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GLI ARTICOLI DI FRANCESCO CHIEPPA



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TRATTAMENTI PRECOVA: QUALE STRATEGIA?

Frequentando come ogni anno nel tardo autunno, le maggiori rassegne ornitofile italiane, qualile Internazionali di Bari e Reggio Emilia, ho assistito alla riedizione del solito copione... Alcuni allevatori miei conoscenti mi hanno avvicinato, formulandomi il fatidico quesito di sempre: quali trattamenti praticare ai riproduttori prima delle cove? La querelle è vecchia di anni e già in passato alcuni medici veterinari vi si sono soffermati, dalle pagine delle maggiori testate italiane di ornicoltura. L’ansia degli allevatori di ottenere risultati sempre migliori, attraverso la riproduzione dei propri esemplari, li spinge ad una continua ricerca; spesso però, le scelte di conduzione degli allevamenti risultano essere ancora prettamente empiriche ed inadeguate, se non addirittura dannose al conseguimento di un agognato miglioramento delle produzioni che, inevitabilmente, si realizza solo attraverso il perfetto stato sanitario degli aviari. Da parte mia, rigirando la domanda formulatami, ai miei gentili interlocutori – che sapevo sposati e con prole – ho chiesto loro quali trattamenti antibiotici, antifungini, antiparassitari avessero praticato con le rispettive consorti, prima di accingersi a concepire i loro bebè... Nessuno! E’ stata la risposta che questi mi hanno prontamente fornito, non senza meraviglia. Ebbene, replico io, perchè mai allora l’attività riproduttiva del canarino dovrebbe ad ogni costo prevedere una sbornia di sostanze chimiche, utilizzate a casaccio o per sentito dire,a danno del vulnerabile, fragile organismo dei nostri amici alati? Il canarino e tutti gli uccelli, così come l’uomo ed ogni altro animale del pianeta, dispongono di un proprio sistema immunitario che, nell’individuo giovane e sano, è autonomamente in grado di fronteggiare la quotidiana aggressione dei microrganismi patogeni, presenti nell’ambiente. Pretendere di interferire ad ogni costo, su equilibri biologici tanto complessi e delicati, in questa diuturna tenzone tra il sistema immunitario di un animale normalmente immunocompetente ed i germi suoi aggressori – che non si è capaci di identificare, se non dopo approfonditi esami di laboratorio – sarebbe come combattere contro i mulini a vento di Don Chisciotte. Utilizzare farmaci per semplice consuetudine o spirito di emulazione di altri allevatori, senza che il loro impiego serva effettivamente a combattere determinati germi, di cui non si è documentata la presenza nell’organismo animale, è una prassi inutile ancorchè dannosa. Non sarà mai sufficiente raccomandare ai colleghi ornitofili, di non somministrare prodotti chemioterapici in allevamento, solo perchè il tale o talaltro amico li ha utilizzati l’anno precedente sui suoi uccelli, riferendone poi chissà quali mirabilie. Il buon ornicoltore, annualmente, al termine del riposo invernale dei propri riproduttori ed alla vigilia della ripresa riproduttiva dell’aviario, dovrà semplicemente preoccuparsi di far eseguire un esame delle feci raccolte in allevamento, presso un laboratorio specializzato in analisi veterinarie. Sono centri attrezzati per effettuare questa diagnostica, gli istituti zooprofilattici provinciali e le facoltà universitarie di Medicina Veterinaria. L’esame coprologico consisterà in una ricerca di macro e di microparassiti intestinali e di una indagine batteriologica. Per aderire a questa esigenza, basterà contattare con anticipo il laboratorio prescelto, accordarsi sul giorno in cui recapitare i reperti biologici, richiedendo informazioni circa la corretta esecuzione della loro raccolta. Per solito si procede in questo modo. Si rimuoveranno le lettiere dalle gabbie, 24 ore prima di prelevare i campioni di feci. Si provvederà a scrostare le relative griglie di fondo, lavandole accuratamente con semplice acqua