giustificazione. Questo avviene perché Dio, oltre che giudice è anche padre e ama i peccatori. Vi è quindi un coinvolgimento "personale" da parte di Dio nella sorte del peccatore che, per mezzo della fede, ottiene la giustificazione (assoluzione). Con la giustificazione, quindi, si entra in una nuova relazione con Dio: si è riconciliati e si entra nello stato di amicizia, di pace. Tutto ciò è avvenuto per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore, sia la giustificazione che la riconciliazione.

2. mediante il quale abbiamo ottenuto (avuto) [per fede] accesso a questa grazia, nella quale siamo. Le parole [per fede] mancano in molti manoscritti. Mediante Gesù Cristo abbiamo anche libertà di accesso ( prosagwnh/n ) alla grazia (xa/rij ), accesso ottenuto per fede. In questa grazia "stiamo", cioè dimoriamo o, come preferiscono alcuni, stiamo saldi.
ed esultiamo nella speranza della gloria di Dio. Il termine greco kauxw/meqa può essere anche tradotto con ci rallegriamo, ci vantiamo. Avendo ottenuto lo stato di pace, di riconciliazione, l'accesso alla grazia, ne consegue una gioia immensa derivante dall'attesa fiduciosa della gloria di Dio. La speranza, infatti, è l'anticipazione fiduciosa di qualcosa che non si vede ancora. La do/chj tou= qeou= "gloria di Dio" indica quell'illuminazione dell'intero essere umano dovuta all'irradiazione della gloria divina, vero destino dell'uomo (e della donna) perduto a causa del peccato, che sarà appunto restaurata, in maniera più ricca che alle origini, quando la redenzione degli uomini sarà completa, al ritorno di Cristo. «Il significato, secondo Paolo, è che, pur essendo ora i credenti dei pellegrini sulla terra, tuttavia, per la loro fiducia, essi superano i cieli, così da serbare nei loro cuori la loro eredità futura con serenità » (G. Calvino).

3. E non soltanto (questo), ma esultiamo anche nella afflizione, più precisamente: in mezzo alle afflizioni; il riferimento alle ostilità e alle persecuzioni che spesso vengono scatenate contro i credenti in Cristo. Ci rallegriamo, esultiamo, non solo per la speranza della gloria di Dio, ma lo facciamo in una situazione di avversità, sapendo , certezza che deriva dalla fede, che l'afflizione opera (produce) pazienza o perseveranza, esultiamo, quindi, anche nell'afflizione perché sappiamo che Dio ci insegna, proprio in questo modo, ad ottenere con pazienza la Sua liberazione. L'afflizione produce pazienza solo nei credenti perché vedono in essa un preciso disegno divino. I non credenti, in-atti, mormorano contro Dio quando sono nell'afflizione.

4. e la pazienza resistenza , altri traducono esperienza, il termine greco dokimh/ significa prova, ma anche qualità, virtù provata, dimostrazione, autenticità. La pazienza  nell'afflizione produce una forza, una resistenza e dimostra la qualità della fede, come il metallo prezioso che si ottiene quando si eliminano tutte le impurità, e la resistenza speranza. Il superamento, con pazienza, delle prove significa riporre la speranza in Colui che ha fatto la promessa della Sua gloria, speranza che viene così rafforzata e confermata.

5. e la speranza non delude , cioè non conduce a delusioni, proprio perché viene confermata e rafforzata – si veda il Salmo 22, 5b: confidarono in te e non furono delusi – non mancano riferimenti in questo senso sia nel Nuovo Testamento che nell'Antico Testamento.
perché l'amore di Dio è stato versato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato è la conferma di quanto detto più avanti. Lo Spirito Santo ha riversato sui credenti (vedi Gioele 2, 28-29; Atti 2, 17.18.33; Tito 3, 6 – e¦kke¢xutai vuol dire: è stato sparso, riversato, diffuso, rovesciato) l'amore di Dio. Dio ha una tale quantità d'amore per gli umani da riversarlo su di essi come se traboccasse. In questo brano Paolo identifica il versamento dell'amore di Dio con lo spargimento del Suo Spirito sui credenti indicando così l'abbondanza e la generosità con cui Dio ci ama. L'amore di Dio c'è stato, quindi, donato con abbondanza ed è attualmente depositato nei nostri cuori dallo Spirito Santo che ci è stato donato, ciò costituisce la prova che la nostra speranza non sarà delusa e non ci deluderà.

