INTRODUZIONE AI VANGELI
CAPITOLO VIII°

IL VANGELO SECONDO GIOVANNI
Conoscenze geografiche del quarto Vangelo

Un’ulteriore conferma che la paternità del quarto vangelo può essere attribuita all’apostolo Giovanni, ci viene offerta dalla conoscenza che egli dimostra del territorio palestinese, specialmente della Giudea. E’ noto che il quarto vangelo, pur sapendo che Gesù fu in Galilea e vi esercito il suo ministero, si sofferma, a differenza dei sinottici, quasi esclusivamente sull’attività di Gesù in Giudea, trascurata quasi del tutto invece dagli altri vangeli. Conosce egli questi luoghi oppure no?

I recenti studi compiuti in campo geografico hanno messo in risalto la perfetta conoscenza geografica di Giovanni, specialmente per la Giudea meridionale. Il suo vangelo ricorda infatti una dozzina di località che non sono nominate dai sinottici.

1. Galilea

Cana di Galilea è probabilmente Khirbet Qana, situata circa 16 chilometri a nord di Nazaret, dove giacciono le rovine di un antico villaggio. Siccome l’ufficiale che chiede la guarigione del suo figlio dimorava a Cafarnao, a livello del lago, si vede che Cana era posta assai più in alto, per cui è naturale e logica l’insistenza con cui il militare chiede a Gesù di « scendere» a casa sua: « Lo pregò di scendere e di guarire suo figlio »; «Signore, scendi prima che il mio ragazzo muoia»; « E come già stava scendendo i suoi servitori gli vennero incontro » (Gv 4, 46-54).

2. Samaria

E’ interessante l’incontro con la samaritana. Le indicazioni geografiche sono precise: « Arrivò dunque in una città della Samaria chiamata Sichar, vicino al podere che Giacobbe aveva dato a Giuseppe, suo figlio. Or qui c’era il pozzo di Giacobbe e Gesù, affaticato dal cammino, sedeva così presso il pozzo. Era circa l’ora sesta (mezzogiorno)». Giunse una samaritana; Gesù le chiese da bere e poi le disse che lui stesso aveva dell’acqua viva da offrirle. « Ma la donna samaritana gli disse: "Signore, tu non hai neppure un secchio per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva?"» (Gv 4, 5.11). Il pozzo era infatti uno dei più profondi della Palestina.

Stando seduto sul bordo lo sguardo poteva spaziare sul monte Garizim, a ovest, dove era edificato il tempio dei Samaritani, ancora visibile, e verso sud est, sulla pianura con il grano pronto per essere mietuto (v. 35). Lo scrittore era un uomo che ben conosceva i luoghi. L’unico problema stava nel nome Sichar, ignoto altrove e che si voleva identificare con Askar un piccolo villaggio un po’ lontano a settentrione del pozzo. Tuttavia questo villaggio è del tutto recente e privo di segni che ci facciano sospettare una vita più antica. Nel 1913 un gruppo di archeologi tedeschi iniziarono gli scavi nel Tell Balatah, accanto alla fonte di Giacobbe e si accorsero con meraviglia che essa andava identificata con la biblica Shechem, che si soleva identificare con la moderna Naplusa. Ora nell’antica versione siriaca dei vangeli al posto di Sichar si legge Shechem (Gv 4, 5). Questa grafia è preferibile e risulta confermata da Girolamo il quale scriveva che Sichar non è altro che un errore del testo per Sichem (Quaestiones in Genesim 48, 22, PL 23, 1055). Tale luogo si adatta meglio all’incontro della donna con i Samaritani. Gesù risalendo dal sud al nord si ferma al pozzo che è circa mezzo miglio a mezzogiorno della città Sichem (Tell Balatah), dove i discepoli andarono a comperare il cibo.

