INTRODUZIONE AI VANGELI
CAPITOLO VI°

IL VANGELO SECONDO MATTEO

I. La composizione del Vangelo

Le fonti da cui Matteo trae il suo vangelo sono tre:

a) Il Vangelo di Marco che è costantemente seguito da Matteo come trafila e dal quale si discosta solo per introdurvi il suo materiale. La teoria di Agostino, secondo la quale Marco avrebbe abbreviato il Vangelo di Matteo, è insostenibile perché lo stile di Matteo è sempre superiore a quello di Marco. È quindi ragionevole sostenere che Matteo abbia migliorato Marco e non il contrario. Inoltre la vivacità e la ricchezza di particolari del Vangelo di Marco che vengono invece eliminati da Matteo depone a favore della priorità di Marco su Matteo. Per una statistica possiamo dire che i versetti che Matteo ha in comune esclusivamente con Marco sono circa 175. A questi vanno inoltre aggiunti altri 350 versetti che Matteo ha in comune sia con Marco che con Luca. Quest’ultimo gruppo di versetti, secondo alcuni studiosi, risalirebbe ad una fonte presinottica detta appunto la triplice fonte alla quale avrebbero attinto sia Matteo che Marco e Luca nella composizione dei propri Vangeli.

b) Una collezione di "detti" o discorsi (Lòghia) . Questi probabilmente sono i "detti" (od "oracoli") di cui parla Papia e che, secondo lui, sarebbero stati scritti da Matteo originariamente in aramaico. Essi furono pure seguiti da Luca per la parte riguardante i discorsi di Gesù. Si spiegherebbe in tal modo come mai una dozzina di detti vengano riferiti due volte da Matteo . Egli li avrebbe presentati una volta nel contesto in cui si trovavano in Marco e poi li avrebbe riferiti una seconda volta prendendoli dalla fonte Q (Quelle) o L (Lòghia), da lui composta, a meno ché non l’abbia rinvenuta in una fonte scritta o nella tradizione orale. L’esistenza di più traduzioni greche di questa fonte, rese possibile il suo uso da parte di Luca (di origine gentile) e la sua revisione ad opera di Matteo quando la incorporò nella sua parte di vangelo tratta da Marco. Tutti questi detti furono sistemati in modo da servire come manuale di istruzione per la chiesa stessa. Essi tradiscono un’origine aramaica in quanto molte divergenze fra i sinottici si possono ricondurre ad una parola aramaica sottostante tradotta in greco in un modo da un evangelista e in un altro modo da un altro evangelista. Per la statistica si tratta di circa 235 versetti.

c) Una parte propria al vangelo di Matteo, non comune né con Marco né con Luca, e che presenta probabilmente delle esperienze personali dell’autore. Si tratta di circa 330 versetti.
Sembra quindi doveroso ammettere una composizione graduale del Vangelo di Matteo: verso il 50 abbiamo una serie di "discorsi" (Lòghia), poi più tardi, tra il 70 e l’80, la composizione attuale del Vangelo. Questa data, posteriore alla distruzione di Gerusalemme (70 d.C.) sembra suggerita dalle parole di una parabola: « E gli altri, presi i suoi servi, li oltraggiarono e li uccisero. Il re allora, udito ciò, si adirò e mandò i suoi eserciti per sterminare quegli omicidi e per incediare la loro città » (Mt 22, 6-7; nella stessa parabola riferita da Lc 14 15-24, manca questo particolare). Questo particolare fa supporre che la distruzione di Gerusalemme sia un evento già compiuto. Luca addirittura è ancora più esplicito in quanto nel discorso profetico parla di una «Gerusalemme circondata da eserciti » (Lc 21, 20), mentre Matteo e Marco parlano in senso generico della « abominazione della desolazione, predetta dal profeta Daniele » (Mc 13, 14; Mt 24, 15).
Che tutto l’attuale vangelo di Matteo sia una traduzione dall’aramaico è stato suggerito dal fatto che alcuni passi sono frutto di un’errata traduzione dall’aramaico. Così ad esempio «l’aceto mescolato con fiele » di Mt 27, 34, dato a Gesù, sarebbe dovuto ad un’errata traduzione dell’aramaico môr, fatto derivare MaRaR (mar) indicante "amaro", da cui "fiele", anziché intenderlo come vino con mirra che troviamo in Mc 15, 23. Luca trascura questo particolare. Forse però Matteo, sempre preoccupato di trovare dei riscontri nell’Antico Testamento, ha tradotto questa parola con "fiele" avendo presente il Salmo 69, 21 dove si parla appunto di aceto e di fiele.
L’idea però di un primo vangelo aramaico di Matteo non ha ancora trovato un grande consenso tra la grande maggioranza degli studiosi, pur potendo ammettere che i Lòghia siano stati originariamente scritti in aramaico.

II. Autore

Non vi è, come per Marco, alcuna evidenza interna che ci permetta di stabilire con certezza l’autore del primo vangelo. Esso tuttavia è attribuito dalla tradizione più antica all’apostolo Matteo. Ce lo dice il titolo, già noto all’inizio del 2° secolo e ce lo confermano i padri da Papia, vescovo di Gerapoli in Frigia (m. 130), a Ireneo, vescovo di Lione (m. 200), a Origéne (m. 253-54), a Eusebio di Cesarea (m. 339).
Il primo a parlarne fu Papia il quale sostenne che «Matteo mise in iscritto i lòghia del Signore nella lingua ebraica, che poi ciascuno interpretò come poté». La lingua, qui detta "ebraica", sembra che in realtà sia l’aramaica; i "detti" possono essere i discorsi, oppure – meno bene – anche i fatti di Gesù, data l’ambivalenza del termine ebraico davàr (detti e fatti); il "mise per iscritto" (sunegràpsato) va preferito alla variante "mise in ordine" (sunetàscato); lo "interpretò" si riferisce probabilmente a traduzioni scritte in greco più che ad una interpretazione orale nelle riunioni ecclesiastiche.

Oggi tuttavia si mette in dubbio il valore della testimonianza di Papia; anche se il primo vangelo fosse stato scritto originariamente in aramaico, l’attuale testo greco più che una traduzione va ritenuto un vero rifacimento.

