Renato Rozzi - Corso di Urbanistica

 

 
 
 
 

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Alcune tendenze di sviluppo di città italiane

È possibile, sulla base dei dati disponibili, esaminare abbastanza a fondo l’evoluzione di un gruppo allo stesso tempo omogeneo ed eterogeneo (per dimensione, storia, attività ecc.) di città italiane, per mostrare alcune tendenze ed esemplificare “regole” valide anche in altri diversi casi. In particolare, i centri urbani ai quali si fa qui riferimento si collocano nell’area padana. Pavia, Bergamo, Brescia, Verona, Vicenza, Padova, Mestre, Venezia, ne costituiscono un primo arco, collocato grosso modo a nord. Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna, Imola, Forlì, Faenza, Cesena, Rimini, ne costituiscono la parte sud, collocate lungo l’asse pedeappenninico della via Emilia. Tra queste due serie, più al centro della pianura abbiamo Ravenna e Ferrara per l’area emiliana, e Cremona e Mantova per la zona lombarda. L’arco di tempo sul quale si basano osservazioni e deduzioni, è quello che va dalla prima modernizzazione, a seguito dell’unità nazionale, verso la fine del XIX secolo, agli anni Settanta del Novecento, quando questo processo di modernizzazione si conclude ed inizia una nuova fase che, per esempio dal punto di vista delle forme insediative si caratterizza per la crescita dei sistemi metropolitani, o la formazione della città diffusa.

In questo primo periodo di “modernizzazione” nel segno dell’industria (una industrializzazione che nel caso italiano avviene molto più tardi che altrove) le città crescono fisicamente, si espandono, e modificano la propria organizzazione interna, per esempio “specializzando” alcune zone nella residenza, nelle attività produttive ecc. laddove all’inizio avevamo una sola città che conteneva tutto e tutti. In altre parole i centri urbani si trasformano sia dal punto di vita della quantità che della qualità. Una delle caratteristiche, già accennata, che distingue le città italiane da quelle ad esempio inglesi, è lo svilupparsi dell’industria soprattutto e proprio nelle città esistenti, grazie al fatto che la ferrovia precede (e non segue) nel tempo l’industria, e anche l’altro fattore importante, ovvero la disponibilità di energia elettrica, coincide più o meno con l’inizio della nostra osservazione, agli ultimi anni del XIX secolo.
Con queste distinzioni, i processi di industrializzazione e urbanizzazione sono comunque abbastanza simili a quelli descritti sinora per il resto dell’Europa: si rende disponibile una grande quantità di manodopera prima occupata nelle campagne, e l’industria collocata nelle città ne richiede una certa parte (molta altra manodopera nel caso italiano emigra verso America o Australia), facendo così crescere popolazione ed estensione dei centri.
Basta osservare la planimetria di una delle città prese a campione, per avere una rapida idea visiva di cosa significa in pratica questo processo. La pianta di Cesena nel 1894 mostra una città del tutto racchiusa nell’impianto tradizionale, con netto distacco rispetto alla campagna circostante, e soprattutto con una forma che non si differenzia affatto da una città medievale o rinascimentale, salvo un unico elemento moderno rappresentato dalla ferrovia Bologna-Rimini, che però corre esterna e senza rapporti fisici rilevanti con il centro. Trent’anni dopo la situazione si è modificata: la città non coincide più in alcun modo col centro storico, anche se questo ne rappresenta ancora una porzione rilevante; lo sviluppo è avvenuto soprattutto ma non solo in direzione della ferrovia, e dove prima c’era campagna si notano evidenti gli insediamenti importanti della nuova residenza, degli impianti anche sportivi, dei servizi pubblici. Infine una planimetria della seconda metà del Novecento, alla fine del primo ciclo di modernizzazione a cui facciamo riferimento, mostra una città dove il centro storico è diventato quantitativamente minoritario, e non è più nemmeno il centro ordinatore dell’insieme. La crescita è avvenuta lungo nuove direttrici di sviluppo, prima fra tutte la fascia ferroviaria che aveva visto la trasformazione originale, e che ora tende a raddoppiarsi verso il nuovo asse dell’autostrada verso il mare: questi pochi elementi indicano seppur solo in parte come è cambiata la quantità e la qualità dell’insediamento.

