INTRODUZIONE AI VANGELI
CAPITOLO II°

L'AMBIENTE EBRAICO AL TEMPO DI GESÙ

Introduzione

L’ambiente ebraico al tempo di Gesù si presentava, all’interno dell’Impero Romano, come un mondo in subbuglio ed in continua tensione. Per questo motivo veniva rigidamente controllato da Roma.

Paradossalmente il più duro dei governanti della Giudea, Erode il Grande, veniva in fondo guardato con simpatia da Roma perché era molto abile nel tenere sotto controllo la situazione.

A Roma quel che premeva di più era soprattutto l’ordine e non si interessava dei mezzi che Erode usava per mantenere questo ordine. Questo monarca per conservare il suo potere faceva pagare alti prezzi alla Palestina attraverso tasse elevatissime e violenze di ogni genere compiute perfino dentro la sua famiglia. Quest’uomo efferato per certi aspetti, come viene ricordato dagli storici, era abilissimo ed era molto utile al potere romano.

Quando si parla di ambiente ebraico bisogna distinguere l’ambiente ebraico fuori della Palestina e l’ambiente ebraico all’interno della Palestina:

L’ambiente ebraico della Diaspora

Secondo le stime degli storici l’Impero Romano al tempo di Gesù aveva esteso il suo dominio in quasi tutto il mondo allora conosciuto tenendo sotto controllo una popolazione di circa 50 milioni di persone. Di questi 20 milioni erano liberi o liberti, 4 milioni erano cittadini romani e circa 7-8 milioni erano ebrei. Di questi ultimi però soltanto 1 milione abitava in Palestina. Come si può vedere da questi dati la maggior parte degli Ebrei viveva al di fuori della Palestina e faceva parte della cosiddetta Diaspora che significa dispersione.

Questa parola fu usata già nella traduzione della Bibbia dei LXX come termine tecnico per designare tutti i Giudei dispersi o prigionieri in mezzo alle altre nazioni (Dt 29, 28; 30, 3-4). Nonostante che questa dispersione abbia avuto origine da un castigo divino a causa delle infedeltà del popolo ebraico (Gr. 13, 24: Ez 22, 15), si tramutò ben presto, per gli Ebrei residenti all’estero, in occasione di benessere e di grandezza e si rivelò anche un grande mezzo per la diffusione del monoteismo e della predicazione evangelica fra i pagani.

Già nel II secolo a.C. l’espansione giudaica si faceva sentire in tutte le regioni dell’Oriente non ancora sottomesse a Roma, come dimostra la circolare del console Lucio, a nome del senato romano, diretta a vari re e città (1 Mac 15, 16-23). Nel I secolo d.C. le testimonianze di Filone e di Giuseppe Flavio, ma anche dell’evangelista Luca, sono concordi nel segnalare dappertutto la presenza di emigrati e di discendenti Ebrei. D’altra parte le scoperte epigrafiche, che vanno da I al IV secolo d.C., rivelano l’esistenza di colonie ebraiche in Italia, nei paesi germanici, nelle Gallie, nella Spagna e nel Nord Africa. Un tale aumento, oltre che dalla catastrofe dell’anno 70 a Gerusalemme e dalla repressione dei rivoltosi di Bar Kokheba sotto Adriano, è da attribuire principalmente alla straordinaria vitalità di questa razza e forse anche dalla loro capacità di farsi dovunque dei proseliti.

L’apostolo Paolo in tutti i suoi viaggi missionari, accanto alle comunità etnicamente giudaiche, che generalmente finivano per opporsi al suo messaggio evangelico, trovò fra i simpatizzanti del giudaismo un terreno fertile e  ben disposto a ricevere l’annunzio del vangelo di Cristo.

L’isolamento morale e religioso delle comunità ebraiche in mezzo alle nazioni viene concisamente espresso in un oracolo di Balaam (Num. 23, 9). Queste comunità infatti si amministravano con una certa indipendenza e godevano anche di privilegi e di esenzioni che permettevano loro l’astensione ad esempio dal servizio militare e dalla partecipazione ai culti pagani.

Mantenevano tuttavia con l’ambiente circostante continui rapporti culturali e relazioni d’affari. Il loro influsso culturale e religioso si fece sentire in modo particolare con la traduzione  in greco dell’Antico Testamento avvenuta ad Alessandria d’Egitto fra il 250  ed il 130 circa a.C.. Nelle antiche corti di Babilonia, di Persia, d’Egitto, di Siria e di Roma troviamo nel corso dei secoli personaggi ebrei influenti. Tutti costoro ed il grande numero di Ebrei sparsi un po’ dappertutto non mancarono di esercitare un notevole influsso nell’economia e nella politica di quei tempi.