potabile, in modo da allontanare le deiezioni vecchie e disidratate, inutili ai fini delle indagini diagnostiche. Per effettuare l’esame coprologico servono infatti feci appena espulse. Il mattino successivo si eseguirà la raccolta dello sterco, utilizzando alla bisogna un cucchiaino o una piccola spatola, purchè in precedenza ben lavati con acqua potabile, sempre per evitare le contaminazioni. Si preleveranno solo le feci più fresche e di aspetto ancora umido, dal grigliato e dalle cassettine dei fondi gabbia, riponendo il materiale organico in sacchetti di cellophane, del tipo adoperato per la conservazione dei cibi in frigorifero, con l’accortezza di utilizzare una busta per ogni singola gabbia o voliera campionata. Non è necessario campionare tutte le gabbie dell’aviario, a patto che i campioni biologici siano sufficientemente rappresentativi dei vari settori che compongono l’allevamento, avendo sempre cura di comprendere nei prelievi di materiale fecale, tutte le diverse tipologie di volatili presenti in allevamento, suddivise per specie, razza, sesso, età. Vale a dire: prelevare campioni di deiezioni separati non solo per specie e razze allevate – nel caso di allevamenti misti – ma anche relativi ai gruppi di femmine o maschi riproduttori; dagli allievi d’annata e, soprattutto, dalle gabbie di soggetti eventualmente mantenuti in isolamento, perchè di recente acquisto (periodo di quarantena), oppure in precarie condizioni di salute. I campioni dei gruppi (gruppi testimoni) andranno posti in contenitori separati per gabbia di provenienza e contrassegnati da etichetta cartacea identificativa. Prima di sigillare le buste di plastica, sarebbe bene provvedere ad un’ulteriore idratazione del loro contenuto, con alcuni millilitri di soluzione fisiologica sterile, in vendita nelle farmacie: accorgimento teso a facilitare la ricerca di eventuali coccidi, da parte del laboratorio di riferimento. Il materiale da esaminare sarà poi sollecitamente fatto pervenire al centro diagnostico prescelto. Solo se gli esami di laboratorio dovessero evidenziare la presenza di agenti patogeni nelle feci dei nostri volatili, si valuterà con il proprio medico veterinario l’opportunità di praticare mirati trattamenti precova. Qualora venisse individuata dalle coprocolture un’infezione batterica, il laboratorio di analisi provvederà a fornirci il relativo antibiogramma dei germi in causa, test che ci indicherà con estrema precisione, i chemioterapici più efficaci a contrastare detti patogeni, da somministrare in allevamento sotto stretto controllo veterinario. Se invece l’aviario ha manifestato problemi sanitari l’anno precedente, allorchè si sia già pervenuti ad una diagnosi eziologica, sarà sempre il veterinario a disporre l’esecuzione di specifici trattamenti profilattici, o la ripetizione di test diagnostici. Per gli allevamenti risultati in piena salute, l’unico consiglio da fornire è quello di evitare qualsiasi intervento con farmaci chemioterapici. All’allevatore il compito di puntare semplicemente su accoppiamenti ben assortiti ed esenti da un’eccessiva consanguineità. Fornire ai riproduttori alimenti sani e bilanciati, con adeguata integrazione vitaminico-minerale. Utilizzare ove possibile locali asciutti, luminosi e con ottimale ricambio d’aria; periodicamente puliti,disinfettati con cura, così come per tutte le gabbie e le voliere. E in aggiunta... Dosi copiose di tanta, tanta amorevole e dedita passione che, certamente l’ornitofilo non mancherà di elargire a profusione nella pratica del proprio hobby preferito. Questa a mio avviso – salvo specifici casi particolari – la buona ricetta di conduzione per godere di nidi colmi di sani e robusti novelli, durante tutta la stagione riproduttiva. Il voler utilizzare a tutti i costi la chimica nel “piatto” dei nostri uccelli, costituisce una strategia decisamente fallace, oltrechè foriera di una svariata sequela di problematiche sanitarie di non semplice approccio.

