L’EPISTOLA DI PAOLO AI ROMANI

E S E G E S I
Capitolo 10°

2. LE DUE VIE DELLA GIUSTIZIA (10, 1-13). Paolo continua a pregare per la salvezza del suo popolo poiché comprende, meglio di chiunque altro, il loro atteggiamento, che era stato anche suo. Anch'essi, come lui, hanno zelo, ma non conoscenza. Si tratta di un attaccamento alle tradizioni che lo aveva portato a primeggiare nello studio della Torà e nella pratica dei precetti, e da questo atteggiamento aveva attinto energia per ostacolare la nascente comunità cristiana (Galati 1, 13-13; Filippesi 3, 6). Anche lui si era ribellato alla pietra d'intoppo finché non gli furono aperti gli occhi nell'incontro col Cristo risorto. Da quel momento la sua vita aveva avuto un nuovo orientamento.

Gli Israeliti, ignorando la via di Dio attraverso la giustizia, cercano di istituirne una loro. Ma finché non incontrano Cristo non possono rendersi conto che la legge non è il mezzo per guadagnarsi il favore di Dio e che il fine della legge è proprio Cristo.
Queste due vie, della legge e della fede, sono illustrate con citazioni dal Pentateuco.

La prima è dal Levitico (18, 5) osserverete le mie leggi e le mie prescrizioni (i miei statuti e i miei decreti) mediante le quali, chiunque le mette in pratica vivrà... cioè, chi fa queste cose otterrà la vita per il fatto di farle. Non ci sarebbe niente di male in questo se non fosse che nessuno è riuscito a farlo in maniera completa e ottenere la vita seguendo questa via. Nemmeno chi poteva essere considerato irreprensibile come Saulo di Tarso (Filippesi 3, 6).

La seconda citazione, (Deuteronomio) 30, 1-14, illustra la via della fede: questo comandamento che oggi ti do, non è troppo difficile per te, né troppo lontano da te. Non è in cielo, perché tu dica: "Chi salirà per noi in cielo per portarcelo e farcelo ascoltare, perché lo mettiamo in pratica?". Non è di là dal mare, perché tu dica: "Chi passerà per noi di là dal mare per portarcelo e farcelo ascoltare, perché lo mettiamo in pratica?" Ma la parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica .

Queste parole, dice Paolo, riguardano la giustizia che è per fede, è questo ciò che predichiamo.

In sostanza la questione sta in questi termini: Dio, in Cristo, ha portato la salvezza vicino a noi, non dobbiamo andare lontano o fare acrobazie per procurarcela. Gesù è sceso dal cielo ed è risorto dai morti per portarcela. Ciò che dobbiamo fare è accettarla con un atto di fede: credere col cuore che Dio Lo ha risuscitato e riconoscerlo pubblicamente.

La fede che salva è la fede della resurrezione e la confessione è la testimonianza che Gesù è il Signore, il credo cristiano più antico, sempre valido e sufficiente. Chi pone la sua fede in Cristo per la salvezza, chi si affida a Lui, non sarà deluso, come dice Isaia 28, 16.

Questa giustizia impartita da Dio è accessibile a tutte le persone di fede, senza distinzione, uomini e donne, Giudei o Gentili. La misericordia di Dio è senza discriminazioni o restrizioni: tutti quelli che Lo cercano la riceveranno.

Il ragionamento di Paolo, che in un primo momento poteva avere un suono sinistro, perché dichiarava i Giudei, e i Gentili insieme con loro, ugualmente colpevoli di aver peccato contro Dio e incapaci di arrivare a Lui per mezzo dei propri sforzi e meriti, questo ragionamento ora diventa positivo, gioioso, perché afferma che i Giudei, e i Gentili insieme con loro, possono accedere alla misericordia di Dio e il perdono è gratuitamente assicurato in Cristo a tutti quelli che lo chiedono per fede.

10. 1. Fratelli l'auspicio del mio cuore e la richiesta a Dio per loro è di salvezza . Paolo ribadisce che avrebbe un immenso piacere se i suoi correligionari, gli israeliti, si salvassero, e rivolge le sue preghiere a Dio in questo senso.

2 . Io testimonio infatti che essi hanno zelo, ma non secondo conoscenza, più correttamente, consapevolezza. I Giudei non difettavano certo in conoscenza della Torà e della volontà di Dio in essa espressa, ma erano carenti di comprensione, discernimento: in tutto il loro zelo non riuscivano a riconoscere la vera volontà di Dio e la sua vera giustizia.

