La mia famiglia in Egitto

(In Egitto per caso)

    Mio padre Salvatore Mignola, nato a Napoli il 10 maggio 1888, tutto avrebbe immaginato da ragazzo, ma mai che sarebbe andato in Egitto… Incontrò mia madre Maria Ferraro nella prima decade del 1900, proveniente dalla Turchia come profuga della guerra Italo turca, ma era nata a Port Said il 31.3.1896.

    Ma facciamo un passo indietro: 

a mio nonno, Celestino Ferraro, (del quale mi piacerebbe narrare la sua storia) piaceva girare il mondo e, fra le tante tappe, soggiornò a lungo nella terra dei faraoni. Quando venne a Napoli incontrò mia nonna, che era di Pozzuoli, si sposarono e dalla loro unione nacquero cinque figli: Emilia, Carlo, Armando, del quale è narrata la sua storia in questo sito, mia madre Maria e Albina che sposerà al Cairo uno degli architetti del palazzo reale di Abdin, ove lavorò per conto di re Faruk. Benvenuto Sciffo era il suo nome, realizzò al Cairo una moschea, suo è anche il progetto del trono di Faruk e tutte le decorazioni interne della sala del trono, nonché del panfilo reale Marhussa. Conobbe molto bene Pugli Bey del quale non conservava però un buon ricordo… Morì a Parigi negli anni 80. E’ stata la figlia, Clara Sciffo mia cugina che risiede a Roma, che mi introdusse all'Associazione AIDE. Era molto amica della cara e indimenticabile Anna Maria Valenza.

    Ritornando a mio padre, nel 1928 successero due eventi: mio padre perse il lavoro a Napoli e mia madre era tornata al Cairo dove abitavano i suoi genitori nel quartiere di Abdin. Era andata in Egitto perché gravemente debilitata dopo essere scampata alla febbre spagnola; i medici le avevano consigliato l’aria del paese natio. Infatti al Cairo si riprese e mandò a dire a mio padre di raggiungerla per qualche mese. In Italia, a Napoli, erano nati i miei fratelli Mario, Anna, Gianna e Carlo che allora stavano con lei al Cairo. Mio padre pensando ad un periodo breve si imbarco a Napoli e andò in Egitto. Era disoccupato, mio nonno fece di tutto per trovarli un posto e lui si impiegò come ragioniere presso l’Assaaf, un consorzio di lotterie che stava di fonte al tribunale del Cairo. 

    Così iniziò la sua avventura egiziana col susseguirsi della nascita di Renato (lo scrivente) nel 1933 e di mio fratello Giuseppe, che sarà sempre chiamato Nino, nel 1936. 

    Successivamente la partenza di Mario per Fano alla scuola ufficiali, la partenza di Anna, Gianna e Carlo per le colonie nel 1940, ma che dura fino al 1946 quando ritornano in Egitto al termine della guerra.

    Mio padre, internato a Fayed, dopo si ritrova nuovamente disoccupato. Come tanti altri, nemmeno mio padre non ha mai avuto una lira di pensione ed alcun risarcimento per la prigionia… Meno male che mia madre che era ostetrica e riuscì a mandare avanti la famiglia dal 1940 al 1950. 

    Mio padre non riuscì mai ad imparare l’arabo, da “napoletano verace” fu sempre un gran nostalgico della sua bella Napoli: lo ricordo ancora con i suoi amici napoletani ad ascoltare le belle canzoni di Napoli, suonava bene il mandolino e la sera erano tutti fuori al balcone a commuoversi al suono di un grammofono Telefunken a manovella, (il grammofono fu un regalo che mi fece il 22.11.1937 in occasione del mio quarto genetliaco); famose furono le sue ‘gaffe’ nel voler parlare l’arabo mentre noi tutti ridevamo a crepapelle…

    Nel 1947 venne in Egitto dagli Stati Uniti d'America il fratello di mia madre, il prof. Armando Ferraro, che si ripropose di tornare ancora nel 1950. Mio padre colse l’occasione nel 1949 per scrivergli di non venire al Cairo nel ’50, poiché con i denari che avrebbe speso per viaggio e soggiorno colà, avremmo potuto incontrarci tutti in Italia, cogliendo anche l’occasione dell’Anno Santo: la nostra famiglia, più quella delle due sorelle che stavano in Egitto, in tutto nove persone, siamo rimasti a Napoli per due mesi! - L’Anno Santo è stata per la nostra famiglia l’occasione per riunirci anche con i parenti già in Italia. Mio zio, molto generoso e grande in tutto, si accollò tutte le spese e l’appuntamento, per tutti noi, fu davanti ad un lauto pranzo presso "La zia Teresa", eravamo circa una cinquantina di persone! Che uomo meraviglioso era zio Armando, generoso in tutto, aiutò molto noi e non soltanto noi, anche gli orfani di un suo fratello deceduto a Napoli che volle che studiassero tutti fino alla laurea. Era proprio l’uomo della provvidenza.

