L’EPISTOLA DI PAOLO AI ROMANI

E S E G E S I
Capitolo 8°

c. Liberazione dalla morte (8, 1-39)

Il capitolo 8 è il più vibrante e commosso di tutta la lettera: il tono drammatico e la tensione del capitolo 7 lasciano il posto ad un inno di gioia e di gratitudine. La speranza del credente non sarà delusa nelle sue aspettative di salvezza totale e definitiva, compresa la risurrezione del corpo.

Questa speranza si fonda sul presupposto incrollabile della presenza nel credente dello Spirito di Dio e del Suo amore.

Paolo riprende, sviluppandolo, quanto già annunziato nei primi 11 versetti del cap. 5 (la riconciliazione con Dio), riallacciandosi ai cap. 6 e 7, dimostra quale risultato si ottiene con la liberazione dal peccato e dalla schiavitù della legge, a una vita, cioè, di perfetta e gioiosa intimità con Dio, di cui lo Spirito è il principio animatore che agisce dall'interno.

Si evidenzia quindi chiaramente il contrasto fra l'umanità senza Cristo (cap. 7) e l'umanità con Cristo (cap. 8).

Sebbene questo sia il capitolo più lungo di tutta l'epistola, si divide normalmente in sole tre parti:

1. Sostituzione, nei nuovi nati in Cristo, dello "Spirito della vita" alla "legge del peccato e della morte (vv. 1-17).

2. Chi si lascia condurre dallo Spirito è veramente figlio di Dio ed erede della gloria eterna, insieme a tutta la creazione (vv. 18-30).

3. L'amore del Padre, che si manifesta nel dono di Cristo, produce nel cristiano un meraviglioso arricchimento spirituale (vv. 31-39).

1. Vita nello Spirito (8, 1-17)

Poiché. Come scritto già ai Galati (5, 17), la carne ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne , il cristiano deve, da ora in avanti, lasciarsi guidare dallo Spirito di Dio. Se prova a lottare con le proprie forze, soccomberà certamente, ma se vive in Cristo, cioè in colui che ha vinto il peccato e la morte, lo Spirito stesso di Dio e di Cristo guiderà la sua vita infondendo in lui (o lei) un nuovo principio, la legge della vita che lo manterrà nella libertà dal peccato.
8 .1. Dunque non c'è nessuna condanna per quelli che sono in Cristo. Paolo riprende il discorso lasciato in sospeso al v. 6 del capitolo precedente, dopo aver chiarito la sua affermazione: non siete sotto la legge (6, 14).
I credenti sono dunque stati veramente liberati dalla pena – la parola kata¢krima indica più che sentenza di condanna, piuttosto la pena comminata dalla sentenza.
Essere in Cristo è l'espressione usata da Paolo per indicare il nuovo ordine di cose in cui si è introdotti per la fede in Cristo.
Il battesimo è un'immersione in Cristo per mezzo della unione con Lui data dalla fede; in questa unione si diventa "suoi" e "sue", essendo morti con Lui, sepolti con Lui e risorti con Lui. Perciò i credenti in Cristo non sono più loro stessi a vivere, ma è Cristo che vive in loro.
Alcuni manoscritti contengono un'aggiunta (i quali non camminano secondo la carne) ed anche una seconda aggiunta, più tardiva (ma secondo lo Spirito ). Il testo più breve è da preferire in quanto annuncia un concetto generale che verrà spiegato meglio al v. 4.

2. poiché la legge dello spirito e della vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte. Alcuni manoscritti leggono " mi ", altri ancora " ci ". Sebbene quest'ultima variante si armonizza meglio col testo, essa è la più recente, mentre " ti ", essendo la lezione più difficile, è la più probabile. Forse il testo originale era privo di pronome.
Un altro problema sollevato dalla critica testuale è se l'espressione " in Cristo Gesù" e¦n Xristw= ¡Ihsou= sia da collegare con il verbo "ti ha liberato " o con "vita ". La prima soluzione è accettata dalla maggioranza dei critici.
In questa circostanza il termine legge (dello Spirito, della vita, del peccato, della morte) non può avere il significato di complesso di norme da osservare, ma piuttosto di "principio" o forza ineluttabile .
La forza dello Spirito e della vita, per mezzo di Gesù Cristo, ha liberato il credente dalla forza ineluttabile del peccato e della morte.

3. Infatti, cosa impossibile per la legge, in quanto indebolita dalla carne, Dio, mandando il suo stesso figlio in somiglianza di carne di peccato, ha condannato il peccato nella carne. Ciò che era diventato impossibile alla legge, cioè essere un baluardo contro il peccato, a causa della debolezza della carne, lo ha fatto Dio mandando il Suo figlio nella forma umana e condannando il peccato nella carne.
In forma di carne di peccato . Molti traducono "in carne simile a carne di peccato".

Ciò conduce a diverse interpretazioni; sono state avanzate quattro ipotesi:

1. Paolo avrebbe usato "in somiglianza di" per evitare l'implicazione che il Figlio di Dio avesse assunto la natura umana decaduta . Cioè simile alla nostra carne decaduta, in quanto realmente carne, ma solo simile, non identica. A questa ipotesi si obbietta che era proprio la natura umana decaduta ad avere bisogno di essere redenta.