3 . ignorando infatti la giustizia di Dio e, tentando di stabilire la loro, alla giustizia di Dio non si sono sottomessi . Hanno ignorato, non per mancanza di capacità di comprendere, ma per aver rifiutato la giustizia di Dio annunciata dal vangelo ed hanno continuato a tentare di stabilire la giustizia loro derivante dalle opere meritorie e svolta nelle pratiche esteriori. Ma così facendo non si sono sottomessi alla giustizia di Dio, ricusando l'obbedienza della fede.

4 . Poiché il compimento te¢loj della legge (è) Cristo per giustificazione di tutti i credenti . Il termine, il compimento, della legge è Cristo che la conclude e porta la giustizia di Dio, cioè la giustificazione, a chiunque crede in lui. La parola te¢loj ha, infatti, anche il significato di "scopo". Egli è lo scopo a cui la legge tendeva, è l'incarnazione della giustizia perfetta ( non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti, non sono venuto per abolire ma per portare a compimento Matteo 5, 17). Cristo è anche termine della legge nel senso di "fine": il vecchio ordinamento è giunto al termine e viene sostituito dal nuovo in cui la vita e la giustizia sono disponibili tramite la fede in Cristo.

5 . Mosè infatti scrive così della giustizia della legge: l'uomo praticante vivrà per mezzo d'essa . Citazione di Levitico 18, 5 in cui si raccomandava l'osservanza della legge. Paolo fa presente, in questo e nel versetto seguente, che per osservare la legge non era richiesta la fede. Fa riscontro a questa citazione Habacuc 2, 4 Ecco, la sua anima si è inorgoglita in lui, non è retta, ma il giusto vivrà per la sua fede .

6 . Ma la giustizia della fede così dice: non dire in cuor tuo: "chi salirà in cielo?" Questo è far discendere Cristo

7 . oppure: "chi scenderà nell'abisso?" Questo è far salire Cristo dai morti .

8 . Ma cosa dice? La parola è vicino a te, nella tua bocca e nel tuo cuore, questa è la parola della fede che noi annunciamo. Qui abbiamo la seconda citazione (Deuteronomio 30, 1-14). Nella prima citazione (Levitico 18, 5) gli statuti e i giudizi di Dio erano imposti al popolo affinché li mettesse in pratica e potesse vivere. In questa seconda citazione è sempre presente il comandamento di Dio perché tu lo metta in pratica. E' questo il concetto espresso da Mosè, com'è evidente dal versetto successivo (15) vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male; poiché io ti comando oggi di amare l'Eterno, il tuo Dio, di camminare nelle sue vie, d'osservare i suoi comandamenti, le sue leggi ed i suoi precetti affinché tu viva e ti moltiplichi...

Non è facile per noi, che non sappiamo quale fosse l'interpretazione di questo passo che aveva in mente Paolo e che gli permetteva di applicare questo passo all'evangelo. Se era abituato a vedere questo passo con riferimento alla sapienza, allora, essendo Cristo per lui la sapienza di Dio (1 Co 1, 24.30), può avergli dato un'interpretazione cristiana.

Questa potrebbe essere la sua spiegazione del linguaggio proprio della giustizia ricevuta per fede:

Non dire: chi scenderà bell'abisso? – ciò equivarrebbe a farlo tornare indietro dalla dimora dei morti, come se non fosse risuscitato.

Che dire allora? Questo: la parola è presso di te, nella tua bocca e nel tuo cuore  – cioè il messaggio della fede da noi annunciato: se confessi Gesù come Signore con la tua bocca e credi nel tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, la salvezza sarà tua.

E' con il cuore che gli uomini esercitano la fede per la quale Dio li accetta come giusti; è con la lingua che essi confessano questa fede e ricevono perciò la salvezza.

9 . Perché se confessi con la bocca tua il Signore Gesù, e credi in cuor tuo che Dio lo risuscitò dai morti, sarai salvato. "Gesù è il Signore" è la confessione che nessuno può fare se non per lo Spirito Santo (1 Co 12, 3). Alcuni commentatori ritengono che si tratti, in particolare, della confessione del nome di Gesù di fronte ai magistrati ed alle autorità (Luca 21, 12-15, 1 Pietro 3, 13-16), ma è più probabile che Paolo si riferisse, invece alle confessioni fatte durante il Battesimo, risposta di una buona coscienza a Dio che ora ci salva per mezzo della resurrezione di Gesù Cristo (1 Pietro 3, 21).