Naturalmente l’influsso culturale fra i Giudei della diaspora ed il mondo pagano fu reciproco. Nonostante il loro isolamento e la loro peculiarità essi mantenevano un significativo rapporto con l’ambiente circostante. Il continuo contatto ed il dialogo con la cultura greca e romana non mancò di produrre nel mondo ebraico della diaspora una mentalità diversa e comunque molto più aperta rispetto a quella degli Ebrei residenti in Palestina.

L’ambiente ebraico palestinese

Come abbiamo visto più sopra,l’ambiente ebraico palestinese era caratterizzato, soprattutto in Giudea ed in particolare modo a Gerusalemme, dalla presenza dei discendenti dei deportati in Babilonia. Poiché i loro antenati circa 500 anni prima avevano posto le basi del giudaismo ufficiale, essi si ritenevano i depositari e gli interpreti ufficiali della Legge e dei Profeti. Gerusalemme ed il suo tempio erano quindi diventati per tutti gli Ebrei in Palestina, ma anche per quelli della diaspora, non solo un legame con la madre patria, ma anche e soprattutto un punto di riferimento religioso che non poteva essere ignorato senza il pericolo di perdere la propria identità. L’aspirazione di qualsiasi buon giudeo, dovunque egli si trovasse, era quella di recarsi almeno una volta nella sua vita a Gerusalemme. Per questo motivo nel giorno della Pentecoste, in occasione della discesa dello Spirito Santo, si trovavano a Gerusalemme Giudei provenienti da ogni parte del mondo (Atti 2, 5.9). Sappiamo anche che buona parte della prima comunità di Gerusalemme era costituita dagli ellenisti (Atti 6, 1) e cioè dai Giudei provenienti dalla diaspora, fra i quali vi erano personaggi come Stefano e Filippo (Atti 6, 5).

L’ambiente palestinese della Galilea

Un ulteriore livello più basso rispetto alla religiosità giudaica era rappresentato dagli Ebrei che abitavano in Galilea. In Giudea non c’era molta stima nei confronti della Galilea perché le città di quella regione erano abitate sia da Ebrei che da greci o pagani. In alcune città addirittura, come ad esempio Sefforis a cinque Km da Nazaret, i greci ed i pagani erano in numero superiore agli Ebrei. Questa convivenza provocava inevitabilmente nella religiosità ebraica dei compromessi specialmente per quanto riguarda l’osservanza del Sabato, delle purità legali e dei matrimoni non misti. L’unico centro dove esisteva una roccaforte della fedeltà alla legge era Cafarnao, dove Gesù stabilirà la sua base per iniziare la predicazione del regno di Dio. Ma Gesù si sposta continuamente e frequenta centri come Betsaida, situata addirittura fuori dalla Galilea, e Magdala, che con i suoi 30-35 mila abitanti era considerata un porto di mare dal punto di vista della fedeltà ebraica. Per questi motivi Gerusalemme guardava alla Galilea come ad una terra di compromessi dal punto di vista della fedeltà alla legge. Questo atteggiamento appare in maniera evidente da molte espressioni della Bibbia. In Matteo 4, 15 viene ripresa una frase di Isaia (Is 8, 23) in cui si parla della « Galilea delle gentili» che letteralmente significa la zona, il circondario dei pagani e cioè una zona bastarda. C’è poi in Giovanni un brano molto significativo da questo punto di vista che si trova in Gv 7, 32.40-52. Gesù era salito a Gerusalemme per la festa dei Tabernacoli e si era recato al tempio per predicare suscitando reazioni contrastanti fra la folla che l’ascoltava. Alcuni misero in dubbio la sua credibilità come Messia in quanto proveniva appunto dalla Galilea, dicendo: «Viene forse il Cristo dalla Galilea? » (v. 41). I farisei ed i capi sacerdoti mandarono allora delle guardie per arrestarlo, ma le guardie tornarono dicendo che non avevano potuto arrestarlo perché non avevano mai udito un uomo parlare come lui. Nella discussione che ne segue interviene ad un certo punto anche Nicodemo che era andato a trovare Gesù di notte. Costui rivolgendosi ai suoi colleghi dice: « La nostra legge condanna forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che egli ha fatto? » (v. 51)  La reazione degli altri non lascia alcun dubbio sulla poca stima che si aveva allora della Galilea: « Sei forse anche tu Galileo? Ricerca le Scritture e vedrai che dalla Galilea non sorse mai alcun profeta» (v. 53).

Nell’ambito poi della Galilea, Nazaret poi era proprio un sobborgo privo di qualsiasi importanza, fuori dalla storia e dalle vie di comunicazione. Tanto che Natanaele, quando Filippo gli dice: «Abbiamo trovato colui, del quale hanno scritto Mosè nella legge e i profeti, Gesù di Nazaret, il figlio di Giuseppe», risponde incredulo: «Può venire qualcosa di buono da Nazaret?» (Gv 1, 45-46).

