Capitolo II

NAZIONALISMO O "MIRACOLO"?


In seguito alla fine della prima guerra mondiale, la storiografia fu più o meno influenzata dalle ideologie fasciste o solamente di indirizzo nazionalista e patriottico. Senza entrare nel merito di un'azione o di un personaggio, occorre comunque ravvisare una certa consuetudine ad ingigantire gli avvenimenti secondo le opinioni soggettive. Prendiamo per esempio questa foto tratta dal libro "Storia Universale" Vol. III, 1968, diretta da Marcel Dunan, membro dell'Istituto di Francia, professore onorario alla Sorbona. Il fatto che Trento abbia "accolto" gli Italiani è in parte vera, sia perché ciò significava la fine della guerra, e si sperava, ma non era ancora certo, che in questo modo gli stenti subiti durante il periodo bellico fossero finalmente superati e si potesse ritornare in pace a dedicarsi ai propri interessi, sia per l'entusiasmo di diventare italiani degli irredentisti (pochi, il 5% scarso), che avevano coronato così il sogno inseguito da tanto tempo dell'unità di popolo. La foto e la successiva didascalia, sono comunque un'esagerazione. I quesiti che ci si può porre osservando bene sono i seguenti:


Trento, via Bellenzani, 3 novembre 1918


- Come facevano ad esserci a Trento così tanti tricolori quando la censura austriaca era severissima e la polizia, nei casi più gravi, colpiva anche con la pena di morte chiunque manifestasse desideri italici, o almeno sequestrava tutto ciò che potesse fomentare l'irredentismo in primis la bandiera sabauda? Cesare Battisti non nascondeva di certo le sue idee indipendentiste, ma era un parlamentare e la polizia austriaca sapeva bene che se avessero colpito un elemento di tale influenza si sarebbe potuto creare un nuovo martire e si sarebbe arrivati anche a una rivolta pericolosa e nefasta per gli Asburgo come fu quella delle 5 giornate di Milano. Sicuramente, però, non avrebbero concesso un così largo diffondersi di simboli irredentisti;
- ammesso che i tricolori fossero stati nascosti bene, chi poteva averli esposti? Come detto precedentemente in Trentino, tra internati nel cuore dell'Impero per sicurezza (o per sospetti) e soldati al fronte, erano rimasti davvero in pochi; a Trento città erano quindi rimaste le donne e i bambini (a cui ben poco importava se in municipio ci fosse l'aquila bicipite o lo stemma sabaudo), gli anziani (per la maggior parte conservatori o comunque lontani dalla "moda" irredentista) e i cosiddetti "fedelissimi", per lo più seguaci di quel partito popolar-clericale che non si era "macchiato" né di irredentismo né di socialismo, le due bestie nere del regime, quindi per nulla favorevoli ad accogliere il "nemico";
- ammesso che ci fosse stato un'entusiasmo collettivo, ma dove sono nella foto i civili? Alle finestre infatti non c'è anima viva (molte finestre sono addirittura chiuse con le persiane), e neppure per le strade sembra di scorgere "trentini". Se si osserva bene infatti, a parte qualche distinto signore, quasi fosse incuriosito, agli usci delle porte e sotto il portico, la totalità della folla è composta interamente da soldati italiani e dai loro muli. Hanno tutti la stessa divisa, l'elmo o il berretto in testa e hanno quasi tutti l'aria di circospezione e per nulla di festa (ben diverse sono le immagini degli alleati sbarcati in Sicilia osannati o osannanti tra la folla).
Benché molti oggi benedicano quel giorno, è davvero fuori luogo generalizzare l'evento come fosse stato spontaneo e sentito anche da quel 95% contrario o indifferente all'annessione a quello stato entrato in guerra al momento sbagliato, causa di milioni di vittime, parte dei quali, chi su un fronte, chi su un'altro, concittadini o, peggio ancora, famigliari.




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