6. Infatti Cristo, mentre eravamo deboli, a tempo debito, è morto per gli empi. Questo versetto, e quelli che seguono, descrivono la natura dell'amore di Dio: mentre eravamo ancora deboli, senza forza, peccatori quindi; a suo tempo, proprio nel momento di maggior bisogno, senza attendere che iniziassimo ad aiutarci da noi stessi, Cristo è morto per gli empi, cioè per noi. Paolo chiarisce qui, senza amore di dubbio, che l'amore di Dio è proprio per persone che non meritano nulla.

7. A malapena, infatti, qualcuno morirebbe per un giusto; per un buono forse qualcuno oserebbe morire. Per mettere maggiormente in evidenza il fatto che Gesù è morto "per gli empi", Paolo attira l'attenzione sul fatto che molto difficilmente qualcuno potrebbe essere disposto a dare la propria vita per un "giusto" o un "buono", figuriamoci per un "empio".

8. ma Dio dimostra il proprio amore per noi perché mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. La mente di Cristo è, quindi, la prova dell'amore di Dio per noi e, allo stesso tempo, rivelazione della natura di questo amore, amore totalmente immeritato.

9. Molto più, dunque, essendo ora giustificati nel suo sangue, saremo salvati per mezzo di lui dall'ira. Paolo torna ora all'argomento della nostra speranza, cioè della salvezza finale, con due espressioni parallele. Avendo Dio stesso realizzato la parte più difficile, cioè la giustificazione dei peccatori, possiamo essere certi che compirà ancora ciò che è meno difficile, cioè salvare dalla sua ira, dalla sua condanna.

10. Infatti, se essendo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del suo Figlio, molto più ora, essendo riconciliati, saremo salvati nella sua vita. Dal momento che Dio ha realizzato la parte più difficile (riconciliandoci mentre eravamo ancora nemici), possiamo attenderci fiduciosamente che farà ciò che, al confronto, è cosa meno difficile, cioè salvare quelli che ora sono amici.
Viene qui introdotto un nuovo termine: riconciliazione, katallagh/ , con cui si esprime la qualità del rapporto personale che l'espressione "giustificazione", non coglie. L'inimicizia che viene superata nell'azione di riconciliazione è l'ostilità del peccatore verso Dio. Ma la rimozione dell'ostilità da parte di Dio non è un cambiamento del progetto divino, ma il compimento di questo progetto misericordioso che comporta sia l'opposizione al peccato umano, sia il donarsi volontariamente all'uomo.

11. E non solo (questo), ma anche esultiamo in Dio per mezzo del Signore nostro Gesù (Cristo) attraverso il quale ora abbiamo ottenuto la riconciliazione. Già ora, quindi, noi esultiamo, ci rallegriamo per questa riconciliazione, per questa salvezza che Cristo ci ha ottenuto. Sembra, dalle parole di Paolo, che questa esultanza venisse espressa nel corso del culto nelle comunità; tuttavia dobbiamo ritenere che Paolo non si limiti a questo, ma si riferisca all'esultanza continua che deve caratterizzare la nuova vita in Cristo, anche se frammista ad afflizioni e persecuzioni. Noi esultiamo tramite Cristo, mediante il quale abbiamo già ricevuto il dono della riconciliazione con Dio.
Questo dono, che abbiamo già ricevuto suo tramite, è la base sufficiente per una esultanza senza fine.

d. La vecchia e la nuova solidarietà (5, 12-21)

I versetti 12-21 sono la conclusione derivante dal brano precedente. In Cristo è avvenuto qualcosa che trasforma i credenti in amici di Dio, da nemici o ribelli, quali erano prima. Ciò è l’effetto della giustificazione per fede. Perciò Paolo ricorre a un parallelismo fra Adamo e Cristo per far meglio comprendere il coinvolgimento degli umani nella disubbidienza del primo e degli umani credenti nell’ubbidienza del secondo.