Contro l’attribuzione del vangelo all’apostolo Matteo, ex esattore di tasse al servizio dei Romani, alcuni studiosi oppongono alcuni dubbi:

a) Sembra strano, ad esempio, che un apostolo, testimone oculare, possa aver utilizzato il vangelo di Marco, un semplice discepolo il quale non visse con Gesù durante la sua vita pubblica. Tuttavia potrebbe anche darsi che Matteo, trovando buono il racconto di Marco, lo abbia adottato pur integrandolo con i suoi dati personali. Oppure può anche essere plausibile che sia Matteo che Marco abbiano attinto ad una fonte comune: la triplice fonte nei versetti che sono in comune anche con Luca e la duplice fonte nei versetti in comune solo a Matteo e Marco.

b) Il continuo riferimento di Matteo all’Antico Testamento sembra opera di uno scriba piuttosto che di un "esattore delle tasse". Uno studioso, lo Stendahl parla addirittura della scuola rabbinico-cristiana di Matteo, la cui preoccupazione consisteva nell’esaminare attentamente la Sacra Scrittura per scoprirvi ogni possibile riferimento al Cristo. Tuttavia questo lavoro poteva essere facilitato dall’esistenza di raccolte di passi biblici, applicabili a Gesù, quali ne esistevano a quei tempi, per esempio, a Qumran con riferimento alla setta degli Esseni.

III. L’evangelista Matteo

Cosa sappiamo di Matteo a cui la tradizione più antica attribuisce l’omonimo vangelo? Matteo, nome di etimologia incerta, significa probabilmente "dono di Dio", se è un’abbreviazione di Matania (Girolamo),  oppure "fedele", se ricollegabile alla radice ebraica ‘aman (Nöldeke), oppure "virile", se derivato dall’assiro mutu (Ehemann).
La sua vocazione è narrata da tutti e tre i sinottici (Mt 9, 9-13; Mc 2, 13-17; Lc 5, 27-32) che, pur presentando circostanze identiche, chiamano l’ "esattore" (= pubblicano) convertito con il nome di Matteo nel primo vangelo e di Levi negli altri due. Che un uomo abbia due nomi, uno ebraico e l’altro greco, era un uso assai comune a quei tempi; è invece piuttosto insolito che ne avesse due semitici come nel caso di Matteo-Levi. Può darsi che uno dei due sia stato un semplice soprannome.

Che l’esattore sia divenuto apostolo, lo conferma il catalogo degli apostoli del primo vangelo, il quale, ricordando Matteo, gli aggiunge l’epiteto l’ "esattore", richiamando così indubbiamente la scena della sua conversione prima narrata (Mt 10, 3). Probabilmente il nome Levi fu preferito da Marco (e conseguentemente anche da Luca) per evitare il nome più noto di Matteo e così velare un po’ la sua precedente attività di peccatore, come erano ritenuti tutti gli esattori al soldo dello straniero (i pubblicani).

Matteo era un "pubblicano", vale a dire un gabelliere, un esattore di tasse che lavorava per il governo romano. Tale mestiere rendeva spesso l’uomo ladro poiché l’appaltatore delle tasse pagava annualmente un tanto per il suo ufficio e poi riteneva per sé tutte le eccedenze da lui riscosse: era quindi ritenuto un pubblico peccatore al servizio dell’odiato straniero.

Gesù, attraversando Cafarnao, dove aveva già operato dei miracoli, chiamò il doganiere con le semplici parole: «Vieni, seguimi! » e quello «si alzò e lo seguì». Il futuro apostolo volle dare un addio alla sua vita di "esattore" con un fastoso e lauto banchetto al quale «molti altri amici », pur essi "esattori", parteciparono assieme a Gesù e ai suoi discepoli. Di qui l’opposizione dei farisei che non vedevano di buon occhio tale compagnia; Gesù tuttavia tagliò corto ai loro rimproveri, affermando che gli ammalati e non i sani hanno bisogno del medico (Mt 9, 9-12; Mc 2, 14-17; Lc 5, 27-32). L’intento del racconto è quello di affermare che Gesù è venuto per salvare i peccatori. Nei cataloghi dei Dodici, Matteo sta ora al settimo (Mc 3, 13; Lc 6, 16) ora all’ottavo posto (Mt 10, 3; At 1, 13).

Altro non sappiamo della sua vita. I particolari aggiunti dalla tradizione sono scarsamente attendibili: noto per austerità di vita, Matteo avrebbe dimorato vari anni tra i suoi connazionali di Palestina, per poi evangelizzare i gentili. Gli antichi scrittori danno notizie così contrastanti da riuscire impossibile trarre qualche dato sicuro: chi gli fa evangelizzare l’Etiopia (Ruffino), chi la Persia (Ambrogio), chi i Parti (Isidoro). Il martirologio romano ricorda il suo martirio al 21 settembre; la città di Sorrento, secondo un’antica leggenda, ne custodirebbe le sue spoglie.

IV. Struttura del Vangelo

Una tradizione, riferita in una lezione di Papia, dice che il vangelo di Matteo fu scritto « con ordine»; vi predominano infatti cinque grandi discorsi entro i quali è disseminato tutto il contenuto del vangelo. Tali discorsi finiscono tutti con l’espressione: « E avvenne che quando Gesù ebbe terminato . . . » (Ad es. Mt 11, 1); l’ultima serie culmina con la frase: « E avvenne che quando Gesù ebbe terminato tutte queste parole » (Mt 26, 1). Queste espressioni non si trovano mai altrove nel vangelo di Matteo.

Il primo vangelo si può suddividere in tre parti e in sette sezioni, che qui presento schematicamente:

I. Parte (sezione 1): Infanzia di Gesù: Giuseppe sposa Maria, nascita di Gesù, venuta dei magi, strage degli innocenti, fuga di Gesù in Egitto e suo ritorno a Nazaret (cc. 1-2). Questa parte è propria di Matteo.

II. Parte: Vita Pubblica di Gesù, intercalata entro cinque grandi discorsi.

1. (sezione 2). Preparazione alla vita pubblica di Gesù: il Battista, battesimo e tentazione di Gesù, discorso della montagna che offre il programma del regno (cc. 3-7).

2. (sezione 3). Ministero galilaico: vari miracoli, scelta degli apostoli e discorso ai discepoli per addestrarli alla predicazione missionaria del regno (cc. 8-10).