Francesco Chieppa












IL SEGNALAMENTO IN ORNICOLTURA

In tutte le attività di selezione genetica degli animali domestici, il segnalamento dei soggetti dello stock, è il presupposto indispensabile, per realizzare in modo ordinato e proficuo l’intero lavoro selettivo. A tal fine è necessario che ogni animale possa essere individuato con assoluta precisione, in relazione alla sua ascendenza genetica, oltrechè valutato alla luce del suo fenotipo. La selezione infatti deve sempre correlare, la valutazione dell’aspetto morfologico e/o funzionale di un determinato esemplare (razze da canto), ai pregi dei suoi più stretti consanguinei (genitori, nonni, bisnonni, fratelli). Vi possono essere dei soggetti di ottimo aspetto fenotipico, che l’allevatore non esiterebbe a trattenere come riproduttori; senonchè, individuati gli ascendenti, si appura che non si tratta di esemplari dalla strepitosa carriera espositiva e/o produttiva e, pertanto, la destinazione riproduttiva di quel nostro “beniamino”, comporta delle incognite. Il suo pur sempre apprezzabile fenotipo, non è il risultato di un’elevata percentuale di omozigosi, dei geni deputati all’espressione dei caratteri ereditari desiderati, come dovrebbe essere per un campione discendente da un ceppo di autentici razzatori. In realtà non tutto ciò che ci sembra bello, può essere utile ad un oculato lavoro selettivo, finalizzato all’ottenimento di esemplari il più possibile conformi allo standard di razza ed al tempo stesso, sani, robusti e – possibilmente – prolifici. Per ottenere tutto questo, è sempre indispensabile risalire alle performances espositive e riproduttive, degli ascendenti dell’esemplare che intendiamo inserire nel nucleo di selezione. Ciò importa l’esigenza di dotare ogni effettivo dell’allevamento, di un affidabile sistema di identificazione, congiuntamente ad una schedatura, con vari parametri di valutazione dei riproduttori, da conservare gelosamente nel tempo. Nel settore zootecnico si utilizzano all’uopo collari numerati, piastrine metalliche auricolari, tatuaggi cutanei sino al recente impianto sottocutaneo di microchips, capaci di fornirci i dati identificativi diun determinato animale, mediante lettori magnetici. In canaricoltura, il sistema fondamentale di identificazione, è costituito dagli anellini inamovibili della Federazione ornitofila nazionale, recanti inciso: il numero di codice dell’allevatore, l’annata riproduttiva ed un numero progressivo riferito al singolo allevamento. Negli allevamenti di una certa consistenza, con produzione annuale di varie centinaia di novelli, suggerisco di inserire alla zampina di ambedue i riproduttori, un anellino supplementare – del tipo in alluminio o plastica, colorati ed amovibili – dello stesso colore, diversificando i colori da una coppia all’altra. Parimenti, tutti i novelli, verranno dotati di analogo anellino del colore di quello dei genitori, così da rendere estremamente semplice il riconoscimento degli allievi delle differenti linee di sangue, assemblati nelle voliere durante la stagione estivo-autunnale . Personalmente utilizzo da anni questo elementare sistema di segnalamento, con notevole profitto, avendo in ogni momento la possibilità di identificare i prodotti delle coppie da me ritenute più interessanti. A volte tuttavia, può presentarsi la necessità di segnalare non già allievi o riproduttori, ma pullus neonati, se non addirittura uova da cova. A causa delle ragioni più disparate, avviene spesso che qualche uovo di una data coppia, debba essere trasferito in altro nido, contenente uova in analoga fase di incubazione. In tale eventualitàsarà necessario contrassegnare le uova aggiunte e, successivamente, i relativi pullus, per non confondere le progenie. Le uova possono essere tinte, delicatamente, con un pennarello a feltro atossico – del tipo ad inchiostro indelebile – in