PIANTE DI CESENA

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Va comunque precisato come lo sviluppo industriale, comunque si verifichi e comunque influisca sulle forme dell’insediamento, non deve essere considerato come fatto “naturale” e ineluttabile, frutto di una certa epoca di progresso tecnologico: si tratta invece di una specifica scelta politica, che nel caso dell’Italia vede la casse dirigente post-unitaria favorire (non senza alcuni aspri contrasti e la proposta di alternative) proprio questa opzione. Una opzione che ha modo di dispiegare i suoi effetti socioeconomici sul lungo periodo, come si vede osservando l’andamento dei rapporti fra la popolazione totale nazionale, gli attivi totali, e le quote di questi impiegati rispettivamente nei settori agricolo e industria-terziario: dalla fine del XIX secolo agli anni Settanta del XX si assiste ad un vero e proprio “ribaltamento”, con una drastica riduzione della quantità di occupati in agricoltura, a favore degli impieghi nelle attività produttive industriali e di servizio. Se consideriamo che queste attività sono, come già osservato, tipicamente collocate nei centri urbani, si comprende come questa evoluzione socioeconomica abbia effetti rilevanti anche sull’assetto del territorio e lo sviluppo delle città

Tabella: Popolazione e attivi (in milioni) dal 1881 al 1971

anno
popolazione
totale attivi
attivi agricoltura attivi industria/servizi





1881
28,5
16,1
10,5
5,6
1911
34,7
17,5
10,2
7,3
1931
41,2
18,2
9,4
8,8
1951
47,2
19,6
8,3
11,3
1971
53,8
18,8
3,2
15,6

Grafico: evoluzione del rapporto fra popolazione, attivi totali e attivi in agricoltura e attività industrali-servizi

Ed è interessante osservare, anche, come l’effetto delle scelte di sviluppo industriale italiano sulle quantità e qualità dell’occupazione si sviluppi nel tempo, anche in rapporto a quanto accade negli anni in altri Paesi europei, che come già accennato arrivano all’industrializzazione in epoche diverse, ma comunque prima dell’Italia. In sintesi, quello che si nota è un relativo “livellamento” dei vari sistemi economico-occupazionali, a partire da condizioni di forte disparità con l’Inghilterra prima sola nella crescita industriale, affiancata poi da Germania e Francia, e molto più tardi dall’Italia, che poi “recupera” nel corso del Novecento.

Tabella: composizione della popolazione attiva per settori in Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna a fine ‘800 e seconda metà del ‘900

nazione
attivi primario
attivi secondario
attivi terziario
       
ITALIA 1881
65
21
14
FRANCIA 1866
46
27
27
GERMANIA 1882
47
35
18
GRAN BRETAGNA 1871
15
47
38
       
ITALIA  1971
17
42
41
FRANCIA 1968
15
34
51
GERMANIA  1970
9
48
43
GRAN BRETAGNA 1971
3
38
59

Grafico: confronto dell’occupazione per settori in Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna (fine ‘800)

Grafico: confronto dell’occupazione per settori in Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna (seconda metà ‘900)

Come si diceva, sviluppo industriale e sviluppo urbano sono strettamente legati, e infatti si osserva come il tasso di urbanizzazione in Italia aumenti, nel periodo considerato, dal 24% del periodo immediatamente post-unitario, al 50% degli anni Settanta del ‘900. In particolare se osserviamo il caso delle 22 città padane di riferimento già elencate, il loro incremento demografico complessivo è di circa il 300%, con una crescita da circa 850.000 abitanti a circa 2.900.000. Va precisato naturalmente come si tratti di un dato sintetico di insieme, che non costituisce in nessun modo una “fotografia” significativa dell’uno o dell’altro particolare centro urbano e delle sue vicende locali. Basta ricordare a questo proposito come due dei centri considerati, Mestre e Venezia (che tra l’altro sono contigui e fanno parte dello stesso comune) presentino dinamiche del tutto opposte, con Mestre investita da uno sviluppo industriale e demografico che la porta a passare da piccolo paese con qualche migliaio di abitanti, a polo produttivo che ne conta molte decine di migliaia, mentre Venezia nello stesso periodo non solo riduce la propria popolazione in cifre assolute, ma perde di rango in questo senso anche rispetto a tutte le altre città considerate.

