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Capitolo 6
IL TEOREMA DI GÖDEL COME SOSTEGNO AL MECCANICISMO

  1. Hardware/software
  2. La suggestione dell'autoreferenza
  3. Ubiquità dell'incompletezza
  4. Macchine coscienti
  5. Autoreferenza patologica

1. HARDWARE/SOFTWARE

Con l'imporsi della nozione di programma per calcolatore, i campi del confronto tra cervello umano e cervello elettronico sono ridescritti secondo la dicotomia di hardware e software. Più esattamente il sistema formato dall'unione di hardware e software struttura l'entità del cervello, sia umano che elettronico, in modo che la componente fisica, o substrato materiale per i processi mentali, si identifichi con la parte hard del sistema, mentre con la parte soft si interpreta la mente stessa, quale insieme delle funzioni cognitive, prodotto superiore dell'attività cerebrale.
I fautori di un'identità di principio, o per lo meno di un'analogia stretta tra cervello umano e cervello elettronico, enfatizzano l'incidenza del fattore soft, consegnando, rispetto al confronto, all'elemento hard una valenza aspecifica. Si intende che, ai fini del risultato dell'esecuzione del programma, le peculiarità fisiche, neuroni o circuiti elettrici, siano, al limite, irrilevanti. Se quindi un medesimo programma fosse eseguito tanto da un calcolatore quanto da un cervello umano, produrrebbe i medesimi effetti. Nella forma più estrema, ciò comporta che se un programma ideale contenesse la descrizione di una mente, la sua esecuzione determinerebbe autentici stati mentali. Nonostante, nel caso particolare dell'uomo, il cervello generi il proprio programma, laddove sul calcolatore il programma viene importato dall'esterno, appare chiaro che, se il mentale rientra nella categoria del software, allora è imitabile da qualunque cosa ne istanzi la descrizione. Inoltre una imitazione perfetta potrebbe non più distinguersi dall'imitato e, come in una sorta di duplicazione cellulare, diverrebbe tangibile presenza del mentale. È implicito in tutto ciò che le funzioni cognitive di ordine superiore, o l'insieme di ciò che chiamiamo l'effetto-mente, sia catturabile mediante un modello computazionale.
D'altro canto, i fautori della differenza tra cervello umano e cervello elettronico intravedono nella mente, e più ancora nella intenzionalità della coscienza, quel tratto distintivo, su cui grava tutta la giustificazione della superiorità umana. In tal caso la componente hard porta il peso di motivare questa distinzione: solo quella materia specifica, di cui si forgia un cervello umano, possiede proprietà fisico-chimiche capaci di dar luogo a una mente cosciente.
Assumendo questa posizione, si può ritenere, per esempio con John R. Searle, che l'azione fisica del cervello nella sua globalità risulti imitabile, ma l'imitazione, per quanto meticolosa, non saprà mai evocare consapevolezza1. Poiché un programma prospetta un modello del tutto formale, la simulazione che con esso si perpetra ha tratti manieristici e, come una veste vuota, non lascia emergere il simbolico. Si può altrimenti sostenere, per esempio con Roger Penrose, che non tutto dell'azione fisica del cervello sia simulabile, ma che si trovi, già nel suo funzionamento, il principio del non algoritmico. Così alla macchina si destina da imitare quel che di computabile si scopra nel pensiero, ma l'intenzionale le si sottrae persino e irrimediabilmente nella sua parvenza esteriore.
Ma sia che si creda ai poteri dell'istanziazione del programma, sia che ci si affidi all'unicità della biochimica cerebrale umana, alla mente si avoca sempre il rango del causato. E' curioso infine constatare che due autori contemporanei, molto distanti tra loro, come Douglas R. Hofstadter e Roger Penrose, si servano entrambi del teorema di Gödel, con finalità opposte. Dove il primo se ne avvale per provare che la consapevolezza del pensiero non invalida la meta dell'intelligenza artificiale, il secondo se ne arma per rimarcare l'inadeguatezza del paradigma del computabile2.

