Ogni momento del tempo non ha un senso in sé, ma ha un senso
solo in relazione ai momenti che lo precedono e che lo seguono, per questo ogni
attimo tende ad impadronirsi in qualche modo del senso, annullando tutti gli
altri in un succedersi in cui si verifica una lotta analoga a quella che divide
i figli dai padri, secondo uno schema tipicamente edipico.
Questa è una struttura lineare del tempo che si identifica con la struttura di
dominio.
Per capire la connessione tra la struttura lineare del tempo e la struttura di
dominio occorre far riferimento ad un discorso della II parte dello Zarathustra,
quello Della redenzione che, con La visione e l'enigma,
costituisce il filo conduttore di tutta l'opera. Essi infatti forniscono
l'ossatura fondamentale della dottrina dell'eterno ritorno come dottrina della
liberazione e della produzione dell'oltreuomo.
Il discorso sulla redenzione è in realtà il contenuto destinato a formulare la
definizione della struttura circolare del tempo che Zarathustra enuncerà nella
III parte.
"Un giorno che passava dal grande ponte, Zarathustra fu
circondato da una turba di storpi e mendicanti, e un gobbo gli parlò così:
'Guarda Zarathustra! Anche il popolo impara da te e acquista fede nella tua
dottrina ma, perchè ti creda completamente, manca solo una cosa - devi ancora
convincere noi storpi! Qui ne hai una bella scelta. e in verità ti si offre
un'occasione per più versi! Puoi risanare i ciechi e far camminare i
paralitici; e a chi ha troppo dietro di sè potresti anche levarne un poco: -
questo, io penso, sarebbe il modo giusto per far credere gli storpi a
Zarathustra!'
Ma Zarathustra rispose a quel chiacchierone: 'A levare la gobba al gobbo, gli si
toglie il suo spirito - così insegna il popolo. E, a dare gli occhi al cieco,
egli vedrà troppe cose atroci sulla terra: da maledire colui che lo guarì.
Colui, poi, che fa camminare il paralitico, gli arreca il massimo danno:
infatti, non appena sarà in grado di camminare, andranno insieme a lui anche i
suoi vizi - questo insegna il popolo a proposito degli storpi. E poi perché non
dovrebbe anche Zarathustra imparare dal popolo, se il popolo impara da
Zarathustra?
Ma - da quando sono in mezzo agli uomini - questo è per me il meno: che io
veda: 'A costui manca un occhio, a quello un orecchio, a un terzo la gamba, e
altri vi sono che hanno perduto la lingua o il naso o la testa.'
Io vedo e ho visto ben di peggio e certe cose così ributtanti, che non vorrei
parlare di ciascuna di esse e di talune neppure tacere: uomini cioè cui manca
tutto, se non che hanno una sola cosa di troppo - uomini che non sono
nient'altro se non un grande occhio o una grande bocca o un gran ventre o
qualcos'altro di grande - costoro io li chiamo storpi alla rovescia.
E quando venni dalla mia solitudine e per la prima volta passai da questo ponte:
non potevo credere ai miei occhi, e guardai, guardai ancora e alla fine dissi:
'questo è un orecchio! Un orecchio grande quanto un uomo!' Guardai meglio: e
realmente sotto l'orecchio si muoveva una coserella piccola e misera e stentata
da far pietà. In verità, l'orecchio mostruoso poggiava su di un piccolo esile
stelo, - ma lo stelo era un uomo! Chi avesse guardato con la lente, avrebbe
potuto persino riconoscere un visetto piccino e invidioso; e anche che dallo
stelo penzolava un'animuccia enfiata. Il popolo, tuttavia, mi disse che il
grande orecchio era non solo uomo, bensì un grand'uomo, un genio. Io però non
credo mai al popolo quando parla di grandi uomini - così rimasi nella mia
convinzione, cioè che si trattasse di un uomo storpio alla rovescia, che aveva
troppo poco di tutto e troppo di una cosa sola.'
Poi che ebbe parlato osì al gobbo e a coloro di cui costui si era fatto
portavoce e avvocato, Zarathustra si rivolse profondamente contrariato ai suoi
discepoli e disse:
In verità, amici, io mi aggiro in mezzo agli uomini, come in mezzo a frammenti
e membra di uomini! E questo è spaventoso ai miei occhi: trovare l'uomo in
frantumi e sparpagliato come su un campo di battaglia e di macello.
