INTRODUZIONE AI VANGELI
CAPITOLO VIII°

IL VANGELO SECONDO GIOVANNI
Stile letterario del quarto Vangelo

Strettamente collegato con il problema dell’autore è quello dello stile letterario del quarto vangelo. Alcuni studiosi infatti pensano che questo vangelo sia stato scritto da un ellenista e quindi escludono che possa essere stato scritto dall’apostolo Giovanni. Se esaminiamo però anche superficialmente il vangelo secondo Giovanni, ci accorgiamo subito che lo stile di questo vangelo rivela indubbiamente una mentalità semitica:

a) Vengono usati frequentemente nomi semitici che l’autore traduce abitualmente:
– Rabbi (che tradotto vuol dire maestro) (Gv 1, 38)
– Rabbuni che significa: Maestro (Gv 20, 16)
– Messia che, tradotto vuol dire: "Il Cristo" (Gv 1, 41)
– Cefa, che vuol dire sasso (Gv 1, 42).

b) L’evangelista ricorre anche ad espressioni semitiche quali:
– Credere nel nome (Gv 1, 12; 2, 23; 3, 18; ecc.)
– Praticare la verità (Gv 3, 21)
– sperma = seme (nel senso di discendenza, progenie - Gv 7, 42; 8, 33.37)
– uios = figlio (preso nel senso di appartenenza, relazione - Gv 10, 36; 13, 2; 17, 12).

Tra le forme semitiche più caratteristiche del quarto vangelo notiamo:

a) La paratassi. È una costruzione particolare del periodo in cui le varie proposizioni non sono subordinate le une alle altre, ma semplicemente collegate fra loro dalla congiunzione "e" (in greco: kai). Il greco ama la subordinazione delle proposizioni la quale consente una maggiore articolazione del pensiero indicandone lo sviluppo e facendone vedere i nessi tra le varie componenti. Per esempio il periodo: "parlando, rideva" con la paratassi diventa: parlava e rideva. Questo esempio prende in considerazione un periodo breve, ma Giovanni procede per paratassi anche su periodi molto lunghi, come ad esempio nel racconto del cieco nato (Gv 9, 6s) dove troviamo questo modo di esprimersi: « Sputò in terra . . . e fece . . . e impiastrò . . . e disse . . .  ecc.»; oppure in Gv 17, 10s: «E tutte le cose mie sono tue, e le cose tue sono mie e io sono glorifi-cato in loro. E io non sono più nel mondo, ed essi sono nel mondo, e io vengo a te . . . ». Generalmente questo modo di procedere scompare nelle traduzioni per rendere la lettura più scorrevole.

b) Asindeto. Si tratta di proposizioni che vengono affiancate l’una all’altra senza unirle fra loro con la congiunzione "e" (kai). Questo modo di procedere ricorre in questo vangelo molto più frequentemente che non nei sinottici. Ci sono vari esempi, ma basta vederne uno per tutti in Gv 12, 36b: «Queste cose disse Gesù; poi se ne andò e si nascose da loro ». Nella traduzione, per rendere più scorrevole il discorso è stata inserita la congiunzione e fra i verbi "se ne andò" e "si nascose", mentre nell’originale greco manca tale congiunzione, per cui letteralmente si dovrebbe tradurre: «se ne andò si nascose da loro».

c) L’uso della particella oun (dunque). Nel quarto vangelo questa particella è usata molto frequentemente. Delle 300 volte circa che è usata in tutto il Nuovo Testamento, ben 190 volte circa la troviamo nel quarto vangelo. Quello che però è strano è che essa ha perduto in questo vangelo il suo valore consecutivo; non ha il significato di "dunque o per conseguenza", ma costituisce un semplice nesso narrativo per unire un episodio all’altro. Possiamo vedere qualche esempio di questo inconfondibile tratto dello stile giovanneo in Gv 18, 12. 19. 28. Nella traduzione del Diodati troviamo le parole "allora", "or", "poi", ma in greco abbiamo sempre la particella "oun" (= dunque).

d) Uso dichiarativo delle particelle greche ina e oti . Queste particelle, che sono il corrispondente italiano di affinché, avrebbero un senso finale, causale,  ma, in Giovanni assumono invece un semplice significato dichiarativo che può essere sostituito nelle traduzioni anche con i due puntini (per oti Gv 3, 19; per ina Gv 6, 29).

Oltre a questi elementi caratteristici del vocabolario greco di Giovanni, egli si distingue anche dagli altri vangeli per la semplicità del linguaggio e per la brevità dei periodi che si susseguono e si sospingono l’un altro come le onde del mare.

