L’EPISTOLA DI PAOLO AI ROMANI

E S E G E S I
Capitolo 11°

d. Il progetto di Dio per Israele (11: 1-29)

1. LA REIEZIONE DI ISRAELE NON È DEFINITIVA (11: 1-16) Nonostante tutto Dio non ha definitivamente ripudiato il suo popolo, che ha preconosciuto, non lo ha cancellato dai suoi disegni. Come nei tempi dell’Antico Testamento, ai giorni di Elia, non tutti gli israeliti furono infedeli, ma rimase una minoranza di settemila fedeli, un "residuo", anche nei tempi apostolici c’era una minoranza fedele che non aveva rifiutato il vangelo. Paolo era uno di loro. E come lui molti altri avevano creduto in Gesù. Costoro erano il nuovo "residuo", scelto per grazia di Dio, e la loro esistenza costituiva la prova che Dio non aveva abbandonato Israele e nemmeno il suo disegno nei suoi riguardi. Israele nel suo insieme non aveva risposto al disegno di Dio, solo il rimanente fedele vi era riuscito.
Ciò era stato previsto da Dio, come lo dimostrano tre citazioni, una da Isaia, una dal Deuteronomio e una dal Salterio. Ma si tratta di una condizione transitoria. Israele era caduto, ma non in modo da non potersi rialzare. Per quella sua caduta le benedizioni del vangelo sono state estese ai Gentili. Fu proprio il rifiuto opposto dalla comunità giudaica a fornire l’occasione agli apostoli di offrire il vangelo ai Gentili. Era necessario , dissero Paolo e Barnaba ai Giudei di Antiochia di Pisidia, che a voi per i primi si annunziasse la parola di Dio, ma poiché la respin-gete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco, noi ci rivolgiamo ai Gentili (Atti 13: 46).
Se i Giudei avessero accettato il vangelo, sarebbe stato loro dovere e privilegio farlo conoscere ai Gentili, invece le cose non andarono così, e i Gentili lo udirono senza la loro mediazione. Se la caduta d’Israele è stata occasione di tanta benedi-zione per i Gentili, che significato avrà il risveglio e la restaurazione d’Israele, se non quello di una vera resurrezione?
Infine Paolo, rivolgendosi a quelli fra i suoi lettori che sono Gentili e che potrebbero essere inclini a disprezzare i loro fratelli Giudei e a considerare nullità quelli che non hanno ricevuto il vangelo, spiega che lui, giudeo di nascita, è stato scelto dal Signore per essere apostolo per i Gentili e che questo mandato lo considera un grande onore. Questa missione egli la compie non soltanto per amore dei Gentili ma anche per amore dei Giudei, sperando che questi ultimi, nel vedere i Gentili godere in pieno le benedizioni del vangelo, siano mossi a gelosia e siano indotti a provarle anch’essi.
Questo sogno di Paolo circa la conversione d’Israele è sostenuto dal disegno di Dio. I Gentili sono quindi come una primizia, ma anche come un innesto di olivastro nella radice dell’ulivo. La radice è santa, quindi lo sono anche i rami, così come la primizia del pane garantisce la bontà di tutto l’impasto.

11. 1. Dico allora: Dio non ha respinto il popolo suo? Non sia, e infatti io, israelita sono, dalla discendenza di Abrahamo, tribù di Beniamino . Il fatto che Israele ha avuto occasione di ascoltare e non ha riconosciuto, e, quindi, sia inescusabile, porta alla domanda se Dio lo abbia ripudiato come popolo. La domanda è posta nella forma che richiede una risposta negativa: così non è! Il fatto stesso che io, un ebreo della tribù di Beniamino, sia un apostolo inviato da Dio ai Gentili, è un segno che Dio non ha ripudiato il suo popolo, anzi, dimostra che la vocazione missionaria d’Israele si sta adempiendo.