3. (sezione 4). Ostinazione dei giudei. Dopo un elogio del Battista, si presentano i contrasti con i Giudei, ai quali seguono le parabole del regno che ne presentano lo sviluppo da inizi umili e occulti  . . . il regno dei cieli è una realtà che provoca negli uni fede e negli altri incredulità (cc. 11-13)

4. (sezione 5). Preparazione alla passione: martirio del Battista, miracoli, confessione di Pietro, trasfigurazione e predicazione della passione. La croce appare come l’ineliminabile sorgente di vita per chiunque accetta Gesù. Discorso ecclesiale: la realizzazione del regno esige tra i fratelli rapporti di umiltà, carità, mutua edificazione e perdono (cc. 14-18).

5. (sezione 6). Ministero giudaico: viaggio a Gerusalemme, parabole allegoriche, discussioni con i farisei e i Sadducei. Questa sessione termina con il discorso escatologico nel quale si parla del regno in gloria. Vi si profila sempre più chiaro il ripudio di Gesù da parte dei Giudei (cc. 19-25).

III. Parte (sezione 7). Passione e resurrezione di Gesù, con l’invio dei discepoli a predicare la lieta notizia per tutto il mondo (cc. 26-28).

V. I tempi dell’esistenza terrena di Gesù

Oltre a questa divisione in tre parti ed in sette sezioni possiamo riconoscere nel vangelo di Matteo tutti i tempi dell’esistenza terrena di Gesù. Come abbiamo visto precedentemente i vangeli non sono una biografia storica della vita di Gesù. Tuttavia emergono chiaramente in essi i tempi della sua esistenza terrena e precisamente: il periodo di Nazaret, il deserto, la predicazione in Galilea, l’esilio ed infine Gerusalemme dove viene crocifisso; poi, dopo la resurrezione, inizia il tempo della Chiesa. Tutti questi tempi sono facilmente riconoscibili nel vangelo di Matteo come appare dal seguente schema:

1. Il grande prologo, da Mt 1, 1 a Mt 4, 11 in cui sono inclusi due tempi della vita di Gesù:

I. Betlemme-Nazaret: Mt 1, 1 - Mt 2, 23. Oltre a Nazaret c’è anche Betlemme, perché per Matteo tutto comincia a Betlemme, mentre per Luca tutto parte dall’annunciazione di Nazaret.

II. Il Deserto. Poi c’è il Deserto, presso il Battista: Mt 3, 1 - Mt 4, 11, come per Luca.

2. L’annuncio del Regno in Galilea. Dopo questo grande prologo all’annunzio del vangelo, il secondo punto è l’annuncio del Regno in Galilea da Mt 4, 12 a Mt 13, 52:
I. Gli inizi (Mt 4, 12-17).

II. Il famoso discorso programmatico della montagna (Mt 4, 18 - 7, 29).

III. I dieci miracoli di Gesù ( Mt 8, 1 - 9, 34).

IV. Un discorso missionario (Mt 9, 35 - 11, 1).

V. Il rifiuto di Gesù da parte dei Galilei (Mt 11, 2 - 12, 50).

VI. Il discorso circa il regno in parabola (Mt 13, 1-52).

Quindi tre grandi discorsi sono collegati in quel tempo.

3. In esilio. Poi l’esilio, come per Luca e per Marco è il tempo della formazione dei discepoli (Mt 13, 53 - 20, 34):
I. I "pani" del deserto (Mt 13, 53 - Mt 16, 12).

II. Gesù Messia e Figlio dell’uomo da seguire (la sequela di Gesù) (Mt 16, 13 - 17, 27).

III. Il discorso comunitario (Mt 18, 1-35).

IV. Nella "comunità" (chiesa), presenze varie (divorzio, i fanciulli, il giovane ricco, parabola degli operai delle diverse ore, domanda dei figli di Zebedeo, i due ciechi di Gerico (Mt 19, 1 - 20, 34).

4. A Gerusalemme. Infine a Gerusalemme, l’ultimo periodo della sua predicazione in quella città e quindi la passione (Mt 21, 1 - 27, 66):
I. Giudizio di Gesù su Israele, sul culto e sul tempio (Mt 21, 1 - 23, 39).

II. Discorso escatologico (Mt 24, 1 - 25, 46).

III. Passione e morte di Gesù (Mt 26, 1 - 27, 66).

5. Il tempo della Chiesa (Mt 28, 1-20). Dopo la resurrezione, le apparizioni alle donne in Giudea e ai discepoli in Galilea e quindi il grande mandato di Gesù alla Chiesa: « Ogni potestà mi è stata data in cielo e in terra. Andate dunque e fate discoli di tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro di osservare tutte le cose che io vi ho comandato. Or ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine dell’età presente» (Mt 28, 18-20).

Si può quindi vedere che grosso modo c’è in ogni evangelista un tracciato evangelico, o meglio storico, che va dalla natività di Gesù fino alla missione della Chiesa, dopo la resurrezione. Per la statistica il vangelo di Matteo è il più lungo con i suoi 28 capitoli, contro i 24 di Luca, i 16 di Marco ed i 21 di Giovanni.

VI. I destinatari

Ci sono nel Vangelo di Matteo alcuni indizi interni dai quali possiamo intuire l’area geografica in cui questo vangelo è nato:

1) Falsi profeti. Scorrendo le pagine del vangelo di Matteo si ha l’impressione che già in quei tempi c’erano nella comunità dei falsi profeti che cercavano di fuorviare i credenti dalla vera fede. Si ha questa impressione leggendo passi come quelli che possiamo trovare in Mt 7, 15-27 e in Mt 24, 11.24. Gesù mette in guardia i suoi discepoli con espressioni come: « Guardatevi dai falsi profeti» « Li riconoscerete dai lori frutti», ecc.