2. "In somiglianza di" sarebbe stato usato per evitare di dare l'impressione che Gesù avesse peccato personalmente, quindi: simile alla nostra natura umana decaduta in quanto non colpevole di peccato vero e proprio.
L'obiezione mette in evidenza che ben difficilmente l'uso dell'espressione "in somiglianza di carne peccatrice" può efficacemente spiegare che, per quanto Gesù abbia condiviso la nostra natura umana, egli non ha mai commesso peccato, in quanto questa espressione indica una differenza fra la natura umana di Cristo e la nostra, differenza non sostenuta da alcuna affermazione biblica.

3. La terza ipotesi suggerisce di tradurre in forma di , senza introdurre alcuna somiglianza; in questo caso si perde il significato della parola (somigliante, simile, uguale).

4. Paolo intende, con l'uso di questo termine, che il Figlio di Dio, senza essere cambiato in persona umana, ha assunto la natura umana, rimanendo comunque se stesso. Questa ipotesi, tuttavia, porterebbe a ritenere che Cristo, avendo assunto la natura umana senza rimettere la natura divina, non avrebbe comunque mai peccato.

In un passo analogo (Fl 2, 7), dove però non si parla di peccato ma di abbassamento della natura umana, Paolo usa morfh¢ (forma) anziché o¦moiw¢mati (somiglianza). In questo brano il contesto, la condanna del peccato, ci induce a ritenere che l'intenzione dell'Apostolo di attirare l'attenzione sul fatto che l'esigenza della sentenza di condanna ha potuto essere soddisfatta nella carne di Gesù che non era proprio carne di peccato in quanto non aveva commesso il peccato, perciò era "simile". Non si tratta quindi di distinguere fra natura umana e natura divina, discussione che si svilupperò nei secoli successivi, ma fra carne "di peccato" e carne "non di peccato". Poiché Gesù non commise peccato la sua carne non fu corrotta come quella di tutti gli esseri umani, era pertanto simile a carne di peccato.

A motivo del peccato peri¢ a¦marti¢aj : questa espressione greca nella LXX traduce l'ebraico hattàh "offerta per il peccato" (Is 53, 10).

4. affinché la giustizia della legge fosse adempiuta in noi che non camminiamo secondo la carne ma secondo lo Spirito ; lo scopo della condanna del peccato da parte di Dio è quello di adempiere alle giuste esigenze della legge affinché i credenti (noi) siano liberati e possano, quindi, iniziare una nuova vita guidata dallo Spirito. La santità cristiana non consiste nel conformarsi ai singoli precetti di un codice di leggi, ma nell'essere guidati, indirizzati, sostenuti dallo Spirito Santo. La legge indicava una vita di santità, ma non riusciva a produrla perché il materiale umano su cui lavorava era troppo scadente, ma ora che il Figlio di Dio ha dato la sua vita come offerta per il peccato, la sentenza di morte è stata rimossa e i credenti sono liberati dalla servitù al vecchio ordine di cose.

Camminare secondo lo Spirito – vedi Galati 5, 25 Se viviamo (per) nello Spirito, camminiamo altresì (per) nello Spirito – vuol dire essere guidati, nelle scelte quotidiane, da una logica nuova che è quella dello Spirito di Dio: è l'azione dello spirito umano in risposta alla guida dello Spirito divino.

5. Quelli infatti che sono secondo la carne pensano alle cose carnali, ma quelli che sono secondo lo Spirito (pensano) alle cose spirituali (o dello Spirito). Il termine frone¢w ha molti significati, tutti riferiti alla mente, facoltà mentali, al pensiero, al sentimento, alla sensibilità. La persona carnale, che cammina secondo la carne , ha la mente occupata solo da pensieri bassi, terreni, legati solo alla parte fisica della propria persona e della propria vita, mentre chi cammina secondo lo Spirito ha la mente rivolta verso le cose dello Spirito, Se poi lo spirito umano si lascia ispirare da quello divino, e ciò è possibile grazie al dono dello Spirito di Dio, i suoi pensieri sono rivolti verso l'alto, verso il cielo, verso ciò che, secondo la comune accezione, è superiore e sublime.

6. Infatti la mente della carne è morta , la mentalità carnale conduce alla morte, ma la mente dello Spirito è vita e pace . Antitesi simile a quella di Gl 5, 19ss . . . le opere della carne in opposizione al frutto dello Spirito . Da tenere presente, tuttavia, che in questo versetto si sta parlando, in sostanza, dell'orientamento carnale o spirituale, cioè le prospettive, i presupposti, i valori, i desideri e gli obiettivi di tali orientamenti.

7. Perciò la mente della carne è nemica di (contro) Dio poiché alla legge di Dio non è sottomessa, né infatti lo potrebbe. Il peccatore è in una posizione di ostilità contro Dio poiché tende solo all'affermazione di se stesso, diventa Dio di se stesso e quindi odia ciò che lo smentisce. È ribelle contro Dio. Questo è, di fatto, l'atteggiamento di quanti hanno una natura e una mentalità carnale e si rifiutano di sottomettersi alla legge di Dio.

8. e quelli (che sono) nella carne non possono piacere a Dio. È una ripetizione del versetto precedente, espresso in forma personale, Coloro che permettono che l'impostazione della loro vita sia improntata sulla natura umana decaduta non sono in condizione di piacere a Dio, finché non escono da tale situazione.