Possiamo quindi vedere in quale quadro storico raggiungiamo Gesù di Nazaret. Ebreo di Palestina, una delle zone più calde e tumultuose dell’Impero Romano, non cittadino romano come sarà poi l’apostolo Paolo. In Palestina non era giudeo, ma galileo e quindi non tenuto in considerazione dagli stessi giudei e per di più in Galilea veniva da una delle cittadine meno conosciute e meno importanti di quella zona qual era appunto il sobborgo di Nazaret.

Questa è la quota umana dalla quale è partito il Figlio di Dio facendosi uomo. Non cittadino romano, non giudeo, non galileo, ma semplicemente nazareno ed è finito giustiziato sotto i romani con la pena capitale della crocifissione riservata agli schiavi. Non poteva esserci una posizione più umile e più bassa di questa. Eppure è proprio in questo inizio e in questa fine umanamente ingloriosa che si colloca l’annuncio del vangelo.

Gli eventi storici della Palestina al tempo di Gesù

L’evento storico più importante da ricordare per capire l’ambiente di Gesù e dove è nato il vangelo, è l’occupazione della Palestina da parte di Pompeo Magno nel 63 a.C.. Pompeo si trovava ad Antiochia per una guerra contro Mitridate ed i pirati quando, intromessosi nelle contese per la successione al trono dei due fratelli della dinastia asmonea, Aristobulo II e Ircano II, conquista Gerusalemme dopo un assedio di tre mesi. Gli Asmonei erano i discendenti dei Maccabei che a suo tempo si erano ribellati alla dinastia seleucida. Dopo  la morte di Alessandro Magno il suo grande impero venne diviso in quattro parti dai suoi generali. I territori che si estendevano dalla Siria fino ai confini dell’Egitto, trovandosi al confine tra i due grandi imperi dei Tolomei in Egitto e dei Seleucidi in Siria, passarono alternativamente sotto il dominio prima dei Tolomei e poi dei Seleucidi. Alcuni sovrani seleucidi cercarono di imporre in Palestina uno stile di vita greco. Questa politica di ellenizzazione della Palestina raggiunse degli estremi insopportabili quando salì al trono il sovrano seleucida Antioco IV Epifane. Per suo ordine vennero infatti proibite pratiche religiose come la circoncisione dei maschi, l’osservanza del Sabato e le varie prescrizioni alimentari. Nel Tempio di Gerusalemme, il culto di Zeus Olimpico prese il posto dell’adorazione del Dio d’Israele. Questo è appunto l’abominio della desolazione descritto nel libro di Daniele (11, 31). A questo punto ci fu la rivolta dei Maccabei che riuscirono a liberare la Palestina dai Seleucidi e ad instaurare la loro dinastia chiamata Asmonea dal nome del padre dei Maccabei. I sovrani Asmonei, discendenti dai Maccabei, abbandonando la politica rigorosamente giudaica dei loro padri, col passare degli anni si aprirono sempre di più alla cultura ellenica. Arriviamo così alle dispute per il trono fra Aristobulo II e Ircano II nelle quali si intromise Pompeo conquistando il dominio dell’intera area palestinese che passò sotto il controllo dell’Impero Romano. Pompeo fece il suo ingresso trionfale a Gerusalemme ed osò violare la sacralità del tempio entrando armato nel Santo dei santi. Gli storici del suo tempo affermano che eli rimase deluso di non trovarvi la statua del Dio adorato dagli Ebrei. Come prima cosa egli diede l’autonomia civile a 10 città che appartenevano ai discendenti dei Maccabei formando la cosiddetta Decapoli di cui si parla anche nei vangeli. Poi impose come etnarca e sommo sacerdote Ircano II sotto il controllo però del governatore della Siria e con un certo tributo da pagare.

Il secondo grande fatto storico da ricordare è che nel 39 a.C. il figlio di Antipatro, ministro di Ircano II, diventa stratega e governatore della Galilea, ma è così violento che deve scappare a Roma dopo un anno. Si tratta di Erode che nel 37 d.C. diventa definitivamente re della Palestina con l’aiuto di Roma e sarà ricordato come Erode il Grande per le sue imprese. Si tratta in effetti di un personaggio fuori del comune, la cui personalità violenta e cinica si è attirato giudizi molto pesanti da parte degli storici. Egli corrispondeva in realtà al tipo di principi indigeni ellenizzati del periodo ellenistico-romano: avventuriero senza scrupoli, non privo di coraggio e di ambizione, appassionato costruttore e munifico mecenate, assetato del potere per il quale era disposto a scendere a qualsiasi compromesso. Di padre idumeo e di madre nabatea, aveva amici potentissimi a Roma (Antonio e soprattutto Ottaviano che lo nominò re amico e socio del popolo romano), era imparentato con la dinastia Asmonea grazie al matrimonio con Mariamme ed approfittando della prosperità economica dell’era augustea assicurò alla Palestina trent’anni di autonomia in fedele vassallaggio a Roma. Regnò sontuosamente da sovrano ellenistico, attorniato da una corte di stile greco, dove si parlava la lingua greca.
Ingrandì progressivamente il regno fino ad avere sotto il suo controllo la Palestina e la Transgiordania dalle sorgenti del Giordano fino a sud del Mar Morto, esclusa la Decapoli che era stato dichiarato da Pompeo territorio autonomo.

