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"David Bowie Royal Festival Hall, London"
di Maddy Costa
The Guardian, 1 luglio 2002

Questo non è stato un anno di cose d'epoca per Meltdown: infatti, è sembrato un festival non convenzionale in modo illuminante piuttosto che un elaborato stratagemma per permettere a David Bowie di suonare nella relativamente piccola Festival Hall (opportunamente, nello stesso mese in cui ha il suo nuovo album da promuovere). Ma, così come il festival è stato redento da alcune incredibili performance individuali, così il concerto finale di Bowie si presenta come un evento straordinario.

A distanza di trent'anni da Ziggy Stardust, Bowie sembra più che mai un essere alieno. Non per i suoi vestiti - in effetti, la lussuosa camicia bianca e la cravatta non annodata gli danno l'aria di un dandy dissoluto. È il modo in cui appare senza età, lanciando un largo sorriso mentre muove il suo corpo snello e angolare sul palco. La sua voce è da brividi alla schiena, come sempre. Quando si arrampica sul verso "don't you wonder sometimes" in Sound And Vision, o freme nel ritornello di I Would Be Your Slave, la sua voce sembra emergere da una parte del corpo che il resto di noi non sapeva esistesse.

Il set comprende due album completi, Low del 1977, ed Heathen di giugno. Stanno insieme molto bene, non da ultimo perché parti di Heathen riflettono la misteriosa e aliena bellezza di Low. Questo è vero particolarmente per la fluida, sottile I Would Be Your Slave e 5:15 The Angels Have Gone, in cui paradisiaci canti sintetizzati ed un riff in levare scivolano in modo teso in una selvaggia, barcollante dissonanza. Sunday e I've Been Waiting For You si avvicinano pericolosamente al rock da stadio in confronto; qualcuno nel pubblico alza anche l'accendino per Slip Away, sebbene Bowie faccia un lavoro meraviglioso di contrasto dell'assurdo melodramma della canzone allegramente citando da Twinkle Twinkle Little Star.

Mentre Heathen è suonato nell'ordine originale, le canzoni di Low sono spostate in modo che gli strumentali siano sparsi tra le canzoni. Ci si chiede perché Bowie non abbia pubblicato l'album in questo modo: Warszawa, Art Decade e Weeping Wall hanno un impatto molto più forte quando non si fondono in un unico ponderoso, monotono lamento funebre e forniscono un contrasto ancora più sorprendente rispetto al rinvigorente ottimismo [ottimismo?] di Sound And Vision e Speed Of Life. Ogni canzone contiene qualcosa di notevole: il brulicante ronzio, simile a quello delle api, di Breaking Glass, la tagliente chitarra di Always Crashing In The Same Car, ed il suo canto appassionato in Be My Wife. Questo album ha 25 anni, ma le canzoni avrebbero potuto essere state scritte 25 giorni fa.

Sono passate le 23.00 quando Bowie ritorna per i bis. Si lancia in White Light/White Heat, mentre la sua potente band di sette elementi è raggiunta sul palco dai Dandy Warhols per creare un rock behemoth e balla divertito durante Ziggy Stardust, poi infligge I'm Afraid Of Americans del 1997 ad una folla brontolante. Avrebbe semplicemente potuto suonare l'album Ziggy Stardust per intero. Neanche un'anima avrebbe protestato.

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