2) Tensioni fra gli uomini. Un altro elemento che si nota nel vangelo di Matteo è una forte divisione fra gli uomini, non solo nel contesto esterno, ma anche all’interno della comunità (Mt 18, 15-16), dentro le case e negli affetti più cari (Mt 10, 21.34-36). Ecco quindi l’invito a non adirarsi contro il fratello e a non ingiuriarlo, a riconciliarsi con lui prima di offrire la propria offerta all’altare, a trovare un accordo con l’avversario prima di arrivare davanti al giudice, ecc. (Mt 5, 17-48). La Chiesa stessa vive dentro un contesto di forti tensioni, come possiamo intuire da Mt 24, 7. Se da un punto di vista storico andiamo nell’ambiente della Siria di quei tempi notiamo che esistevano parecchie tensioni a causa di improvvisi cambiamenti di potere. Si ha quindi l’impressione che i cristiani a cui Matteo si rivolge sia un gruppo minuscolo che ha all’interno anche falsi profeti ed intorno una situazione sociale e politica drammatica.

3) Persecuzioni. Terza caratteristica della chiesa a cui scrive Matteo è la persecuzione. Mai un evangelista parla così tanto di persecuzioni. Si nota proprio un clima di processi e di condanne. In base a questa indicazione si potrebbe andare a vedere dove questo succedeva negli anni 70-80 circa. Troviamo questa indicazione sulla persecuzione già in Mt  5, 10-12 : «Beati voi, quando vi insul-teranno e vi perseguiteranno . . .», ma la pagina più indicativa è senz’altro quella di Mt 10, 16-33: «Vi mando come pecore in mezzo ai lupi . . .».

4) Ambiente sociale. L’ambiente sociale che emerge dal vangelo di Matteo è quello di un sostanziale benessere. Da un lato c’erano persone con possibilità e mezzi, dall’altro gente più semplice e più modesta dal punto di vista economico. Si rileva questo fatto da alcune parabole che parlano spesso di creditori e di debitori, di padroni che possedevano grandi beni ed avevano dei servi che amministravano questi beni, come ad esempio la parabola del creditore spietato a cui il padrone condona un debito enorme (10.000 talenti), ma lui a sua volta non condona al suo conservo una somma molto inferiore (Mt 18, 23-35), la parabola degli operai delle diverse ore (Mt 20, 1-16), la parabola dei talenti (Mt 25, 14-30). Spesso in Matteo si parla di cifre molte alte, di monete d’oro. La parabola dei talenti diventa in Luca la parabola delle mine (Lc 10, 11-27) che sono unità monetarie di valore molto inferiore al talento: la mina era un’unità di peso greca equivalente a circa 100 dramme e ad 1/60 di talento; poiché una dramma equivaleva ad una giornata di lavoro, una mina aveva quindi il valore di 100 giornate di lavoro; il talento invece era la maggiore unità monetaria e di peso, in uso in Grecia e presso gli Ebrei ed equivaleva a 60 mine, quindi a 6.000 giornate di lavoro. Si pensi un po’ che cifra astronomica erano i 10.000 talenti della parabola del creditore spietato. Se noi esaminiamo la situazione economica della Siria di quei tempi, ci accorgiamo che in questa regione  c’era allora molto benessere in quanto era il granaio dell’Europa e forniva il frumento all’intero Impero. Gli scavi archeologici effettuati in Siria a Dura Europos hanno messo in luce la struttura di una cosiddetta domus ecclesiae. Si tratta di case che alcuni cristiani facoltosi mettevano a disposizione della comunità per le sue riunioni di preghiera e di culto. Erano le cosiddette chiese domestiche di cui parlano anche gli Atti e l’apostolo Paolo nelle sue lettere (At 12, 12; Rm 16, 5.23; Cl 4, 15; Fil  2). Si nota quindi un ambiente sostanzialmente di benessere, ma il benessere mette a dura prova la fede. Ci sono quindi dei falsi profeti che fanno fuorviare ed il prezzo della fedeltà è la persecuzione. Ecco quindi la raccomandazione di Gesù che troviamo in Mt 6, 19-21: «Non vi fate tesori sulla terra . . .».

5) L’ambiente ecclesiale. L’ambiente ecclesiale in cui Matteo scrive è un ambiente che ha a che fare con i Farisei ed i rabbini ebraici. Non per nulla Matteo dedica a costoro un intero capitolo, il capitolo 23 dove si legge spesso il famoso ritornello: « Guai a voi, Scribi e Farisei ipocriti». Dopo l’anno 70, quindi dopo la caduta di Gerusalemme, le gestione dei sinedri, dei tribunali ebraici fu presa in mano dai Farisei che furono molto duri con i cristiani. Da fonti estranee alla Bibbia si sa che a Cafarnao questa tendenza rigorista era tale che i discepoli che si trovavano nella casa di Pietro, non solo erano sopportati, ma si arrivò addirittura a considerarli minim, cioè eretici. C’è un episodio successo proprio a Cafarnao nell’anno 90 che ci descrive il clima esistente in quel territorio fra giudei e cristiani. Il figlio del capo della sinagoga del luogo divenne cristiano ed il padre considerò tale conversione come un disonore al punto tale che aveva deciso di uccidere il proprio figlio. Se non lo fece e si limitò a mandarlo in esilio, fu soltanto grazie al consiglio di sinagoga che convinse il padre a non essere così feroce.

6) Area geografica. Da quanto abbiamo detto finora possiamo collocare il vangelo di Matteo con una certa approssimazione in quell’area geografica della Siria che va dal lago di Tiberiade fino a Damasco e forse fino ad Antiochia di Siria.

VII. Caratteristiche del Vangelo

A. Stilistiche
Dall’analisi del vangelo risulta che esso è stato composto da un ebreo per ebrei:

1) Vocabolario . Vi predominano espressioni semitiche come "Regno dei cieli", dove "cieli" supplisce l’impronunziabile nome di Dio (Luca "Regno di Dio"). La "città santa" sta per Gerusalemme (Mt 4, 5; 27, 53), raca (Mt 5, 22), carne e sangue (Mt 16, 17), legare e sciogliere (Mt 16, 19), geenna (Mt 23, 33). Tali nomi (o espressioni) non vengono spiegati ad eccezione di Emanuele (Mt 1, 23), di Golgota (Mt 27, 33) e di Elì (Mt 27, 46).

2) Matteo suppone noti gli usi e i costumi giudaici : come l’offerta all’altare (Mt 5, 23); i sacerdoti che lavorano di Sabato (Mt 12, 5); le abluzioni (Mt 15, 2); le filatterie (Mt 23, 5); le decime (Mt 23, 3); i sepolcri imbiancati (Mt 23, 27); il proselitismo farisaico (Mt 23, 15). La distinzione tra "tribunale, sinedrio e geenna" era comprensibile solo presso gli Ebrei (Mt 5, 21s); l’espressione "generazione adultera" significa "infedele alla legge ebraica".