2 . Dio non ha respinto il suo popolo che ha preconosciuto . Questo è il tema del capitolo 11. Dio non ha rigettato Israele per sempre. Infatti lo ha preconosciuto , cioè fin dall’inizio ha conosciuto Israele e lo ha accolto come suo popolo. Questo termine è stato oggetto di discussione. Spesso questa parola è stata intesa in senso restrittivo, limitando il riferimento del suo popolo a quei membri del popolo d’Israele che sono oggetto dell’elezione segreta di Dio (il "residuo"). Ma nonostante il fatto che i vv 4-7 facciano una differenza tra il residuo eletto e il resto del popolo, questa interpretazione non è accettabile. Il suo popolo si riferisce alla totalità di Israele e non è naturale dargli un significato diverso. Il fatto che Dio abbia preconosciuto Israele, esclude la possibilità del suo ripudio.
Non sapete cosa dice la Scrittura in Elia, come si rivolge a Dio contro Israele? "In Elia", cioè nei passi relativi a Elia. Si tratta di riferimenti a I Re 19: 10, 14, brani che Paolo mette in bocca ad Elia riproducendone la sostanza in forma abbreviata. Probabilmente citava a memoria.

3 . Signore, i tuoi profeti hanno ucciso, i tuoi altari hanno distrutto, ed io sono rimasto solo, e cercano la mia vita.
4 . Ma cosa dice a lui l’oracolo? Ho lasciato a me stesso settemila uomini i quali non hanno piegato ginocchi a Baal. Il contenuto della risposta divina è basato su I Re 19: 18. I settemila non corrispondono certo ad una quantità reale, ma tenendo presente il significato del numero sette nella Bibbia e nel giudaismo, numero che rappresenta la perfezione o la completezza, la dichiarazione di Dio che si è riservato settemila uomini in Israele, vuole indicare la sua fedeltà al progetto di salvezza per il suo popolo, è una dichiarazione di continuità. Dio proseguirà il suo progetto fino al suo scopo finale.

5 . Così dunque anche nel tempo presente un resto esiste per mezzo della scelta della grazia.
6 . Se poi (è) per grazia, non (è) più dalle opere, altrimenti la grazia non è grazia. Il motivo fondamentale per il quale, al tempo di Elia, c’era un residuo, era per l’iniziativa della grazia di Dio, e non il merito umano. Dio, mediante la sua decisione permise al residuo di rimanere saldo, perciò la sua esistenza stessa era piena di promesse per il popolo. Un residuo la cui esistenza fosse basata sul merito umano non sarebbe stata carica di speranza per la maggioranza infedele. Invece, proprio perché il residuo era stato preservato mediante l’elezione della grazia e non sulla base di opere, esso diventò una garanzia del continuo interesse e della cura di Dio nei confronti del popolo. Perciò il residuo del tempro presente, cioè l’insieme degli ebrei che hanno creduto in Cristo, è simile a quello del tempo di Elia, non basato sul merito umano ma sulla benevola elezione di Dio e costituisce una garanzia della continua elezione di Israele nel suo complesso.
L’aggiunta delle parole altrimenti l’opera non sarebbe più opera che si trova nella Diodati e nelle versioni che derivano dal Textus Receptus è ritenuta, dai critici testuali, un’aggiunta di qualche copista e una intrusione nel testo originale.

7 . Che dunque? Ciò che Israele cerca non ha ottenuto, però l’elezione l’ha ottenuto, ma i rimasti sono stati induriti. Riprende, con altre parole, quanto è stato detto in 9: 31. Gli eletti hanno ottenuto ciò che Israele cercava, mentre il resto, la maggioranza, è stato indurito. Vedremo più avanti che questo indurimento fa parte del piano di Dio, della storia della salvezza, poiché conduce alla salvezza dei pagani che, a loro volta, muoveranno a gelosia gli Ebrei.

8 . come è scritto: Dio ha dato loro uno spirito di torpore, occhi che non vedo-no, orecchi che non odono, fino al giorno d’oggi. Sono due citazioni per spiegare l’indurimento della maggioranza. La prima si trova in Deut. 29: 4 e Is. 29: 10 e indica uno stato di insensibilità spirituale, fino ad oggi indica il permanere di questa situazione, più che del limite temporale.