Il passo è sicuramente il più difficile di tutta l’epistola, sia per i problemi esegetici che pone, sia per i riflessi che produce e ha prodotto nel campo teologico.

Su questo passo si è fondata la tradizione cattolica per insegnare il dogma del peccato originale. Tuttavia il senso del passo non è stato mai definitivamente stabilito, neppure dal Concilio di Trento, anzi, in quella circostanza fu respinta la proposta di alcuni "padri" di definire che Paolo nel cap. 5 della lettera ai Romani « insegna la dottrina del peccato originale» (Atti Concilio Tridentino ed. Ehses, vol. V, p. 217). Tuttavia è uno di quei passi della Scrittura di cui la chiesa cattolica, col suo magistero, ha determinato infallibilmente il senso (M. Flick, Il dogma del peccato originale nella teologia contemporanea, in Problemi e Orientamenti di Teologia Dogmatica , Milano 1957). Perciò l’esegeta cattolico non è libero di interpretarlo diversamente (S. Lyonnet, Il peccato originale in Rom. 5, 12 ed il Concilio di Trento, 1960). Il Concilio Vaticano II non ha apportato alcuna novità a queste posizioni. Ma Paolo non intendeva in alcun modo insegnare un dogma.
L’apostolo vuole, invece, tracciare un parallelo e un antitesi fra Adamo e Cristo. Adamo è una figura, un "tipo" di Cristo.

Adamo, come primo essere umano, rappresenta tutta l’umanità. La sua caduta, il suo peccato, che rimane suo quanto alla colpa, ha trascinato tutti i suoi discendenti. Ne è dimostrazione l’universalità della morte fisica che, a sua volta, rispecchia l’analoga universalità della morte spirituale, conseguenza del peccato di Adamo.

Questa idea di solidarietà è ben presente nelle Scritture dell’Antico Testamento. Quando un uomo fallisce nel suo compito, e non riesce a portare a compimento il disegno di Dio (e nessuno vi è riuscito), Dio fa sorgere un altro uomo che prenderà il suo posto: Giosuè per sostituire Mosè, Davide per sostituire Saul, Eliseo per sostituire Elia. Ma chi poteva sostituire Adamo? Solo uno che avesse la capacità e la possibilità di annullare gli effetti del peccato di Adamo e potesse dare inizio ad una nuova umanità. La Bibbia riconosce solo un uomo con tali qualifiche: Gesù di Nazareth, il Cristo. Perciò Paolo lo chiama l’ultimo Adamo.

Ecco, quindi il parallelismo e l’antitesi: come la morte è entrata nel mondo per mezzo della disubbidienza del primo Adamo , la grazia, cioè la nuova vita, vi entra per mezzo di Cristo, l’ultimo Adamo.  Come il peccato di Adamo coinvolge la sua posterità. Così la giustizia di Cristo è accreditata al Suo popolo, cioè al popolo dei credenti.

Questo ragionamento segue la logica ebraica per la quale Adamo era un personaggio storico e, allo stesso tempo, il rappresentante di tutta l’umanità. In ebraico, infatti,  Adam significa "umanità", è un nome "collettivo", perciò tutta l’umanità ha peccato in Adamo, tutta l’umanità condivide questa triste solidarietà. La caduta di Adamo aveva portato tutta la sua posterità sotto il dominio della morte.

Il ragionamento si basa sul concetto di solidarietà e non sul concetto giuridico di colpa-pena. Dio non imputa ai posteri di Adamo la colpa del suo peccato, ma piuttosto le sue conseguenze. Il dogma cattolico del peccato originale, invece, pretende che tutti gli umani nascano anche con la "colpa" di Adamo, che verrebbe rimossa nel battesimo. Paolo dice, invece, che, avendo Adamo col suo peccato introdotto la morte, questa si è estesa su tutti gli umani « perché tutti hanno peccato» (v. 12).

Pertanto la morte di Gesù Cristo, l’unico giusto, morto per ubbidire al Padre, produce vita, giustificazione, grazia. Cristo ha quindi portato una nuova umanità nel regno della grazia e della vita.