E se il mio occhio rifugge dall'oggi verso il passato sempre esso trova la
stessa cosa: frammenti e membra e orride casualità, ma mai un uomo.
L'oggi e il passato sulla terra - ah, amici miei - questo è per me il massimo
di ciò che non posso sopportare; e non saprei vivere, se non avessi anche la
visione di ciò che necessariamente verrà.
Uno che vede e vuole e crea egli stesso un futuro e un ponte verso il futuro - e
ahimè, ancora quasi uno storpio sul ponte: tutto ciò è Zarathustra.
E anche voi vi siete chiesti spesso: 1Chi è per noi Zarathustra? Qual
nome ha per noi?' E, come me, avete dato a voi stessi delle domande per
risposta.
E' uno che promette? O che adempie? Uno che conquista? O che eredita? Un
autunno? O un vomere? Un medico? O un risanato?
E' un poeta? O uno che dice la verità? Uno che libera? O che incatena? Un
buono? O un malvagio?
Io passo in mezzo agli uomini, come in mezzo a frammenti dell'avvenire: di
quell'avvenire che io contemplo.
E il senso di tutto il mio operare è che io immagini come un poeta e ricomponga
in uno ciò che è frammento ed enigma ed orrida casualità.
E come potrei sopportare di essere uomo, se l'uomo non fosse anche poeta e
solutore di enigmi e redentore della casualità!
Redimere coloro che sono passati e trasformare ogni 'così fu' in un 'così
volli che fosse'! - solo questo può essere per me redenzione!
Volontà - è il nome di ciò che libera e procura la gioia: così io vi ho
insegnato, amici miei! Ma adesso imparate ancor questo: la volontà, di per sé,
è ancora come imprigionata.
Volere libera: ma come si chiama ciò che getta in catene anche il liberatore?
'Così fu' - così si chiama il digrignar di denti della volontà e la sua
mestizia più solitaria.
Volere libera: ma che cosa può inventare il volere medesimo per liberarsi della
propria mestizia e prendersi gioco della sua prigione? Ahimé, ogni carcerato va
fuor di senno! E, nell'insensatezza, anche la volontà imprigionata redime sé
stessa.
Che il cammino non possa camminare a ritroso, questo è il suo rovello, e si
vendica contro tutto quanto non provi il suo stesso rovello e malumore.
Così la volontà, invece di liberare, infligge sofferenza: e oggetto della sua
vendetta, per non poter volere a ritroso, è tutto quanto sia capace di
soffrire.
Ma questo, soltanto questo, è la vendetta stessa: l'avversione della volontà
contro il tempo e il sui 'così fu'.
In verità, una grande follia alloggia nella nostra volontà; e fu maledizione
per tutte le cose umane che questa follia imparasse ad avere spirito!
Lo spirito di vendetta: amici, su nient'altro gli uomini hanno finora meglio
riflettuto; e dov'era sofferenza, sempre doveva essere una punizione.
'Punizione'. infatti, chiama la vendetta sé stessa: con una parola buguarda, si
dà ipocritamente una buona coscienza.
E poiché in colui che vuole è la sofferenza di non poter volere a ritroso, -
così il volere stesso e la vita in tutto e per tutto dovrebbero essere -
punizione!
Ed ecco che sullo spirito si accumulò nube su nube: ed infine la demenza si
mise a predicare: 1Tutto perisce, perciò tutto è degno di perire'.
'E la giustizia stessa consiste in quella legge del tempo, per cui il tempo non
può non divorare i propri figli': così andava predicando la demenza.
'Le cose sono ordinate moralmente in base al diritto e alla punizione. Oh,
dov'è la redenzione dal flusso delle cose e dalla punizione che di 'esistenza'
porta il nome? Così andava predicando la demenza.
'Può darsi redenzione, se v'è un diritto eterno? Ahimè, il macigno 'così fu'
non si lascia smuovere: eterne debbono essere tutte le punizioni! Così andava
predicando la demenza.
'Non v'è azione che possa essere annullata: come potrebbe la punizione rendere
l'azione non compiuta! Questa, questa è l'eternità della punizione che di 'esistenza'
ha nome: che l'esistenza, a sua volta, non possa non essere eternamente se non
azione e colpa!
A meno che la volontà non redima sè stessa e il volere diventi non volere':
ma, fratelli, la conoscete già la filastrocca della demenza.