3) Amore per i numeri, specialmente il sette: genealogia di Gesù (3x14 = 3x (2x7); domande nella preghiera del Padre nostro (7 = Mt 6, 9-13; Luca ne ha 6); 7 parabole (Mt 13, 1-50); 70 volte 7 (Mt 18, 22); i 7 "guai a voi" contro i farisei (Mt 23, 13-36). Il numero 7 appare anche nei 7 demoni che tornano (Mt 12, 45; si trova pure in Lc 11, 26); nei 7 pani usati per la moltiplicazione e nei 7 panieri avanzati (Mt 15, 34-37; si trova pure in Mc

8, 5s); 7 sono, come abbiamo visto, le sezioni nelle quali è diviso il vangelo. Anche il numero 3 ricorre nelle opere da compiere: elemosina, preghiera e digiuno (Mt 6, 2-18), per le offerte della decima: menta, aneto e comino (Mt 23, 23), nelle 3 preghiere dell’orto (Mt 26, 44), ecc.

4) Rivolgendosi ai giudeo-cristiani, Matteo si augura che la fuga per l’incombente distruzione di Gerusalemme non avvenga "di Sabato" (Mt 24, 20; Mc 13, 18 ha solo "d’inverno"; Lc 21, 23 parla solo di "donne incinte"). Matteo riferisce pure la menzogna dei soldati riguardante il furto del cadavere di Gesù da parte dei discepoli, che è diffusa "sino ad oggi", particolare che poteva essere controllato e noto solo agli Ebrei (Mt 28, 11-15).

5) Disinteresse per la geografia. Betlemme è citata, ma solo per mostrare l’ adempimento della profezia di Michea (Mt 2, 1-12); per la medesima ragione vi è narrata la fuga in Egitto, il ritorno di Gesù a Nazaret (Mt 2, 22s). Lo stesso si dice per il passaggio di Gesù da Nazaret a Cafarnao « nella regione di Zabulon e Neftali » (Mt 4, 13-15) perché tale particolare aveva la profezia isaiana (Is 8, 23; 9, 1). Per la mancanza di precisione geografica in Matteo nei riguardi Marco, si confronti Mt 15, 21.29 con Mc 7, 24.31. Tuttavia Matteo ha conservato la cornice geografica di Marco, pur innestandovi le sue composizioni sistematiche. Anche la cronologia ha più valore di collegamento che di una storia reale (così Mt 4, 12; 8, 1s.18; 9, 1.9.27; 12, 9.15.46; 13, 1).

6) Il vangelo sorto in un ambiente giudeo-cristiano che, nonostante il battesimo, continuava a praticare la circoncisione e le prescrizioni alimentari e che, nonotante il culto domenicale, continuava ad osservare il riposo sabatico, mostra un interesse assai vivo per la legge. Parla di una venerazione dell’altare e del tempio (Mt 5, 23s; 23, 18), pur aggiungendo che Gesù è superiore al tempio (Mt 12, 6) e che alla legge antica va aggiunta la nuova (Mt 5, 21 - 6, 18 "io vi dico"), presenta Gesù come colui che adempie la legge, la quale di conseguenza va osservata (Mt 5, 17-19; 23, 3).

B. Teologiche

1) Matteo preferisce i discorsi di Gesù ai fatti ; perciò è assai più particolareggiato degli altri vangeli quando riporta i detti di Gesù, ma fortemente sintetico nel descriverne gli episodi, che presenta nel modo più stringente, togliendone diversi particolari.

2) Il Vangelo di Matteo ama la sistematicità : è l’evangelo che raggruppa i discorsi di Gesù in grandi sezioni; basti ricordare il sermone del monte e le parabole del regno che Luca, ad esempio, distribuisce lungo tutto il suo vangelo. Anche i miracoli sono talora raggruppati insieme in modo per noi strano. Nelle grotte di Gadara viveva un solo indemoniato secondo Marco e Luca, Matteo invece parla di due indemoniati (Mt 8, 28; Mc 5, 1; Lc 8, 26). Si sono tentati vari modi per spiegare tale differenza. Ora va notato che gli altri due evangelisti avevano già riferito precedentemente il miracolo di un indemoniato guarito a Cafarnao (Lc 4, 31; Mc 1, 21); non potrebbe spiegarsi tale plurale con il fatto che Matteo, amante dei raggruppamenti, abbia eliminato il primo miracolo, per unirlo a quello dell’indemoniato di Gadara? Non ha fatto così anche con i discorsi? In tal modo si spiegherebbe il numero due.

VIII. Predilezioni mattaiche

A. Gesù è il Messia che avvera le profezie veterotestamentarie

a) Gesù è il Messia. Appunto perché Messia, Matteo ne mette in risalto la potenza palesatasi anche durante la sua passione e morte. Più volte Gesù profetizza la propria fine (cf Mt 26, 2), afferma che il suo tempo è vicino (Mt 26, 18), che potrebbe ottenere da Dio più di dodici legioni di angeli che lo potrebbero salvare (Mt 26, 53). I falsi testimoni ne sottolineano la potenza (Mt 26, 61) e Gesù di fronte al sommo sacerdote afferma di attuare in quel momento la visione danielica del Figlio dell’Uomo («da ora innanzi » Mt 26, 29; 26, 64); prodigi straordinari ne accompagnano la morte: terremoti, rocce spaccate, corpi di santi che risorgono (Mt 27, 51-54), con la sua morte egli sconfigge la morte. Il vangelo termina con l’affermazione gloriosa di Gesù: «Mi è stato dato ogni potere» (Mt 28, 16-20). Per tale motivo elimina le espressioni che sembrano compromettere la dignità di Gesù, come, ad esempio, i fallimenti di una sua intenzione . Altri passi furono da lui mitigati in favore di Gesù: così Matteo tralascia la domanda irriverente dei discepoli (Mc 4, 38 « Maestro non ti curi di noi che periamo?»; cf Mt 8, 25); la meraviglia di Gesù per l’incredulità degli Ebrei (cf Mc 6, 6 con Mt 13, 58); il "Maestro buono" (Mc 10, 17s con Mt 19, 16); il giudizio malevolo della gente che lo riteneva un esaltato (Mc 3, 20s).