Procedimenti letterari

Il quarto vangelo si caratterizza anche per alcuni particolari procedimenti letterari che lo distinguono notevolmente dagli altri scritti evangelici. Vediamo di esaminarne alcuni fra i più importanti:

a) La inclusione. Che cos’è l’inclusione? È quel procedimento letterario che si verifica quando la parte conclusiva di un brano o di una sezione richiama e si ricollega per la forma espressiva e per il pensiero a quella iniziale. In tal modo l’autore distingue le diverse unità o sezioni letterarie tracciandone il confine. Con questo procedimento l’autore vuole informare il lettore che la sezione del suo brano si conclude richiamando ciò che aveva detto all’inizio della sezione stessa. Per esempio abbiamo una inclusione sul discorso del pane di vita che si apre con la seguente affermazione: «I nostri padri mangiarono la manna nel deserto. Come è scritto: "Egli diede loro da mangiare del pane venuto dal cielo" » (Gv 6, 31) e si conclude con queste parole al versetto 58: « Questo è il pane che è disceso dal cielo; non come la manna che mangiarono i vostri padri e morirono; chi si ciba di questo pane vivrà in eterno» (Gv 6, 58). Come si può vedere il discorso inizia e si conclude con lo stesso richiamo ai padri che mangiarono la manna, pane disceso dal cielo. Le forme di inclusione a volte possono interessare la stessa struttura del vangelo, così, ad esempio, per alcuni studiosi l’accenno al primo (Gv 2, 11) ed al secondo miracolo di Cana (Gv 4, 54; cf 4, 46) sono considerati come una inclusione. Allo stesso modo per altri esegeti il duplice accenno all’agnello (pasquale) in Gv 1, 29 e Gv 19, 36 costituisce un’inclusione assai significativa, poiché all’inizio e alla fine della vita pubblica di Gesù si afferma che egli è il vero agnello pasquale.

b) Il chiasmo. La parola chiasmo significa incrocio. È un procedimento letterario caratteristico che può anche essere detto parallelismo in senso inverso, in quanto tale parallelismo non si articola con proposizioni di senso affine che si susseguono, ma si struttura in proposizioni di contenuto simile che si trovano agli estremi (inizio e fine) dell’unità letteraria e convergono nella proposizione centrale della stessa unità letteraria. Come esempio si potrebbe portare il testo di Gv 6, 36-40 disposto in maniera tale da poter illustrare concretamente questo procedimento letterario:
 

36 Ma io ve l’ho detto: voi mi avete visto, ma non credete.
40 Questa infatti è la volontà di colui che mi ha mandato: che chiunque viene alla conoscenza del Figlio e crede in lui, abbia vita eterna, e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
37 Tutto quello che il padre mi dà verrà a me; e colui che viene a me, io non lo caccerò fuori. 
39 E questa è la volontà del Padre che mi ha mandato; che io non perda niente di tutto quello che il Padre mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno.
38 perché io sono disceso dal cielo, non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.

La presentazione chiastica delle proposizioni appare dalla loro disposizione condizionata al procedimento del parallelismo in senso inverso per il quale i concetti che si corrispondono sono ordinati secondo il seguente quadro:

v. 36: Vedere e non credere
v. 40: Vedere e credere
v. 37: Non gettare fuori ciò che il Padre ha dato al Figlio
v. 39: Non perdere nulla di ciò che il Padre ha dato al Figlio
v. 38: Io sono disceso dal cielo per fare la volontà del Padre.

Il chiasmo serve a mettere in evidenza il punto centrale del discorso che troviamo al v. 38 e cioè il fatto che Gesù è disceso dal cielo per fare la volontà del Padre. Da questo fatto importante deriva il vedere e credere o non credere (v. 36), ma chi vede e crede avrà la vita eterna e sarà risuscitato nell’ultimo giorno (v. 40). Per questo motivo Gesù non getta fuori ciò che il Padre gli ha dato (v. 37), anzi, non solo non perde nulla, ma ciò che il Padre gli ha dato lo risusciterà nell’ultimo giorno (v. 39). Come si può constatare le affermazioni dei versetti 36 e 37, dopo l’insegnamento centrale del v. 38 che Gesù è venuto per fare la volontà del Padre, vengono riprese e portate ad un livello più elevato nei versetti 39 e 40.

c) Il doppio senso. In Giovanni ricorrono termini ed espressioni che racchiudono un doppio senso. Per esempio in Gv 3, 3 l’avverbio greco "anothen" può essere tradotto "di nuovo", oppure "dall’alto". Il che si accorda bene con il significato spirituale di "nuova nascita" che non va intesa come una nuova nascita fisica, ma come una nascita che viene dall’alto, cioè da Dio. L’espressione "acqua viva" che troviamo in Gv 4, 10-11, può significare anche "acqua corrente".