9. Ma voi non siete nella carne ma nello Spirito, se veramente lo Spirito di Dio dimora in voi. Rivolgendosi direttamente ai destinatari della lettera, li rassicura: voi piacete a Dio se, come dite e come sembra, non siete più nella carne ma avete lo Spirito di Dio in voi. L'importanza della vostra vita non è determinata dalla carne, ma dallo Spirito. Tutto ciò poiché avete accetta la grazia e siete stati giustificati mediante la morte e la risurrezione di Cristo. Ma se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non è suo. Questa frase è una parentesi logica di quanto affermato prima. Si noti come in questo contesto si usi indifferentemente, e con lo stesso significato, i termini Spirito di Dio e Spirito di Cristo .

10. Ma se Cristo (è) in voi, certamente il corpo (è) morto a motivo del peccato, ma lo Spirito (è) vita a motivo della giustizia: se Cristo dimora in voi, anche il vostro corpo è ancora soggetto alla morte temporale, che è la conseguenza del vostro peccato, lo Spirito che ora è in voi, che è lo spirito di vita, vi comunica la vita eterna che è conseguenza della giustificazione.

11. Ma se lo Spirito del risuscitante (colui che è risuscitò) Gesù dai morti abita in voi. Chi risuscitò dai morti Cristo Gesù vivificherà anche i vostri corpi mortali per mezzo del far dimorare il suo Spirito in voi. La risurrezione dei credenti dipende dalla risurrezione di Cristo. Lo Spirito di Dio (colui che risuscitò Gesù) se dimora in voi, oltre a vivificare lo spirito vostro, vivificherà anche i vostri corpi, nel giorno della vostra risurrezione.

12. Perciò, fratelli, noi siamo debitori non alla carne, per vivere secondo la carne : è la conseguenza di quanto detto fino a questo punto: non abbiamo più alcun obbligo (debito) verso la carne, e qui Paolo si interrompe per inserire un avvertimento.

13. perché se vivete secondo la carne dovete morire (siete moribondi) , ma se per lo Spirito fate morie le opere del corpo, voi vivete. Le due frasi contrapposte indicano le due alternative possibili e le relative conseguenze: se continuate a vivere facendovi guidare dalla vostra natura carnale, siete condotti alla morte (spirituale), ma se, guidati dallo Spirito fate morire, continuamente rifiutate, avversate le azioni carnali, voi continuerete a vivere (nello spirito). Le opere del corpo sono le azioni e i progetti della carnalità peccaminosa. Altri traducono: mortificate le opere del corpo. Ciò può dare origine ad errata interpretazione ed a ritenere che siano richiesti sacrifici fisici, come l'auto fustigazione, il cilicio, il digiuno, il pellegrinaggio, ecc. Si tratta di pratiche del tutto estranee al pensiero di Paolo in questo contesto. Certamente si consiglia qui di osteggiare qualsiasi atto o atteggiamento che possa ostacolare il cammino spirituale del credente ( ora, se la tua mano ti fa peccare, tagliala: è meglio per te entrare monco nella vita, che avere due mani e andare alla Geenna – Mc 5, 43ss. Mt 5, 29ss).

14 . Poiché solamente oÀsoi (quelli) guidati dallo Spirito di Dio, quelli sono figli di Dio. Questo versetto intende meglio spiegare quello che precede. I guidati dallo Spirito di Dio sono coloro i quali fanno morire le azioni del corpo, continuamente, giorno dopo giorno. Il far morire le azioni carnali è un atteggiamento derivante dallo Spirito di Dio che dimora nel credente che, pertanto, è diventato figlio di Dio.

15. Poiché non avete ricevuto uno spirito di schiavitù (per ricadere) nella paura, ma avete ricevuto uno spirito di filiazione. Lo spirito che avete ricevuto nel diventare credenti in Cristo non è uno spirito "del mondo", che non sarebbe altro che uno spirito di schiavitù, di paura, che vi ha ricondotti dove eravate prima di credere, cioè nella paura ansiosa, ma avete ricevuto uno spirito di filiazione – la maggioranza dei traduttori usa il termine adozione , termine di carattere giuridico che esprime l'acquisizione dei diritti di figliolanza. per il quale gridiamo Abbà, il Padre. È proprio questo spirito che abbiamo ricevuto che ci rende consapevoli di un nuovo stato, una nuova condizione, quella di figli di Dio, divenuti tali in maniera adottiva. Ciò è evidente anche dal fatto che possiamo osare chiamare Dio, come faceva Gesù. Col nome di Padre : Abbà, infatti è la parola ebraico-aramaica corrispondente al termine babbo , papà .

16. lui stesso, lo Spirito, testimonia con lo spirito nostro che siamo figlioli te¢kna (bambini, fanciulli) di Dio . Noi non possiamo, per ora, che avere una pallida esperienza della nostra filiazione adottiva da parte di Dio. Tuttavia siamo confortati dalla testimonianza dello Spirito Santo che insieme col nostro spirito ci assicura che siamo figli di Dio. Qui il testo usa il termine "bambini", "fanciulli" e non ui¥o¢u come nel v. 14. Probabilmente Paolo vuole farci conoscere che, pur essendo diventati figli di Dio, lo siamo, ancora, nello stato infantile e non in quello maturo (perfetto) di Cristo.