b) Gesù adempie le scritture dell’A.T. Uno degli intenti fondamentali di Matteo è quello di mostrare che la vita di Gesù adempie l’Antico Testamento, per cui vi ricorre come un ritornello l’espressione: «Ciò avvenne affinché si adempiesse ciò che era stato detto dal Signore mediante il profeta ». Sembra che Matteo ami presentare Gesù come il nuovo Mosè, profetizzato nel Deuteronomio. Come il Faraone cercò di uccidere il bimbo ebreo appena nato (Es 1, 22), anche Erode cerca di mettere a morte il piccolo Gesù nato a Betlemme (Mt 2, 16); ma tanto Mosè che Gesù vi sfuggono (cf Mt 2, 14 con Es 2, 15). Dopo la morte del re entrambi tornano alla terra dove dovevano svolgere la loro missione (Es 2, 23; 4, 19; Mt 2, 19s). Da una montagna tanto Mosè che Gesù danno la legge loro data da Dio (Es 19-20; Mt 5, 1). Forse per questo Matteo chiama "montagna" la collina o la pianura degli altri evangelisti. Il suo libro inizia con le parole: «Il libro della storia di Gesù, figlio di Davide, figlio di Abramo ». La concezione di Gesù (Is 7, 14), la sua nascita a Betlemme (Mi 5, 2), il massacro degli innocenti (Gr 31, 15), la dimora di Gesù in Egitto (Os 11, 1), la sua genealogia intendono mostrare che Gesù è il Messia atteso che attua le benedizioni promesse ad Abramo (Gn 12, 2s), e avvera le profezie veterotestamentarie. Talora Matteo non rifugge dal rendere più chiare le stesse profezie dell’Antico Testamento, perché meglio servano al suo scopo. Michea nel testo ebraico presenta Betlemme coma «la minima delle città di Giuda », tradotta in greco con "oligostos" (ediz. Rahlfs). Si pensa che i pochi codici che hanno "me oligostos", seguiti dall’edizione di Holmes-Parson, siano una modifica tratta dal testo di Matteo, tant’è vero che non sono nemmeno ricordati dal Rahlfs: Matteo, ora che è morto il profetizzato Gesù, sa che Betlemme non è più la minima delle città per cui corregge il «sei la minima » in «non sei più la minima » (Mt 2, 5; cf Mi 5, 1). Nel sermone del monte Gesù afferma d’essere venuto ad «adempiere » la legge di Mosè, della quale non cadrà alcun frammento sino alla fine del tempo (Mt 5, 17s).

c) La chiesa è presentata come un giudaismo perfezionato ed elevato . Chiunque trasgredisce uno dei più piccoli comandamenti della legge, sarà considerato minimo nel regno dei cieli (Mt 5, 19); la missione dei discepoli è quella di andare alle pecore perdute di Israele, non ai gentili e ai samaritani (Mt 10, 5-6; cf Mt 15, 24). Ciò che è santo non deve essere gettato ai cani, cioè ai non ebrei (Mt 6, 7). Coloro che debbono fuggire nel tempo della apparizione del regno saranno felici se tale crisi non cadrà d’inverno (come in Mc 13, 18), né di "Sabato" (aggiunta mattaica, Mt 24, 20). Il modello di Matteo è quello dello scriba che come « un padrone di casa trae fuori dal suo tesoro cose nuove e cose vecchie » (Mt 13, 52). Tuttavia il suo vangelo non è rivolto solo ai giudei, ma anche ai gentili, o meglio « al giudeo prima e poi al greco» (Rm 1, 16). I «figli del regno » ai quali per primi spetterebbe il regno, saranno gettati nelle tenebre (Mt 8, 12), mentre questo passerà ad una nazione che darà i suoi frutti (Mt 21, 43). Alla crocifissione l’intero popolo grida: « il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli » (Mt 27, 25). Il regno spetta alla chiesa. Matteo è l’unico evangelista che parla della "chiesa", una prima volta in occasione della confessione di Pietro (Mt 16, 17-19) e una seconda volta quando parla del procedimento con cui si devono trattare i cristiani che peccano. Il supremo giudice deve essere la "chiesa" ("comunità") con la conseguente scomunica di colui che non intende darle ascolto (Mt 18, 15-18; cf 1 Cor 5, 1-6.11). La decisione della chiesa sarà confermata da Dio e dal Cristo (Mt 18, 19s). Avendo di mira la situazione della chiesa del suo tempo, Matteo presenta la preghiera insegnata da Gesù in modo più liturgico che non Luca (cf Mt 6, 9-13 con Lc 11, 2-4) e modifica l’assoluta proibizione del divorzio presentata da Marco e da Luca con la scappatoia: « eccetto in caso di fornicazione» (Mt 19, 9; cf Mt 5, 32 con Mc 10, 11 e Lc 16, 18) . La controversia tra giudei e cristiani circa il sepolcro vuoto, attribuito al rapimento del corpo di Gesù da parte dei discepoli, si riflette nel suo racconto (Mt 27, 62-66; Mt 28, 11-15).

B. Gesù predica il "Regno dei cieli"

Il "Regno dei cieli", predicato da Gesù, si consolida in una società visibile, la chiesa, da lui solo ricordata tra gli evangelisti. Questa chiesa ha dei poteri (Mt 18, 18) ed esplica le sue azioni sulla terra in mezzo a difficoltà e prove (Mt 13, 14-30; Mt 10, 16-42; Mt 18, 15ss). deve però consistere in una comunità d’amore e di comprensione. Per essa si attuano le speranze dei pii israeliti circa la sovranità universale di Jhwh.

Per l’ingresso in questo regno occorre una perfetta giustizia, superiore a quella degli scribi e dei farisei (Mt 5, 20).