Fu un infaticabile costruttore. Ricostruì sul modello ellenistico Cesarea Marittima e Sebaste (l’antica Samaria). Restaurò anche Gerusalemme abbellendola con vie pavimentate e fornendola d’acqua con imponenti acquedotti. Soprattutto pose mano alla ricostruzione del Tempio raddoppiandone la spianata. Fece restaurare anche la tomba dei patriarchi a Ebron.

Per difesa, ma anche per abitazione costruì la fortezza Antonia (dedicata ad Antonio) nell’angolo nord-ovest del tempio. Costruì anche le fortezze di Masada, dell’Herodion e di Macheronte nelle quali si ritagliò splendidi e raffinati palazzi. A Gerico aveva una sontuosa dimora invernale con vasche e giardini chiusi, mentre nella parte ovest di Gerusalemme aveva costruito un nuovo palazzo reale fortificato con tre torri chiamate Fasaele, Ippico e Mariamme. Non occorre dire che le città da lui costruite non mancavano delle infrastrutture tipiche dell’ellenismo come teatri, stadi ed ippodromi.

Da buon mecenate ellenista non dimenticò nemmeno di fare elargizioni a beneficio di città greche per i loro edifici pubblici, ginnasi, templi e mercati. Ad Antiochia, per esempio, finanziò la pavimentazione e l’erezione del colonnato della via principale.
Se tutto questo gli valse a maritargli il titolo di "Grande", non era molto amato dai Giudei che lo detestavano per vari motivi:

- era idumeo e quindi non di razza ebraica: gli idumei erano stati circoncisi a forza da Giovanni Ircano nel 126 a.C., dopo essere stati tra i peggiori nemici d’Israele (Edom!);

- era molto legato a Roma, l’impero pagano oppressore che aveva introdotto il culto dell’imperatore con templi a Cesarea, Sebaste e Panion;

- governava dispoticamente, esautorando il sinedrio, snobbando farisei e sadducei, calpestando le leggi tradizionali e facendo affiggere le aquile romane sulla facciata del tempio;

- si assicurava il trono sterminando crudelmente perfino i parenti più stretti come gli stessi figli Alessandro e Aristobulo e la moglie Mariamme, meritandosi giustamente la fama di sanguinario che appare dal vangelo (Mt 2); comandò addirittura che alla sua morte la sorella Salome facesse giustiziare nello Stadio un certo numero di nobili affinché la gente lo piangesse. Morì nell’anno 750 di Roma.

Sotto il suo regno (dal 37 al 4 a.C.) nacque Gesù (cf Mt 2, 1,19; Lc 1, 5) a Betlemme, piccola ma gloriosa cittadina di Giudea, patria di Davide, e lo vennero ad adorare i magi provocando la reazione violenta e crudele del re. Poiché Erode morì sicuramente nel 750 di Roma, Gesù dovette nascere un due o tre anni prima.
L’inizio dell’era cristiana però venne fissato nell’anno 754 di Roma in seguito ad un errore di calcolo di un monaco del VI secolo, Dionigi il Piccolo. Si dovrebbe dire quindi, allo stato dell’attuale documentazione storica, che la nascita di Gesù avvenne alcuni anni prima dell’era cristiana (di solito si dice nel 6 a.C.).

I successori di Erode

Ad Erode succedettero per testamento i suoi tre figli:

- Filippo ebbe il nord-est della Palestina, cioè l’Iturea e la Traconitide (Lc 3, 1); restaurò Cesarea detta perciò "di Filippo"; fu un regno senza grossi problemi e senza grande importanza;

- Erode Antipa fu re della Galilea e della Perea: costruì Tiberiade, città pagana. Sposerà Erodiade, già moglie del fratello Filippo, e Mt 14, 3ss riporta la severa critica del Battista, che egli farà imprigionare e uccidere; tenterà di eliminare anche Gesù (Lc 13, 31ss); inviato da Pilato, Gesù gli sarà condotto dinanzi, ma non lo degnerà di una sola risposta (Lc 23, 7ss); fu deposto nel 30 d.C.;

- Archelao ebbe la Giudea, la Samaria e l’Idumea; fu presto deposto (6 d.C.) per la sua crudeltà (Mt 2, 22).