9 . e Davide dice: diventi la loro bocca un laccio e (una) rete re (un) inciampo skandalon e (una ) retribuzione per loro.
10 . Siano ottenebrati i loro occhi per non vedere e la loro schiena sia sempre piegata. Questa è la seconda citazione e proviene dai Salmi (69: 22-23). Questo salmo, nella chiesa dei primi tempi, era considerato come una testi-monianza del ministerio e, in particolare, della passione di Cristo. Qui viene citato da Paolo a conferma dell’indurimento della maggioranza d’Israele, vista come nemica e oppositrice di Cristo. Il significato generale della prima espressione è, senza dubbio, un forte desiderio che anche le cose belle di cui godono questi nemici, alla fine si rivelino quale causa di disastro per loro. Nella seconda espressione è più difficile scegliere un significato preciso nell’immagine della schiena piegata. Il pensiero potrebbe essere quello di essere piegati sotto il peso della schiavitù opprimente, o sotto un grande peso da portare, o essere piegati sul pavimento per cercare a tentoni qualcosa a causa della cecità.

11 . Dico dunque: forse inciamparono affinché cadessero? Non sia! Ma con la loro caduta la salvezza (è giunta) ai gentili per spingere loro a gelosia. L’incredulità della maggioranza degli ebrei non è una rovina spirituale senza rimedio. A causa del loro rifiuto del vangelo, i gentili hanno ottenuto la salvezza. A loro volta gli ebrei, quel popolo da Dio scelto per essere il suo popolo particolare, vedendo i gentili ottenere la misericordia e la bontà del loro Dio, dovrebbero cominciare a comprendere cosa hanno perduto e desiderare quella salvezza prima rifiutata. E’ questa l’interpretazione di Paolo delle parole del cantico di Mosè (Deut. 32:21) citata in 10: 19.

12 . Se poi la loro trasgressione (è stata) ricchezze del mondo e la loro caduta ricchezza delle genti, quanto più lo sarà la loro pienezza. Poiché il v. 11 potrebbe far pensare che la sola cosa importante della salvezza dei gentili sia il provocare la gelosia degli ebrei increduli per portarli alla salvezza, il v. 12 rimette le cose a posto accentuando la grandezza dei benefici che, inizialmente, giungono ai gentili dalla incredulità degli ebrei e, in seguito, in maniera ancora maggiore, dalla loro conversione finale. La "caduta" corrisponde a un fallimento, mentre la "pienezza" corrisponde alla conversione di Israele nella sua totalità ( plhroma ).

13 . Poi dico a voi , Paolo ora richiama quanto ha appena detto (vv 11-12) affin-chè i credenti di origine pagana vi riflettano bene. Possiamo quindi conside-rare i versetti 13 e 14 come fra parentesi. Da questo versetto non si può ar-guire, come hanno fatto alcuni in passato, la consistenza numerica dei cri-stiani di origine pagana nella comunità di Roma (maggioranza o minoranza). Ciò che è sicuro è che l’elemento "gentile" viene interpellato direttamente. Perché dunque io sono apostolo dei gentili, onoro il mio ministerio

14 . se provoco a gelosia la mia carne e salverò alcuni tra loro. I cristiani di origine pagana potevano ritenere naturale che Paolo voltasse le spalle agli ebrei increduli. Ma non è così. Proprio perché apostolo dei gentili il suo ministerio ha un fine preciso: il bene d’Israele. Egli rende onore al suo ministerio ai pagani, svolgendolo con tutta la sua forza e devozione, nella speranza che il suo successo possa provocare a gelosia gli ebrei, la mia carne, così da portarne almeno alcuni alla conversione.

15 . Infatti se il loro rifiuto (è stato) riconciliazione del mondo, cosa (sarà) la riammissione se non vita dai morti? La conversione d’Israele sarà come una resurrezione e fonte di benedizione ineffabile. Il rifiuto (o ripudio) è la loro temporanea messa in disparte da parte di Dio, che coincide con il rifiuto di riconoscere il Messia in Gesù di Nazareth. Rifiuto che ha portato direttamente alla morte di Gesù e, così, alla riconciliazione del mondo a Dio. La "riammissione" è il ristabilimento finale di quello che ora è l’Israele incredulo. Con l’espressione vita dai morti Paolo intende il ristabilimento della totalità d’Israele che coinciderà con la consumazione finale di tutte le cose.