2. LA SUGGESTIONE DELL'AUTOREFERENZA

In The Mind's I Hofstadter considera il teorema di Gödel "non un argomento contro il meccanicismo, ma un esempio dell'anello primario che sembra in qualche modo profondamente intessuto nell'ordito della coscienza"3 . Hofstadter ipotizza che il senso del sé, o coscienza come capacità di autopensarsi, scaturisce da un meccanismo di retroazione tra livelli differenti dell'attività cerebrale. Individuando la componente hardware nel livello basso, o neurofisiologico, e la componente software nel livello alto, o simbolico, l'autore postula una doppia causazione, quella che, diretta dal basso all'alto, per prima traduce l'attività neuronica in simboli e quella in cui il pensiero, di ritorno, riprogramma il substrato fisico.
L'ipotesi esplicativa di Hofstadter trae ispirazione dalla caratteristica più palese della coscienza: il suo pensarsi, il suo riferirsi a sé. Dalla chiusura dell'anello del riflettersi, si passa a evidenziare, nel meccanismo della retroazione, la struttura autoreferente: di un'autoreferenzialità cerebrale sarebbe specchio la coscienza. Hofstadter non chiarisce se la coscienza retroagisca a sua volta su quel sistema di retroazione che la determina, o se qui si tronchi la potestà di ricadere sull'inizio correggendolo. Sembrerebbe doversi optare per questo secondo ramo dell'alternativa, nonostante la coscienza si situi in quello stesso simbolico, che riprogramma il livello basso. Ma vi si situa come punto di vista del sistema sul sistema, con ciò erigendosi quale fondamento della limitatezza umana e del senso dell'io. "Ciascuno di noi è prigioniero all'interno di un possente sistema dotato di un punto di vista unico: questo potere è anche il garante della limitatezza. E questa vulnerabilità, questa autocircolarità,potrebbe anche essere la fonte dell'inestirpabile senso dell'io"4.
Sfruttando la suggestione dell'autoreferenza, Hofstadter richiama l'enunciato indecidibile di Gödel a costituirsi quale supporto per la propria ipotesi circa la natura della coscienza. L'attraversamento di livelli che forgia la "nostra quasi inanalizzabile sensazione del sé" è paragonato a quello che in un sistema formale porta a dimostrare l'incompletezza sintattica. Così in Gödel, Escher, Bach: "Questo atto di traduzione dallo hardware fisico di basso livello al software psicologico di alto livello è analogo alla traduzione di enunciati aritmetici in enunciati metamatematici. Si ricordi che l'attraversamento dei livelli che ha luogo esattamente in questo atto di traduzione è ciò che crea l'incompletezza di Gödel"5. Proprio qui dovrebbe trovarsi il fulcro di un uso meccanicistico del teorema di Gödel. Hofstadter sottolinea come la non teorematicità dell'enunciato indecidibile riceva una spiegazione, allorché si guardi non al livello aritmetico e a quello metamatematico separatamente presi, ma al loro rispecchiamento. Anche il mistero della coscienza, da sempre baluardo dello spiritualismo, come fenomeno emergente, e incomprensibile con la sola fisiologia, potrebbe sciogliersi, se proiettato in termini di una risonanza tra l'hardware fisico e il software psicologico dei sistemi mentali.

