UMILTÀ

In una società in cui prevale un’esagerata autoaffermazione egoistica del proprio “IO” e l’esaltazione della propria personalità, la Parola di Dio, al contrario, ci insegna il sentimento dell’umiltà.

L’umiltà, non solo è quella virtù morale che richiama l’uomo al riconoscimento dei propri difetti e dei propri peccati e quindi ad un atteggiamento di sottomissione a Dio, ma è anche quel sentimento che ci permette di avere un giusto ed equilibrato rapporto con i nostri simili con i quali dobbiamo convivere quotidianamente, siano essi i fratelli della comunità di cui facciamo parte, siano essi i nostri vicini di casa, i nostri colleghi di lavoro, i nostri amici, i nostri parenti o qualsiasi altra persona con la quale veniamo in contatto.

Poiché Gesù ci esorta ad essere « sale della terra e luce del mondo», anche in questo campo, come cristiani, siamo tenuti a dare il nostro esempio di persone umili che tengano nella giusta considerazione, non soltanto le proprie esigenze, ma anche quelle degli altri.

Il vocabolo greco generalmente usato nel Nuovo Testamento per indicare la per­sona umile è “tapeinós ” da cui deriva il termine dispregiativo italiano di tapino, cioè una persona meschina, piccola, infima, umile non per sua libera scelta, ma perché co­strettavi dalle vicende della vita o dalla sue condizioni di povertà e di ignoranza. Que­sto era anche il significato originario che i greci davano alla parola “ tapeinós ” con la quale indicavano gli schiavi e gli strati più bassi della società.

Nella Parola di Dio, questo termine non ha più un senso dispregiativo, ma viene usato per indicare quelle persone privilegiate verso cui Dio rivolge la propria atten­zione per proteggerli dalle prepotenze degli uomini malvagi. Per questo motivo il sal­mista nel Salmo 10, 17-18 si rivolge a Dio in preghiera con queste parole: « O Eterno, tu dai ascolto al desiderio degli umili; tu rafforzi il loro cuore, le tue orecchie sono attente, per far ragione all’orfano e all’afflitto, affinché l’uomo fatto di terra smetta di incutere timore ».

Davide, nel Salmo 138, 6, ci dice che l’Eterno, nonostante le sue doti di gran­dezza e di sovranità, ha un occhio particolare verso gli umili, mentre tiene lontani da sé i superbi: « Anche se l’Eterno è eccelso, egli ha riguardo degli umili, ma il su­perbo lo conosce da lontano».

Nel libro dei Proverbi (3, 34) troviamo scritto che Dio concede la sua grazia agli umili, mentre si oppone agli schernitori, a coloro cioè che, con superbia, resistono alla Sua Parola: « Certamente egli schernisce gli schernitori, ma fa grazia agli umili ». Tale passo acquista una particolare importanza perché viene ripreso anche da Gia­como e da Pietro nelle loro rispettive lettere.

Giacomo lo usa al cap. 4, 6 a sostegno di alcune sue esortazioni sulla necessità di resistere alle passioni che guerreggiano nelle nostre membra. Per superare queste passioni è necessario essere amici di Dio e non del mondo; l’amicizia del mondo in­fatti è inimicizia contro Dio e ci porta lontani da Lui, mentre se noi dimostriamo la nostra umiltà sottoponendoci a Dio, egli ci allontanerà dal male e ci eleverà verso di Lui (Gc 4, 1-10). L’umiltà quindi è vista qui da Giacomo, in perfetta armonia con l’autore del libro dei Proverbi, come un atteggiamento strettamente collegato alla no­stra salvezza: se non saremo abbastanza umili da riconoscere la nostra debolezza di peccatori e altrettanto umili da ravvederci e cambiare la nostra vita per porla al servi­zio di Dio, Egli non potrà avvicinarsi a noi e salvarci.

