INTRODUZIONE AI VANGELI
CAPITOLO VIII°

IL VANGELO SECONDO GIOVANNI
Unità letteraria del quarto vangelo

Il quarto vangelo, pur possedendo una fondamentale unità di struttura, di lingua e di dottrina, contiene ripetizioni, presenta lacune, passaggi bruschi e contrastanti. In Gv 3, 26 si legge che Gesù battezzava, in Gv 4, 2 si spiega che non era lui a compiere ciò personalmente, bensì i suoi discepoli. Il c. 6 (moltiplicazione dei pani) segue meglio al c. 4 (Gesù è in Galilea) che non al c. 5 (Gesù a Gerusalemme). La successione attuale dà infatti: Samaria, Cafarnao (c. 4), Gerusalemme (c. 5), Galilea (c. 6). Invece spostando il capitolo avremmo questa successione più logica:

4: Gesù in Galilea
6: moltiplicazione dei pani; Cafarnao (Galilea)
5: Gesù si reca a Gerusalemme
7: poi va a Gerusalemme
8: Gesù a Gerusalemme.

i cc. 15-17 (discorsi di addio) sembrano fuori luogo perché in essi Gesù continua a parlare, nonostante che abbia già detto ai discepoli di « alzarsi» e di « uscire» dalla sala (Gv 14, 31). In Gv 13, 36 Pietro chiede a Gesù dove sarebbe andato; più avanti invece Gesù si lamenta perché nessuno di essi gli abbia chiesto dove sarebbe andato (Gv 16, 5). Vi è poi una fine teologica in Gv 20, 30s, e una seconda più letteraria in Gv 21, 25 « Se si dovesse scrivere una ad una (le opere compiute da Gesù), penso che neppure il mondo riuscirebbe a contenere i libri che dovrebbero essere scritti». Per spiegare questo fatto alcuni autori ammisero che il vangelo di Giovanni sia stato composto da uno (o più redattori) sulla base di un documento originale più antico, ma mentre alcuni attribuiscono la confusione attuale al redattore, altri invece la riferiscono allo stesso originale. Così, secondo Emmanuel Hirsch, un cristiano anonimo avrebbe scritto verso il 100 d.C. un bellissimo vangelo che però fu rivisto e reso confuso da un redattore posteriore che svolse la sua attività verso il 130-140.

Al contrario R. Bultmann suppose che l’originale del vangelo, trasmesso in fogli staccati, si sarebbe deturpato per lo spostamento di alcuni, creando così una notevole confusione, alla quale un coordinatore cercò di porvi rimedio senza però riuscirvi del tutto. A questo secondo redattore si devono riferire alcune sezioni rispecchianti un’epoca tardiva come il battesimo (Gv 3, 1-5), l’eucarestia (Gv 6, 51-59) e l’escatologia finale (Gv 5, 28s). L’originale del quarto vangelo sarebbe stato composto di tre parti:

a) Fonte gnostica con discorsi di rivelazione (Offenbaurungsreden).
b) Raccolta di segni (Semêis - Quelle)
c) Una serie di racconti isolati riuniti al materiale sinottico.

L’esegeta deve cercare di porre ordine nel materiale ora così disordinato. Se la critica odierna tende ad accogliere la fonte dei miracoli (segni), di fatto è molto scettica per quella gnostica, posta in discussione per i recenti reperti di Qumran.

Anche per il cattolico F.M. Braun la predicazione dell’apostolo Giovanni, raccolta in tante piccole unità, sarebbe stata riunita assieme da alcuni suoi discepoli, e più tardi da un ebreo nativo della diaspora che, essendo un esperto conoscitore della lingua greca e del mondo ellenistico, abilmente redasse l’opera in un ottimo greco. Probabilmente questo discepolo non aveva ancora terminato la sua opera quando morì il maestro, che quindi non lo poté rivedere. L’apostolo Giovanni può essere chiamato autore del quarto vangelo solo in quanto a lui risalgono le idee, la tradizione evangelica, l’originalità del pensiero e della dottrina. La redazione del vangelo è invece opera dei suoi discepoli.