Se per le 22 città si osserva l’andamento relativo dell’incremento di popolazione, della superficie urbanizzata, e della densità demografica, si nota come nel periodo considerato all’aumento delle aree occupate dalla città non corrisponda un aumento proporzionale degli abitanti: ovvero, ad ogni abitante spetta via via una quantità sempre maggiore di spazio urbanizzato, che da fine Ottocento agli anni Settanta del secolo successivo raddoppia, e oggi è ancora aumentata.

Grafico: Popolazione, Superficie Urbanizzata e Densità Demografica di 22 centri urbani dell’Italia settentrionale

Grafico: tendenze evolutive dei rapporti fra Popolazione, Superficie Urbanizzata e Densità Demografica su 22 centri urbani dell’Italia settentrionale

Le tendenze brevemente descritte, possono essere analizzate e approfondite scomponendo il dato aggregato della Densità Demografica, che definiamo come

DD = Pop/SU, ovvero la Densità Demografica dipende dal rapporto fra Popolazione e Superficie Urbana.

Altra quantità da prendere in considerazione, è la Densità Edilizia, definita da DE = QE/SU, ovvero Densità Edilizia uguale rapporto fra Quantità Edilizia e Superficie Urbana.

Ultimo, l’Affollamento (nel caso delle abitazioni misurato in termini di Abitanti/Stanza), rappresentato da Af = Pop/QE, ovvero l’Affollamento dipende dal rapporto fra Popolazione e Quantità Edilizia.

Possiamo a questo punto costruire la serie:

DE x Af = QE/SU x Pop/QE = Pop/SU = DD
Dove la Densità Demografica è rappresentata dalla Densità Edilizia moltiplicata per l’Affollamento.

Negli anni presi in considerazione, in cui a partire dall’epoca preindustriale cresce la dimensione della città, ma si mantiene pressoché costante l’Affollamento (in media, naturalmente: questo come altri dati aggregati non “fotografa” nessun caso singolo), a poco più di un abitante per ogni stanza, e decresce la Densità Edilizia. A partire dagli anni Cinquanta del Novecento, invece, notiamo che la Densità Edilizia smette di calare, mentre diminuisce l’Affollamento, scendendo sotto la soglia di una stanza per ogni abitante, e proseguendo poi ad accentuare questa tendenza.
Come si vede dall’ultimo grafico, fatto 100 il dato della Densità Edilizia al 1890, al 1951 abbiamo un valore sceso a 69, che poi risale a 77 nel 1971. Nello stesso periodo, l’Affollamento passa da 1,12 Ab/Stanza nel 1890 a 1,09 nel 1951 (con una sostanziale stabilità), per poi scendere a 0,79 nel 1971. Al momento attuale l’Affollamento è di circa 0,65 Ab/Stanza.
In altre parole, nelle 22 città prese in esame, complessivamente ogni abitante nell’arco di tempo considerato ha “guadagnato” un terzo di stanza, o una stanza ogni tre abitanti. Con l’evoluzione dell’epoca più recente, e l’affermarsi del modello di “città diffusa” sia l’Affollamento che la Densità Edilizia tendono a decrescere, e questo solo per fare un esempio significa maggior consumo di suolo per abitante: diretto nel caso dello spazio occupato dalle abitazioni e da altri edifici, indiretto nel caso delle strade che servono la mobilità fra le varie parti dell’edificato.