16 . Se poi la primizia (è) santa, anche l’impasto (lo è), e se la radice (è) santa, anche i rami (lo sono). La prima metà del versetto allude all’offerta delle primizie del primo raccolto di grano ordinato in Num. 15: 17-21. Gli Israeliti dovevano offrire a Dio una focaccia dall’impasto fatto con la primizia del grano appena portato dall’aia. La presentazione di questa focaccia a Dio santificava tutta l’infornata. Con la primizia Paolo probabilmente intende i cristiani di origine ebraica i quali possono servire come santificazione per la maggioranza incredula d’Israele. Nella seconda parte del versetto la metafora cambia e l’immagine è quella dell’albero e delle sue radici: l’albero, nel suo insieme, ha un solo e stesso carattere, pertanto la radice santa santifica anche i rami. La radice equivale alla primizia, tuttavia i commentatori hanno dato diverse interpretazioni. Alcuni hanno ritenuto che la radice fosse Cristo e altri che si riferisca ai cristiani di origine pagana. Oggi vi è accordo fra la maggioranza dei commentatori nel ritenere che il riferimento sia ai patriarchi, cosa che viene poi confermata dal v. 28. I patriarchi costituiscono una radice santa non perché abbiano qualche dignità innata o qualche merito proprio, ma sulla base dell’elezione di grazia da parte di Dio che è fedele alla sua promessa. Anche i cristiani di origine pagana vedono che quella santità dei padri, che deriva dall’elezione gratuita di Dio, va ben al di là di loro stessi e raggiunge l’intera loro discendenza.

2. LA PARABOLA DELL’ULIVO (11: 17-24). Il riferimento alla radice e ai rami conduce Paolo a sviluppare una parabola, la parabola dell’ulivo. Questo brano è stato spesso criticato perché normalmente non s’innesta un ramo sano in un tronco selvatico, ma è un "nesto" di una pianta coltivata ad essere innestato su una pianta selvatica. Sembra, tuttavia, che, ancora agli inizi del XX secolo era cosa abituale, in Palestina, "rinvigorire un ulivo che cessa di portare frutto innestandovi un nesto di ulivo selvatico; la linfa dell’albero nobilita il ramo selvatico e l’albero ricomincia a portare frutto" (Theobald Fisher, Pauline and other studies, 1906). Dagli scritti di Columella (De re rustica), contemporaneo di Paolo, un processo simile era d’uso comune in epoca romana.
La parabola presenta due ulivi, uno coltivato ed uno selvatico. Il primo, normalmente, dà un buon frutto, mentre il secondo dà scarso frutto e poco olio. L’ulivo rappresenta Israele, il popolo di Dio, e l’olivastro rappresenta il mondo pagano. L’ulivo, però, ha cominciato ad indebolirsi e a non dare frutto, perciò sono stati tagliati i rami vecchi ed è stato fatto un innesto con un ramo di ulivo selvatico. Questo innesto rappresenta i Gentili credenti, ora incorporati nel popolo di Dio; i rami vecchi sono i Giudei che si sono rifiutati di credere al vangelo.
Ma gli effetti di questo innesto si producono sia sul ramo innestato, sia sul tronco che riceve l’innesto. Il vecchio ceppo è rinvigorito dal nuovo ramo, e, a sua volta, il nuovo ramo, nutrito dalla linfa dell’ulivo, può dare quel frutto che l’olivastro non potrebbe dare.
I credenti Gentili, però, non devono disprezzare i Giudei. Se non fosse stato per la grazia di Dio sarebbero rimasti senza vita e senza frutto. Essi sono dunque debitori a Israele. Non devono neppure insuperbirsi e pensare di essere migliori dei Giudei increduli, cioè dei rami tagliati. Anzi, proprio da questo taglio devono imparare una lezione. Perché furono tagliati? Per via della loro incredulità. E se il nuovo innesto dovesse insuperbirsi, dimenticare la sua dipendenza dalla grazia divina e scambiare la fede per autosufficienza, avrebbe lo stesso destino dei rami vecchi: sarà tagliato via. È per fede che si ottiene e si mantiene l’associazione al nuovo popolo di Dio, e per l’incredulità la si perde. Se quei Giudei, che per la loro incredulità sono scaduti dalla condizione di membri del vero Israele, giungeranno alla fine alla fede in Cristo, saranno nuovamente riammessi nel popolo di Dio.