Zarathustra II, Della redenzione, traduzione di M. Montinari
I punti costitutivi del discorso sono:
il problema degli uomini storpi (1)
la sua generalizzazione nel più vasto problema della frammentarietà dell'umano e della redenzione di essa (2)
il limite che la volontà inevitabilmente incontra quando intraprende quest'opera di redenzione (3)
lo spirito di vendetta nei confronti del tempo e le varie forme che esso assume (4)
il predominio dello spirito di vendetta nella determinazione della visione matafisica del mondo (5)
la falsa soluzione del "non volere" che al problema della redenzione propone Schopenhauer (6)
(1) Il punto di partenza è di chiara intonazione evangelica,
ricorda l'episodio di Gesù e del cieco in cui il problema, prima di essere
quello della guarigione, è quello del perché della sua infermità. Lo sviluppo
di questo discorso condurrà a scoprire lo spirito di vendetta proprio come la
tendenza della ricerca del responsabile delle situazioni in cui ci troviamo
senza averle volute.
Gli storpi, ed in genere i malati, individuano una scissione tra essere e
significato. L'infermità è qualcosa di cui non si capisce il perchè. In
nessuna delle dottrine che si sforzano di trovare un senso alla malattia e alla
sofferenza si riesce a vedere una interpretazione convincente.
(2) L'infermità fisica è solo un aspetto di un problema ben
più grande, che è quello della "deformità" come carattere generale
dell'uomo nella nostra civiltà. Ciò accade perchè l'uomo non dispone
liberamente del proprio destino, ma è costretto a subire rapporti di dominio,
quelli della coscienza cristiano-borghese e in genere dell'uomo occidentale.
Ma come questo si ricollega al problema del tempo?
(3) L'uomo del passato e l'uomo di oggi non sono uomini interi. Il limite alla possibilità della costituzione di una unità di senso è soprattutto il passato nella sua dimensione temporale del già-stato. Il passato è dominio, storia dello stabilirsi di supremazie e soggezioni. L'identificazione del dominio con il passato avviene in entrambi le direzioni: la lotta contro il dominio è lotta contro il passato, ma anche viceversa, l'umanità ha coltivato lo spirito di vendetta come rivolta contro il passato in quanto rivolta contro il dominio.
(4) Lo spirito di vendetta è la reazione della volontà contro l'imporsi del già stato-come ciò che non si può modificare e ridurre in proprio potere. La sostanza del passato si può ridurre al dominio, alla lotta contro il dominio e alle forme che questa lotta prende.
(5) La storia della metafisica acquista qui un senso nuovo: la
storia nichilistica della metafisica ha alla sua radice la generalizzazione del
concetto di punizione a tutta la realtà e l'unico principio motore è l'istinto
di vendetta. L'imperatività della morale si impone a tutti: è così che fino
ad oggi sono funzionate le cose. Di qui il sottile gioco che in ogni società, e
prima ancora nella famiglia, si instaura il già-stato, che pretende di imporre
i propri modelli di esistenza.
La struttura sociale si mantiene e sviluppa solo con la violenza mediante cui
il passato assoggetta i nuovi membri di essa.
Passato e autorità che limita la libertà vengono così ad identificarsi. Nei
confronti di un tale passato l'uomo non può che covare un istinto di vendetta (ressentiment),
da cui poi derivano, in senso freudiano, i sensi di colpa. E' in questo senso
che si può parlare di struttura edipica del tempo.
Lo spirito di vendetta, non potendo rovesciare l'autorità con cui si impone il
passato, giunge a pensare tutto sotto il profilo della sofferenza e della
punizione, per cui tutto appare degno di perire.
(6) La soluzione che Schopenhauer propone per uscire da questa
situazione è quella di trasformare il volere in non-volere, scelta che
Nietzsche contesta in quanto pur essa stessa racchiusa in una logica di dominio.
La soluzione che Nietzsche propone è la creatività della volontà, ossia la
libera produzione di simboli e la distruzione di tutto ciò che Dio ha
significato nella storia dell'uomo.
Per liquidare davvero Dio occorre attaccare la struttura del tempo costruendo un
uomo capace di porsi in rapporto al passato e al futuro in maniera libera, al di
fuori della logica del conflitto e della divisione originaria tra servi e
padroni: il già-stato e già-voluto ad opera di altri, non si impongano al
singolo come limitazioni e negazioni della sua creatività.
Nel discorso di Zarathustra sulla redenzione è chiaro che la liberazione dal passato e l'affermazione della creatività contro il limite che esso rappresenta vanno intese come liberazione dallo spirito di vendetta - cioè dalla concezione edipica del tempo.