Nel N.T. e¦perw¢thma (promessa) si trova soltanto in 1 Pietro 3, 21 dove, non potendo avere il senso classico di domanda, viene per lo più interpretato, partendo dal presupposto che ba¢ptisma significhi battesimo, come "richiesa a Dio di una buona coscienza". Poiché però tale significato non è attestato, ma è desunto dal contesto, contrariamente all'uso del verbo come composto, è meglio pensare a "voto", promessa a Dio.

Il vocabolo è attestato come termine tecnico, nel senso di "domanda relativa ad un contratto" a partire dal III sec. d.C. Qualcosa di simile è da presumere come latinismo in una lettera scritta a Roma verso la fine del I secolo: è antica usanza giuridica romana, che fa parte del diritto obbligazionario, come mostra già il titolo della stipulatio Aquilana (sec. I a.C.), Ma non si dovrà tanto partire dal senso stretto di "contratto", poiché la prassi giuridica più ampia della stipulatio soltanto nel I secolo cominciò a degenerare in semplice contratto. Poiché nel contesto ba¢ptisma , come in Marco 10, 38s, significa piuttosto la sofferenza dovuta a persecuzione, è meglio intendere questa sofferenza dovuta a persecuzione come un impegno ed una promessa fatta a Dio, che scaturisce dalla volontà di ubbidire a lui (genitivo soggettivo o anche oggettivo). (W. Schenk in Dizionario Esegetico del N.T., Paideia 1995 – vedasi anche Kittel, Grande Lessico del N.T., Paideia vol. III col. 972).

10 . Col cuore infatti si crede (per ottenere) giustizia, e con la bocca si confessa per (ottenere) salvezza , completamento del versetto precedente, che conferma che si tratta della pubblica confessione di fede iniziata con il battesimo ( o¥mologe¢w = concordo, riconosco, confesso, professo).

11 . dice infatti la Scrittura: qualunque credente in Lui non sarà svergognato, citazione di Isaia 18, 16, chiunque crede in Cristo, dunque, non sarà svergognato, nel senso di "confuso"; si tratta sempre dell'immagine di un'alluvione in cui la salvezza si trova solo in quella "roccia" da Dio posta in Sion affinché chi vi si affida si possa salvare (vedi Rm 9, 33).

12 . perché non c'è distinzione (differenza) fra Giudeo e Greco; poiché lo stesso Signore di tutti (è) ricco verso tutti quelli che lo invocano . I Giudei credevano di avere essi soli il diritto alla giustizia a causa delle opere della legge, ma il Signore è lo stesso per tutti, Giudei e Greci. Si tratta, ovviamente del Signore Gesù che è ricco, cioè abbondante di grazia, per tutti quelli che l'invocano. La parola è e¦pikale¢o ed ha diversi significati: chiamare, nominare, invocare. In questo caso indica la professione di fede, l'invocazione di Gesù come Signore, va inteso, come grido di professione di fede, tenendo presente lo sfondo semantico veterotestamentario nel quale con la menzione del nome si stabilisce un rapporto di proprietà, anche nel senso del diritto (Diz. Esegetico del N.T. Paideia).

13 . infatti chiunque invoca il nome del Signore sarà salvato citazione da Gioele 2, 32 (vedi anche Atti 2, 21) che si riferisce al periodo del "grande e terribile giorno del Signore" in cui lo Spirito di Dio sarà sparso su "ogni carne". Pietro usa questo stesso passo per spiegare gli avvenimenti del giorno di Pentecoste ed annunciare che il Signore da invocare per essere salvati è quel Gesù che era stato messo a morte sulla croce, ma che Dio ha risuscitato e costituito Signore.

3. LA PROCLAMAZIONE A TUTTO IL MONDO (10, 14-21). Se sarà salvato chiunque invocherà il nome del Signore, si rende necessario l'annuncio di questa notizia affinché essa sia ricevuta ed accettata.

Paolo indica quattro condizioni, dunque, perché i Giudei possano correttamente invocare il nome del Signore; egli però le elenca all'indietro, partendo dalla quarta, la fede, che, a sua volta richiede l'ascolto di questo annuncio, ma questo può avvenire a condizione che qualcuno predichi o annunci questa buona notizia, tuttavia ciò non può aver luogo se non vi è il mandato. Le condizioni sono, quindi: il mandato, la predicazione, l'ascolto, la fede, poiché solo la fede mette la persona in grado di "invocare il nome del Signore".