corrispondenza del polo acuto, ove in genere il guscio presenta una maggiore consistenza. L’operazione andrà eseguita con estrema cautela, poiché movimenti maldestri, o una pressione eccessiva del pennarello, potrebbero perforare irreparabilmente il vulnerabilissimo involucro calcareo. Questo metodo non ci esime dall’espletare un’attenta sorveglianza del nido all’epoca della schiusa. Occorre infatti trasferire rapidamente ai pullus, analogo contrassegno in precedenza applicato sulle uova inserite nel nido. In caso contrario, i nidiacei si confonderanno e qualora si trattasse di prodotti della stessa razza e varietà – come in genere succede negli allevamenti professionali specializzati – la frittata, ai fini delle esigenze selettive di cui sopra, sarà servita ! I pullus di varietà lipocromiche, potranno essere marcati, tingendo loro il candido piumino del capo con un pennarello, sempre ad inchiostro indelebile. L’intervento sarà espletato in capo ad un’ora dalla nascita, allorché il nidiaceo sarà asciutto dei liquidi dell’uovo. Naturalmente c’è da augurarsi che la schiusa delle uova delle due linee parentali, non risulti perfettamente simultanea; in tal caso, sarebbe impossibile contrassegnare i pullus adottivi. Per fare distinzione tra pulcini melaninici, sarà necessario contrassegnare gli “intrusi”, mediante sfoltimento del piumino della testa, da eseguire con somma delicatezza, servendosi di un paio di forbicine. I due diversi sistemi menzionati, ci consentiranno di tenere sottocchio, i nidiacei nati o trasferiti in nidi di altre coppie con relativa prole propria, da discriminare ai fini selettivi,dai primi. Effettuato l’inanellammento dei pullus, allorché si sarà provveduto ad annotare le ascendenze dei vari prodotti, sul registro di allevamento o in un programma di gestione computerizzata, non saranno più possibili errori di alcun genere, in riferimento all’attribuzione di paternità e maternità ed ogni ulteriore forma di segnalamento, potrà ritenersi superflua.

Francesco Chieppa










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CANARINI DI COLORE: IL TIPO “NERO”

Il canarino di colore nerobruno – come molti certamente sapranno – oggi viene denominato semplicemente: " Nero". Impropriamente – a mio avviso – dal momento che, sebbene gli attuali orientamenti selettivi impongano, giustamente, la drastica riduzione della feomelanina bruna, questa di fatto non è totalmente scomparsa dagli odierni ceppi di "Neri". Per fortuna – aggiungerei – poiché la totale esclusione del pigmento feomelanico, dal piumaggio del nostro melaninico – quand’anche fosse praticabile – andrebbe a discapito di qualità e quantità del disegno. Il "Nero", o nerobruno di ieri, è uno dei quattro tipi base del canarino di colore; gli altritre sono: l’Agata, l’Isabella ed il Bruno. E’ un canarino che allevo da più di quindici anni,amo infinitamente e considero decisamente bello ed elegante. Un "puzzle" di genetica, tuttavia, per i suoi estimatori e selezionatori. Il "Nero" è caratterizzato, infatti, dalla presenza di un disegno del piumaggio, costituito da tre fondamentali caratteri fenotipici: striature, marcature, vergature. Per attenersi ai dettami dellostandard di razza, tale disegno deve presentarsi nella massima espressione: largo, lungo e completo. Le STRIATURE sono strie nere localizzate sul dorso del volatile, ben nette e parallele tra loro, nei migliori esemplari, a costituire i cosiddetti "binari" o "rigoni". Devono estendersi sino alla testa, codione ed ai fianchi. I "MUSTACCHI" sono ridottestriature, poste ai lati del becco, a ricordare una sorta di baffo. Sono più evidenti nel maschio, rispetto alla femmina. Le striature, viceversa dislocate sui FIANCHI, sono più nette nella femmina ed in genere nei brinati. Le MARCATURE interessano le penne timoniere, remiganti e grandi copritrici alari. Sono più ampie