17 . Se ora alcuni dei rami sono stati spezzati, tu invece, essendo olivastro, sei stato innestato in essi e sei diventato partecipe della radice e della linfa dell’olivo,
18 . non ti vantare contro i rami. Se poi ti vanti non (sei) tu (che)porti la radice, ma la radice (porta) te. L’apostolo si rivolge ora al singolo credente di origine pagana, piuttosto che alla comunità nel suo complesso, per metterlo in guardia contro la tentazione a disprezzare gli ebrei. Non è chiaro se i "rami" siano solo gli ebrei increduli o tutti gli ebrei nel loro complesso, sia increduli che credenti. Il credente proveniente dal paganesimo deve sempre ricordare che è proprio perché è stato innestato nel tronco di Israele che riceve le sue benedizioni spirituali. Le radici del cristianesimo sono le stesse degli ebrei e dell’ebraismo.

19 . Allora dirai: sono stati recisi (dei) rami affinchè io fossi innestato, questo potrebbe essere l’argomento usato dai gentili nel ritenersi migliori degli ebrei.
 

20 . Bene! Sono stati tagliati per l’incredulità, ma tu per la fede sussisti. Non pensare con superbia, ma temi. È vero che i rami sono stati tagliati, ma ciò è accaduto a motivo della loro incredulità, mentre tu resti in piedi a motivo della fede, perciò non insuperbirti perché non hai alcun merito, anzi, sta at-tento (temi) che può accadere anche a te di essere tagliato.

21 . Se infatti Dio i rami naturali non ha risparmiato, non risparmierà neppure te
22 . vedi perciò (la) bontà e severità di Dio; certamente severità per i caduti, ma per te bontà di Dio se continui nella bontà, altrimenti anche tu sarai reciso. In tutto il Nuovo Testamento il "termometro" della situazione reale è la perseveranza: la severità di Dio è per quelli che continuano a cadere, mentre la bontà rimane su chi persevera nella bontà.

23 . E quelli, poi, se non perseverano nell’incredulità saranno innestati; infatti Dio può innestarli di nuovo . I Gentili perciò non pensino che, una volta recisi, gli ebrei increduli non possano più essere reinnestati. Se non continuano, se non perseverano nell’incredulità, ma diventano credenti, Dio è potente fino al punto di reinnestarli nuovamente.
 

24 . Infatti se tu fosti tagliato dall’olivo selvatico di natura e, contro natura, innestato in olivo buono, quanto più questi che (sono) di natura saranno innestati al proprio olivo. Conferma quanto detto nel versetto precedente. Se infatti il cristiano di origine pagana può credere che Dio l’abbia innestato in quella radice santa alla quale non apparteneva per natura, può maggiormente credere che Dio può reinserire gli ebrei diventati credenti nella loro radice naturale.

3. LA RESTAURAZIONE D’ISRAELE (11: 25-29). Questo è dunque il mistero del piano di Dio, che era stato tenuto nascosto, ma che ora è fatto conoscere. Israele è stato colpito da cecità, ma non si tratta di cecità, ma si tratta di cecità parziale, in quanto alcuni sono già stati illuminati, e temporanea poiché ha come scopo la conversione dei Gentili. Esiste, infatti, un ordine in cui avviene la predicazione del vangelo: prima ai Giudei, poi ai Gentili. Ma per quanto riguarda l’accettazione di questa predicazione, l’ordine è invertito: prima dai Gentili e poi dai Giudei. Quando la totalità dei pagani sarà raggiunta, allora anche tutto Israele crederà e accetterà la salvezza.
Sia la temporanea caduta che la duratura definitiva restaurazione erano state predette profeticamente, e a questo proposito Paolo cita Isaia 59:20 e Geremia 31:33. Perciò il nuovo patto non sarà perfetto finché non sarà incluso il popolo del vecchio patto, alienato temporaneamente a vantaggio dei Gentili, che tuttavia rimane oggetto dell’amore elettivo di Dio perché le Sue promesse, fatte a suo tempo ai padri, non possono essere annullate.
Qui sembra che Paolo manchi di logica e coerenza. Infatti, più volte ha sostenuto che la discendenza naturale dei padri non conta agli occhi di Dio; ora invece dice che, proprio a causa delle promesse fatte ai padri, la loro discendenza naturale sarà reintegrata nella relazione con Dio nel nuovo patto. Il fatto è che Paolo sembra avere una visione della grazia di Dio più chiara di quella dei suoi critici: se la grazia di Dio avesse operato strettamente secondo la logica, Giudei e Gentili sarebbero entrambi esclusi.
Si deve anche notare che in tutto ciò che Paolo dice sulla restaurazione o il ripristino della relazione di Israele con Dio, non si fa alcuna menzione della restaurazione del regno davidico, né della restaurazione nazionale d’Israele nel territorio. Ciò che Paolo aveva in mente per il suo popolo era qualcosa di infinitamente migliore.