Riguardo alla Densità Edilizia, si rendono opportune qui almeno alcune precisazioni. La Densità Edilizia è il rapporto fra la Quantità Edilizia QE (espressa in metri cubi), e la Superficie Urbana SU (espressa in metri quadri o ettari):

DE = QE / SU

 Ma ciascun edificio, come abbastanza evidente anche osservando una qualunque città o quartiere, non può essere abitabile ed efficiente se non ha attorno a sé una quantità sufficiente di spazio libero che gli fornisca l’indispensabile quantità di aria per la ventilazione, e di luce per il soleggiamento. Tale spazio libero può essere fornito, sia da una strada o altro tipo di spazio pubblico, sia da parte dello stesso lotto edificabile, sotto forma di superficie di pertinenza dell’edificio. Espresso in forma sintetica, questo rapporto fra volumi e superfici dice che la Densità Edilizia è funzione non solo della Superficie Urbana, ma anche della Superficie dei Lotti SL:

 DE = QE / SU = QE / SL x SL / SU

 Questa correlazione introduce il concetto di Densità articolato secondo due modi: la Densità Edilizia Territoriale, riferita all’insieme della Superficie Urbana (compresi dunque tutti gli spazi liberi pubblici); la Densità Edilizia Fondiaria QE / SL, rapporto tra i metri cubi di volume edilizio costruito (o che si può costruire secondo le indicazioni di un piano regolatore), e la dimensione in metri quadri del lotto edificato (o edificabile secondo le indicazioni di un piano regolatore).

La superficie del lotto effettivamente occupata dall’edificio, si dice Superficie Coperta SC, e si instaura la seguente relazione:

 DE = QE / SU = QE / SL x SL / SU = QE / SC x SC / SL x SL / SU

 All’interno della quale si nota il rapporto fra la Superficie Coperta SC e la Superficie del Lotto SL, detto Rapporto di Copertura.

Questo insieme di relazioni consente di calcolare (o prevedere entro un piano regolatore), conoscendo le quantità relative, l’altezza media degli edifici, o il numero medio dei piani, e in generale di stabilire alcune regole per l’edificazione, che sono in grado di inquadrare un vero e proprio “disegno urbano”, ovvero di definire sino ad un certo grado le caratteristiche spaziali di una parte di città.

 Facciamo l’esempio di cosa significa in pratica un Rapporto di Copertura pari a 0,25, ovvero alla possibilità di occupare con un edificio un quarto, o il 25%, della Superficie del Lotto. Supponiamo un lotto edificabile perfettamente quadrato, con un lato di 20 metri. Il distacco minimo dai confini della proprietà, è di 5 metri, e ne risulta al centro del lotto un quadrato effettivamente edificabile di 10 metri di lato, quindi con una Superficie Coperta di 100 metri quadrati.

Il calcolo è facile: SC / SL = (10 x 10) / (20 x 20) = 100 / 400 = 0,25

 

Utilizzando l’identico criterio con un lotto di forma e dimensioni diverse, si ottengono risultati diversi. Supponiamo di avere un lotto di identica profondità, ma di larghezza doppia, di 40 metri per 20. Con la medesima regola del distacco minimo dai confini di 5 metri per lato, otterremo al centro del nostro terreno edificabile un rettangolo con 30 metri di fronte, e 10 metri di profondità. L’equazione si ripresenta: SC / SL = (10 x 30) / (20 x 40) = 300 / 800 = 0,375


Quindi, considerando i risultati, si può osservare come aumentando la Superficie del Lotto, con le stesse regole si ottengono Rapporti di Copertura maggiori.

In conclusione, si osserva come utilizzando il concetto di Densità Edilizia sia possibile soprattutto organizzare la città secondo scopi di carattere funzionale (più o meno popolazione, o attività, in una certa area che le può ospitare). L’uso strumentale delle regole sui Rapporti di Copertura, e sulle Altezze Massime degli edifici, che come abbiamo visto sono specificazioni della Densità, riesce invece a plasmare fisicamente un tipo di “ambiente urbano” abbastanza definito. È infatti abbastanza intuibile come la stessa Densità Edilizia si possa ottenere, ad esempio, con un grattacielo circondato di grandissimi spazi liberi, o con edifici più bassi ma più ravvicinati. Proprio con l’uso “mirato” dei criteri brevemente descritti, è possibile prefigurare in linea di massima proprio queste “qualità” dell’insediamento.

 Sotto: un uso possibile della bassa densità edilizia, sia con edifici bassi diffusi sul territorio, che con un grattacielo circondato da grandi spazi aperti. Broadacre City di Frank Lloyd Wright (schizzo, 1932)