Estratti da: Gilberto Oneto, Manuale
di Architettura del Paesaggio, Alinea, Firenze 2001 (cap.
Principi di progettazione paesaggistica, pp. 21-23)
Ogni corretto intervento sul paesaggio
deve trovare ispirazione e verifica in due ordini di principi legati ai
fondamenti della pianificazione ecologica e al rispetto delle immagini
tradizionali.
Ciò vale indipendentemente dalla
scala, dalla localizzazione e dall’oggetto dell’intervento.
La pianificazione ecologica
Tutta la più attiva scuola contemporanea
di landscape fonda le proprie basi culturali e metodologiche nella
cosiddetta “pianificazione o progettazione ecologica” le cui prime enunciazioni
moderne si devono a Ian McHarg - uno scozzese che è stato a lungo
capo del Dipartimento di Architettura del Paesaggio e di Pianificazione
Regionale della Università di Pennsylvania - che ha teorizzato metodi
basati sull’esistenza di un “determinismo fisiografico” o ecologico che
fa prevalere al momento delle scelte di intervento sul territorio le “ragioni
della natura” sulla presunta razionalità economica e sociale dei
parametri dell’urbanistica tradizionale legittimando con ciò solo
usi del suolo che ne consentano la conservazione, la rigenerazione e utilizzi
alternativi per tempi lunghi.
La scuola di McHarg sostiene che la natura
espleta per la comunità umana una infinita serie di funzioni vitali,
che lo fa gratuitamente e che può continuare a farlo solo se si
eseguono interventi sintonizzati sulle vocazioni proprie e sui ritmi del
paesaggio.
La pianificazione ecologica, che ha avuto
grande sviluppo negli Stati Uniti, si è poi diffusa anche in Europa
dove ha trovato sviluppi originali soprattutto grazie alla sua adattabilità
alle più diverse situazioni naturali ma anche culturali. Essa si
basa su di una serie di fondamentali considerazioni circa taluni degli
elementi costituenti l’essenza di paesaggio che vale qui la pena di riproporre
sia pur grossolanamente riassunti per semplicità di esposizione.
A - Il paesaggio costituisce un
unico grande organismo vivente i cui caratteri biologici e le cui forme
percepibili sono la risultante della sovrapposizione dinamica di molteplici
componenti naturali e culturali i cui rapporti vengono via via aggiustati
e calibrati nel tempo, traendo cadenze di vita autonome e capaci di autosostenersi.
Per componenti e azioni naturali si intendono
tutti gli elementi, costituenti il complesso ecosistema basato sulle leggi
della natura, che determinano la forma fisica e gli equilibri biologici
della Terra.
Per componenti e azioni culturali si intendono
invece tutte le azioni provocate dall’uomo, le loro sovrapposizioni storiche
e le loro conseguenze sul territorio.
I caratteri di dette componenti possono
essere scomposti e esaminati a fini analitici ma devono poi essere considerati
nella globalità dei loro rapporti e interconnessioni nell’ambito
di ogni corretta operazione sul paesaggio.
Ne consegue che ogni intervento sull’ambiente
debba tenere conto delle esigenze fondamentali di ogni forma di vita interessata
verificandone i rapporti costituenti l’ecosistema per tempi lunghissimi
tendenti all’infinito e che non esiste la possibilità di un intervento
su di una singola parte che non provochi qualche tipo di conseguenza o
ripercussione - anche lontano nel tempo e/o nello spazio - in altre parti
o componenti del paesaggio.
B - Il paesaggio possiede autonome
valenze di vocazione e di repulsione per ogni tipo di utilizzo ipotizzabile.
William Whyte dice a questo proposito che esiste già in natura un
“piano” che si deve solo cercare di interpretare, e la scuola di progettazione
ecologica sostiene addirittura che il paesaggio si pianifichi da sé
e che bisogna solo saperne leggere le indicazioni.
Queste vocazioni e repulsioni vengono
rivelate e rese comprensibili mediante un adeguato procedimento di analisi
del paesaggio.
Questa accettazione del paesaggio come
soggetto e non solo come oggetto di pianificazione comporta un risvolto
che riguarda anche la valutazione e la verifica dei benefici economici
di tutte le operazioni di intervento: ogni opera realizzata contro i ritmi
propri del paesaggio genera infatti costi di manutenzione e di esercizio
molto alti e rischia di diventare per tempi lunghi insostenibile.
C -Tutti gli interventi sul paesaggio
sono - a eccezione delle operazioni di restauro ambientale che si dovessero
eventualmente rendere necessarie e di quelle finalizzate alla costruzione
di nuovi parchi e giardini - degli atti di modifica degradante le cadenze
ambientali, sia di quelle naturalistiche d’origine che di quelle consolidate
nel tempo.