Poiché, tuttavia, qualcuno potrebbe obiettare che in tutto questo discorso sembra essere stato dimenticato Mosè – cioè l’introduzione della legge – Paolo chiarisce che la legge non ha un’importanza permanente nella storia della redenzione. Si tratta di una misura temporanea con lo scopo preciso di portare il peccato alla luce del giorno per poterlo riconoscere con chiarezza. Purtroppo la legge ha l’effetto di aumentare la quantità di peccato palese nel mondo: la presenza della legge ha stimolato il peccato, come la proibizione fa nascere la tentazione a fare ciò che è vietato.

La legge, però, non ha introdotto un principio nuovo: il peccato esisteva già, essa lo ha semplicemente messo in luce. Il Vangelo, invece, introduce un principio nuovo: la Grazia di Dio. Per quanto possa aumentare il peccato, la grazia sarà sempre maggiore, più ampia, più abbondante (v. 20).

12. Perciò – possiamo meglio intendere il significato di questa parola solo se la consideriamo come elemento di collegamento con il brano precedente, in cui è stato affermato che i giusti per fede sono persone che l’amore immeritato di Dio ha trasformato da nemici a riconciliati, tornati amici, quindi in pace con Lui. Con questa parola, perciò , Paolo intende indicare nel brano che segue la contraddizione di quanto è stato affermato in precedenza. Il fatto che la riconciliazione sia una realtà per i credenti, significa che qualcosa è stato compiuto da Cristo, qualcosa di universale nei suoi effetti allo stesso modo con cui il peccato di Adamo ha avuto effetti universali.
Come per mezzo di un solo uomo, il peccato nel mondo entrò, e per mezzo del peccato la morte – la trasgressione di Adamo , un solo uomo, ha permesso al peccato di entrare nel mondo. Il termine amarti/a , con l’articolo, non indica il peccato personale di Adamo, ma la stessa forza del male personificata. Il mondo ko/smoj in cui è entrato il peccato è il mondo degli umani, il "genere umano"; il peccato ha portato con sé la morte e così su tutti gli uomini la morte si è sparsa , come si diffonde una malattia epidemica, in quanto tutti hanno peccato. Questa espressione ha dato origine a una discussione infinita e sono state proposta diverse spiegazioni delle prime due parole greche e¦f¡ %¥ (una preposizione ed un pronome relativo):

a) sotto la quale (con riferimento alla morte) per indicare che la morte era il punto di arrivo a cui conduceva necessariamente il peccare;

b) nel quale (riferendo il pronome relativo a "ogni uomo");

c) a causa del quale;

d) perché.

Di queste possibili spiegazioni l’ipotesi a) ha il vantaggio che la parola "morte" è a portata di mano nella frase stessa, ma è in qualche modo forzata e assume un senso che non si inserisce bene nel contesto. Le ipotesi b) e c) prestano il fianco all’obiezione che il vocabolo "uomo" è troppo lontano per essere il riferimento del pronome relativo. Quindi l’ipotesi d) perché , è la più probabile ed è quella comunemente accettata oggi. A questo punto dobbiamo chiederci se il peccato si riferisce alla partecipazione degli umani al peccato di Adamo oppure al peccato personale di ogni singolo individuo. La prima ipotesi è sostenuta da un gran numero di interpreti, non solo cattolici, i quali sostengono che essa va accettata a motivo del parallelo fra Cristo e Adamo, dato che la giustificazione dell’uomo in Cristo non deve nulla alle proprie opere. La seconda ipotesi è da preferire dato che non c’è nulla nel contesto a suggerire che il verbo peccare sia qui utilizzato con significato diverso a quello ordinario di commettere peccato . Inoltre l’argomento del parallelismo non ha molta forza poiché Paolo insiste non solo sulla somiglianza, ma anche sulle differenze fra Cristo e Adamo. Pertanto, in questa frase, il termine peccato deve essere riferito al peccato personale di ogni singolo essere umano.
Secondo questa frase la morte umana è conseguenza del peccato individuale. Ciò crea qualche problema a chi considera la morte come fatto naturale, biologico.
Possiamo ritenere, dal punto di vista biblico, che agli inizi della comparsa dell’essere umano sulla terra come "uomo" – Adam – gli sia stata offerta dal Creatore una vita umana che non aveva bisogno di terminare con la morte che noi conosciamo, cioè come morte–salario–del–peccato, ma che l’uomo l’abbia in qualche modo rifiutata.