3. UBIQUITA' DELL'INCOMPLETEZZA

Tuttavia tra l'incompletezza sintattica per i sistemi formali e il senso umano dell'io il salto rimane grande. L'insistenza sull'autoreferenzialità non offre un autentico aiuto a colmarlo poiché, come Hofstadter stesso non si stanca di rilevare, miriadi di fenomeni ci consegnano esempi di strutture a anello. Spaziando dall'arte alla musica al DNA, Hofstadter dilata l'analogia iniziale, fino a conferirle sapore cosmico. Nel quadro dentro al quadro, tra Escher o Magritte, nell'anello delle proteine o nella vita di un formicaio, egli percepisce nodi gödeliani. Ovunque indovina parabole del teorema di incompletezza, che così diviene chiave di lettura multiuso e generica, al punto da giustificare l'ironico commento di J.-Y. Girard (Le champ du signe ou la faillite du réductionnisme), che nel libro scorge i sintomi di una 'gödelite' acuta.
Questa onnivora prospettiva sortisce l'effetto di indebolire, più che di rafforzare, il nesso tra sistema formale e sistema mentale. E' persino troppo facile protrarre, con Hofstadter, il gioco dei paragoni, fino a ricostituire con essi un tessuto che si adatta all'intero universo; più difficile, nell'infinita quantità degli aspetti per cui sempre si possa confrontare ogni cosa con qualunque altra, afferrare un fattore di comunanza non effimera. Ma la partecipazione che correla, nel corso delle 800 pagine di Gödel, Escher, Bach, alla logica e all'intelligenza artificiale i disparati segmenti del sapere e dell'esistente, scorre epidermica. Dato che l'attraversamento dei livelli si rivela molto, troppo diffuso, ci si chiede infine perché una coscienza, se di quell'attraversamento è il frutto, sorga soltanto dal regno biologico e non, per esempio, dall'Offerta musicale di Bach.
Forse la caratteristica dell'autoreferenza, pur se necessaria, non basta a motivarne la genesi, o forse, ancora, non bisognerebbe omettere la differenza che intercorre tra autoreferenza e retroazione. La struttura circolare le imparenta, ma in un modo esteriore. Anche la matrigna che nella favola di Biancaneve interroga lo specchio manifesta il cerchio del rimando a sé; ma ha davvero un senso o una qualche utilità questa esasperata e baldanzosa caccia all'ennesimo "strano anello"? Nell'enunciato indecidibile si realizza senz'altro la costruzione autoreferenziale, eppure non c'è retroazione. Il livello metamatematico non ritorna a correggere quello aritmetico, né il sistema formale acquisisce consapevolezza di sé, in virtù di una proposizione che affermi la propria non dimostrabilità.

4. MACCHINE COSCIENTI

Parrebbe adesso quasi naturale domandarsi come mai Hofstadter privilegi, tra tutte le situazioni di autoreferenza, quella gödeliana. La risposta non può non palesare come, al di là dell'intento dichiarato: "si usa il teorema di Gödel come una metafora o come una fonte di ispirazione"6, egli cerchi, nell'enunciato indecidibile, qualcosa di più di un sostegno per analogia alla propria ipotesi sull'enigma della coscienza. La sua affinità all'anello dell'autopensarsi dovrebbe suggerire per il teorema di Gödel il ruolo di trait d'union tra una comprensione scientifica della mente umana e l'obiettivo di riprodurre mediante programmi prestazioni intelligenti. Si tratterebbe infatti di trasformare quello che costituisce un limite per un sistema formale: l'esistenza di una proposizione indecidibile, in un punto di forza per un programma: la sua autoreferenza cosciente. Le linee del ragionamento sembrano così succedersi: a) l'anello della coscienza è generato dalla retroazione tra livelli cerebrali diversi (neurologico e simbolico); b) la proposizione indecidibile rappresenta un caso di struttura autoreferente entro un sistema formale, derivata da traduzione tra livelli diversi (aritmetico e metamatematico); c) una coscienza artificiale potrebbe essere prodotta per retroazione di un programma sull'hardware.
Naturalmente quanto indicato in a, si sostiene soltanto a patto che il simbolico, prima di retroagire sull'hardware e rispecchiare questa retroazione in una coscienza, si spieghi senza scarti come riflesso diretto dei moti neuronici. Il punto c rappresenta la trasposizione, sul piano dell'intelligenza artificiale, dell'ipotesi avanzata in a. Rispetto a tale trasposizione, b risulta quindi superflua, ma non per questo immotivata. La ragione sottesa alla scelta di b sta nella speranza che, se in un sistema formale, operando in modo sintattico, il rispecchiamento autoreferenziale tra i livelli produce, in una proposizione, l'emergenza del significato, allora la teoria dell'intelligenza artificiale dovrebbe saper ricostruire l'intenzionalità della coscienza, grazie a una opportuna programmazione. L'accostamento non è comunque immune da problemi. Infatti per quanto concerne il punto b: la traduzione dal livello aritmetico a quello metamatematico rimane interna al perimetro definito dal concetto di sistema formale, che corrisponderebbe, dalla prospettiva di c, alla categoria del software. Per quanto attiene a c, si richiede invece un attraversamento con retroazione tra i compartimenti esterni l'uno all'altro del software e dell'hardware.
Ma Hofstadter traspone al teorema di Gödel, quasi con le stesse parole, quanto scrive della coscienza come punto di vista del sistema su se stesso. "Il teorema di Gödel deriva da una conseguenza di questo fatto generale: sono prigioniero dentro di me e perciò non posso vedere come gli altri sistemi mi vedono"7. A parte l'effetto un po' plateale di questa affermazione, essa implica che, per il sistema mentale, l'enunciato indecidibile detti il modo dell'autopensarsi e, in esso, il limite di ciò cui l'autocoscienza attinge, nel tentativo di penetrare la propria verità. Questa conclusione sarebbe accettabile se soltanto si fosse già dimostrato l'assunto basilare di Hofstadter e dell'intelligenza artificiale: l'identità di mente e programma. Poiché tale assunto è invece quanto all'intelligenza artificiale spetta di provare, fino a che non lo si provi, asserire che il teorema di Gödel deriva dall'essere la mia mente prigioniera dei propri confini algoritmici costituisce un abuso. Nel frattempo la ridda degli strani anelli scatena estreme associazioni, tanto che persino la pazzia diventa per Hofstadter un problema gödeliano.