Dio si serve delle persone umane a questo scopo, siano chiamati apostoli, cioè "inviati", o evangelisti o predicatori. Questo incarico è affidato a chi ha già accolto questo messaggio. Di chi porta messaggi di gioia e di pace, cioè buone notizie (evangeli) il profeta Isaia aveva detto che erano belli persino i piedi (Is 52, 7): Quanto sono belli sui monti i piedi del messaggero di buone novelle, che annuncia la pace, che reca belle notizie di cose buone, che annuncia la salvezza, che dice a Sion: "il tuo Dio regna".

Come si rapporta tutto questo con l'incredulità dei Giudei? Il messaggio fu infatti annunciato prima a loro. Ma essi, per la maggior parte, non vi prestarono attenzione. Ciò era stato previsto, come si vede dalla domanda di Isaia 53, 1: chi ha creduto alla nostra predicazione? Forse qualcuno avrebbe potuto obiettare che non tutto il popolo aveva udito il messaggio, ma Paolo risponde che essi, tutti, lo hanno udito. Infatti il messaggio è stato portato in ogni luogo dove c'è una comunità ebraica.

Ma, se pure hanno udito, può essere che non abbiano capito. Anche questa osservazione viene smontata da Paolo: hanno compreso, ma si sono rifiutati di ubbidire, non hanno voluto credere. E anche questo è avvenuto in adempimento di una profezia. Nel "Cantico di Mosé" (Dt 32) c'è proprio la descrizione della disubbidienza e ingratitudine di Israele (v. 21): Essi mi hanno reso geloso con ciò che non è Dio, mi hanno irritato con i loro idoli vani; e io li renderò gelosi con gente che non è popolo, li irriterò con una nazione stolta .

Come farà Dio a ingelosire Israele? Mostrandogli le benedizioni riversate sui Gentili quando credono in Cristo. Questo concetto sarà meglio sviluppato nel cap. 11. Ora Paolo prosegue il suo ragionamento sulla disubbidienza di Israele citando due passi da Isaia 65 ...sono stato trovato da quelli che non mi cercavano (v. 1) ...ho teso tutto il giorno le mie mani verso un popolo ribelle... che mi provoca continuamente ad ira (v. 2 e 3).

14 . Come dunque invocheranno colui (nel quale) non hanno creduto? Poi come crederanno (in colui) del quale non hanno udito? Come poi ascolteranno senza l'annunciante?

15 . Come poi annunceranno se non sono stati inviati? In questa struttura di quattro proposizioni interrogative parallele vi è una concatenazione logica; il soggetto è espresso alla terza persona plurale e si potrebbe intendere come indefinito (gli esseri umani in generale), ma se seguiamo lo sviluppo del ragionamento presente nell'intero contesto (9, 30 - 10, 21) è più naturale ritenere che il soggetto sia lo stesso al 9, 32 o 10, 2.3, cioè gli Ebrei. Paolo cerca di dimostrare che gli Ebrei hanno avuto la completa opportunità di invocare il nome del Signore e quindi sono inescusabili. Infatti la legge, che essi continuamente leggevano e recitavano a memoria, indicava ed indirizzava a Cristo che ne era il senso più profondo. La pienezza di questa opportunità è stata resa disponibile per loro quando il messaggio annunciante l'adempimento delle promesse è stato effettivamente annunciato da messaggeri.

La domanda finale è se agli Ebrei è stata realmente data la pienezza della opportunità e la risposta è, ovviamente, affermativa. La catena di domande pone la questione indirettamente indicando l'impossibilità dell'invocazione nel nome di Cristo da parte degli Ebrei finché non siano state adempiute determinate condizioni. La sostanza può essere così riassunta: essi possono invocare Cristo solo se hanno creduto in Lui; possono credere solo se lo hanno ascoltato direttamente o se hanno ascoltato chi annunciava il messaggio che lo riguardava; possono ascoltare questo messaggio se qualcuno ne proclama l'annuncio, e il messaggio può essere proclamato solo se Dio invia qualcuno a farlo.

Con ciò Paolo afferma che il vero annuncio non è qualcosa che gli uomini possono compiere di loro iniziativa, ma avviene perché delle persone sono state autorizzate ed inviate da Dio.

Come è scritto: come (sono) belli i piedi degli annuncianti (le) buone notizie . Questa citazione non è un semplice ornamento ma serve come dimostrazione del fatto che la prima e la seconda condizione sono state adempiute. Paolo non si riferisce alla sua predicazione personale, e neanche a quella degli altri cristiani, ma, attraverso la profezia che si adempie, vede la conferma che la predicazione apostolica è stata autorizzata e ordinata da Dio. Il passo di Isaia riguarda coloro che portarono a Gerusalemme la buona notizia che l'esilio era terminato e cominciava una nuova era per Israele. Nel N.T. la liberazione da Babilonia, come pure la liberazione dalla schiavitù in Egitto ai tempi di Mosè, è vista come un segno profetico della liberazione perfetta operata in Cristo.