A questo punto Roma avocò direttamente a sé l’amministrazione di quei territori ed inviò in Giudea un procuratore, nominato tra gli alti funzionari dell’ordine equestre che risiedeva abitualmente nella città moderna di Cesarea, mentre saliva a Gerusalemme per le feste dimorando nella fortezza Antonia o nel palazzo di Erode. Rappresentando direttamente l’imperatore, il procuratore nominava e deponeva il sommo sacerdote, batteva moneta, riscuotere le tasse ("il tributum soli" sui prodotti agricoli ed "il tributum capitis" sulle persone) e infliggeva la pena di morte (ius gladii).

I suoi poteri erano limitati dai privilegi che Roma da tempo aveva riconosciuto, soprattutto con Cesare, alla nazione ebraica:

- La Torah era legge di stato per tutti i giudei dell’impero, che godevano quindi di propri tribunali;

- L’interpretazione autentica della legge per tutti i giudei, anche della diaspora, è data dal sinedrio, un collegio di 70 membri, presieduto dal sommo sacerdote, che il procuratore però nomina e depone a proprio piacimento;

- da tutto l’impero i giudei possono versare direttamente al tempio il didramma, la tassa annuale;

- sono esenti dal servizio militare (a causa del riposo sabatico e delle norme sui cibi), da servitù militari (quali lo svernamento delle truppe in Palestina) e da tutte le tasse durante l’anno sabatico; sono quindi "religio licita";

- Le truppe in Gerusalemme devono velare le loro insegne; le monete coniate nel paese devono essere senza effigie in omaggio al comandamento della proibizioni delle immagini. I giudei in compenso dovevano pregare e offrire sacrifici per l’imperatore e la prosperità di Roma.

Dei procuratori i vangeli ricordano Pilato che governò la Giudea dal 26 al 36 d.C.. Si tratta di una figura gretta di politicante conosciuto anche da G. Flavio. Il suo nome compare in una iscrizione trovata da una missione italiana su una pietra del teatro di Cesarea. Filone dà sul suo conto un giudizio piuttosto pesante:
«concussione, violenza, rapine, brutalità, torture, esecuzioni senza giudizio, crudeltà spaventose ed interminabili». Il suo mandato è caratterizzato da continue provocazioni, come l’ingresso dell’esercito romano a Gerusalemme con le insegne scoperte e l’effigie dell’ imperatore; costruzione dell’acquedotto con il denaro del Korban, di cui s’era impadronito a forza, provocando una sommossa duramente repressa. Ben presto cadde in disgrazia per le sue ripetute provocazioni della suscettibilità giudaica e per gravi incidenti avvenuti con i samaritani. Fu deposto quindi da Vitellio, legato di Siria e mandato a Roma a difendersi, dove Caligola lo costrinse all’esilio o al suicidio.

Fu lui a decidere in ultima istanza la condanna a morte di Gesù, che appunto, perché data da un tribunale romano, poté essere alla crocifissione.

Nel libro degli Atti si parla di altri re, come ad esempio Erode Agrippa che uccise di spada l’apostolo Giacomo, fratello di Giovanni e imprigionò Pietro (Atti 12, 2). Sempre dal libro degli Atti si parla dell’incontro di Paolo con il re Agrippa. Si tratta in effetti di Agrippa II, figlio primogenito di Erode Agrippa I (Atti 25, 13ss). Come mai questi re quando ormai dopo Archelao nel 6 d.C. era iniziata in Giudea la serie dei procuratori romani? In effetti una prima serie di 7 procuratori fu interrotta dal 41 al 44 dall’imperatore Claudio che nomino re della Samaria e della Giudea il suo compagno di studi Erode Agrippa I, nipote di Erode il Grande, che l’amico Caligola aveva precedentemente nominato re della Galilea e dei territori che erano stati sotto la giurisdizione di Filippo. Il suo figlio primogenito Agrippa II avrebbe invece governato al tempo di Paolo alcuni territori, ma non la Giudea che tornò sotto la giurisdizione del procuratore romano fino alla rivolta del 66-70 d.C.

Rivolta e distruzione di Gerusalemme

La prima rivolta del 66 d.C. nacque come reazione alle deliberate provocazioni dei romani i quali iniziarono a bruciare un pubblico i rotoli della Torah ed a saccheggiare il tesoro del tempio. la rivolta iniziò con la presa della fortezza di Masada e con l’uccisione della guarnigione romana lì residente.

Contemporaneamente a questa azione ci fu la sospensione al tempio del sacrificio quotidiano per l’imperatore. Ben presto questa rivolta dilagò in tutta la Palestina estendendosi all’Idumea, alla Giudea, alla Perea ed alla Galilea.

I protagonisti principali della rivolta furono gli zeloti e gli esseni mentre i notabili a l’alto clero erano divisi fra loro. I farisei furono contrari ed i cristiani non presero parte alla rivolta, ma fuggirono a Pella oltre il Giordano.