Enon (Aenon). Mentre Gesù battezzava nella Giudea, il Battista attuava la sua predicazione a «Enon, vicino a Salim, perché là vi c’era abbondanza di acqua» (o meglio «vi erano molte polle d’acqua » Gv 3, 23s). L’ubicazione del luogo è tuttora assai discussa: la si pone tradizionalmente al limite meridionale della Galilea a 12 Km a sud di Beisan (Beshean o Scitopoli). Infatti Eusebio afferma: « Enon, dove battezzava Giovanni, è situata presso Salim, e può essere indicata ancor oggi a circa otto miglia da Scitopoli nella parte meridionale, vicino a Salim e al Giordano» (Onom 41, 1-3). Accolta pure dalla mappa-mosaico di Madaba, fu visitata dalla pellegrina Egeria che parla di un orto incantevole chiamato "orto di S. Giovanni", al centro del quale vi era una sorgente di acqua pura e ottima che formava un laghetto dove i monaci delle vicinanze andavano a fare il bagno. I beduini chiamano un luogo vicino con il nome di Salim, quivi abbondano le sorgenti.

Recentemente si è suggerito il luogo dove si trova in Samaria la sorgente di Ainun a sud dello Wadi el-Farah, distante circa 10 Km dal villaggio di Salim, a 6 Km ad est di Naplus (Naplusa). Qui vi erano molte polle o sorgenti di acqua che potevano essere usate per i molti battesimi. Qui il Battista si era rifugiato da Betania, forse per sfuggire all’ira di Erode Antipa. Se si accetta questa seconda identificazione (purtroppo non del tutto sicura), si spiegherebbe meglio il detto di Gesù agli apostoli circa i Samaritani: « Altri hanno faticato e voi siete entrati nella loro fatica » (Gv 4, 38). La messe che ora essi raccolgono era stata seminata da Giovanni (Gv 4, 39.41). Si comprenderebbero meglio anche certe caratteristiche della religione samaritana attestata nei primi secoli dell’era cristiana che si ricollega alla predicazione di Giovanni e al movimento battista.

3. Gerusalemme

Di Gerusalemme il quarto vangelo ricorda la piscina di Siloe (Siloam), dove il cieco doveva lavarsi per essere guarito (Gv 9, 7); il «torrente Kedron», detto cheimarros dall’autore, termine che designa uno wadi, vale a dire un torrente ricco d’acqua durante il periodo delle piogge, ma probabilmente asciutto in aprile, quando i discepoli lo attraversarono (Gv 18, 1). Questi nomi non creano alcuna difficoltà in quanto sono assai noti da molti altri passi biblici.

Portico di Salomone. «Si celebrava allora a Gerusalemme la festa della Dedicazione, ed era inverno. E Gesù passeggiava nel tempio, sotto il portico di Salomone» (Gv 10, 22s). Vi sono seri dubbi circa la sua esistenza dal momento che, secondo Giuseppe Flavio (Antichità Giudaiche 20, 7, 9), si trovava sul lato orientale del colonnato che circondava il cortile esterno del tempio. I particolari di Giovanni sono assai naturali: Gesù vi aveva cercato riparo contro il mal tempo perché «era inverno » e precisamente ricorreva la festa della Dedicazione. Questa festa non mosaica, istituita al tempo dei Maccabei, coincideva appunto con l’inverno, così come per noi il Natale fa pensare alla neve e la Pasqua alla primavera. Si tratta di indicazioni che non hanno alcun legame con il racconto e sono il semplice ricordo di un testimone oculare che ripensa al freddo e alla festa.