25 . Infatti, non voglio che ignoriate, fratelli, questo mistero, affinchè non siate avveduti da voi stessi, che è avvenuto a Israele un indurimento parziale fino a che la pienezza delle genti sia entrata. Paolo vuole che i credenti di origine pagana siano a conoscenza del mistero che sta per rivelare e che è la conferma di quanto ha appena detto e, al tempo stesso, va ben al di là di quanto già detto. Con la parola mistero ( musthrion ) Paolo intende un segreto (fatto, verità, progetto) un tempo nascosto, che ora viene rivelato. I credenti Gentili, venendo a conoscenza del progetto divino avranno minore possibilità di soccombere alla tentazione presuntuosa di ritenersi più privilegiati dei Giudei. Non si tratta di una nuova rivelazione, come si vedrà più avanti dai passi scritturali citati, ma della conoscenza del piano di Dio per la salvezza dei Gentili. L’incredulità di una parte di Israele (indurimento) ha permesso la proclamazione dell’Evangelo alle genti, ma si tratta di fenomeno limitato nel tempo, fino a quando tutti i popoli saranno entrati, o avranno l’opportunità di entrare, nel regno di Dio in Cristo.

26 . e così tutto Israele sarà salvato, come sta scritto: "verrà da Sion il salvatore, toglierà (le) empietà da Giacobbe". Con il termine "tutto Israele" l’apostolo intende il popolo nella sua totalità, senza tuttavia includere ogni singolo individuo. Il "sarà salvato" si riferisce alla restaurazione del popolo d’Israele nel rapporto con Dio alla fine della Storia. Si confronti questa affermazione di Paolo con le parole di Gesù riportate in Mt. 10:23 ( …non avrete finito di percorrere le città d’Israele prima che il Figlio dell’uomo sia venuto… ). La citazione, tratta da Isaia 59:20, si riferisce alla manifestazione ad Israele del suo redentore divino, manifestazione che Paolo identifica con la parusia di Cristo.

27 . "e questo (sarà) per loro il patto da parte mia, quando avrò asportato i loro peccati" , continuando nella citazione delle Scritture, ora Paolo passa alla promessa del nuovo patto e si richiama a Geremia 30:33. Questa citazione composta rende chiara l’idea di distruggere completamente le speranze d’Israele, centrate su se stesso, di avanzare qualche pretesa nei confronti di Dio, di metterlo in obbligo mediante i suoi meriti, e rende chiaro, invece, che la salvezza finale del popolo consisterà nel perdono dei suoi peccati grazie alla misericordia totale del suo Dio.

28 . Rispetto all’evangelo (sono) nemici a causa di voi, rispetto invece all’elezione (sono) amati a causa dei padri. Sono due espressioni parallele, in opposizione tra loro. Nei confronti del progresso dell’evangelo l’Israele infedele è rimasto incredulo, nemico. Ciò ha permesso a voi, Gentili, di riconciliarvi con Dio e avere le benedizioni del vangelo. Ma per tutto il tempo in cui essi sono "nemici", sono anche "amati" da Dio rispetto all’elezione divina. Lo stato di nemici è temporaneo e cesserà quando crederanno, lo stato di amati è permanente perché Dio è fedele al proprio amore.

29 . Infatti senza pentimento (sono) i doni e la chiamata di Dio. L’amore e l’elezione da parte di Dio del popolo d’Israele non dipendono dai suoi meriti ma esclusivamente dalla fedeltà di Dio alle Sue stesse promesse. I doni e le promesse stesse sono immeritati. Dio ha scelto (eletto) questo popolo destinandolo ad un compito specifico, per adempiere una specifica funzione nella Storia, cioè essere veicolo di perdono e salvezza per l’umanità intera. Paolo è fermamente convinto che gli ebrei sono ancora amati da Dio, per quanto attualmente siano sotto il suo giudizio a motivo della loro incredulità e opposizione all’evangelo, e ciò non a motivo dei meriti (che non ci sono), ma della fedeltà di Dio.