Dobbiamo perciò tenere presenti tre verità:

1) solo nella morte di Gesù vediamo la piena realtà e serietà della morte uma-na come la morte che conosciamo (morte–salario–del–peccato);

2) nella vita umana di Gesù vediamo come dovrebbe essere la vita umana che non merita la morte che conosciamo;

3) nell’umanità risorta e glorificata di Gesù Cristo vediamo l’immortalità che corrisponde a quella vita che fin dall’eternità Dio ha in animo come destino finale per le sue creature che saranno rese « conformi all’immagine del figlio Suo»

13. Perché fino alla legge il peccato era nel mondo, ancora prima che fosse data la legge il peccato era già presente nel mondo; ciò spiega perché tutti hanno peccato in tutti i tempi anche quando non c’era la legge, ma il peccato non è imputato non essendoci legge . In assenza della legge il peccato, pur essendo presente, non viene chiaramente distinto, non viene "registrato", non che gli esseri umani non siano ritenuti colpevoli, infatti la morte aveva comunque effetto. È soltanto con la legge, solo in Israele (e successivamente nella chiesa), che la serietà, la gravità del peccato diventa visibile e la responsabilità del peccatore diventa evidente.

14. ma la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non peccarono con una disubbidienza (trasgressione) simile a quella di Adamo, che è un tipo (immagine) del veniente. La morte ha regnato sull’umanità come risultato della presenza del peccato. Le persone sulle quali il peccato ha regnato per tutto questo tempo, sono persone che avevano peccato, anche se non hanno peccato in modo simile a quello di Adamo, cioè disubbidendo ad un preciso ordine di Dio (Ge 21, 17). Adamo è "tipo" di colui che doveva venire, cioè di Cristo. È il solo personaggio dell’Antico Testamento che viene accostato a Cristo in modo parallelo. La parola tu/poj indica il segno lasciato da un colpo, un’impronta lasciata da qualcosa, che viene utilizzata come uno "stampo" per modellare, per coniare, per plasmare, quindi significa modello , esempio, copia, impressione . Adamo è la corrispondenza antitetica del secondo uomo, Cristo, che doveva venire: Adamo introduce nel mondo il peccato, Cristo vi introduce la grazia.

15. Ma al contrario della trasgressione è la grazia; la grazia, il dono gratuito di Dio, non è come la trasgressione, anzi, è molto più ampia e più forte; perché se per la trasgressione di uno i molti morirono, molto di più la grazia di Dio e il dono gratuito dell’unico uomo Gesù Cristo è abbondata sui molti. Il contrasto è fra Adamo e Cristo da una parte, e i molti , vale a dire l’umanità intera. Il pronome moltipolloi/ è utilizzato con valore inclusivo, non esclusivo essendo contrapposto a uno solo ma non a tutti . L’efficacia della grazia di Dio è molto più dell’efficacia del peccato.

16. E non (è accaduto) per il dono come per il peccato di uno solo: è la seconda affermazione delle differenze fra Cristo e Adamo: il dono gratuito non è allo stesso livello dell’effetto provocato dal peccato di Adamo; il giudizio (provocò) la condanna da una (sola) trasgressione, dall’altra (parte) la grazia da molte trasgressioni (produsse) giustificazione. Il giudizio, la condanna è stata la conseguenza di una sola trasgressione, quella di Adamo, ma il dono della grazia è stata la risposta di Dio a molte cadute, a tutti i peccati accumulatisi nei secoli. Il giudizio pronunciato su Adamo sfocia nella condanna, ma il dono di Dio sfocia nella giustificazione.