17. e se (siamo) bambini (siamo) anche eredi, eredi di Dio da una parte, coeredi di Cristo dall'altra, seppure soffriamo con Lui per essere glorificati insieme. La condizione, quindi, è cambiata: non più servi ma figli e ciò comporta anche la nuova condizione di essere costituiti eredi. Ma ciò significa anche che entriamo in società con Cristo, il vero erede, diventiamo coeredi, eredi insieme con Lui. Questo significa che condividiamo tutto con Lui, sia la sofferenza, sia la glorificazione, che sarà il tema dei versetti successivi.

2. La gloria futura (8, 18-30)

Il cristiano, dunque, è chiamato anche a soffrire con Cristo, e se soffre con lui, sarà giustificato con lui. Ma la gloria futura promessa non è paragonabile alla sofferenza. Essa la supera di gran lunga. In questa ottica la sofferenza si ridimensiona e appare lieve, temporanea. La nostra momentanea, leggera afflizione ci produce un sempre più grande, smisurato, peso eterno di gloria (2 Co 4, 17). La gloria non è un compenso per la sofferenza, ma si sviluppa dalla sofferenza.

Quando apparirà, questa gloria, si manifesterà su scala universale. In qualche modo una parte di questa gloria è già visibile se si considera la chiesa come comunità dei riconciliati, se questa è veramente impegnata nel far conoscere . . . l'infinitamente varia sapienza di Dio (Ef 3, 10). Ciò che ora può essere visto in maniera limitata e distorta, sarà visto nella sua perfezione quando il popolo di Dio raggiungerà alla fine la meta, la completa conformità al Figlio di Dio glorificato.

In questa speranza di gloria i cristiani non sono soli. La creazione intera attende anch'essa questo giorno, in cui le figlie ed i figli di Dio saranno manifestati nella gloria. Così anche la creazione, come l'essere umano, deve essere redenta, perché ha dovuto sopportare le conseguenze della sua caduta (vedasi Genesi 3, dove la terra è maledetta a causa dell'uomo e Apocalisse 22, 3:  . . . non ci sarà più alcuna maledizione).

L'uomo, come la natura, di cui fa parte, è stato creato « buono», ma il peccato ha ridotto entrambi in uno stato di frustrazione, ma entrambi saranno redenti. Paolo fa quindi coincidere la redenzione della natura con la redenzione del corpo umano, cioè di quella parte fisica che lo lega alla creazione materiale. Tutto ciò è reso possibile dal « secondo Adamo» che con la sua morte e resurrezione ha spezzato, annientato, anche le conseguenze logiche della caduta.

Questo anelito lo troviamo già nelle pagine profetiche di Isaia (11, 6-9) che immagina, nel regno messianico, la completa riconciliazione fra la natura e gli esseri umani.

Per Paolo ciò ha già avuto inizio in Cristo. La grazia di Dio ha già cominciato la sua opera nella vita di quelli che sono stati giustificati, e la sua azione continua, come è testimoniato dal fatto che in essi dimora lo Spirito di Dio. E sarà quella stessa grazia a portare a compimento l'opera di Dio nel giorno di Gesù Cristo .

La dimora dello Spirito è, quindi, la prova che la grazia di Dio opera in noi, ma è anche la garanzia della gloria futura, una specie di caparra, di acconto.

Questa è la speranza del nuovo popolo di Dio, elemento essenziale della salvezza. Questa speranza rende possibile accettare la prova del tempo presente e questa sopportazione è già una vittoria. Tale speranza, insieme alla fede e all'amore, è una delle qualità che distingue la persona cristiana, la vera ed il vero credente, che è consapevole che qualsiasi cosa accada, continuerà sempre ad essere oggetto dell'amore di Dio e rafforzerà la propria fede. Perciò Paolo può affermare che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio (v. 28).

In tutto ciò Paolo vede un progresso ben preciso da parte di Dio che ha previsto e preordinato la redenzione della creazione intera predestinando quelli che avranno creduto a far parte della sua gloria e ad essere conformi al Suo Figliuolo.

18. Ritengo perciò non degne le sofferenze paqh¢mata del tempo presente con la gloria futura che sarà rivelata a¦pokalufqh¢nai a noi.
Riferendosi al v. 17, dove ha menzionato la solidarietà del credente con le sofferenze di Cristo, afferma ora la sua assoluta convinzione che qualsiasi prova non potrà mai essere paragonata con la gloria a cui essi sono destinati. Di quali sofferenze si tratta? Indubbiamente Paolo pensa alle sofferenze a cui i credenti sono sottoposti in quanto discepoli del Cristo. La gloria che sarà rivelata a noi (alcuni traducono: a nostro riguardo) è la gloria della fine dei tempi.

19. Infatti l'impaziente attesa del creato attende intensamente la rivelazione dei figli di Dio. La creazione intera è in attesa anch'essa di ricevere qualcosa di estremamente importante. Il termine greco a¦pokaradoki¢a indica un'ansiosa e trepidante attesa, letteralmente « allunga il collo». L'oggetto dell'attesa è la rivelazione - manifestazione finale dei figli perché, come verrà spiegato nei versetti seguenti, anche il creato è in qualche modo solidale con loro.
Qual è il significato che Paolo dà, in questo contesto, al termine kti¢sij , creazione? Il termine si riferisce a tutta la creazione, compreso l'uomo (redento), o soltanto alle restanti realtà create (natura)? Dal contesto (vv. 19-22) risulta che «i figli di Dio » sono contrapposti alla creazione; essi sono la promessa per la creatura (non redenta) che geme, in cui è compresa anche la creatura extra-umana. Caduta e redenzione hanno, quindi, una dimensione cosmologica.