Il progetto di Dio per l'umanità (11: 30-36). A questo punto Paolo rivela il progetto ultimo di Dio per il mondo: è un progetto di misericordia sia per i Giudei che per i Gentili. Il resto fedele non è stato scelto per poter mandare gli altri in perdizione, anzi, la sua elezione è un pegno, una garanzia, che la misericordia divina sarà estesa a tutti senza distinzione (cfr. 8:19-21).
Non si può fare a meno di notare, in queste parole di Paolo, un linguaggio universalistico. Si tratta, però, di universalismo escatologico, cioè la speranza che gli eletti saranno tutto il mondo e che la razza umana, nel suo sviluppo, arrivi alla salvezza completa. Paolo ha già detto (3:23) che tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio. Di fronte al tribunale divino sono stati dichiarati tutti colpevoli e nessuno, Giudeo o Gentile, può avanzare una qualche pretesa di assoluzione. Vi è speranza di salvezza solo nella grazia di Dio, speranza che viene offerta con abbondanza. Il proposito di Dio è di "rinchiudere " tutti insieme, Giudei e Gentili, in uno stesso luogo in cui la loro disubbidienza sia riconosciuta e resa evidente, così da concedere la Sua non meritata misericordia sia ai Giudei che ai Gentili.
Questo ragionamento porta Paolo a lodare Dio dal più profondo del suo essere. La dossologia dei versetti 35-36 non solo completa la sezione compresa fra i capitoli 9 e 11, ma chiude la prima parte della lettera, concludendo tutta l’argomentazione dei capitoli da 1 a 11.

30 . Come infatti voi una volta foste disubbidienti a Dio, e invece ora avete misericordia per (la) disubbidienza loro
31 . così anche questi ora sono disubbidienti a (causa della) vostra misericordia affinché anch’essi ora ottengano misericordia. Si tratta di un brano riepilogativo costruito su un parallelismo. Voi Gentili in passato eravate disubbidienti rispetto alla legge divina, ma ora la disubbidienza dei Giudei è stata per voi motivo di misericordia, poiché avete ricevuto e accettato l’Evangelo; essi, i Giudei, sono diventati disubbidienti perché, contrariamente a quanto avete fatto voi, hanno respinto la predicazione dell’Evangelo; ma la misericordia che voi avete ricevuto farà in modo che anch’essi, ravvedendosi e accettando l’Evangelo, ottengano misericordia come voi.
Esistono tuttavia divergenze fra gli studiosi in merito all’interpretazione di questi versetti. Esse sono sostanzialmente due: 1) coloro che interpretano la prima parte del v. 31 ( a causa della vostra misericordia, o, della misericordia da voi ottenuta ) nel senso che anch’essi ora sono stati  disubbidienti a causa della misericordia a voi usata, oppure così ora, mentre voi ora ricevete misericordia, questi si sono dimostrati disubbidienti; 2) la seconda interpretazione ritiene che il concetto dell’espressione per la misericordia a voi usata potrebbe voler dire che gli ebrei riceveranno misericordia mediante quella che è stata usata ai pagani, oppure, che essi riceveranno un tipo di misericordia simile a quello ricevuto dai pagani. La prima ipotesi è da preferirsi perché si armonizza meglio con il contesto.

32 . Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disubbidienza affinchè a tutti usasse misericordia. Questa è la spiegazione dei due versetti precedenti e riepiloga e conclude l’argomentazione degli ultimi tre capitoli (9-11). Viene anche ricapitolato il tema di tutta la prima parte dell’epistola. Tutti hanno peccato, di fronte a Dio non c’è neanche un "giusto", nessuno può pretendere nulla, tutti sono colpevoli, tutti sono stati disubbidienti. Ma lo scopo di Dio è di salvare tutti. Ciò non significa che tutti, alla fine, saranno salvati, buoni e cattivi, ma che Dio non applica ancora la condanna, alla quale nessuno scamperebbe, e offre la sua grazia, la sua misericordia ai disubbidienti. Questi, però, devono riconoscere il loro stato di colpevolezza, di disubbidienza, e accettare la grazia offerta per mezzo di Gesù Cristo.

