Se un voto si compra con cinquanta euro
di R. SAVIANO
NESSUNO vincerà le elezioni in Italia. Nessuno. Perché finora
tutti sembrano ignorare una
questione
fondamentale che si chiama "organizzazioni criminali" e ancor
più "economia criminale". Non molto tempo fa il rapporto di
Confesercenti valutò il fatturato delle mafie intorno a 90
miliardi di euro, pari al 7 per cento del Pil, l'equivalente di
cinque manovre finanziarie. Il titolo "La mafia s. p. a. è la
più grande impresa italiana" fece il giro di tutti i giornali
del mondo, eppure in campagna elettorale nessuno ne ha parlato
ancora.
E nessuna parte politica sino a oggi è riuscita a prescindere
dalla relazione con il potere economico dei clan. Mettersi
contro di loro significa non solo perdere consenso e voti, ma
anche avere difficoltà a realizzare opere pubbliche.
Non le vincerà nessuno, queste elezioni. Perché se non si
affronta subito la questione delle mafie le vinceranno sempre
loro. Indipendentemente da quale schieramento governerà il
paese. Sono già pronte, hanno già individuato con quali politici
accordarsi, in entrambi i schieramenti. Non c'è elezione in
Italia che non si vinca attraverso il voto di scambio, un'arma
formidabile al sud dove la disoccupazione è alta e dopo decenni
ricompare persino l'emigrazione verso l'estero. E' cosa risaputa
ma che nessuno osa affrontare.
Quando ero ragazzino il voto di scambio era più redditizio. Un
voto: un posto di lavoro. Alle poste, ai ministeri, ma anche a
scuola, negli ospedali, negli uffici comunali. Mentre crescevo
il voto è stato venduto per molto meno. Bollette del telefono e
della luce pagate per i due mesi precedenti alle elezioni e per
il mese successivo. Nelle penultime la novità era il cellulare.
Ti regalavano un telefonino modificato per fotografare la scheda
in cabina senza far sentire il click. Solo i più fortunati
ottenevano un lavoro a tempo determinato.
Alle ultime elezioni il valore del voto era sceso a 50 euro.
Quasi come al tempo di Achille Lauro, l'imprenditore sindaco di
Napoli che negli anni cinquanta regalava pacchi di pasta e la
scarpa sinistra di un paio nuovo di zecca, mentre la destra
veniva recapitata dopo la vittoria. Oggi si ottengono voti per
poco, per pochissimo. La disperazione del meridione che arriva a
svendere il proprio voto per 50 euro sembra inversamente
proporzionale alla potenza della più grande impresa italiana che
lo domina.
Mai come in questi anni la politica in Italia viene unanimemente
disprezzata. Dagli italiani è percepita come prosecuzione di
affari privati nella sfera pubblica. Ha perso la sua vocazione
primaria: creare progetti, stabilire obiettivi, mettere mano con
determinazione alla risoluzione dei problemi. Nessuno pretende
che possa rigenerarsi nell'arco di una campagna elettorale.
Ma nel vuoto di potere in cui si è fatta serva di maneggi e
interessate miopie prevalgono poteri incompatibili con una
democrazia avanzata. E' una democrazia avanzata quella in cui
172 amministrazioni comunali negli ultimi anni sono stati
sciolti per infiltrazione mafiosa? O dove dal '92 a oggi, le
organizzazioni hanno ucciso più di 3.100 persone? Più che a
Beirut? Se vuole essere davvero nuovo, il Partito Democratico di
Walter Veltroni non abbia paura di cambiare. Non scenda a
compromessi per paura di perdere.
Il governo Prodi è caduto in terra di camorra. Ha forse
sottovalutato non tanto Clemente Mastella, il leader del piccolo
partito Udeur, ma i rischi che comportava l'inserimento nelle
liste di una parte dei suoi uomini. Personaggi sconosciuti
all'opinione pubblica, ma che negli atti di alcuni magistrati
vengono descritti come cerniera tra pubblica amministrazione e
criminalità organizzata. Nel frattempo il governo ha permesso al
governatore della Campania Bassolino di galleggiare nonostante
il suo fallimento nella gestione dell'emergenza rifiuti. E non
ha capito che quella situazione rappresenta solo l'esempio più
clamoroso di quel che può accadere quando il cedimento anche
solo passivo della politica ad interessi criminali porta allo
scacco.
Tutto questo mentre il centrodestra guidato da Silvio Berlusconi
assisteva muto o giustificatorio ai festeggiamenti del
governatore della Sicilia Cuffaro per una condanna che
confermava i suoi favori a vantaggio di un boss, limitandosi a
scagionarlo dall'accusa di essere lui stesso un mafioso vero e
proprio.
La questione della trasparenza tocca tutti i partiti e il paese
intero. Inoltre molta militanza antimafiosa si forma nei gruppi
di giovani cattolici i cui voti non sempre vanno al
centrosinistra. Anche questi elettori dovrebbero pretendere che
non siano candidate soubrette o personaggi capaci solo di
difendere il proprio interesse. Pretendano gli elettori di
centrodestra che non ci siano solo soubrette e a sud esponenti
di consorterie imprenditoriali. E mi vengono in mente le parole
che Giovanni Paolo II il 9 maggio del 1993 rivolse dalla collina
di Agrigento alla Sicilia e all'Italia ferita dalle stragi di
mafia: "Questo popolo... talmente attaccato alla vita, che ama
la vita, che dà la vita, non può vivere sempre sotto la
pressione di una civiltà contraria, civiltà della morte... Mi
rivolgo ai responsabili... Un giorno verrà il giudizio di Dio".
Parole che avrebbero dovuto crescere nelle coscienze.
È tempo di rendersi conto che la richiesta di candidati non
compromessi va ben oltre la questione morale. Strappare la
politica al suo connubio con la criminalità organizzata non è
una scelta etica, ma una necessità di vitale autodifesa.
Io non entrerò in politica. Il mio mestiere è quello di
scrittore. E fin quando riuscirò a scrivere, continuerò a
considerare questo lo strumento di impegno più forte che
possiedo. Racconto il potere, ma non riuscirei a gestirlo. Non
si tratta di rinunciare ad assumersi la propria responsabilità,
ma considerarla parte del proprio lavoro. Tentare di impedire
che il chiasso delle polemiche distolga l'attenzione verso
problemi che meno fanno rumore, più fanno danno. O che le
disquisizioni morali coprano le scelte concrete a cui sono
chiamati tutti i partiti. È questo il compito che a mio avviso
resta nelle mani di un intellettuale. Credo sia giunto il
momento di non permettere più che un voto sia comprabile con
pochi spiccioli. Che futuri ministri, assessori, sindaci,
consiglieri comunali possano ottenere consenso promettendo
qualche misero favore. Forse è arrivato il momento di non
accontentarci.
Nel 1793 la Costituzione francese aveva previsto il diritto
all'insurrezione: forse è il momento di far valere in Italia il
diritto alla non sopportazione. A non svendere il proprio voto.
A dare ancora un senso alla scelta democratica, scegliendo di
non barattare il proprio destino con un cellulare o la luce
pagata per qualche mese.
© 2008 by Roberto Saviano
Published by arrangement with Roberto Santachiara Literary
Agency
(15 marzo 2008) |