20. Poiché alla vanità la creazione è stata assoggettata (sottomessa), non volontariamente ma a causa di colui che ce l'ha

21. sottoposta, nella speranza, perché anche la creazione stessa sarà liberata dalla schiavitù della corruzione alla libertà della gloria dei figlioletti di Dio. La creazione è stata ridotta in schiavitù, sottomessa alla vanità. Il riferimento è a un avvenimento specifico: l'ingresso del peccato a causa della disubbidienza del primo uomo . . . il suolo sarà maledetto per causa tua . . . (Ge 3, 17). Il termine mataio¢thj , vanità, può essere interpretato in modo diversi. Il parallelismo fra sottoposto alla vanità e schiavitù della corruzione , ha indotto:

· alcuni a ritenere vanità come sinonimo di corruzione , dando a questi due vocaboli il significato di mutabilità e mortalità che caratterizzano le creature;

· altri intendono, invece, che Paolo voleva indicare che la creazione è stata assoggettata alla vanità umana;

· altri ancora, riferendosi al passo di Rm 1, 21 . . . sono diventati insensati, in cui si fa uso del verbo mataiw¢ , ritengono che Paolo pensasse all'idolatria degli uomini che sfrutta la creazione sub-umana per i propri scopo;

· altri ancora pensano che Paolo volesse intendere la sottomissione alle varie potenze celesti (Gl 4, 9);

· infine vi sono quelli che interpretano il termine vanità sulla falsariga dell'Ecclesiaste (Qehel) dove indica la vanità, la futilità, il disordine, l'assurdità di tutte le cose.

Tuttavia, se si considera il significato fondamentale di questa parola, che indica l'inefficacia di ciò che non raggiunge il suo scopo, si può interpretare il significato nel senso che, secondo Paolo, la creazione sub-umana (animali, piante, natura) è soggetta alla frustrazione di non riuscire a raggiungere lo scopo della propria esistenza, avendo Dio impostato le cose in modo tale che, senza l'essere umano, la creazione non può essere perfetta.

Non volontariamente , più correttamente, se la creazione è l'intera creazione sub-umana, possiamo interpretare queste parole come non per colpa sua, non per sua scelta, ma a causa di colui che ve l'ha sottoposta , cioè Dio. Secondo un'antica interpretazione, si dovrebbe intendere, invece, Adamo, dato che col suo peccato ha introdotto la morte, coinvolgendo la terra nella maledizione, ma così si eleverebbe Adamo, arrivando ad un dualismo del tutto assente nel pensiero di Paolo. Dio ha sottoposto tutta la creazione alla vanità a causa del peccato umano. Questa situazione, tuttavia, non è definitiva, non è senza speranza, perché la liberazione dei figli di Dio, cioè dei credenti, coinvolgerà anche la creazione, come era stata coinvolta nella maledizione del peccato.

22. Sappiamo infatti che tutta la creazione geme insieme ed è in travaglio insieme fino ad ora. Il paragone è con le doglie del parto, immagine usata anche da Gesù (Mc 13, 8). Si tratta di qualcosa generalmente noto fra i cristiani ed anche fra gli ebrei, sappiamo, infatti che fin dal primo peccato la sofferenza è entrata nel nostro mondo (Ge 3, 16s) e ciò dura ancora e durerà fino al momento della manifestazione dei figli di Dio.

23. e non solo, ma anche noi stessi, aventi le primizie dello Spirito, anche noi in noi stessi gemiamo aspettando con ansia l'adozione, la redenzione del nostro corpo.
Neanche i cristiani sono esentati da questa attesa spasmodica, anche noi, dice Paolo, che pure abbiamo già le primizie dello Spirito.
Le primizie , parola utilizzata dalla LXX principalmente in rapporto al culto (Es 23, 19; Nm 18, 22; Dt 18, 4). Viene qui utilizzata da Paolo col significato di anticipo, caparra (2 Co 5, 5). I credenti godono già delle primizie, cioè dell'anticipazione e pegno di tutta la gloria che Dio ha in serbo per loro. Tuttavia, pur avendo questa caparra, anche noi, come tutta la creazione, gemiamo in noi stessi, dentro di noi, mentre siamo in attesa dell' adozione, che è la manifestazione dei figli di Dio (v. 19). Pur essendo già figli di Dio, l'adozione ufficiale e definitiva non è ancora avvenuta, non è ancora resa pubblica, essa avverrà con la redenzione dei nostri corpi, cioè la resurrezione, tema sul quale Paolo si è già dilungato in altre lettere (1Co 15).

24. Poiché siamo salvati in speranza; ma la speranza che si vede non è speranza; poiché ciò che uno vede perché ancora lo spera?
Abbiamo, quindi, solo la speranza della salvezza, perciò anche noi « gemiamo» in questa attesa, come tutto il creato, della definitiva salvezza e manifestazione pubblica e ufficiale della nostra adozione. Per meglio spiegare il concetto, Paolo chiede: chi spera ancora ciò che vede o possiede? Qui « vedere» è usato nel suo significato pregnante di «avere effettivamente a propria disposizione».