33 . O profondità di ricchezza e sapienza e conoscenza di Dio, come sono insondabili i giudizi suoi e impenetrabili le sue vie. L’uso del termine profondità si rifà alle immensità abissali. Per l’idea della ricchezza si confronti 2:4 e 9:23. Alla luce di questi testi è probabile che Paolo stesse pensando all’abbondanza della misericordia e benevolenza di Dio. La sapienza è collegata con la ricchezza nella dossologia dell’Agnello in Ap. 5:12 (degno è l’Agnello, che è stato ucciso, di ricevere la potenza, la ricchezza, la sapienza, la forza, l’onore, la gloria e la benedizione ) che ci fa pensare trattarsi di dossologia normalmente usata nel culto. Con conoscenza s’intende l’amore divino che elegge e la cura amorevole che questa elezione comporta (se uno ama Dio, egli è da lui conosciuto 1 Cor. 8:3) si veda anche Gal. 4:9, 2 Tim. 2:19, 1Cor. 13:12. Proprio per questa profondità le vie di Dio, i Suoi piani e progetti non possono essere investigati dagli esseri umani, e così pure i suoi giudizi e i suoi interventi (o non interventi) nella Storia. Essi non sono conformi ai pregiudizi umani, e neppure dei credenti; essi sfuggono ai tentativi umani di poterli controllare. Con questa dossologia Paolo chiude la prima parte della sua lettera. Egli esprime sentimenti di stupore e di adorazione dinanzi al mistero dei piani divini, alla sua potenza. Misericordia e sapienza che si estrinsecano in un inno di lode, composto riallacciandosi liberamente a molte fonti che vanno dall’Antico Testamento all’apocalittica extra-biblica, dal giudaismo ellenistico al linguaggio del culto cristiano.

34 . Chi infatti ha conosciuto la mente del Signore? O chi suo consigliere è stato?
35 . O chi diede per primo a lui e avrà il contraccambio da lui? Le prime due domande sono una citazione di Isaia 40:13 secondo la versione dei LXX, presente anche in 1 Cor. 2:16. La terza non è una citazione vera e propria ma il suo scopo è quello di sottolineare l’impossibilità da parte umana di essere creditori nei confronti di Dio. Tutte e tre le domande esprimono l’autosufficienza trascendente di Dio.

36 . Poiché da lui e per mezzo suo e verso di lui (sono) tutte le cose. A lui la gloria per secoli. Amen. Con questa frase Paolo afferma che Dio, che ha agito in Gesù Cristo per redimere gli esseri umani, è il creatore, reggitore e sovrano, e il punto finale di ogni cosa.
 
Con questa dossologia Paolo chiude la prima parte della sua lettera. Esprimendo sentimenti di stupore e di adorazione dinanzi al mistero dei piani divini, alla Sua potenza, misericordia e sapienza che si estrinsecano in un inno di lode, composto da Paolo riallacciandosi liberamente a molte fonti che vanno dall’Antico Testamento all’apocalittica extra-biblica, dal giudaismo ellenistico al linguaggio del culto cristiano

L’uso del temine “profondità” ba¿qoj si rifà alle immensità abissali. Per l’idea della “ricchezza”
plou¿toj , si confronti 2,4 e 9,23. Alla luce di questi testi è possibile che Paolo stesse pensando all’abbondanza della misericordia e benevolenza di Dio. La sapienza è collegata con la ricchezza nella dossologia dell’Agnello in Ap 5,12 (degno è l’Agnello, che è stato ucciso, di ricevere la potenza, le ricchezze, la sapienza, la forza, l’onore, la gloria e la benedizione) che ci fa pensare che si tratta di dossologia normalmente usate nel culto. Per “conoscenza” s’intende l’amore divino che elegge, e la cura amorevole che questa elezione comporta (se uno ama Dio, egli è da Lui conosciuto – 1 Co 8,3), si veda anche Ga 4,9, 2 Ti 2,19, 1 Co 13,12.

Proprio per questa “profondità” le vie di Dio, i Suoi piani e progetti non possono essere investigati dagli esseri umani, e così pure i Suoi giudizi e i Suoi interventi (o non interventi) nella Storia. Essi non sono conformi ai pregiudizi umani, e neppure a quelli dei credenti; essi sfuggono ai tentativi umani di poterli controllare.