Per questo, ogni intervento - indipendentemente
dall’assonanza e dalla capacità di adattamento ai ritmi propri del
posto - deve:
-
· essere ridotto alla dimensione minima
atta a soddisfare le necessità che ne hanno richiesto l’esecuzione
limitando la quantità di impatti e l’estensione della porzione di
territorio interessato;
-
· consentire ogni futura azione di
riutilizzo diverso dell’area interessata lasciando aperta per l’avvenire
ogni altra alternativa di sviluppo in modo che le generazioni che seguiranno
potranno pianificare quelle esigenze che non possono e non debbono essere
ipotizzate oggi.
D -Il paesaggio riveste un importantissimo
valore economico per il sostentamento di ogni forma di vita umana, esso
è addirittura la prima origine di ogni forma di produzione e di
economia.
Per questo non deve sussistere contrasto
fra esigenze economiche e ambientali dovendosi a tutti gli effetti identificare
i vantaggi ecologici con quelli economici a lungo termine.
Per di più occorre ricordare come
la salute fisiologica di un paesaggio coincida nella quasi totalità
dei casi con la sua qualità “estetica” e quindi con la lunghissima
sequela di vantaggi e opportunità culturali, sociali e ancora economiche
che questo comporta.
Il rispetto delle immagini tradizionali
In un’area come la penisola italiana,
caratterizzata da lunga e continua presenza sul suo territorio di civiltà
ad alto potere di modifica ambientale, le componenti antropiche uguagliano
per importanza - quando proprio non finiscono addirittura per prevalere
- quelle naturali.
Questa forte presenza “culturale” ha fortemente
impregnato il territorio di immagini qualificanti e caratterizzanti che
lo hanno interessato sia a livello di gestione delle aree che di definizione
delle forme architettoniche.
Sia il paesaggio tradizionale - in genere
agricolo - che l’architettura vernacolare riescono infatti a costituire
l’immagine dei vari ambienti regionali arrivando a diventarne elemento
di distinzione oltre che di riconoscimento.
Tutta la struttura tradizionale che l’uomo
ha nel tempo intessuto sul paesaggio è il risultato dell’adattamento
di bisogni sociali, economici e culturali alle esigenze del “posto” riconosciute
attraverso una lunga serie di calibrature e di aggiustamenti successivi
eseguiti al di fuori di qualsiasi consapevole schema metodologico ma che
possono essere - quanto meno alla luce delle conseguenze pratiche - in
qualche modo ricondotti alle più moderne enunciazioni della pianificazione
ecologica.
Il riconoscimento del paesaggio come fonte
di vita e la consapevolezza dell’intima relazione economica ma anche simbolica
fra il benessere della comunità umana e lo stato di salute del territorio
hanno generato paesaggi e architetture di alto valore funzionale, estetico
ed ecologico almeno fino a quando prassi economiche e teorie architettoniche
e urbanistiche avulse da questi rapporti organici non ne hanno negli ultimi
decenni sconvolto relazioni e armonie. Le considerazioni sopra fatte valgono
per tutte le sfere dell’intervento umano sull’ambiente: forme, dimensioni,
materiali e colori concorrono alla costruzione di quell’unicum culturale
rappresentato dal paesaggio antropico tradizionale o vernacolare. Oggi
possono essere cambiate talune delle esigenze produttive o sociali ma l’essenza
del rapporto col paesaggio, sia in termini simbolici che in quelli interessanti
gli ecosistemi, dovrebbero essere rimaste immutate. È semmai proprio
dalla loro violenta mutazione che traggono origine quasi tutti i guai ambientali
che la nostra società deve oggi affrontare.
Se i principi della pianificazione ecologica
richiedono di verificare le vocazioni e le repulsioni proprie del paesaggio
per determinarne utilizzi e caratteri di intervento, solo l’attento studio
delle forme vernacolari può dare utili indicazioni circa il loro
aspetto formale. Così all’analisi delle componenti culturali del
paesaggio va assegnata l’importanza che richiede il dover operare in un
territorio di antropizzazione densa e ricca di sostanza e variegazione.
Lo studio dei caratteri formali dell’architettura
vernacolare, delle più tradizionali forme di gestione del territorio
e degli schemi e delle immagini locali della cultura giardinistica devono
perciò precedere e stare alla base di ogni intervento che voglia
essere realizzato in sintonia con i ritmi del paesaggio e che in esso voglia
inserirsi con modestia e dolcezza. Ogni intervento non basato su queste
considerazioni risulta traumatico per il paesaggio, per le sue componenti
organiche e per tutte le forme di vita che ospita.