25. ma se non vediamo ciò che speriamo, l'aspettiamo con pazienza . Infatti, come Paolo stesso scriveva ai Corinzi (2 Co 5, 7): camminiamo per fede e non per visione . . . mentre abbiamo lo sguardo fisso non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono, perché le cose che si vedono sono solo per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne (2 Co 4, 18), si evidenzia perciò l'aspetto positivo della vita cristiana, caratterizzata dalla pazienza tenace per la gloria che non è stata ancora manifestata apertamente. La pazienza è sempre intimamente legata con la speranza.

26. Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto della nostra debolezza, perché come bisogna pregare non sappiamo . Accanto al gemito della creazione ed al gemito del credente, Paolo mette un terzo gemito, quello dello Spirito che viene in soccorso alla nostra debolezza. Dove le nostre debolezze sono maggiori? Proprio nella preghiera: infatti non sappiamo «come» bisogna pregare, per che cosa è giusto pregare, proprio perché non conosciamo appieno tutte le nostre necessità, in tutti i pericoli in cui siamo esposti e abbiamo bisogno perciò di un aiuto anche in questo. ma lo Spirito stesso intercede per noi con sospiri indicibili . Secondo alcuni esegeti questo «sospiri indicibili » debbono riferirsi alla glossolalia, ma è poco probabile che Paolo possa aver pensato che le grida o i sospiri estatici di alcuni possano essere considerati come i gemiti dello Spirito stesso. È invece più probabile che con « sospiri indicibili » o « inespressi » Paolo volesse indicare « ciò che non può essere espresso con il linguaggio umano ordinario » per significare l'origine trascendente di questi sospiri.

27. e colui che esamina i cuori conosce la mente dello Spirito perché secondo Dio egli intercede per i santi. La « mente» dello Spirito ( fro¢nema ) è l'intendimento, il sentimento. Se Dio conosce i segreti dei cuori umani, a maggior ragione conosce bene il desiderio e l'intenzione dello Spirito che intercede per i santi proprio secondo la volontà stessa di Dio.

28. Sappiamo tuttavia che per quelli che amano Dio tutto coopera per il bene secondo lo scopo per cui sono chiamati. « Sappiamo» con questa parola Paolo indica che sta facendo un'affermazione riconosciuta vera dai suoi lettori. « Tutto» ( pa¢nta ), che alcuni traducono: «tutte le cose », coopera sunergei= lavora insieme (sinergia), torna a vantaggio di quelli che amano Dio; anche le cose che sembrano più avverse e dannose, in verità lavorano insieme per il loro vero bene. Per quelli che amano Dio, tutto ciò che può capitare loro, serve ad aiutarli nella via della salvezza, rafforzando la loro fede e portandoli più vicini al Signore. Tutto ciò avviene perché Dio ha il controllo di tutte le cose. Perciò, quelli che amano Dio, Paolo aggiunge sono quelli che sono chiamati secondo il suo piano. Dietro l'amore per Dio da parte di coloro che sono stati giustificati per fede, c'è la precedente chiamata di Dio, secondo il suo disegno, a cui essi hanno risposto.

29. Perché quelli (che ha) preconosciuti e prescelti si conformino all'immagine del figlio Suo, perché sia (il) primogenito fra molti fratelli . Alcuni traducono «quelli che ha preconosciuti li ha anche predestinati  . . . ». Forse sarebbe una traduzione più scorrevole, ma introduce un concetto, quello della predestinazione, che è del tutto estraneo al pensiero di Paolo, almeno nel significato odierno di questo termine. Il verbo greco proori¢zw , formato da pro , prima, avanti e orizw, ordino, delimito, determino, stabilisco, ha vari significati, prestabilisco, prescelto, preordino, predetermino, predestino.
Per comprendere quel che Paolo dice, come sempre, dobbiamo ricordarci che la sua formazione culturale era giudaica e quindi dobbiamo rifarci ai tipi veterotestamentari. Nel presente caso il termine serve a rafforzare la parola che precede pre-conosciuti. Quando Dio fa la conoscenza di un popolo in modo speciale, fa cadere la sua scelta su quel popolo . . . voi solo ho conosciuto fra tutte le famiglie della terra . . . (Am 3, 2) . . . io ti conobbi nel deserto (Os 13, 5). Ciò implica un particolare rapporto di intimità . . . se alcuno ama Dio, esso è conosciuto da Lui (1 Co 8, 3). « La divina predeterminazione mira alla rivelazione storica concreta di ciò che è stato finora nascosto e quindi in Paolo va intesa come enunciato di salvezza, cioè in senso dossologico; così anche in riferimento alla predestinazione degli eletti ad essa conformi all'immagine del Figlio di Dio, cioè alle determinazioni escatologiche della sofferenza e della glorificazione» (H. Bolz  e G. Schneider, in Dizionario Esegetico del N.T., vol. II, Paideia 1998).
Perciò, secondo Paolo, chi ama Dio, perché ha risposto alla sua chiamata, è da lui pre-conosciuto, conosciuto per primo e, quindi, prescelto per essere conforme all'immagine del Figlio, che è l'immagine del Padre, ripristinando così quel rapporto originale interrotto dal peccato . . . Dio creò l'uomo a sua immagine . . . Ge 1, 27). Tutto ciò allo scopo di dare al Figlio una quantità di fratelli fra i quali egli ne sia il primogenito, il capo.