In un recente studio anche Wilhelm Wilkens sostiene uno sviluppo del vangelo di Giovanni, ad opera però di un medesimo autore:

a) Un vangelo giovanneo contenente quasi tutto il presente materiale narrativo (vangelo dei segni)

b) Una recensione riveduta e corredata di quasi tutto il materiale discorsivo (vangelo dei discorsi). E’ l’elemento più difficile da accogliersi perché i discorsi sono intimamente legati con le narrazioni.

c) Un rifacimento minore che diede l’attuale forma al vangelo e che si sviluppò sotto l’influsso di una liturgia pasquale.

Molto più semplice la conclusione di J. Jeremias, uno studioso protestante indipendente, che è anche un profondo cultore del testo sacro. Ecco le sue conclusioni:

1. Utilizzando gli studi semantici di Ed. Schweitzer, afferma che in tutto il vangelo e nella 1° lettera di Giovanni vi è un insieme di elementi stilistici e linguistici che non ricorrono mai – o al meno solo raramente – negli altri vangeli. Perciò questi scritti si devono ritenere opera di un medesimo autore, che compilò il tutto. Anche recentissimamente, come vedemmo, W. Wilkens giunse alla medesima conclusione.

2. Jeremias suppose la possibilità di alcune aggiunte al testo originale che possono attribuirsi a redattori e a copisti:

a) Glosse. Vi si possono riferire indubbiamente Gv 21, 24 «Questo è il discepolo che rende testimonianza di queste cose, e noi sappiamo che la sua testimonianza è verace». Secondo Jeremias vi si dovrebbe forse aggiungere anche Gv 4, 2 (non era Gesù a battezzare); Gv 4, 37s (in questo è vero il detto: l’uno semina e l’altro miete); Gv 7, 22b (non che venga da Mosè, ma viene dai padri); Gv 19, 35 (« E colui che ha veduto ne ha reso testimonianza e la sua testimonianza è verace, ed egli sa che dice il vero affinché anche voi crediate » a proposito dell’uscita di sangue e acqua dal costato di Gesù). Egli vi aggiunge pure il brano di Gv 6, 51-58 (Cena del Signore) che però, contro le idee dominanti, ritengo sia genuino, come dimostrò non molto tempo fa E. Rückstuhl con argomenti decisivi. Io penso che esso non riguardi l’eucarestia, bensì l’accettazione per fede del Cristo, come appare da tutto il contesto.

b) Il capitolo finale. Che pensare del c. 21 di Giovanni che, dopo il versetto conclusivo 20, 29s, sembra un’aggiunta posteriore? Solitamente si crede che tale capitolo sia stato aggiunto da alcuni discepoli di Giovanni al vangelo precedentemente già composto, per cui esso non sarebbe genuino. Tuttavia Jeremias, nello studio già citato, partendo dall’analisi del c. 21, vi trova le medesime caratteristiche delle altre parti del vangelo, per cui solo il v. 24 sarebbe manifestamente di un’altra mano. In tal caso, accogliendo in parte alcuni suggerimenti cattolici, si potrebbe così spiegare l’esistenza delle due finali. Originariamente la vera finale del Vangelo sarebbe stata in Gv 20, 30s, posta alla fine del c. 21 dopo la diceria che Giovanni non sarebbe morto (Gv 21, 23; 20, 30s). Quando gli anziani di Efeso vollero aggiungervi la loro conferma (« noi sappiamo») avrebbero spostato la finale all’inizio dell’ultimo racconto, in quanto dopo l’episodio di Pietro e di Giovanni mal si accordava l’elogio di Giovanni. Un lettore, trovando strana una finale con l’elogio di Giovanni, vi avrebbe aggiunto la sua finale enfatica e letteraria che, secondo il Vaganay, si dovrebbe ritenere una glossa posteriore. Si tratta di un’ipotesi plausibile, ma non documentabile in modo sicuro.