5. AUTOREFERENZA PATOLOGICA

Il vortice dell'interrogarsi sulla propria salute mentale intrappola la mente in un gorgo via via più fitto di profezie che si autoavverano. Ammettendo che un pazzo interpreti il mondo secondo una logica, dotata di una peculiare coerenza, e che ognuno disponga solamente della propria logica, per giudicare... la propria logica, in che modo si potrà sapere se essa sia peculiare o meno? Hofstadter paragona questa semplicistica immagine dell'ottenebrarsi della mente al secondo teorema di Gödel, "per il quale le uniche versioni dell'aritmetica formalizzata in grado di asserire la propria non-contraddittorietà sono contraddittorie"8 . In The Mind's I invece, Hofstadter collega l'insano vortice, creato dal ripiegarsi del pensiero su se stesso, al cortocircuito del paradosso logico, ricalcato dal primo teorema di incompletezza sintattica. Lo spunto per questo accostamento è offerto da un racconto di Christopher Cherniak, The Riddle of the Universe and its Solution, in cui si afferma che, se la mente ha natura algoritmica, esisterà un programma, una sorta di immane parola, capace di infondere anche a una macchina il pensiero; per converso, ancora una parola, negazione della prima, ne irretirà, fino a distruggerlo, l'effetto. Cherniak designa questa parola: 'enunciato di Gödel per la macchina di Turing umana', il cui potere soggiogante proviene da un'autoreferenza in stile con il paradosso del mentitore.
Sulla falsariga di Hofstadter, in Mind versus Gödel Damjan Bojadziev si esercita a sua volta con il testo di Cherniak: "The Gödel sentence for a human could work like a recipe for self-destruction, activated in the process of its comprehension or articulation ('self-convulsive', 'self-asphyxiative', 'self-ignitive',...) A more elaborate interpretation, as the paralysing effect of some self-referential cognitive structure, is presented in Cherniak's story". Bojadziev prosegue, constatando che la stessa storia della logica annovera "cases of multiple hospitalization (Cantor, Gödel). Of course, this is all anecdotal, speculative and inconclusive"9. Certo che tutto ciò è molto inconclusivo. Stupisce la leggerezza acritica di queste affermazioni; né si comprende che nesso vi sia tra gli accessi depressivi di un logico e gli scopi dell'intelligenza artificiale. Bojadziev sostiene che il divario apparente tra menti e macchine sarà colmato grazie alla vulnerabilità delle menti umane ai paradossi dell'autoreferenza; ma qui, più che nello speculativo, si sconfina nell'arbitrario: Bojadziev non chiarisce in alcun modo come questo aspetto delle menti, il loro punto critico tra sanità e circolo vizioso, avvicinerebbe all'obiettivo di un'intelligenza meccanica. Infine: "The self-reference in Gödel's sentence can be compared to a formal way of self-recognition in the mirror"10. Raccogliendo la lezione di Hofstadter, Bojadziev accosta lo sviluppo dell'abilità nel riconoscere la propria immagine allo specchio, come sintomo della acquisita autoconsapevolezza nel bambino, all'anello della coscienza. Da qui risale al metaforico riflettersi delle proposizioni metamatematiche nello specchio offerto dall'aritmetizzazione (numerical mirror). Bojadziev scandisce la sua chiusa: "Gödel's theorems do not prevent the construction of formal models of the mind, but support the conception of the mind as something which has a special relation to itself, marked by specific limitations"11. In perfetto unisono con il tema di Hofstadter, il suo appello allo scritto del 1931 appare ancora meno motivato.