C. Il motivo della salvezza e della condanna d’Israele

Il vangelo di Matteo presenta pure il motivo della salvezza e della condanna di Israele. Siccome questa nazione era stata chiamata a salvezza, i discepoli dovranno rivolgersi alle pecorelle smarrite di Israele senza andare ai pagani (Mt 10, 5s), così come Gesù era stato inviato solo per Israele (Mt 15, 24). Tuttavia gli israeliti, per avere respinto la grazia divina, saranno sottoposti ad un severo giudizio, non potranno entrare nel regno di Dio, anzi assisteranno alla distruzione della stessa loro capitale: Gerusalemme (Mt 18, 11ss; 21, 43; 22, 7; 23, 37). Il sangue di Gesù ricadrà sul popolo che l’ha respinto e sopra i suoi figli (Mt 27, 25). Per questo i gentili subentreranno a Israele e formeranno con la "Chiesa" il nuovo Israele, il nuovo popolo di Dio (Mt 16, 17ss); si comprende in tal modo la finale mattaica: «Andate a ammaestrate tutti i popoli» (Mt 28, 19).

Agli Ebrei subentrano i gentili, fatto già preannunciato da Gesù quando si recò nel territorio di Zabulon (nella Palestina dei gentili), con la quale si realizzò la profezia isaiana dei popoli che vedono così una grande luce (Mt 4, 12-17; cf Is 8, 23 - 9, 1).

Anche l’apparizione del risorto nella Galilea dei gentili, con l’eliminazione delle apparizioni a Gerusalemme, ha la sua chiave di spiegazione nel fatto che quel territorio era più adatto all’insegnamento teologico universalistico del suo vangelo e della missione di Gesù (Mt 28, 19s). Si nota qui la situazione del tempo nel quale l’evangelo fu scritto, quando cioè la grande massa israelitica si era già decisa contro il messaggio cristiano e la Sinagoga si opponeva fieramente alla Chiesa, creando una situazione tesa.

D. Interesse per gli apostoli ai quali è dato conoscere i misteri del Regno di Dio
L’ottusità degli apostoli, candidamente riferita da Marco, viene passata sotto silenzio o mitigata da Matteo  che vuole così dimostrare come essi non siano allo stesso livello del popolo al quale è preclusa la conoscenza dei misteri del regno di Dio (cf Mt 13, 16s.34s.51s).

Matteo si interessa pure alla persona di Pietro, del quale narra racconti inediti: Pietro viene da lui detto il "primo"; egli cammina sulle acqua, riceve l’elogio di Gesù («Tu sei Pietro  . . . »), per lui solo Gesù paga l’obolo al tempio. Ma da tali espressioni non deriva che l’apostolo fosse già ritenuto, come avvenne poi nel corso dei secoli, "capo" degli altri (cf Mt 20, 26-27; Mt 16, 23; Mt 23, 8-12).

Siccome il vangelo si riferisce ai giudei della Sinagoga che erano stati affidati a Pietro (Gl 2, 8), ne deriva che costoro dovevano avere maggior interesse per l’apostolo del giudaismo che non per gli altri.

Da questi pochi accenni appare chiaramente che gli agiografi non furono dei puri ripetitori meccanici della Parola, bensì dei teologi che la interpretarono secondo la propria visione. Questo è un dato che deve essere tenuto presente da chi intende approfondire la conoscenza dei vangeli.

IX. Indicazioni tematiche

A. Giustizia: Matteo esprime il corretto rapporto dell’uomo con Dio con un termine tecnico ben preciso che oggi per noi occidentali ha un significato diverso. In greco è dikaiosunh (dikaiosùne) =  "giustizia", Per noi "giustizia" oggi non ha più questo senso. Che cos’è la giustizia secondo Matteo? « Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia ». Questo passo si trova in Mt 6, 33, ma vi è un elenco di passi dove troviamo il termine "giustizia": Mt 3, 15; Mt 5, 6; Mt 5, 10; Mt 5, 20; Mt 6, 33; Mt 21, 32. Per avere un’idea di come è concepito il termine dall’apostolo Matteo, partiamo dall’ultimo: Mt 21, 32. Si tratta di quel testo, solo di Matteo, in cui Gesù rimprovera al mondo ebraico di non aver accettato di convertirsi. È la parabola dei due figli: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, va oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Si, signore, ma non andò. Rivoltosi al secondo gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre? (quando Gesù pone queste questioni, le mette sempre quasi in forma retorica, la risposta è chiara). Dicono: L’ultimo (cioè quello che aveva detto no; è chiara l’allusione: il mondo ebraico aveva detto si, poi non ci è entrato, mentre quelli che erano lontani sono entrati). Questo è il commento di Gesù: E Gesù disse loro: In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. È venuto a voi Giovanni (Battista) nella via della giustizia (ecco qua la "via della giustizia ") e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, (neanche gli avete badato) pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli » Che cosa è "la via della giustizia"? È la via di un corretto rapporto con Dio, di un nuovo corretto rapporto con Dio. Allora i lontani sono entrati per via di un nuovo, corretto rapporto con Dio. Anche Matteo 6, 33, che abbiamo citato prima: « Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia » dovremmo tradurlo: "Cercate prima il regno di Dio ed il corretto rapporto con Lui, e tutto il resto vi sarà dato in soprappiù". Ciò che è fondamentale è questo corretto ed autentico rapporto con Dio. Lo stesso in Mt 5, 20: « Se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli». Va tradotto: "Se il vostro rapporto con Dio non supera quello . . .". Oppure ecco un testo che bisogna intendere bene: «Perseguitati per causa della giustizia» (Mt 5, 10) vuol dire: "Perseguitati a causa di questa fedeltà a Dio". Chi sono costoro? Erano esattamente i cristiani di Cafarnao e di Damasco. Così  pure «affamati e assetati di giustizia » (Mt 5, 6), può essere vero di giustizia sociale, ma certo Matteo non pensa a questo, pensa "affamati e assetati di un corretto rapporto con Dio". Questo corretto ed autentico rapporto con Dio veniva richiesto anche nell’Antico Testamento usando lo stesso termine: « La tua giustizia (la tua sedaqah) – aveva detto Deuteronomio – consisterà nell’osservare tutte queste norme» (Dt 6, 25). Per cui, ecco l’ultima frase, Mt 3, 15 che abbiamo citato per prima, quando Gesù si presenta al Battista per essere battezzato, il Battista dice: "Mai più, sono il che ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?" « Ma Gesù gli disse: Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia», cioè ci mettiamo ciascuno al nostro posto nel rapporto con Dio. Questa volta abbiamo addirittura un riserbo da parte di Gesù. Allora, riassumendo questo primo semplicissimo tema, possiamo chiederci: Che cos’è l’esperienza di Dio che Matteo rievoca? È quella di cercare continuamente un corretto rapporto creaturale con Dio.