3. Ad ogni modo (salvo piccole glosse da parte degli editori del quarto vangelo) si può concludere che esso è opera di un unico autore. Le incongruenze che talora vi si trovano e che abbiamo notato all’inizio, si possono spiegare con il fatto che l’autore non scrisse il suo vangelo di getto, ma di tanto in tanto pose in scritto una parte della predicazione che prima veniva trasmessa a voce. Perciò il quarto vangelo, pur conservando lo stesso stile e presentando le medesime idee, mostra di non essere del tutto omogeneo e di non scorrere bene come se fosse stato scritto tutto di seguito. Gli apostoli non avevano la missione di scrivere (non erano degli scrittori che a tavolino preparano ordinatamente i loro libri), ma degli evangelizzatori che raccoglievano parte della loro predicazione perché meglio servisse allo scopo di preservare per il futuro il loro messaggio eterno di salvezza. Può anche darsi che alcuni discepoli di Giovanni abbiano raccolto – almeno in parte – la predicazione trasmessa a viva voce dall’apostolo (come facevano i discepoli dei profeti) affinché il messaggio del « discepolo amato» non andasse smarrito. E’ pure possibile che l’autore abbia utilizzato brani precedenti. Oggi, ad esempio, si pensa usualmente che l’autore del quarto vangelo abbia usato per il suo prologo un inno ebreo preesistente che cantava la gloria della sapienza divina, della parola creatrice di Dio; l’autore del quarto vangelo lo rimaneggiò perché servisse di introduzione al suo vangelo, come una meravigliosa «ouverture» (Bultmann) al suo messaggio.

Brani controversi (critica testuale)

I brani controversi sono particolarmente due: l’angelo che muove l’acqua della piscina (Gv 5, 3s) e la donna adultera (Gv 7, 53 - 8, 11).

1. L’angelo della piscina (Gv 5, 3b-4). Nel c. 5 del vangelo, alla fine del v. 3, alcuni manoscritti hanno la seguente aggiunta che include tutto il v. 4:
(v. 3b) « i quali (sono gli ammalati indicati al v. 3) aspettavano l’agitarsi dell’acqua ; (v. 4) perché un angelo scendeva nella vasca e metteva l’acqua il movimento; il primo che vi scendeva dopo che l’acqua era stata agitata, era guarito da qualunque malattia fosse colpito ».

Occorre esaminare testualmente se queste parole sono genuine o no.

a) L’esame dei codici. Sono in genere contrari alla autenticità del v. 3b e 4. Essi mancano (specialmente il v. 4) in P66, P75, Sinaitico, Vaticano (B), C (Cambridge, Beza per Ev. Atti), W (Washington), Siriaca, Saidica, Nonnus (a, 431). Esistono invece in Koinè, A, K (Mosca IX secolo), L (Roma IX secolo), D (s. Gallo IX secolo), sir. peshitto, it., Vg, Taziano, Tertulliano, Ambrogio, Crisostomo, Cirillo di Alessandria. Si vede che nei manoscritti manca nella famiglia alessandrina la quale in generale presenta di solito un testo più corto di quello della famiglia occidentale. Quindi dai manoscritti si dovrebbe concludere che i versetti non sono autentici.

b) Critica letteraria. Sorge qui un problema. E’ più facile che siano stati tolti o introdotti?

1) Di solito si pensa ad una glossa tardiva per spiegare il v. 7 dove si parla del movimento dell’acqua. Per questo mancherebbe in molti manoscritti.

2) Tuttavia questa glossa crea molti problemi: l’angelo che muove l’acqua e vi si bagna, secondo qualche manoscritto, è certamente un particolare assai strano. Si può comprendere con facilità come molti manoscritti l’abbiano soppresso. Di più questo passo sembra indispensabile per meglio capire il testo; il v. 7 riuscirebbe inspiegabile senza questo brano che di conseguenza deve far parte del testo originale di Giovanni.