NOTE

1. John R. Searle illustra le sue convinzioni attraverso il suggestivo esperimento mentale della 'stanza cinese'. Egli immagina che un uomo, di madrelingua inglese e privo di ogni conoscenza della lingua cinese, riceva, attraverso una fessura praticata nella stanza in cui è chiuso, fogli ricoperti di ideogrammi (input) e, con essi, un insieme di regole (programma), ora in inglese, per correlare gli ideogrammi tra loro. Alcune sequenze di ideogrammi rappresentano brevi storie, altre costituiscono domande volte a testare la comprensione di quelle medesime storie; ma i simboli cinesi sono identificati dall'uomo solo attraverso la loro forma. Grazie alle regole in inglese, di cui ha comprensione, egli riesce tuttavia a "rispondere" con ideogrammi (output), in maniera che apparirebbe sensata e corretta a un lettore cinese. È chiaro quindi che, per quanto input e output siano identici a quelli di un individuo di madrelingua cinese, l'uomo nella stanza non possiede né raggiunge, eseguendo le regole, alcuna comprensione degli ideogrammi. Searle ne conclude che 1) l'istanziazione di un programma appropriato non è, non può essere, condizione sufficiente a produrre intenzionalità. Il programma è infatti formale, mentre uno stato intenzionale è definito dal suo contenuto. 2) Simulare con successo un fenomeno non significa anche ricrearlo. "A nessuno verrebbe in mente che si possano produrre latte e zucchero eseguendo una simulazione al calcolatore delle sequenze formali della lattazione e della fotosintesi." Se le entrate e le uscite manifeste di un calcolatore, opportunamente programmato, possono imitare perfettamente quelle di un essere umano pensante, ciò non implica che nel calcolatore sorgano genuini stati mentali. (Searle, J. R., "Minds, Brains and Programs", The Behavioral and Brain Sciences, Cambridge University Press, 3 (1980); trad. it. "Menti, cervelli e programmi" in Hofstadter, D. R., Dennett, D. C, The Mind's I. Fantasies and reflections on Self and Soul, Basic Books, New York, 1981; trad. it. di G. Longo, ed. a cura di G. Trautteur, L'io della mente. Fantasie e riflessioni sul sé e sull'anima, Adelphi, Milano, 1985, pp. 341-360, cit. da p. 359.) Tuttavia se si riproducesse in una macchina il vero fattore causale del pensiero, che per Searle dipende, in modo essenziale, dalle particolarità biologiche del cervello umano, questa macchina realmente penserebbe. Searle si spinge a dire che riusciremmo forse a generare intenzionalità con principi chimici diversi da quelli del nostro organismo; indebolendo così proprio il richiamo alle "cause naturali del tutto specifiche" della mente, Searle offusca ancora la chiarezza del suo argomento asserendo, con sconcertante esaltazione: "poiché tutte le cose sono calcolatori digitali, anche il cervello lo è" (p. 360, ibidem). A questo punto, anche ammettendo che l'istanziazione del programma non sia, da sé sola, causa sufficiente del pensiero, non si può più escludere che condizioni chimico-fisiche idonee si trovino già nei calcolatori costruiti dall'uomo, a meno che non si sappia, in modo esplicito, che queste condizioni osteggiano la possibilità di una mente.
2. L'antesignano dell'argomento di Penrose si trova in Lucas, J. R., "Minds, Machines and Gödel", Philosophy, 36 (1961), pp. 112-127; rist. in Anderson, A. R. (a cura di), Minds and Machines, Prentice-Hall, Englewood Cliffs, N.J., 1964, http://users.ox.ac.uk/~jrlucas/mmg.html. "Gödel's theorem seems to me to prove that Mechanism is false, that is, that minds cannot be explained as machines", esordisce Lucas. Se infatti l'essenza di una macchina cibernetica si rivela essere "a concrete instantiation of a formal system", per ogni macchina "consistent and capable of doing simple arithmetic, there is a formula which it is incapable of producing as being true". Poiché noi constatiamo che tale formula è vera, ne segue che "no machine can be a complete or adequate