delle striature ed a carico della parte centrale della penna, lungo la rachide. Le VERGATURE investono le medie copritrici alari, sono parte dell’ala, affini alle marcature e con forma a virgola. Il disegno è prodotto dalla presenza nel piumaggio di due melanine: l’Eumelanina nera e la Feomelanina bruna. L’eumelanina, al microscopio ottico si presenta in guisa di granuli bastoncellari, di colore nero e marrone scuro, collocati lungo la rachide e nelle parti più vaporose delle penne e del sottopiuma. L’eumelanina deve estesamente pigmentare, come carattere di pregio, anche zampe e becco nonché, obbligatoriamente, occhio ed unghie. La feomelanina: da ridurre al minimo secondo le odierne direttive fissate dallo standard, appare al microscopio come formazioni sferiche rossicce, posizionate ai margini della penna. Il fenotipo del "Nero" è determinato da un ricco corredogenico, a configurare un contesto genomico – come ricorda Giovanni Canali in: " I colori nel Canarino " - tipicamente multifattoriale . Sempre il genetista Canali asserisce che nella multifattorialità del tipo "Nero", sono chiamati in causa geni maggiori con un corredo di geni modificatori. L’espressione del disegno del "Nero" può variare sensibilmente, determinando la qualità del canarino. E’ in dipendenza del suo genotipo, suscettibile di interventi migliorativi, attraverso selezione ed apporti di sangue (rinsanguamenti). Esistono soggetti fenotipicamente insufficienti: con disegni scarsi, spezzati, sottili e sbiaditi. Si ipotizza l’esistenza di geni specializzati (regolerebbero cioè un determinato carattere fenotipico) ed altri pleiotropici (capaci cioè di regolare, o contribuire a regolare effetti diversi). Questi geni, maggiori artefici del fenotipo, verrebbero influenzati da un probabile corredo di geni modificatori. Vi sarebbero poi geni che interessano solo presenza e distribuzione della eumelaninanera, altri della feomelanina bruna. V’è allora una certa indipendenza, tra la trasmissionedella feomelanina e della eumelanina. Ciò rende possibile la selezione di "Neri" con sempre meno feomelanina bruna ed una quantità più elevata di eumelanina nera. Tuttavia, tale indipendenza genetica non sembra totale, visto che alcune mutazioni del tipo base "Nero", intervengono su ambedue le melanine, dimostrando l’esistenza di geni pleiotropici che regolano la biosintesi di entrambi i pigmenti melaninici. Il lipocromo giallo, nel "Nero" produce il nero-giallo (Verde). Il fattore rosso, nel"Nero" ci regala il nero- rosso (Bronzo). L’apigmentazione lipocromica del bianco dominante o recessivo, nel "Nero" produce il nero-bianco (Ardesia soffuso ed Ardesia). La diluizione lipocromica avorio, agendo sul "Nero" da l’Oliva e nel bronzo,il Viola. Il "Nero" va accoppiato rigorosamente in purezza (omozigosi). Personalmente sono contrario alle teorizzate altre forme di assortimento varietale delle coppie, in funzione di miglioramento selettivo del "Nero", compreso l’accoppiamento "intertipo" con il Bruno che – alla luce degli odierni indirizzi selettivi, "demonizzanti" la feomelanina bruna – può giovare solo a quel tipo di canarino di colore. Non è tuttavia possibile spingere a limiti estremi, l’orientamentoestetico tendente ad eliminare dal fenotipo del "Nero" la feomelanina bruna, dal momento che abbiamo in precedenza già ricordato che l’indipendenza genetica, tra geni responsabili della produzione dei due differenti pigmenti, non è assoluta! Praticando una indiscriminata selezione volta alla totale esclusione della feomelanina bruna, si incorre più facilmente in disegni sottili ed incompleti. Rammento che il pigmento feomelaninico,è posizionato nella parte periferica della penna e, quindi, contribuisce a dare spessore al disegno. Occorre invero, essere decisamente rigorosi, nel ricercare una carica feomelaninica pressochè nulla negli intensivi, soprattutto