30. Ma quelli prescelti, questi ha anche chiamati; e quelli chiamati, questi ha anche giustificati; ma quelli giustificati, questi ha anche glorificati .
Questi prescelti, quindi, sono i chiamati che hanno risposto con la fede alla chiamata, perciò sono giustificati e, a suo tempo, sono coloro che saranno glorificati. La gloria è futura, ma Paolo usa il passato per tutto il periodo, perché la glorificazione è già stata predisposta e preparata, la decisione divina è già stata presa, anche se ancora non attuata.
Si tratta quindi di un «passato profetico » per il quale un avvenimento predetto, quindi già contrassegnato dall'assoluta certezza del suo avverarsi, viene descritto come se avesse già avuto luogo.

3. Il trionfo della fede (8, 31-39)

Paolo ha esaurientemente dimostrato come i credenti siano oggetto dell'amore di Dio enumerando le misure prese a loro favore (v. 28). Essi sono al centro degli sforzi dell'amore divino, perciò cos'hanno da temere? Quale incoraggiamento alla fede ci può essere che constatare come il piano di salvezza di Dio per il suo popolo procede verso il compimento finale? Se Dio stesso si è dato tanto da fare per la salvezza sei suoi, chi potrà sopraffarli?

Paolo, quindi, elenca le prove dell'amore di Cristo per noi. È la prima volta che nelle lettere viene nominato l'amore di Cristo.

A minacciare l'unione fra Dio e il suo popolo, fra il redentore ed i redenti, non sono soltanto le contrarietà, ma anche le potenze seduttrici, le forze sovrumane. L'apostolo raffigura la situazione come se fosse una corte di giustizia, in cui il credente si trova per essere giudicato, ma chi oserà presentarsi come accusatore, nelle vesti di Pubblico Ministero? Dio stesso, il Giudice di tutti, ha già pronunciato la sentenza di assoluzione e giustificazione.

Forse il Pubblico Ministero vorrà ricorrere contro questa sentenza, ma il "collegio di difesa" è presente e attivo; il riscatto, il "prezzo" è stato pagato con la morte di Gesù, il quale, però, è risuscitato e, stando alla destra di Dio, intercede per i giustificati, per coloro cioè che hanno accettato la sua morte vicaria.

Di fronte a questa forza dell'amore divino non esiste altra forza che possa avere il sopravvento. Nella guerra spirituale sono schierate forze potenti, naturali e soprannaturali, contro il popolo di Dio e di Cristo, ma non potranno essere vincitrici: saranno sconfitte proprio dall'amore di Dio e di Cristo.

31. Cosa diremo dunque di fronte a questo? Se Dio è per noi, chi (sarà) contro di noi? Cosa possiamo dire? Questa domanda serve per introdurre la conclusione: visto che Dio è per noi, chi sarà contro di noi? «Dio è per noi » significa che sta dalla nostra parte e si prende cura di noi perché ci ama, ma non perché è al nostro servizio. È al nostro fianco perché ci ha chiamati e pertanto non dobbiamo più temere alcun tipo di ostilità. Avversari e nemici si saranno ugualmente, che cercheranno di strapparci da questa situazione, ma non li dobbiamo temere, potranno farlo soffrire, ma non riusciranno a separarci dall'amore di Cristo.

32. Colui che certamente non ha risparmiato il suo proprio figlio, ma l'ha consegnato per noi tutti, come non ci donerà anche tutte le cose con lui? Secondo la maggioranza degli esegeti, vi è qui un chiaro riferimento all'offerta di Abramo, pronto a sacrificare il figlio Isacco, l'unico suo (Ge 22, 12) . . . non mi hai rifiutato (LXX risparmiato) il tuo figlio, l'unico tuo . . . Come Abrahamo, anche Dio non ha risparmiato il proprio figlio. Ma lo ha "consegnato" pare¢dwken , termine usato anche in Is 53, 6 e 12 nella versione greca dei LXX, al sacrificio. Isacco fu però risparmiato, ma non così Gesù, poiché era lui l'agnello perfetto ed insostituibile. Consegnato « per noi», dice Paolo, rafforzando la frase con «tutti », al posto nostro e di chiunque voglia accettare questo dono. Ebbene, questo Dio che non risparmia il Suo Figlio per salvarci, ma lo consegna, lo dà alla morte per noi, come ci rifiuterà « tutte le cose»? Ci vengono in mente le parole di Gesù quando diceva: cercate prima il Regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno sopraggiunte (Mt 6, 33). Tutte le cose si intende, probabilmente, non solo tutto ciò che è necessario alla salvezza, ma anche ciò che è necessario alla sopravvivenza terrena.