B. Kyrios. Nel vangelo di Matteo ci sono alcune volte in cui Gesù è invocato come Kyrios (= Signore). Un episodio ben preciso, si trova, per esempio in Mt 8, 2 in cui il lebbroso dice: « Signore abbi pietà di me, guariscimi dalla lebbra ». Poi il Centurione di Cafarnao: « Signore non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma tu puoi guarire il mio servo» (Mt 8, 6-8). Molto più efficace è l’episodio quando sono nel mare in tempesta e stanno per affondare. Cosa gridano in quell’occasione i discepoli? « Signore, salvaci, periamo» (Mt 8, 25) " Kurie, swsan hmaVj , apollumeJa " (Kyrie, sòsan emâs, apollùmetha). Oppure quando un’altra volta sono nel mare in tempesta e Pietro comincia a camminare sulle acque, dopo comincia ad affondare. Solo Matteo ce lo ricorda. Pietro si mette a gridare Kyrie, Signore, salvami, sto affogando (Mt 14, 30). Un altro episodio, è quello della sirofenicia che per tre volte dice a Gesù: Signore abbi pietà di me e di mia figlia (Mt 15, 22-27). Poi un altro episodio, quello dell’epilettico. Il padre dice a Gesù: Signore, guarda come è ridotto, renditi conto, abbi pietà (Mt 17, 15). Possiamo citare anche l’ultimo che si trova in Mt 20, 30: i ciechi di Gerico che gridano a Gesù: Signore salvaci. Notate che in queste invocazioni a Gesù l’atto di fede è espresso con le parole "Kyrie" (= Signore) e "abbi pietà" o "salvaci". Sembrano le stesse invocazioni liturgi-he: Kyrie eleison, Kyrie sòsan emâs, che abbiamo in altri testi. Queste pagine, possiamo dire, che Matteo le scriveva durante la liturgia delle prime comunità, rievocando o accostando la vita della comunità in preghiera, la comunità cristiana e le grandi invocazioni di un tempo; cioè le traduceva e le collocava dentro il Gesù storico perché era ancora lui il salvatore. Quindi chi è Gesù? È il Signore che salva e che ha misericordia. Attenzione! È il Signore che salva, ma se è il Signore, allora qual è l’atteggiamento davanti al Signore? In ginocchio. Matteo ha almeno 9 volte davanti a Gesù, nel suo ruolo di salvatore, un uomo in ginocchio. È solo Matteo che ha tutte queste note. Il verbo proskunein, proskunesiV (proskyneîn, proskýnesis) vuol dire adorare. Il verbo proskyneîn ricorre almeno 10 o 11 volte in Matteo per dire  che davanti a Gesù si sta in ginocchio. Per esempio, il testo più celebre, Mt 2, 1-11: I Magi vengono per adorare il re dei Giudei. Poi arrivati si inginocchiarono e offrirono . . . Davanti a Gesù c’è l’adorazione, questa centralità di Gesù che salva. Così il lebbroso che abbiamo ricordato prima (Mt 8, 2); così Giairo quando ha la figlia ammalata (Mt 9, 18); così la Cananea che ha la figlia ammalata e altre pagine. L’ultimo episodio è davanti al Gesù risorto, prima della partenza per la missione: in ginocchio davanti al Signore chiedono la licenza di andare in missione (Mt 28, 17). Ecco il secondo tema tipico del vangelo di Matteo: Gesù è Signore e centro della storia.

C. Poca fede. Davanti a Gesù si è sempre a corto di fede. Davanti a Gesù e a Dio i discepoli si scoprono sempre con poca fede. L’espressione «Uomini di poca fede» è tipica di Matteo. Davanti a Gesù si è sempre uomini di poca fede o gente a corto di fede. È da ricordare il passo: "Se gli uccelli del cielo . . . . se i fiori del campo . . . perché voi dubitate o uomini di poca fede?" (Mt 6, 30). Celebre è il mare in tempesta. Quando dicono: Signore, salvaci, periamo, Gesù non calma il mare subito, ma prima si rivolge ai discepoli e dice: "Perché avete paura o uomini di poca fede?" Allora si può avere Gesù in barca e avere poca fede. Il mare non si calmerà finché non si ha più fede in Gesù. Gesù prima chiede fede, poi calma il mare. La soluzione dei problemi non viene dai miracoli di Gesù, ma dall’umiltà della fede (Mt 8, 26). Così quando Pietro sta per affondare (Mt 14, 31), Gesù gli dice: "Perché hai paura, uomo di poca fede?" Vedete l’alternativa: la paura o la fede. C’è un altro episodio sempre in mare. Il mare sembra un luogo tipico per la misura della fede. In Mt 16, 8: I discepoli in mare han dimenticato di prendersi del pane, eppure c’era un pane in barca e loro non lo vedono, non s’accorgono. Gesù dice: "Ma perché uomini di poca fede?". Il pane era Gesù, ma non lo capivano, non s’accorgevano di essere già imbarcati con il pane. Matteo in qualche modo non radicalizza il problema della fede; magari c’è un po’ di fede, ma non basta per stare in barca con Gesù. La Chiesa quindi di Matteo è una chiesa perseguitata, c’è un po’ di fede, c’è ne veramente poca di fede, ma questa poca fede non basta per attraversare il mare in barca con Gesù, occorre aumentare questa fede. Quindi tipico di Matteo è questa constatazione: Di fronte al mare in tempesta (la tempesta può anche essere simbolica) si misura quanta fede accompagna il discepolo.

Matteo chiaramente pensa alla situazione della chiesa in questi testi per dire che effettivamente il bene e il male sono compresenti nel tempo della chiesa. Ciò che è importante è di rinnovare continuamente la fiducia in Cristo, nella sua centralità. Matteo è molto realista. Dice che quando Gesù è risorto e li manda in missione, sono in ginocchio, ma alcuni dubitano. Anche Marco ha questo, ma, per Matteo, uno dei temi sulla centralità di Cristo è proprio la fede.