Anche l’apostolo Pietro prende spunto da Prov. 3, 34 per invitarci in 1 Pt 4, 5-6 a rivestirci di umiltà. Tale sentimento deve essere quello che contraddistingue i nostri rapporti all’interno della comunità: gli anziani non devono esercitare il loro servizio pastorale all’interno della comunità malvolentieri, per guadagno e in maniera autoritaria, ma dando essi stessi per primi l’esempio; i giovani d’altra parte devono a loro volta manifestare la loro umiltà stando sottomessi agli anziani. Ma tutti in ogni caso devono essere sottomessi gli uni agli altri in un vero ed autentico rapporto d’amore e di fratellanza per lo sviluppo armonioso di tutto il Corpo di Cristo. Soltanto in questo modo noi manifesteremo la nostra umiltà verso Dio che non mancherà a suo tempo di elevaci verso di Lui. In Pietro umiltà, salvezza ed un coerente rapporto d’amore all’interno della comunità sono strettamente intrecciati fra di loro in modo tale che non si può veramente essere sottomessi a Dio se non riusciamo ad essere prima di tutto sottomessi gli uni agli altri; e non si può dimostrare di essere umili nei confronti di Dio, se non riusciamo ad essere umili verso i nostri fratelli.

L’umiltà viene considerata dalla Parola di Dio sotto tre aspetti fondamentali:

1) L’umiltà nei confronti di Dio che consiste in quell’atteggiamento di sottomissione o disposizione d’animo per cui l’uomo, cosciente della debolezza della sua natura e quindi dei suoi difetti e peccati, si mantiene su un piano di inferiorità rispetto a Dio ed è pronto ad accogliere la sua proposta di salvezza. Senza questo atteg­giamento o questa disposizione d’animo, ben difficilmente Dio potrà salvarci.

2) L’umiltà nei confronti dei propri fratelli in fede : nessuno è’ superiore all’altro, ma tutti ci troviamo sullo stesso piano, perché tutti abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio per superare la nostra debolezza ed essere salvati. Non c’è fra noi chi possa vantare qualche diritto di superiorità rispetto agli altri. Se qualcuno ha ricevuto un dono particolare da Dio, non deve usarlo per far valere la sua autorità sugli altri, ma deve mettere questo dono al servizio degli altri.
Gesù per primo ci ha dato l’esempio, presentando sé stesso come una persona umile. In Matteo 11, 29 ci dice infatti: « . . . imparate da me, perché io sono mansueto ed umile di cuore . . . ». Quando la madre dei figli di Zebedeo chiede a Gesù di fare sedere i suoi due figli uno alla destra ed uno alla sinistra di Gesù nel nuovo re­gno che egli avrebbe stabilito, Gesù raccoglie intorno a sé i suoi discepoli ed appro­fitta di questa circostanza per dare a loro ed a tutti noi un insegnamento fonda­mentale di umiltà (Matteo 20, 25-28).
Nel vangelo di Giovanni tale insegnamento viene collegato al gesto di Gesù che lava i piedi dei suoi discepoli. I profeti dell’Antico Testamento avevano l’abitudine di fare precedere il loro insegnamento da un gesto simbolico. Allo stesso modo Gesù, il profeta per eccellenza, compie questo gesto per insegnare quell’atteggiamento e quel sentimento di umiltà che deve regnare nella chiesa fra i suoi membri, specialmente fra coloro a cui Dio ha dato dei doni speciali (Giovanni 13, 12-15).
L’invito di Gesù a seguire il suo esempio e lavare i piedi gli uni agli al­tri, non significa ripetere oggi letteralmente il gesto simbolico di Gesù, come fanno alcune denominazioni cristiane: lavare i piedi gli uni agli altri significa ser­vire gli uni agli altri; significa mettere i propri talenti al servizio della comunità; si­gnifica non esercitare un ufficio in maniera autoritaria, ma come un servizio da compiersi verso i nostri fratelli (1 Pietro 4, 10). In questo senso noi dobbiamo essere sottomessi gli uni agli altri. Ripetere oggi il gesto di Gesù della lavanda dei piedi diventa una cerimonia liturgica vuota di significato, specialmente poi quando questo gesto non corrisponde alla realtà dei fatti.

3) Umiltà nei confronti di coloro che non fanno parte della comunità . Molto spesso c’è la tendenza in molti di noi ad assumere un atteggiamento di superiorità nei con­fronti di coloro a cui ci capita di predicare la parola di Dio.