Betesda . «Or a Gerusalemme, vicino alla porta delle pecore, c’è una piscina, detta in ebraico Betesda, che ha cinque portici» (Gv 5, 2). E’ la famosa piscina dei cinque portici che in passato si riteneva un’invenzione di Giovanni, tanto più che la tradizione manoscritta, assai incerta, presentava altri nomi: Bezata, Belzeta, Betsaida. Ma gli scavi, iniziati dal Padri Bianchi nell’anno 1878, a circa un chilometro a settentrione del tempio e ripresi nel 1931 e 1932, misero in luce una piscina doppia, circondata da portici ai quattro lati, con un portico centrale largo 6 metri e mezzo che divideva la piscina in due, una più alta e l’altra un po’ più bassa. Ecco così chiarito l’enigma dei cinque portici. Questa stessa piscina è pure ricordata nel "Rotolo di rame" rinvenuto tra i reperti di Qumran, dal quale viene confermata sia l’esattezza di Giovanni, sia il nome di Betesda. La piscina doveva essere profonda sedici metri; il paralitico che stava sul portico di mezzo doveva essere portato nella vasca e anche sostenuto a galla durante l’immersione perché non annegasse; di qui la difficoltà ad arrivare per primo. L’acqua doveva essere intermittente; quando il serbatoio nella montagna si riempiva allora rifluiva nella piscina portando sali e gas salutari per le malattie (= angelo). Secondo un interessante studio di A. Duprez, vi sarebbe stato sul luogo, ad opera specialmente dei soldati romani stanziati lì vicino, un luogo di culto al dio guaritore Asclepio, con la piscina per le immersioni Popolarmente (nel culto ibrido popolare) si attribuiva la cura a «un angelo del Signore (Dio)»; Giovanni al salvatore locale oppone Gesù come il vero e proprio guaritore che può dare la salute; per cui il paralitico diviene "ugiês" (= guarito).

Lastricato . «Pilato dunque, udite queste parolese liberi costui, tu non sei amico di Cesare; chiunque si fa re, si oppone a Cesare » v. 12), condusse fuori Gesù, e si pose a sedere in tribunale (bêma) nel luogo detto "Lastricato" e in ebraico "Gabbatà" » (Gv 19, 13) (Gabbatà significa altura). Doveva trattarsi di un cortile lastricato posto nella sede del governatore. Fino a poco fa (e ancora oggi dal Benoit) si pensava che doveva trovarsi nel palazzo di Erode, dove questi aveva fissato la sua dimora nel 65 d.C. (De Bello judaico 2, 14, 2). Ma non si trovò alcuna traccia di pavimentazione. Poco dopo il 1930 L.H. Vincent iniziò delle ricerche nella Torre Antonia, eretta affianco del tempio perché i governatori vi sorvegliassero l’attività e individuassero subito le possibili agitazioni. Ora proprio in quella zona si rinvenne un cortile lastricato di oltre 2000 metri quadrati, posto su di un terreno roccioso elevato; di qui la denominazione di Gabbatà o "altura". Ora ciò conferma le cognizioni topografiche di Giovanni che doveva ben conoscere quei luoghi. I Giudei, per non contaminarsi non entrarono nella Torre Antonia, ma si fermarono al colonnato dell’entrata nella corte. Pilato doveva perciò entrare nella torre per interrogare Gesù, e poi uscire nel cortile per parlare con i Giudei; in seguito vi fa presentare Gesù dopo la sua incoronazione di spine e vi fa portare il bêma o sedia del giudizio per condannare Gesù nello stesso cortile.

Betania ad est del Giordano . « Queste cose avvennero in Betania, al di là del Giordano, dove Giovanni battezzava » (Gv 1, 28). Giaceva nella Perea, sottoposta ad Erode Antipa, dove Gesù incontrò il Battista e fu battezzato. Qui Gesù tornò di nuovo durante l’ultima opposizione di Gerusalemme: « Essi cercarono nuovamente di prenderlo, ma egli sfuggì dalle loro mani. E se ne andò di nuovo al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava; e si fermò qui. Or molti vennero da  Lui » (Gv 10, 39ss). Un luogo per battezzare non è facile da identificare e difatti tale nome non è ancora stato individuato. Tuttavia è ben verosimile che sia esistita, tanto più che non presentava alcun valore simbolico e si connette assai bene con la conoscenza dei luoghi posseduta dall’evangelista.