Tuttavia lo stile è diverso da quello usuale di Giovanni: vi sono sette apax legomenon in questo brano ( kìnesin, taraché, embaìno, nosêma, ekede-choménôn, katà kairòn, kateìcheto), di cui almeno quattro non ricorrono mai in tutto il Nuovo Testamento. Anche l’espressione ànghelos Kurìou (= «angelo del Signore ») non è giovannea. Un angelo isolato ricorre solo in Gv 12, 29, ma anche lì rappresenta una riflessione della folla. Dobbiamo quindi concludere che Giovanni ha attinto questi versetti (unitamente ai vv. 2 e 3) da un documento o da una tradizione precedente, anche se qualcuna di queste parole è dovuta in modo particolare al soggetto qui trattato. Invece i vv. 1.5-9 sono tipicamente giovannei; in essi fu introdotto il brano riguardante le guarigioni che si attuavano nella piscina.
Essa, secondo il già citato Duprez, sarebbe stata un luogo di culto dedicato ad Esculapio che l’ortodossia ebraica cercò di purificare parlando di un angelo del Signore. Ma ciò sembrò insufficiente, per cui i copisti alessandrini, urtati da questo brano, lo eliminarono come fecero anche per il sudore di sangue (Lc 22, 43s). «Questi versetti 3b-4 appartengono al testo originario e furono soppressi per non favorire pratiche popolari e pagane ricollegati con la piscina ed i luoghi sacr i» (E.C. Hoskyns, The fourth Go-spel, London 1959, p. 265).

2. L’adultera (7, 53 - 8, 11)

Si tratta della nota pericope dell’adultera che, trascinata davanti a Gesù, fu lasciata libera perché il maestro osservò con semplicità: « Chi è senza colpa scagli la prima pietra ». I principali manoscritti non hanno questo brano; esso manca infatti nel Papiro Bodmer II (P66), nel Papiro Bodmer XV (P75), entrambi del 200 ca; manca pure nei manoscritti più antichi Sinaitico (S), Vaticano (B), ecc. Altri lo presentano con asterischi e obeli per significarne la dubbia provenienza (S di Roma del 949, ecc.), Manca pure in alcune versione come la Siriaca (Peshitto), la copto-saidica, l’armena, il Diatessaron, ecc. (vedi apparato critico Aland, ecc.).
Tuttavia tale pericope era un testo antico perché già alla fine del III secolo fu ricordata da Ambrogio, Girolamo e Agostino. Secondo quest’ultimo il racconto si leggeva in molti manoscritti greci (PL 33, 553). Non è invece valida la testimonianza di Papia (ca 139), perché egli dice di aver letto tale brano nel vangelo degli ebrei. Oggi per l’esame linguistico si pensa da non pochi che il brano sia di Luca con il quale esso ha in comune molti particolari filologici . Questa ipotesi è confermata dalla tradizione manoscritta "famiglia 13" perché rappresentata da 13 codici chiamati "gruppo di Ferrar", che pur provenendo dall’Italia meridionale rappresentano l’antico testo usato in Siria, anteriore alla stessa recensione di Origène. Questi codici hanno la pericope dopo Lc 21, 38.

Si può quindi concludere che il brano non è certamente di Giovanni, ma proviene forse da Luca che amava rappresentare la misericordia di Gesù verso le donne peccatrici.

Di recente da parte cattolica si sono sottolineate delle affinità tra il vangelo di Luca e quello di Giovanni: ad esempio Satana è presentato come il principale responsabile della passione di Gesù (Lc 22, 3 e Gv 13, 2.27); l’ora della passione è raffigurata come il trionfo delle tenebre (Lc 22, 53 e Gv 1, 5; 3,19); la seduta del Sinedrio ebbe luogo la mattina; il c. 21 e la pericope dell’adultera recano i caratteri dello stile lucano, il P. Boismard ha avanzato l’ipotesi che Luca abbia preso parte attiva nella redazione del quarto vangelo e che egli abbia rimaneggiato alcuni racconti del quarto vangelo; così si spiegherebbe il greco buono di Giovanni contro quello pessimo dell’Apocalisse. Si può quindi concludere che la pericope dell’adultera è probabilmente ispirata in quanto di origine lucana, anche se non proviene da Giovanni.