    Così nel maggio del 1950 tutti noi, a bordo dell’Esperia, venimmo a Napoli: per me e mio fratello Nino, oltre finalmente a conoscere l’Italia, fu molto importante e commovente anche l’abbraccio con nostro fratello Mario reduce della prigionia in India e che non vedevamo dal 1937! E poi tanti zii e cugini che conoscevamo solo di nome. Inutile dire la commozione di mio padre!! 

    Qui entra in campo mio fratello Mario, che felicemente sposato a Napoli con Laura Diletto, prende in disparte lo zio Armando e lo convince ad acquistare una casa per mia madre per fare in modo che non tornassimo più in Egitto: così avvenne e il mio destino volle che non rivedessi più il mio paese natale. Rimanemmo a Napoli, io mi scrissi all’istituto Nautico e successivamente mi arruolai nei Carabinieri. Così fece anche mio fratello Nino che però lasciò l’Arma e poco dopo fu assunto alla Banca d’Italia.

    Altri parenti tornarono al Cairo ed Alessandria per poi far rientro nella madre patria dopo gli eventi del 56/57.

    Sono contento per mio padre che realizzò il sogno di tornare in Patria nella sua adorata Napoli dove moriva il 21.2.1959. 

    In Egitto le cose si stavano mettendo male per gli stranieri, infatti in pochi anni tutti, chi prima e chi dopo, dovettero lasciare quel paese. Con la rivoluzione cadde la monarchia di Faruk, mia zia Albina con il marito architetto e la cara cugina Clara vennero anche essi in Italia stabilendosi a Roma, dove mia cugina, per la ottima conoscenza delle lingue (arabo, inglese, francese e tedesco) trovò lavoro presso la F.A.O e, successivamente, alla Procter & Gamble. 

    Mia zia Nina, sorella di mia madre, rimase in Alessandria, era sposata con un siriano impiegato alla dogana Selim Tobgy. 

    Mio padre non rivide più l’Egitto mentre mia madre è ritornata molte volte al Cairo: aveva una gran nostalgia di quel paese dove erano sepolti i suoi genitori e dove era nata… Anche lei ci ha lasciato per sempre il 1.1.1983.

    I miei fratelli: Mario ha fatto una brillante carriera nella circumvesuviana di Napoli, peccato che non ha potuto utilizzare nel lavoro la sua laurea in lingua araba conseguita presso l’Orientale di Napoli, è l’unico dei fratelli che, all’età di 88 anni suonati, quasi ogni anno va in Egitto ospite dei nipoti che lo aspettano a braccia aperte. 

    Mio fratello Carlo ha fatto una brillante carriera nella Banca di Roma

    Mia sorella Gianna si sposò con un egiziano di madre Triestina, ebbe quattro figli e rimase in Egitto fino al 1970 anno della sua morte, ancora giovane è stata vittima di un male inguaribile; era in visita a Londra dalla sorella Anna che era felicemente sposata con un inglese. Ora entrambe riposano in pace in Inghilterra nello stesso cimitero, nei sobborghi di Londra.

    In Egitto vivono, felicemente sposati, quattro nipoti egiziani che sono al colmo della gioia perché in questi giorni (essendo figli di una italiana che non ha mai rinunciato alla sua nazionalità) stanno facendo le pratiche per ottenere il passaporto italiano che sarà loro concesso quanto prima, mantenendo una doppia cittadinanza.

    Siamo sparsi per tutto il mondo: a Londra vivono altri nipoti figli di Anna e in Australia, ove è emigrata un'altra nipote, altri ancora. 

    A Napoli ci siamo noi i superstiti: quattro fratelli (ma questa è un'altra storia)…   

 

Il mio Egitto 

    Ho letto molte storie di italiani che hanno operato in Egitto: mi è venuta la tentazione di scrivere qualcosa di mio, sebbene sia rimasto laggiù per soli 17 anni dalla nascita 1933 al 1950, data della partenza per Napoli. 