Efraim . Dopo che i Giudei fecero dei piani per uccidere Gesù, egli « perciò non si aggirava più pubblicamente fra i Giudei, ma si ritirò nella regione vicino al deserto, in una città detta Efraim, e li rimase con i suoi discepoli» (Gv 11, 54). Sembra che il luogo vada identificato con El Taiybeh, 4 miglia a nord-est di Betel, dal quale si gode uno stupendo panorama sul deserto di Giuda e sulla profonda depressione giordanica, a circa 20 miglia a nord di Gerusalemme. Va osservato che gran parte di questi particolari non hanno valore simbolico, per cui l’autore, che al contrario ama i simbolismi dei suoi racconti, non aveva alcuna ragione di riferirli, qualora non si fosse trattato di dati strettamente storici e di ricordi della sua esperienza personale. Era quindi nel giusto B.F. Westcott quando affermava che Giovanni si muove in un paese che conosce assai bene. Ora tutto ciò si accorda con l’origine del vangelo dall’apostolo Giovani.

Vita di Giovanni

Molte sono le prove e le testimonianze che ci portano ad individuare l’autore del quarto vangelo nella persona dell’apostolo Giovanni. Vediamo ora, in base alle notizie che possiamo ricavare dal Nuovo Testamento e dalla tradizione, di tracciare un profilo biografico di questo apostolo.

Il nome ebraico Jehochanan significa "Dono del Signore" oppure "Il Signore – è – propizio". L’apostolo così chiamato, figlio di Zebedeo e di Salomè, apparteneva ad una famiglia agiata in quanto aveva dei mercenari che lo aiutavano nella pesca (Mc 1, 20). Sua madre fu una delle donne che andarono al sepolcro per imbalsamare Gesù (Mc 16, 1), ma che già fin dalla vita pubblica seguiva il Maestro aiutandolo con i suoi beni (Mt 27, 55; cf Lc 8, 1s). Secondo una tradizione incontrollabile – poggiata forse sul fatto che Giovanni era noto al Sommo Sacerdote (Gv 18, 15s) – l’apostolo sarebbe stato di origine sacerdotale (Eusebio, Historia Ecclesiastica 3,31,3). Dopo essere stato discepolo del Battista, si diede a seguire Gesù (Gv 1, 37; Mc 4, 21), del quale voleva divenire ministro (Mc 10, 35). Assistette alla resurrezione della figlia di Giairo, alla trasfigurazione di Gesù (Mt 17, 1), stette accanto a Gesù nell’ultima cena in modo di posare il capo sul suo petto (Gv 13, 23-26), partecipò più vicino degli altri all’agonia del Getsemani. Introdusse Pietro nell’atrio del palazzo di Caifa (Gv 18, 14) e stette, unico tra gli apostoli, ai piedi della croce (Gv 19, 17). All’annunzio che il sepolcro era stato trovato vuoto, corse con Pietro a constatare il fatto, e subito credette (Gv 20, 1-10). Divenne poi così vecchio che si sparse la voce che egli, secondo una profezia di Gesù, sarebbe rimasto in vita sino alla venuta gloriosa del Cristo; diceria che l’ultimo capitolo del vangelo ha cura di rettificare (Gv 21, 20.25).

Nella storia primitiva della chiesa l’apostolo amato era con Pietro quando guarì miracolosamente lo storpio giacente alla porta Bella del Tempio (At 3, 4), si trovava a Gerusalemme quando Paolo vi si recò nel 49 (Gl 2, 9) ed era ritenuto dai cristiani una delle tre più importanti «colonne» della chiesa (Gl 2, 9). Non si sa se abbia parlato durante l’assemblea destinata ad esaminare l’obbligo della circoncisione per i Gentili (At 15). Non vi era più presente quando Paolo giunse a Gerusalemme per l’ultima volta nel 57 (At 21, 18). A quel tempo doveva già avere lasciato la Palestina per stabilirsi nell’Asia Minore. Paolo tuttavia non lo trovò ancora ad Efeso nel suo ultimo viaggio (53-56 d.C.) quando vi lasciò Timoteo, il quale vi si trovava ancora poco prima della morte di Paolo nel 64 o nel 67.