16 . Ma non tutti hanno ubbidito u¥ph¢kousan alla buona notizia. Isaia infatti dice: "Signore, chi ha creduto al nostro ascolto?" (Is 53, 1). Il messaggio, l'annunzio, avrebbe dovuto essere ascoltato ed accettato. Il verbo greco qui usato deriva da a¦kou¢w , ascoltare, ma l'ascolto con fede si deve tradurre in ubbidienza, cosa che non è avvenuta per i Giudei. E' venuta così a mancare la quarta e conclusiva condizione indicata al v. 14, che è poi la prima, cioè credere in colui di cui hanno ascoltato l'annuncio.

17 . Perciò la fede (dipende, deriva) dall'ascolto, poi l'ascolto (avviene) per mezzo della parola r¥h¢matoj di Cristo. Ne consegue che la fede deriva dall'ascolto della parola di Cristo che ha ordinato di annunciare la salvezza e il perdono da parte di Dio per chi crede. Paolo, quindi, mette l'accento sulla necessità di ascoltare (=ubbidire) la predicazione dell'evangelo, il quale è l'unico mezzo per produrre la fede.

18 . Ma io dico: forse non udirono? Anzi, per tutta la terra è uscita la loro voce e le loro parole all'estremità dell'umanità oi¦kume¢nhej . Per dichiarare che i Giudei hanno certamente udito il messaggio della salvezza, cita una parte del Salmo 19, 4 in cui, però, si parla della glorificazione di Dio da parte della natura la cui "voce" (o suono, o armonia) racconta la gloria di Dio, per dire che la divulgazione del vangelo in tutta l'umanità (mondo abitato) era stata predetta. Paolo considerata avviata la predicazione dell'evangelo a tutte le genti (Marco 13, 10) e quindi come già completata. Il messaggio è stato pubblicamente annunciato nel mondo, significativamente predicato largamente ai pagani, quindi non si può supporre che non sia stato udito dagli Ebrei.

19 . Ma io dico: forse Israele non ha capito? Il termine qui usato eÃgnw , deriva da ginw¢skw , conosco. Israele, il popolo eletto non poteva non sapere, non capire. La scusa dell'ignoranza non ha valore. Gli Ebrei hanno avuto tutte le possibilità, tuttavia hanno preferito ignorare, quindi, per un verso conoscono, e per l'altro, no. Per primo Mosé dice: io vi provocherò a gelosia di (una) non nazione, per (una) nazione ottusa provocherò il vostro sdegno, citazione da Dt 32, 21. Queste parole tratte dal "Cantico di Mosé" sono un ammonimento del castigo di Dio sul suo popolo a causa dell'infedeltà di quest'ultimo. Paolo riferisce queste parole alla missione tra i pagani. Paragonati a Israele, i pagani non sono un "popolo", o sono un popolo "ottuso", senza intelligenza delle cose di Dio, tuttavia ora pervengono alla conoscenza. Non si può sostenere che Israele non abbia avuto la possibilità di conoscere. Vi è un collegamento fra la dimostrazione della colpa di Israele e l'attenzione che Paolo pone all'Antico Testamento in tutto questo brano della sua lettera.

20 . Isaia, poi, osa e dice: sono stato trovato da chi non mi cercava, mi sono manifestato a quelli che non chiedevano di me. Il profeta osa giungere all'estremo limite, persino oltre il punto raggiunto da Mosé, e afferma che Dio concede le misericordie del suo patto a quelli che non erano il Suo popolo e, quindi, non ne avevano alcun diritto. La citazione è tratta da Isaia 61, 1 che, nel contesto originario, doveva essere la risposta di Dio alla preghiera del popolo, contenuta nel brano che va da 63, 7 a 64, 12. Dio, con misericordia e pazienza, si è reso accessibile al Suo popolo malgrado tutte le loro ribellioni e infedeltà. Tuttavia Paolo applica questo versetto ai pagani e solo quello successivo a Israele, confermando, in parallelo al v. 19, che Israele avrebbe dovuto conoscere Dio, poiché è stato trovato dai pagani.

21 . Di Israele poi dice: tutto il giorno ho teso le mani mie verso (un) popolo disubbidiente e contraddicente . E' il v. 2 di Isaia 65; nonostante la disponibilità di Dio, Israele ha persistito nella sua disubbidienza e contestazione e anche adesso continua in questo atteggiamento rifiutando l'Evangelo.