17. Infatti (se) per mezzo della trasgressione di uno la morte ha regnato, molto più l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia in vita regneranno per mezzo dell’unico (uomo) Gesù Cristo. Questo versetto è di supporto a quanto affermato al v. 16 e si richiama alla seconda parte del v. 15a; mette in risalto il fatto che l’azione di uno solo è stata determinante per la vita di molti esseri umani. Quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno in vita. Ciò significa che l’efficacia della grazia divina è tale non solo da rimpiazzare il regno della morte col regno della vita, ma consentirà, a quelli che la ricevono, di vivere quella vita "regale" che Dio ha progettato per l’essere umano. È chiaro il riferimento escatologico, ma, sebbene coloro che ricevono la grazia non regnano ancora, la loro vita ne ha già tutte le premesse.

18. Così dunque, come per mezzo della trasgressione di uno a tutti gli uomini (si è estesa) la condanna, così anche per mezzo dell’atto di giustizia di uno solo a tutti gli uomini (si è estesa) la giustificazione di vita. Qui si completa il parallelo interrotto al v. 13. Con l’atto di giustizia, o "giusto comportamento", come alcuni traducono, Paolo intende non solo la sua morte espiatrice, ma anche l’ubbidienza a Dio durante tutta la sua vita sulla terra. Con " giustificazione" si indica non solo l’atto della giustificazione, ma anche la condizione, lo stato di giustizia davanti a Dio.
Cosa intende Paolo con tutti gli uomini pa/ntaj anqrw/pouj ? Dobbiamo tenere presente l’enorme superiorità di Cristo su Adamo, della grazia sul peccato, per comprendere che il peccato di Adamo e l’ubbidienza di Cristo non sono sullo stesso piano. La condanna che si è riversata su tutti gli uomini come conseguenza del peccato di Adamo non è irreversibile, al contrario: Cristo ha dato inizio al processo della sua reversibilità, perciò la grazia, la giustificazione, è resa disponibile per tutti gli esseri umani che sono tutti invitati ad accettarla.

19. come infatti per la disubbidienza parakoh=j di un (solo) uomo i molti furono dichiarati peccatori, così pure per l’ubbidienza u¦pakoh=j di uno (solo) i molti saranno dichiarati giusti . Si tratta di una ripetizione del versetto precedente con parole un po’ diverse. Mediante la trasgressione di Adamo tutti gli uomini sono stati resi peccatori perché tutti hanno peccato di persona. I molti saranno costituiti giusti mediante l’ubbidienza di Cristo che ha preso su di sé il peso del loro peccato facendo loro ricevere il dono dello stato di giustizia.

20. Ma la legge è intervenuta pareish\lqen (si è intromessa, è sopraggiunta) affinché la trasgressione abbondasse. La legge, venuta dopo Adamo, ha funzione intermedia, non ha il potere di eliminare la trasgressione, ma solo di renderla evidente in modo che il trasgressore sia reso consapevole della sua disubbidienza, del suo peccato. Si tratta, quindi, di una tappa intermedia all’interno del progetto di Dio per la salvezza di tutti gli esseri umani; ma dove il peccato è abbondato e sovrabbondata la grazia , soprattutto in Israele, a cui fu data la legge, dove la volontà di Dio è stata resa nota. In nessun altro luogo il peccato ha assunto proporzioni così grandi; basti pensare all’ostinato rifiuto a sottomettersi alla legge, fino al rigetto del Messia ed alla sua consegna ai pagani per farlo crocifiggere. Ebbene, proprio in Israele la grazia è sovrabbondata in misericordia per Israele e per tutti gli altri popoli.

21. affinché come il peccato ha regnato mediante la morte, così anche la grazia possa regnare per mezzo della giustizia verso la vita eterna tramite Gesù Cristo, il Signore nostro . Il trionfo della grazia (v. 20) non è fine a se stesso, il suo scopo è quello di spodestare il peccato, non farlo più regnare sugli esseri umani e rimpiazzare il suo regno con quello della grazia, il cui scopo finale è di condurre alla vita eterna. Tutto ciò è stato possibile per mezzo dell’opera di Gesù Cristo. Solo "in" Cristo è possibile sostituire il regno del peccato nella propria vita e sostituirlo con il regno della grazia che conduce alla vita eterna. Il peccato regna per mezzo della morte, la grazia per mezzo della giustizia - giustificazione verso la vita eterna.