di sesso maschile,(caratteristica che conferisce al lipocromo, ottime tonalità cromatiche "calde" e luminose), ma un pò più indulgenti con i brinati, soprattutto se di sesso femminile. Poiché anche nei Serinus silvani, la femmina è naturalmente in possesso di una maggiore quantità di feomelanina, in confronto al maschio, questo carattere può ritenersi naturalmente legato al dimorfismo sessuale ed in parte ricollegabile ad inevitabili influenze ormonali. La ricerca "ossessiva" di una carica eumelaninica sempre maggiore, a totale discapito della feomelanina bruna, sconfina inesorabilmente verso la produzione del cosiddetto "pelle nera", genotipo disvitale responsabile di iperproduzione eumelaninica, congiuntamente a scarsa se non nulla fertilità. Secondo alcuni studiosi, il "pelle nera "costituirebbe un sottotipo degenerato e tendenzialmente ipertiroideo. Questa classificazione spiegherebbe le ricorrenti anomalie della sfera riproduttiva e del ricambio del piumaggio ( tendenza alle ripetute false mute ),riscontrabili con frequenza nei soggetti "pelle nera". Circa i fattori ambientali che possono influenzare l’espressione fenotipica del genotipo del nostro "Nero", direi che in genere sono sopravvalutati, da parte di molti allevatori. Ciononostante, è pregiudiziale che i locali di allevamento del melaninico, in particolare durante la muta stagionale, siano assai luminosi. I melanociti: cellule specializzate che provvedono alla produzione delle melanine, opererebbero infatti più attivamente detta sintesi, se stimolati da un’adeguata irradiazione solare. Pertanto,se alleviamo il tipo "Nero" in ambienti privi di idonea luminosità naturale, pur essendo in possesso di soggetti di grosso pregio genotipico, non otterremo mai discendenza con elevati livelli di ossidazione. Questa situazione risulta tuttavia reversibile, modificando i parametri ambientali avversi. In riferimento al regime dietetico del nostro canarino, benchè si sia scritto tanto e spesso a sproposito sull’esistenza di "miracolosi" additivi alimentari, capaci di rendere più neri i nostri "Neri", in verità trattasi solo di eccessi di fantasia e credulità popolare. Unica accortezza di tipo nutrizionale che può giovare, è quella di fornire, con un’alimentazione varia ed il più possibile priva di pigmenti carotenoidi – interferenti con la tonalità di fondo del lipocromo giallo, nei Verdi ed Oliva – un’adeguata integrazione poliaminoacidica, durante tutto il periodo della muta estiva. Certi aminoacidi infatti, quali la fenilalanina e la tirosina, sono coinvolti nella biosintesi delle melanine; mentre altri come la metionina, in carenza sarebbero corresponsabili, unitamente a fattori specifici di ereditarietà, delle orlature di depigmentazione, a carico della parte apicale delle penne - in specie le remiganti - costituenti gravissimo difetto del tipo, suscettibile di squalifica alle mostre. In considerazione della natura poligenica e multifattoriale, responsabile del fenotipo "Nero", si può facilmente dedurre che per garantirsi ragionevoli possibilità di successo ai Concorsi, con questo canarino di colore, occorre avviarne l’allevamento a partire da soggetti molto tipici. In caso contrario, per ottenere esemplari di un certo pregio, occorreranno tempi di attesa e di lavoro selettivo, mediamente più lunghi e snervanti di quelli necessari a conseguire analoghe finalità, con canarini lipocromici. Il "puzzle" selettivo, a cui accennavo in apertura di questa mia nota, sta infatti proprio nel dover selezionare diversi caratteri fenotipici, a differente comportamento genetico, in un unico tipo di canarino. Mi auguro – con questa mia nota – di aver contribuito a rendere più popolare ed amabile il canarino "Nero" che, vi assicuro, non è tra i più facili da selezionare, ma può gratificare immensamente il suo appassionato allevatore!

Francesco Chieppa