    In Egitto non ci sono più ritornato: è stata una mia scelta, desidero conservare il ricordo di quel paese così come l'ho lasciato. I miei nipoti che stanno al Cairo mi reclamano, ma io, all’età di 71 anni, ho deciso così. 

    I miei ricordi partono dall’età di quattro anni, quando un incendio devastò la nostra casa per una dimenticanza di un mio fratello che lasciò accese le candeline del presepe, come si usava allora per illuminarlo: ricordo mia madre che, con una coperta addosso, passò fra le fiamme per andare in una stanza comunicante con quella del presepe, per portare in salvo un mio fratellino di pochi mesi che dormiva nella culla in quella stanza… ricordo gli anni passati prima alla scuola di Bulacco, poi dalle suore della Nigrizia di Zamalek e successivamente al Don Bosco del Cairo. 

    Ho conosciuto don Lino Russo che fu uno dei fondatori del gruppo dei giovani esploratori Boy Scout e tanti altri Salesiani, tra i quali ricordo don Gatti, don Trancassini, don Fanalfen, don Castellino, don Bortolasio e tanti altri. Frequentai il corso per meccanici, ebbi Toscano come ultimo insegnante .

    I miei compagni di scuola: Mario Moscatelli, Guido Pagoni, i fratelli Martino, Aldo Folena, Giovanni Sidaui, Renato Toscano, Annibale D’Andrea e tantissimi il cui nome adesso non ricordo. 

    Dal 1933 al 1940 fu un periodo felicissimo, ma dopo la nostra famiglia si divise e per circa 7 anni vivemmo: io, mio padre, mia madre e mio fratello Nino al Cairo, due sorelle a Firenze e un fratello di 14 anni a Siena, e mio fratello Mario prigioniero di guerra a Bombey fino al 1947. 

    Ricordo i bombardamenti del Cairo e di Alessandria e la prigionia di mio padre a Geneifa. Durante tale detenzione alcuni soldati inglesi di guardia, ubriachi, spararono sugli internati e mio padre vide morire a pochi passi da lui un amico. Per questo motivo riportò un trauma psichico e poco dopo fu trasferito al campo di Embabe al Cairo e infine rilasciato. Fece molte istanze per avere un riconoscimento da parte delle autorità italiane ma, come ben sappiamo tutti coloro che hanno convissuto queste esperienze, senza alcun esito. I prigionieri Italiani in Egitto non sono mai stati risarciti per la prigionia subita e questa è una vergogna.

    Di quei 17 anni trascorsi fra Il Cairo e Alessandria ho dei dolci ricordi: le passeggiate in bicicletta fino alle piramidi, quelle a piedi per Zamalek, i pattinaggi che frequentavo d’inverno e le arene cinematografiche d’estate. Ricordo i cinema Metrò, Miami, Nasr, Rivoli.

    Desidero raccontare qualche spunto su questi cinema: il Rivoli sorse al posto del pattinaggio Park, il cinema Radio al posto del pattinaggio La Potinier. Molti di questi cinematografi non esistono più come il Royal di Abdin.

    Le Chiese che frequentavamo era la Chiesa del Carmelo di Bulacco, la  Chiesa del Sacro Cuore, la Chiesa di S.Giuseppe e quella della Sacra famiglia di Zamalek.

    Da piccoli, andavamo sempre al giardino dei pesci di Zamalek ove facevano delle lunghe battaglie a guardie e ladri.

    Al Don Bosco, ho partecipato a diversi tornei di calcio e ricordo i migliori giocatori di allora: Giovanni Sidawi, Renato Toscano, il portiere Annibale D’Andrea. Tanti ricordi belli e brutti che il tempo ripropone con forte nostalgia perché appartengono a una generazione splendida; il regime in Italia esaltava l'italianità e noi eravamo tutti fieri di esserlo. Poi è successo quello che è successo… Una guerra che avrebbe dovuto durare al massimo un anno e invece...

    Nel Mediterraneo sono proseguiti alcuni conflitti locali, sempre alimentati da estremismi, il più lungo dei quali dura dal 1947 a oggi fra Israele e la Palestina. E noi possiamo solo pregare affinché che quella parte del mondo trovi la pace e che i due Stati possano convivere fra loro.

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