Nel 67 Vespasiano sconfisse la resistenza in Galilea facendo prigioniero Giuseppe Flavio che era uno dei capi della rivolta e divenne poi uno storico. Vespasiano essendo stato eletto imperatore, affidò il comando al figlio Tito che nel 70 con una tremenda lotta quartiere per quartiere conquistò Gerusalemme devastandola e dandola alle fiamme. Una dopo l’altra caddero anche le altre isole di resistenza ad Herodium, a Macheronte e a Masada.

Le conseguenze di questa disfatta furono terribili per gli Ebrei: i rivoltosi più importanti furono giustiziati, la popolazione sopra i 17 anni fu deportata per i lavori forzati in Egitto o destinata agli spettacoli del circo; 700 giovani furono riservati per il trionfo di Tito a Roma dove furono portate anche preziose suppellettili del tempio (il candelabro a sette braccia e le tavole d’oro dei pani). Si possono verificare queste notizie anche dai bassorilievi dell’arco di trionfo di Tito ancora oggi esistente a Roma. I bambini furono venduti come schiavi.

Una seconda rivolta scoppiò in Palestina nel 132 d.C. per la decisione dell’imperatore Adriano di trasformare Gerusalemme in una colonia romana. La rivolta, questa volta relativamente meno estesa della precedente, interessò centri come Herodium, l’oasi di Engaddi e Qumran. Fu guidata da un certo Bar Kosiba, riconosciuto come Messia da alcuni rabbini fra cui il famoso Rabbi Akiba, tanto che il suo nome fu trasformato in Bar Kokheba. Anche questa rivolta fu implacabilmente e crudelmente stroncata da Adriano con l’uccisione di Bar Kokheba e di Rabbi Akiba. Gerusalemme fu distrutta completamente e ricostruita come colonia romana con il nome di Aelia Capitolina. Al posto del vecchio tempio distrutto fu eretto un tempio a Giove Capitolino e sul Calvario addirittura fu costruito un tempio a Venere. Agli Ebrei fu proibito di entrare in città ad eccezione del giorno 9 del mese di Ab (tra luglio ed agosto) per venire a piangere sotto il cosiddetto "muro del pianto", unico rudere rimasto del vecchio tempio.

L’impero romano

Mentre queste cose succedevano in Palestina, il grande impero romano non rimaneva fermo. Gesù nacque mentre era imperatore Ottaviano Augusto che regnò fino al 14 d.C.. Gesù aveva quindi circa 20 anni quando ad Ottaviano Augusto successe Tiberio che regnò dal 14 a 37 d.C.. Tiberio, ancora giovane, riesce con difficoltà a mantenere le fila di un impero vasto e travagliato da lotte intestine. Ai suoi tempi non c’era più il Senato che coadiuvava l’imperatore nell’esercizio del suo potere, ma egli aveva come collaboratori i cosiddetti "equites", i cavalieri che in sostanza erano dei commercianti. Gli equilibri quindi erano un po’ cambiati all’interno dell’impero e spesso l’imperatore doveva ricorrere alla legge sulla maestà per imporre la propria volontà e deporre questo o quel personaggio che diventava troppo ingombrante o troppo pericoloso.

Gerusalemme

La sua fama di città santa, sede e centro della religiosità ebraica al tempo dei re, era stata appannata durante il periodo dei seleucidi che avevano in tutti i modi cercato di ellenizzare i suoi costumi per fare di questa città uno dei tanti centri della cultura greca.

Gli ultimi scavi archeologici ci hanno rivelato che durante il regno di Erode il Grande, Gerusalemme era diventata una città splendida, ma sotto molti aspetti anche pagana. I pellegrini ebrei provenienti da tutte le parti del mondo, venivano a Gerusalemme per recarsi al tempio, ma la città aveva assunto all’epoca di Gesù sempre più i connotati di una città ellenizzata dove venivano celebrati ogni cinque anni i ludi, cioè i giochi in onore dell’imperatore. I Farisei e gli Ebrei in genere si opponevano fieramente a questa piega che aveva preso la loro città ai tempi di Erode. Erode dal canto suo, consapevole di questa ostilità nei suoi confronti, cercò di ingraziarsi il favore dei Giudei ponendo mano all’imponente opera della ricostruzione del tempio che, inizitasi nell’anno 20 a.C., si protrasse fino a poco prima della distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. ad opera dei romani.

Secondo i dati storici ed i documenti in nostro possesso, quella di Erode fu veramente un’opera colossale ed una meraviglia sotto molti aspetti. Il tetto degli edifici era ricoperto di placche d’oro che i viaggiatori potevano ammirare anche da lontano mentre si avvicinavano alla città. Giuseppe Flavio, così descrive il tempio: «All’esterno del tempio non mancava nulla per impressionare nella mente e nella vista essendo ricoperto dappertutto di massicce placche d’oro. Fin dal primo sorgere del sole era tutto un riflesso di bagliori e a chi si sforzava di fissarlo faceva abbassare gli occhi come per i raggi solari. Agli stranieri in viaggio verso Gerusalemme appariva da lontano simile ad un monte ricoperto di neve, perché dove non era ricoperto d’oro, era bianchissimo ».