d) Il malinteso. Nel quarto vangelo varie dichiarazioni di Gesù che si riferiscono a verità spirituali e celesti, vengono intese in senso materiale e sono riferite a realtà fisiche e terrene; si vede apertamente da ciò che l’evangelista ricorre alla tecnica del malinteso che gli consente di far progredire il dialogo e di precisare meglio l’insegnamento di Cristo. Il Maestro parla a Nicodemo della necessità di nascere di nuovo o nascere dall’alto e questi intende che si debba nascere in senso fisico rientrando nel seno materno (Gv 3, 4). Con la Samaritana Gesù parla dell’ "acqua viva" che egli può offrire; la donna intende questa affermazione in senso materiale e pensa che sia impossibile per lui attingere dell’acqua corrente dal pozzo per darla da bere a lei, in quanto il pozzo è profondo e Gesù non ha alcun mezzo a portata di mano per attingerla (Gv 4, 10-11). Nel discorso sul pane della vita Gesù parla del Padre, che dà il vero pane che discende dal cielo; anche qui gli ascoltatori intendono l’affermazione di Gesù in senso materiale e pensano che egli stia parlando di un pane che toglie la fame (Gv 6, 32-34). Allo stesso modo la dichiarazione fatta da Gesù in occasione della cacciata dei profanatori del tempio: « Distruggete questo tempio e in tre giorni io lo ricostruirò » (Gv 2, 19), viene intesa in senso materiale dai presenti.

e) L’ironia. Il quarto evangelista ricorre spesso a questo procedimento letterario facendo parlare in tono ironico e quasi sarcastico gli interlocutori e gli avversari di Gesù. Evidentemente l’ironia per l’evangelista ha lo scopo di porre maggiormente in luce, anche se in forma indiretta, le caratteristiche del Salvatore. La Samaritana, ad esempio, quando Gesù vuole offrirle l’acqua viva, gli replica con un accento misto di incredulità e di ironia: « Sei tu forse più grande di Giacobbe, nostre padre, che ci diede questo pozzo e ne bevve egli stesso, i suoi figli e il suo bestiame? » (Gv 4, 12). Alla dichiarazione di Gesù: « Là dove vado io, voi non potete venire » (Gv 8, 21), i Giudei rispondono: « Vuole forse uccidersi, perché dice: "Dove vado io voi non potete venire?" » (Gv 8, 22). Altri esempi di ironia li troviamo in Gv 7, 34-35. 41-42.

f) Note esplicative. Il quarto vangelo infine è caratterizzato da un certo numero di note esplicative inserite dall’autore nel corso dei suoi racconti. Tali note hanno scopi differenti: alcune interpretano i nomi (Gv 1, 38.42), altre spiegano i simboli (Gv 2, 21; 12, 33; 18, 9); altre rettificano eventuali malintesi (Gv 4, 2; 6, 6), altre richiamavano fatti precedenti (Gv 3, 24; 11, 2), altre infine precisano l’identità di personaggi ricordati precedentemente (Gv 7, 50; 21, 20). Le note esplicative rivestono una particolare importanza per la critica letteraria; esse infatti consentono di constatare e di valutare l’attività redazionale del quarto evangelista.

Alcuni studiosi, a causa dei dati linguistici che abbiamo appena esaminati, hanno pensato che il quarto vangelo sia stato originariamente scritto in aramaico e poi tradotto in greco. Questa ipotesi però è poco sostenibile sia perché non si hanno testimonianze antiche che la confermino, sia perché gli aramaismi ed i semitismi del quarto vangelo, come quelli degli altri vangeli, vanno attribuiti alle tradizioni evangeliche dalle quali i vangeli stessi dipendono. La lingua greca del quarto vangelo, che presenta fra l’altro molte affinità con quella delle tre lettere di Giovanni, è sostanzialmente buona e corretta, anche se l’autore manifesta una mentalità semitica. In più il greco del quarto vangelo conosce anche delle forme e delle espressioni di genuina grecità. Questo fatto conferma ulteriormente che la lingua del quarto evangelo è un greco di composizione e non di traduzione.

Si può quindi riassumere la discussione concludendo che l’autore del quarto vangelo fu un semita che pensava in aramaico, pur scrivendo in greco. Alcuni ammettono che per i discorsi abbia usato una forma aramaica, in quanto è in essi, che più degli altri brani, appaiono gli elementi aramaici. Ma non si può forse supporre che nei discorsi più che nei racconti l’autore abbia conservato lo stile proprio del genio semitico, e ricostruito il ritmo orale delle stesse parole di Gesù? Il che bene si accorderebbe con l’origine del vangelo dall’apostolo Giovanni che, pur avendo scritto il vangelo ad Efeso, dove si parlava greco, di fatto crebbe in Palestina in un ambiente prettamente semitico.