Molto spesso noi sa­liamo in cattedra ed assumiamo un atteggiamento di sufficienza ed a volte anche di malcelato disprezzo verso coloro che non riescono a comprendere la nostra predica­zione.

Dobbiamo essere molto cauti nell’affermare categoricamente che noi soli possediamo la verità e tutti gli altri sono nell’errore e nel peccato. Noi, come diceva l’apostolo Paolo, siamo semplicemente degli ambasciatori di Dio (2 Corinzi 5, 20) e non pos­siamo quindi in alcun modo sostituirci a Lui. Solo Dio possiede la verità; solo Cri­sto poteva dire: « Io sono la via, la verità e la vita». Dobbiamo quindi avere l’umiltà di non sostituirci al Giudice Supremo sentenziando al suo posto, ma dob­biamo semplicemente, come ambasciatori di Dio, portare alla gente, al nostro pros­simo, la Buona Notizia che ora Dio è disposto a salvare anche loro, se lo vogliono. E la strada di questa salvezza è aperta a tutti gli uomini, qualunque siano i loro peccati, purché si ravvedano e seguano le orme del Grande Maestro, Gesù Cristo e gli insegnamenti che ci sono stati trasmessi nel Nuovo Testamento, per mezzo dei suoi santi apostoli (santi naturalmente nel senso che sono stati messi a parte da Dio per portare al mondo la buona notizia della salvezza in Cristo).

Nel rivol­gerci alle persone che non credono e che si trovano nel peccato e nella morte spiri­tuale, dobbiamo seguire il consiglio che Paolo diede a suo tempo al giovane evan­gelista Timoteo (2 Timoteo 2, 24-26).

Anche l’apostolo Pietro ci esorta ad essere sempre pronti a rispondere a chiunque ci chieda conto della speranza che è in noi, ma con dolcezza e rispetto (1 Pietro 3, 15-16. Egli ci insegna che più delle nostre parole è il nostro esempio che può indurre le persone a convertirsi (1 Pietro 2, 11-12).

Dobbiamo stare molto attenti a non cadere nello stesso comportamento di autoesaltazione in cui venne a trovarsi nel tempio il fariseo nei confronti del pubblicano. Gesù non approvò il fariseo che guardava dall’alto della sua presunzione il pubblicano peccatore, commentando tale superbia con le seguenti parole: « Chiunque si innalza sarà abbassato e chi si abbassa sarà innalzato » (Luca 18, 10-14)

Vorrei infine concludere questa riflessione sull’umiltà con le bellissime parole che Paolo scrisse ai Filippesi 2, 1-5.

Viviamo purtroppo in una cultura nella quale viene dato troppa importanza alla propria personalità. Secondo questa mentalità, è importante soltanto ciò che riguarda me, i miei affari, le mie cose, la mia vita, la mia salute; ciò che riguarda gli altri esula dal mio interesse e non mi sfiora più di tanto.Anche noi inconsapevolmente subiamo attraverso la radio, la televisione, i giornali, l’influenza di questo modo di vedere la vita, per cui è importante soltanto ciò che accade a me. L’ “IO” è al centro del nostro universo, il “tu” occupa uno spazio molto ridotto e marginale.

Noi spesso trasferiamo questo modo di pensare e di vedere la vita anche nella nostra comunità. Questo fatto crea at­triti e problemi che potrebbero essere evitati se nel nostro cuore e nella nostra mente ci fosse più spazio e più considerazione verso il fratello e la sorella che siedono ac­canto a noi. Questo non solo fa bene ad una proficua e serena vita comunitaria, ma può essere gratificante anche per noi stessi, in quanto Gesù disse: « C’è maggior felicità nel dare che nel ricevere» (Atti 30, 35). Perciò, fratelli e sorelle, come dice Paolo ai Filippesi: Non facciamo nulla per rivalità o vanagloria, ma con umiltà cerchiamo di stimare gli altri più di noi stessi. Non cerchiamo soltanto il nostro interesse, ma anche quello degli altri.