Giovanni vi dovette quindi arrivare dopo la morte dell’apostolo delle genti. Secondo una tradizione fortemente attestata, sarebbe stato relegato nell’isola di Patmos al tempo di Domiziano, dove ebbe le visioni dell’Apocalisse. Secondo Tertulliano, pure seguito da Girolamo, durante quella persecuzione sarebbe stato immerso a Roma in una caldaia d’olio bollente e avrebbe dovuto bere un calice colmo di vino avvelenato senza riportarne alcun danno. Secondo il Sinassario arabo Giacobita «gettato in acqua, si salvò miracolosamente». Forse tali narrazioni derivano solo dal desiderio di assimilare Giovanni al fratello Giacomo, morto martire. Preziosi i seguenti episodi conservati dalla tradizione:

a) L’apostolo, ormai vecchissimo e portato a braccia nelle riunioni cristiane, vi soleva ripetere la raccomandazione: «Figliouli, amatevi gli uni gli altri». A coloro che si lamentavano per tale monotono insegnamento, era solito rispondere: «Se si attuasse anche solo questo, sarebbe più che sufficiente».

b) Un altro episodio riguardava l’eretico Cerinto, incontrato un giorno nei bagni pubblici; appena lo vide l’apostolo Giovanni abbandonò tosto quel luogo senza lavarsi per paura che l’edificio crollasse sull’eretico e su quanti vi si trovavano con lui.

c) Da vecchio soleva giocare con una pernice e con una pecora, prendendosi così un meritato riposo, sapendo, al dire di Cassiano, che l’arco troppo teso si spezza.

d) Interessante l’episodio del giovane da lui convertito ad Efeso e che egli, partendo, affidò ad un vescovo locale. Di ritorno quando ne chiese notizie, gli si rispose che quello era spiritualmente morto in quanto viveva sulla montagna come capo brigante. Il vecchio, inerpicandosi sul monte, fu catturato dai banditi che lo condussero al loro capo, il quale, riconoscendo il vecchio, si mise a fuggire da lui. Ma Giovanni lo inseguì ansante e, chiamandolo figlio, lo invitava al ravvedimento. In tal modo entrambi poterono tornare nell’ovile di Cristo. Secondo un’altra leggenda, riferita da un non meglio conosciuto Apollonio, l’apostolo avrebbe risuscitato un morto ad Efeso.

Il comportamento di Giovanni missionario documenta la meravigliosa trasformazione di quell’apostolo che per la sua iracondia era detto «figlio del tuono». Fu lui infatti ad inveire contro l’esorcista che, senza essere discepolo, abusava del nome di Gesù per fugare i demoni (Mc 9, 38); fu lui a voler invocare fuoco dal cielo per incenerire i samaritani rei di non aver ospitato il Maestro perché diretto a Gerusalemme (Lc 9, 54). La comunione con il Cristo finisce gradatamente col trasformare del tutto gli animi che a lui si accostano.

A Efeso l’apostolo attese al governo delle chiese dell’Asia finché morì, secondo le testimonianze patristiche, in età assai avanzata sotto Traiano (98-117). Ad Efeso se ne mostrava la tomba che costituiva una gloria locale. Policrate, scrivendo contro Vittore per la famosa controversia Pasquale, tra le persone illustri di Efeso, dove egli era vescovo, ricorda: « Giovanni, che riposò sul petto del Signore, che fu sacerdote recante il pàtalon (sacra tavoletta?), che fu testimone (martire) e maestro, il quale morì ad Efeso ». Qualche Padre ha dubitato della sua morte poggiando forse sulla profezia di Gesù (Gv 21). S. Agostino scriveva di aver udito « da uomini non leggeri, che in certe scritture apocrife si leggeva . . . che (Giovanni) si fece preparare un sepolcro alla sua presenza, mentre era tuttora sano, e dopo che questo fu scavato e preparato con grande diligenza, vi si collocò morto – o come quelli pensavano – non morto, ma simile a un morto . . .la terra si mise a muoversi gradatamente e quasi a bollire a motivo del suo fiato». Dal sepolcro sarebbe scaturito un liquido bianco che era usato per curare miracolosamente le malattie, per questo la sua tomba divenne meta di pellegrinaggi. Sul luogo del sepolcro fu eretta nel VI secolo una basilica la quale venne scoperta in questo secolo durante gli scavi dell’Istituto Archeologico Austriaco.