Per ottenere un piazzale più grande rispetto a quello che c’era prima, Erode fece costruire una specie di sollevamento su colonne con il vuoto sotto che venne chiamato le stanze di Salomone. Le pietre perimetrali erano lunghe 12 metri e larghe 2 metri. Nonostante la distruzione compiuta ad opera dei romani rimane ancora visibile fino ai nostri giorni il cosiddetto "muro del pianto" dove ancora oggi gli Ebrei di tutto il mondo si recano per pregare.

Rimane traccia della grandiosità di questo tempio anche nei vangeli quando ci descrivono i discepoli che all’uscita del tempio fanno ammirare a Gesù la bellezza di quest’opera con le seguenti parole: « Maestro, guarda che pietre e che costruzione! »(Mc 13, 1: Mt 24, 1; Lc 21, 5). Ma Gesù placa l’entusiasmo dei suoi discepoli rispondendo: «Non rimarrà pietra su pietra», come poi in effetti avverrà.

Accanto al tempio, accanto ai giochi olimpici in onore dell’imperatore, Gerusalemme aveva anche dei magnifici palazzi, messi in luce dai recenti scavi. Quando Gesù parla dei ricchi, non aveva in mente i ricchi di Roma, ma aveva davanti ai suoi occhi i palazzi sontuosi di Gerusalemme. Vi era un contrasto stridente fra la ricchezza di questi palazzi e la situazione di estrema povertà in cui versavano parecchi abitanti di Gerusalemme.

Movimenti religiosi

Mentre nuovi regni nascevano ed altri scomparivano, la gente viveva nell’incertezza di un mondo in continuo cambiamento dal punto di vista politico. In questo scenario di equilibri precari e di grandi sconvolgimenti politici, Gesù inizia in Galilea la sua predicazione del regno di Dio.

In mezzo a tanto disordine e a tanta insicurezza si sentiva la necessità di dare un senso alla propria vita, ma le vecchie strutture ebraiche non erano in grado di dare delle risposte soddisfacenti alle pressanti richieste di spiritualità della gente.

Esisteva pertanto, accanto al movimento a cui dà origine Gesù, un fermento religioso che ha dato origine a vari movimenti religiosi organizzati di contestazione o meno della religiosità ufficiale.

1) Gli Zeloti. Uno di questi movimenti, ricordato anche dai Vangeli, è stato quello degli Zeloti. Si trattò di un movimento politico religioso di autonomia che credeva nella possibilità di fondare su questa terra un regno messianico trionfante e glorioso sull’esempio di quello dei Maccabei. Sotto la guida di un Messia questo regno avrebbe finalmente condotto il popolo ebraico alla vittoria contro l’odiato oppressore romano. Alcuni zeloti divennero anche discepoli di Gesù sperando forse di aver trovato in lui il Messia che essi attendevano.

2) I Farisei. Un altro movimento importante è stato quello dei farisei, nato probabilmente nel 170 a.C., all’epoca dei Maccabei come movimento religioso di fedeltà e di purezza nei confronti degli insegnamenti e delle tradizioni ebraiche rispetto alle infiltrazioni della cultura greca. All’inizio infatti venivano chiamati i Kassidim che significa "i puri". Più tardi essi cominciarono a prendere le distanze dai compromessi religiosi e politici della dinastia Asmonea, discendente dai Maccabei, e perciò furono chiamati "farisei" che significa "separati". Il movimento dei farisei è stato importante anche perché molti principi fondamentali della loro dottrina furono condivisi da Gesù e dai suoi discepoli. I principi di questo movimento prevedevano infatti:

a) L’universalismo della religione ebraica. Tanto è vero che, come Gesù stesso disse, essi percorrevano mare e monti pur di fare dei proseliti. Il proselitismo fra i pagani, specialmente nella diaspora, era una prerogativa di questo movimento che non troviamo in altri gruppi dell’epoca, come ad esempio gli esseni che erano invece molto esclusivi.

b) L’uguaglianza di tutti gli uomini di fronte a Dio .

c) L’importanza della persona, non più come popolo, ma come individuo. Da qui la responsabilità di ciascun uomo di fronte a Dio, la retribuzione finale del giusto e la resurrezione.

d) La libertà personale. Per loro la provvidenza non era tale da mortificare la libertà personale di ciascun uomo. Dentro il piano di Dio ognuno aveva la libertà di fare le proprie scelte.

e) Un alto concetto dei rapporti fra Dio e l’uomo e quindi un assoluto rispetto del momento religioso.