33. Ci muoverà accuse contro gli eletti di Dio? Dio (è) il (loro) giustificatore.

34. Chi (sarà) il condannatore? Cristo Gesù (è) il morto, anzi, essendo risuscitato, è alla destra di Dio e intercede a nostro favore.
Chi potrà sporgere accusa contro gli eletti di Dio? Si tratta, ovviamente, di una domanda retorica a cui va risposto "nessuno". Paolo immagina un'aula di tribunale nella quale gli eletti di Dio, quelli che sono stati chiamati (v. 28), preconosciuti e prescelti (v. 29), siano sul banco degli imputati. Ma il Giudice è Dio stesso, colui che ha "consegnato" il suo proprio figlio per espiare le colpe degli eletti, perciò egli li giustifica, cioè li rende giusti; nessun altro potrà mai condannarli, perché Cristo è morto al loro posto. Ma non basta: Cristo è anche risorto, e, ancora di più, è alla destra di Dio proprio per intercedere a favore degli eletti, per difenderli.
Vi è un chiaro riferimento a Is 50, 8: È vicino colui che mi giustifica: chi contenderà con me? . . .
Cristo viene quindi presentato come difensore e intercessore, e questo richiama 1 Gv 2, 1 e Eb 7, 25: . . . egli può veramente salvare coloro che per suo mezzo si avvicinano a Dio, vivendo sempre per intercedere per loro . . . e Is 53, 12: . . . ha portato il peccato di molti . . .

35. Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Avversità, o angustia, o persecuzione, o la fame, o la nudità, o pericolo, o spada?
Chi ci separerà dall'amore di Cristo?, a¦ga¢phj tou= Xristou= , è lo stesso amore di Dio, a¦ga¢phj tou= qeou= (v. 39). È l'amore di Dio e di Cristo per i suoi, amore che si potrebbe essere indotti a ritenere di aver perduto quando ci troviamo nelle avversità, nella persecuzione, nelle ristrettezze, nella fame, nella nudità o di fronte al martirio, tutte esperienze, eccetto l'ultima, già sperimentate dall'apostolo.

36. Come è scritto: Per causa tua siamo messi a  tutto il giorno, considerati come pecore da macello. Citazione del Salmo 44, 22 in cui si supplica Dio di intervenire con urgenza in un momento di grave distretta del Suo popolo. Con questa citazione Paolo vuole dimostrare che le difficoltà che i cristiani devono affrontare non sono una novità, ma sono, in ogni tempo, le caratteristiche del popolo di Dio.

37. Ma in tutte queste cose noi stravinciamo u¥pernikw=men per mezzo di colui che ci ha amati, forse sarebbe più corretto dire: malgrado tutte queste cose, ciononostante, si tratta di un ebraismo.
Ciò che intende l'Apostolo è che il credente, che affronta tutte le avversità menzionate nel v. 35 con la consapevolezza che l'amore di Dio e di Cristo opera in maniera positiva nella sua vita, è non solo sicuro di vincere, ma di trionfare, stravincere. La vittoria è sicura perché non dipende dalle nostre forze, bensì dalla forza dell'amore divino.

38. Sono persuaso, infatti, che né morte né vita, né angeli, né principato ( a¦rxh¢ ) né presenze (e¦nestw=ta da e¦ni¢sthmi , ci sono, sono presente), né cose future, né potenze,

39. né altezze, né profondità, né alcuna altra creatura potrà separarci dall'amore di Dio in Cristo Gesù, il nostro Signore.
Paolo esprime ora la sua personale convinzione, sempre riferendosi al v. 35, che nulla potrà mai essere più forte dell'amore di Dio e di Cristo per i credenti, e fra i possibili avversari o motivi di separazione da questo amore, elenca, in coppia, come usavano fare i rabbini:

– morte e vita – la morte è sempre stata considerata come "separazione", in particolare, nell'A.T., dall'amore di Dio, ma per Paolo la morte è guadagno perché significa «essere con Cristo». La vita che potrebbe minacciare l'unione con Cristo è la vita nel mondo presente, con tutte le sue difficoltà e le sue tentazioni.

– angeli e principati (o potenze) – si riferisce a potenze cosmiche benigne e maligne, che, secondo le credenze antiche, popolavano gli strati dei "cieli" più bassi, e insidiavano le persone umane cercando di impossessarsi di esse e di dominarle.

– cose presenti e cose future – sono le circostanze e gli avvenimenti presenti e futuri che potrebbero influenzare il cammino di fede dei discepoli di Cristo.

– potenze – questa parola non è in coppia. Secondo alcuni si tratta di un'altra designazione angelica ("angeli"). Il termine, duna¢meij, ha diverso significati nel N.T., tutti però in qualche modo riconducibili a "potenze spirituali" o "angeliche":
Mc 13, 25 e par. le potenze nei cieli saranno scrollate . . .
1 Co 15, 24 . . . dopo aver annientato ogni dominio, tutte le autorità e potenze.
Ef 1, 21 . . . superiore a tutti i principati, le autorità, le potenze e signorie . . .
Potenze cosmiche o potenze angeliche che hanno, comunque, perso ogni potere da quando Gesù è risuscitato.

– altezze e profondità – Probabilmente si tratta delle credenza che i luoghi "alti" e gli "abissi" fossero popolati da creature in qualche modo ostili agli esseri umani.

– altre creature – termine usato per completare l'elenco senza lasciare fuori qualcuno.

Il passo vuole solo confermare, con la convinzione personale dell'Apostolo, che non esiste proprio nulla che possa frapporsi fra noi e l'amore di Dio e di Cristo per noi fino a separarci, a meno che non siamo noi a volerlo.