La malattia

Nietzsche era un melanconico. Nell'86 scriveva alla sorella: 

"Mi faccio coraggio quanto posso, ma una melanconia senza pari si impossessa ogni giorno di me, specialmente la sera (…) A che serve? (…) La vita è un esperimento, ma si ha un bel dire e un bel fare, lo si paga sempre a troppo caro prezzo" 
(Epistolario, a cura di Barbara Allason, pag. 238, lettera alla sorella Feb. 1886).

Nietzsche sin dall'infanzia ha accusato malesseri psichici depressivi. Jaspers parla della presenza di un fattore biologico e patologico a partire dall'80 e di "malattie" dal 73, ma tralascia di considerare che Nietzsche già durante l'adolescenza e forse ancor prima presentava disturbi dell'umore.

Nietzsche dava segni di melanconia probabilmente clinica ancora prima dei vent'anni, cioè prima del famoso episodio narrato da Paul Deussen della visita di Nietzsche al bordello di Colonia, dove avrebbe contratto la sifilide, tornandovi anche due anni dopo. Va comunque detto che nemmeno questo fatto ha validi riscontri.
Inoltre la testimonianza della sorella che Nietzsche durante la giovinezza è stato completamente sano, è stata da Janz confutata in modo convincente (Janz, Vita di Nietzsche, tr., Laterza 1982, pag.50).

All'età di quattro anni, egli subisce il trauma della morte del padre, trauma che non riuscirà più a superare. Nietzsche rimase un bambino estraneo alla vita dei compagni:

"In quest'ambiente Nietzsche era un bambino solitario e tale doveva rimanere. Fin da allora lo circondava l'aura protettrice quanto pericolosa e dolorosa della singolarità, che per tutta la vita lo tenne lontano da qualunque legame sociale. Ciò ovviamente non gli impedì di farsi degli amici
(Kurt Paul Janz, Vita di Nietzsche, vol. 1°, pag.37).

A sette anni scrive di avere perduto l'infanzia. 
Nietzsche cominciò a scrivere sui suoi stati melanconici all'età di dodici anni e vi ritornò a diciotto. Ciò concorda con quanto si sa della malattia maniaco-depressiva i cui primi sintomi tendono appunto a manifestarsi nell'adolescenza e perfino nell'infanzia.

Così descrive il carattere di Nietzsche bambino e adolescente il suo amico Pinder: 

"il tratto fondamentale del suo carattere era una certa malinconia, che si esprimeva in tutta la sua natura. Fin dalla primissima infanzia amava la solitudine per abbandonarsi ai propri pensieri, evitava in certo modo la compagnia degli uomini e frequentava invece i paesaggi che la natura ha dotato di sublime bellezza. Aveva animo molto fervido e pio, e già da bambino rifletteva su cose delle quali gli altri della sua età non si occupano
(Janz, op. cit., pag. 46).

"In realtà l'introversione, - prosegue Pinder – l'ombrosa tendenza all'isolamento del carattere di Nietzsche ragazzo sono l'espressione di un giovane dominato dalla sua singolare vocazione (...) E' proprio tale singolarità di simili ragazzi che fa sempre un effetto singolare ai loro compagni; i più normali reagiscono con le canzonature, perché a loro essa fa l'effetto di boria e presunzione, mentre i più fini avvertono l'aura dell'eletto, che però li mette a disagio ovvero la considerano con timida venerazione
(Janz, op. cit., pag.47).

All'età di quindici anni dalla scuola di Pforta: 

"quando giunsi a Pforta il mio cuore era oscurato dalle nuvole della tristezza e solo il lieto ricordo delle vacanze lasciava filtrare un po' di luce gioiosa, ma era solo quel sentimento tra lieto e doloroso della melanconia"
(dall'Epistolario, col. 1°, 1976). 

Era un solitario che amava la solitudine. Era solito passeggiare per le strade senza meta. 
A diciotto anni scrive: 

"Nella mia stanza è un silenzio di morte. Davanti a me un calamaio per annegarvi il mio nero cuore". 

Nietzsche ha sempre sofferto profondamente la solitudine, anche quando diceva di amarla: sempre alla ricerca di qualcuno che sentisse come lui, che provasse gli stessi sentimenti che provava lui. 
Nella nota lettera dell'85 indirizzata alla sorella fa il rendiconto della sua vita:

"Dalla mia infanzia non ho mai trovato nessuno che avesse in comune con me le angosciose istanze del sentimento e della coscienza (…) La malattia mi porta, sempre più, al più spaventevole scoraggiamento. Non invano sono stato tanto profondamente ammalato e non invano lo sono in genere tuttora".