Come si può facilmente intuire tutti questi principi furono accolti e condivisi anche da Gesù e dai suoi discepoli. Ma vi erano tre punti sui quali i Farisei non transigevano e che costituirono quindi motivo di attrito:

a) L’osservanza scrupolosa del Sabato.

b) La purità legale e rituale che significava soprattutto stare attenti a non contaminarsi toccando o venendo a contatto con cose, animali e persone che erano ritenute impure.

c) Il pagamento delle decime nel culto.

Fondamentalmente i farisei avevano una grande sete di perfezione e all’origine essi ebbero molte cose in comune con Gesù. Cos’è che allora fece scattare la molla della tensione e quindi del rifiuto di Gesù da parte dei farisei? La causa principale del dissenso fu anzitutto una diversa concezione dell’osservanza del Sabato. Secondo Gesù il Sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il Sabato. I farisei invece avevano raggiunto una concezione del Sabato fine a sé stessa che prescindeva dallo scopo per il quale questa festività era stata voluta da Dio. L’idea del Sabato era partita principalmente per il fatto che l’uomo potesse avere un momento di pausa dal lavoro e dalle preoccupazioni quotidiane per dedicarsi a Dio ed alle cose spirituali. I farisei invece, attraverso un sistema di casistiche al limite dell’assurdo avevano svuotato questa festività del suo significato spirituale rendendo quasi impraticabile questo incontro dell’uomo con Dio. L’osservanza del Sabato anziché favorire una vera e sincera spiritualità spesso diventava addirittura un intralcio.

Un altro motivo di tensione era anche quello della purità legale e rituale. I Farisei sotto questo aspetto erano molto rigorosi; essi sostenevano che bisognava fare molta attenzione per non essere contaminati da cose, animali, oggetti o persone impure e quando ciò avveniva ci si doveva sottomettere a tutta una serie di ritualità che prevedeva bagni e lavacri vari delle mani, del corpo, dei vestiti e di oggetti che erano diventati impuri in seguito a questi contatti. Gesù ed i suoi discepoli invece non sembravano avere queste preoccupazioni. Gesù è libero da questi pregiudizi legalistici, tocca tutti, si avvicina a  tutti, parla con tutti, tocca i lebbrosi e perfino i morti quando deve risuscitarli. Egli afferma apertamente che sono ben altre le cose che contaminano l’uomo.

Dobbiamo quindi concludere che da un lato Gesù ed i farisei si trovavano d’accordo su importanti questioni dottrinali, ma da un altro lato c’era una contestazione su alcuni aspetti legalistici. Gesù non ha mai contestato ai farisei la loro legittimità ad essere le guide del popolo ebraico, ma li ha contestati piuttosto per la loro ipocrisia perché essi stessi, pur insegnando bene, poi non mettevano in pratica i loro insegnamenti. Molti fanno osservare anche che i farisei non erano fra gli accusatori di Gesù durante il suo processo. Pur avendolo contestato spesso durante la sua vita pubblica non sono presenti al suo processo, diversamente dai Sadducei, che essendo in pratica i capi religiosi di Gerusalemme, di fatto giudicarono e condannarono Gesù. Possiamo quindi certamente affermare che i farisei hanno avuto una storia quasi parallela con quella di Gesù a parte qualche contestazione che è stata poi ripresa e caricata di intensità dai vangeli, scritti in un epoca in cui la comunità cristiana aveva ormai rotto ogni rapporto con il giudaismo.

I farisei, dopo la caduta di Gerusalemme, furono l’unico gruppo del giudaismo sopravvissuto alla catastrofe. Essi divennero pertanto i capi di quei sinedri che si opponevano sempre più alla nascente chiesa cristiana.

3) I Sadducei. Sembra che il loro nome venga da Sadoq (1 Re 2, 22, 35) capostipite della linea sacerdotale legittima, "sadocita". Fin dal tempo degli Asmonei erano i fiancheggiatori del potere politico e non avevano scrupoli ad accettare i compromessi con la civiltà ellenistica. Al tempo di Gesù avevano lo stesso atteggiamento nei confronti dell’impero romano. Avevano i posti chiave del Sinedrio (i sommi sacerdoti) ed erano fedeli collaboratori dei romani cercando di mantenere buoni rapporti con loro e giungendo perfino a mettere a morte quanti potevano destare nei romani sospetti di ribellione.

Credevano solo nella Torah e non nei libri profetici e negli altri scritti sapienziali. Negavano quindi l’aldilà, gli angeli e la risurrezione dei morti (Mt 22, 23-33; At 23, 6-8). Si reputavano i soli legittimi interpreti della Torah che leggevano però in maniera da lasciar spazio alla libertà dei singoli.

Non abbiamo molte notizie di loro se non da fonti contrarie. Il Nuovo Testamento ci offre un quadro poco lusinghiero presentandoli come persone scettiche, materialistiche, opportuniste, empie e miscredenti che non trovavano molto credito presso il popolo. Ad essi viene attribuita la responsabilità prima della condanna a morte di Gesù.