Binswager, Mobius ed altri illustri psichiatri visitarono Nietzsche: ci si chiede come mai non siano riusciti ad individuare i sintomi  per formulare una diagnosi.  
Mobius (Lipsia 1853-1907), medico e psichiatra, effettuò anche un ampio studio clinico su Nietzsche pubblicato nel 1902.
Probabilmente Binswager e Mobius non hanno avuto modo di conoscere bene la vita e le opere di Nietzsche, mentre se avessero letto Nietzsche e se ne avessero conosciuto il temperamento, sarebbero stati favoriti nel loro lavoro.

La diagnosi di paralisi progressiva luetica,  non venne  mai dimostrata. Scrive Anacleto Verrecchia: 

"Ma se Nietzsche avesse avuto la paralisi progressiva, non sarebbe sopravvissuto per tanto tempo (...) E' vero che allora non erano state ancora scoperte nè la Wassermann nè la 'spirochaeta pallida'; tuttavia la malattia era ben nota (...) Il professor Turina, che visitò più di una volta Nietzsche, avrebbe certo rilevato i segni della sifilide e prescritto le cure dell'epoca, se tali segni fossero stati presenti"
(A. VERRECCHIA, La tragedia di Nietzsche a Torino,Milano, Bompiani 1997)

Nemmeno Jaspers, grande filosofo e psichiatra, nel suo famoso libro su Nietzsche del 1936, che è forse il più profondo e chiaro libro che sia stato scritto su Nietzsche, parlando della sua malattia,  prese in considerazione la sindrome maniaco-depressiva proprio nel momento in cui un suo collega, il grande psichiatra tedesco Kraepelin, che insegnava a Heidelberg, in un voluminoso trattato pubblicato nel 1883, faceva conoscere al pubblico i primi risultati di una interessantissima ricerca sulla malattia maniaco-depressiva.
Il libro, è arrivato alla ottava edizione nel 1928, un anno dopo la morte di Kraepelin, ed ebbe un grande successo presso gli psichiatri americani, fino a quando non prevalse l'indirizzo psicanalitico. Kraepelin, che è la massima autorità su questa malattia, ha descritto come, in assenza di cure, essa può portare alla pazzia.

Dunque, a distanza di tempo, nonostante sia quasi universalmente accettata la diagnosi di paralisi progressiva luetica, non ci sono ancora elementi sufficienti per potere affermare con certezza cosa fece impazzire Nietzsche, fatto sta che si possono individuare le cause  in diversi fattori:

- fattori biologici: si consideri l'anamnesi familiare dal lato materno. Secondo Mobius una sorella della madre si sarebbe suicidata, un'altra sarebbe impazzita e alcuni fratelli avrebbero accusato disturbi psichici. Anche il padre ha sofferto di esaurimento nervoso, come risulta dal verbale redatto dal sovrintendente del luogo (Janz, op. cit. pag.32)

- fattori psichici: era timido, insicuro, spesso inibito, intuitivo con tendenza alla introversione come la maggior parte degli ammalati maniaco-depressivi  

- fattori ambientali: la morte del padre, la delusione amorosa, l'incomprensione e la stupidità degli altri.

I biografi di Nietzsche affermano che la malattia si manifestò il 3 gennaio del 1889. In realtà il filosofo fu visitato prima ben 4 volte da uno psichiatra torinese, cui si era rivolto Davide Fino per far curare il suo inquilino.

Il 6 gennaio 1889 Jacob Burckhardt (che allora aveva 71 anni) ricevette una lettera da Nietzsche. La lettera lo colse di sorpresa e lo addolorò, tanto da intuirne un crollo psichico. Si recò immediatamente da Overbeck.
Overbeck si mise a tavolino e scrisse immediatamente una lettera a Nietzsche a Torino, invitandolo a venire subito a Basilea. Ma quando il giorno seguente ricevette anche lui una inequivocabile "lettera della follia", capì che la situazione era grave.
Si precipitò dal professor Ludwig Wille,direttore della clinica psichiatrica Friedmatt, che, dopo aver esaminato le due lettere, disse ad Overbeck di riportare immediatamente l'amico da Torino a Basilea, prima che scomparisse in qualche manicomio italiano.
Overbeck partì la sera stessa del 7 gennaio per Torino, dove arrivò il giorno seguente alle 14. Trovò la casa di Nietzsche: la famiglia Fino che lo ospitava era spaventata e disorientata.
quell'incontro è da lui descritto nella lettera a Koselitz (Peter Gast) del 15 gennaio:

"Era l’ultimo momento in cui ancora non si poteva portarlo via senza particolari ostacoli, se si eccettua il suo stato. Tralascio di descrivere le strazianti condizioni in cui trova Nietzsche affidato alle cure dei suoi padroni di casa…può anche darsi che siano indicative dell’Italia. Ma torno all’argomento principale, al terribile momento in cui rividi Nietzsche, terribile in un senso del tutto particolare, e completamente diverso da tutto quanto seguì. Scorgo Nietzsche rannicchiato nell’angolo di un sofà, intendo a leggere – come si seppe poi, si trattava delle bozze di Nietzsche contra Wagner -, terribilmente emaciato; egli mi vede a sua volta e mi si precipita incontro, mi abbraccia vigorosamente, riconoscendomi e scoppia in un mare di lacrime, poi si lascia cadere nuovamente sul sofà, scosso da sussulti, mentre anch’io per l’emozione non riesco più a stare in piedi. Forse proprio in quell’attimo gli si spalancò davanti l’abisso sul cui ciglio ora si trova, o dove piuttosto è già precipitato? In ogni modo, una cosa del genere non si ripeté più. Era presente l’intera famiglia Fino. Nietzsche era appena tornato a sdraiarsi scosso da gemiti e sussulti, che gli venne data da inghiottire l’acqua di bromo che stava sul tavolo. Immediatamente subentrò la calma, e Nietzsche prese a discorrere della grande accoglienza che si preparava per la sera. Era entrato nel mondo delle sue allucinazioni, dal quale non è più uscito finché l’ho avuto sotto gli occhi, mantenendosi sempre lucido riguardo a me e in genere alle altre persone, totalmente ottenebrato riguardo a se stesso. Vale a dire che, stando al pianoforte, dove cantava a gola spiegata in preda alla frenesia ed esaltandosi sempre più, prorompeva in squarci di quel mondo di idee in cui era vissuto negli ultimi tempi, lasciando intendere nel contempo, con brevi frasi pronunciate  in un tono smorzato indescrivibile, cose sublimi, di mirabile chiaroveggenza e di indicibile orrore, su se stesso come successore del dio morto, accompagnandole con una sorta di interpunzione al pianoforte, al che seguivano nuovamente convulsioni e accessi di una indicibile sofferenza; ma, come già detto, cio avveniva solo in rari momenti passeggeri, finché almeno io fui presente, mentre nel complesso prevalevano le dichiarazioni relative alla missione che si attribuisce, quella di essere il pagliaccio delle nuove eternità, e lui, l’incomparabile maestro dell’ espressione, non era in grado di rendere nemmeno le estasi della sua gaiezza se non con le espressioni più triviali, ovvero scurrilmente ballando e spiccano balzi".
(Janz, op. cit. Vol. III, pp. 34-35)

Secondo Carl Albrecht Bernoulli, il racconto di Overbeck nella lettera è quanto mai sommario, a sua detta perchè, per rispetto dell'amico, non osò mettere su carta tutti i dettagli dell'incontro.Bernoulli riferisce di aver sentito personalmente a voce la descrizione fatta da Overbeck:

"Stando a quanto mi disse, quel giorno a Torino gli si presentò uno spettacolo che incarnava con terribili efficacia l’idea orgiastica della sacra pazzia, qual è quella che stava alla base della tragedia antica. Overbeck non dovette limitarsi a ricostruire la condizione di Nietzsche nella catastrofe dagli scritti che aveva vergato in quei giorni: egli dovette vedere coi suoi occhi quelle condizioni, per primo tra gli intimi di Nietzsche. La sua affettuosa amicizia e dedizione, il suo incrollabile senso del dovere gli diedero la forza necessaria per resistere nell’immediatezza di questa esperienza, che in altre condizioni sarebbe certo stata insostenibile".
(Janz, op. cit. Vol. III, pp. 37-38.

Overbeck dopo l'incontro dovette affrettarsi a trovare un accompagnatore per il viaggio e, forse su suggerimento del consolato, si rivolse ad un certo L. Bettmann, medico dentista, ma con esperienza nel trattare gli infermi di mente.
La partenza potè avvenire il 9 gennaio, alle 14.20. venne tranquillizzato dai Fino che tutto sarebbe stato correttamente custodito e rispedito.

Il 10 gennaio Nietzsche venne ricoverato nella clinica del dott. Wille. 
Overbeck il 10 gennaio stesso scrisse alla madre di Nietzsche per informarla della disgrazia: costei si mise subito in viaggio per Basilea, dove arrivò il 13 gennaio. 

Il 17 gennaio il paziente fu trasferito a Jena (località più facilmente raggiungibile dalla madre) in cura dal professor Binswanger.
Passò 14 mesi negli ospedali psichiatrici. Qui i medici si limitarono ad intervenire sui sintomi, ma nulla poterono per influire sul decorso della malattia.

La madre cambiò alloggio nella prospettiva di prendere il figlio con sè: entrerà nel nuovo alloggio con Nietzsche il 24 marzo 1890 e accudirà il figlio per 7 anni, fino alla morte.

Alla morte della madre Nietzsche viene preso in cura dalla sorella Elisabeth.