model of the mind, that minds are essentially different from machines". All'osservazione che il teorema di Gödel si applica solo ai sistemi formali consistenti, Lucas replica riducendo l'ovvia possibilità che la mente umana sia invece inconsistente alla dimensione dell'errore occasionale ("Our inconsistencies are mistakes... They correspond to the occasional malfunctioning of a machine"). Nello stesso modo in Ombre della mente, Penrose risolve l'ipotesi che alla base della comprensione matematica stia un sistema formale F non valido: "I matematici commettono certamente sbagli nei loro ragionamenti... Molto più importante è il fatto che questi errori sono correggibili" (Penrose, R., Shadows of the mind: a search for the missing science of consciousness, Oxford University Press, Oxford, 1994; trad. it. di E. Diana, Ombre della mente: alla ricerca della coscienza, Rizzoli, Milano, 1996, cit. da p. 181). La riconoscibilità dell'errore permetterebbe di escludere che la comprensione matematica avvenga davvero secondo le linee di un sistema formale non coerente, o, con le parole di Lucas, che le inconsistenze costituiscano il "normal scheme of operations" della macchina-uomo. In quest'ultimo caso infatti: "we should remain content with our inconsistencies, and would happily affirm both halves of a contradiction". E' interessante la conclusione che Lucas ne trae: "A fallible but self-correcting machine would still be subject to Gödel's results. Only a fundamentally inconsistent machine would escape". Cioè, assodato che noi non siamo macchine fondamentalmente inconsistenti (quindi una macchina che fosse tale, pur sfuggendo al teorema di Gödel, non rappresenterebbe un modello adeguato della mente umana), un sistema artificiale fallibile e capace di autocorrezione (tanto quanto ne è capace l'uomo) ripristinerebbe, proprio correggendosi, le condizioni di coerenza che lo vincolano a non poter produrre "come vera" la formula gödeliana (cit. da p. 1; 5 ; 6 di 10).
L'infallibilità sarebbe invece, nell'immaginario comune, il segno del meccanico: la macchina non può fare errori, dal momento che non può deviare dalle modalità della sua programmazione; il che è spesso un modo più blando per asserire che una macchina non gode del libero arbitrio. In Computing Machinery and Intelligence Turing osserva invece che solo le macchine astratte, oggetti matematici e non fisici, sono incapaci di errori. Di fatto non si possono escludere né errori di funzionamento, né errori di conclusione. La caratteristica dell'intelligenza sta "nello staccarsi dal comportamento completamente prevedibile implicato nel calcolo, ma di poco, in modo da non determinare un comportamento casuale o dei giri viziosi". Per conseguire la realizzazione di una macchina intelligente, Turing propone quindi di elaborare un "programma a livello infantile", che simuli la mente non di un adulto ma di un bambino. Se la macchina-bambino fosse sottoposta a addestramento, l'educazione muterebbe parte delle sue regole iniziali; in tal modo ciò che accade all'interno della macchina non potrebbe che rimanere in gran parte ignoto. Poiché "i processi che si imparano non assicurano al cento per cento il risultato", la macchina divenuta adulta avrebbe la stessa capacità dell'uomo di commettere errori e, in senso positivo, l'errore sarebbe adesso segno della sua intelligenza. (Turing, A. M., "Macchine calcolatrici e intelligenza", op. cit., p. 182.)
3. Hofstadter, D. R., Dennett, D. C., L'io della mente, op. cit., cit. da p. 278.
4. Hofstadter, D. R., Dennett, D. C., ibid., p. 273.
5. Hofstadter, D. R., Gödel, Escher, Bach: an Eternal Golden Braid, Basic Books, New York, 1979; trad. it. di B. Veit, G. Trautteur, S. Termini, B. Garofalo, Gödel, Escher, Bach: un'eterna ghirlanda brillante, Adelphi, Milano, 1984; cit. da p. 124, 4° ed.
6. Hofstadter, D. R., ibidem, p. 754.
7. Hofstadter, D. R., Dennett, D. C., L'io della mente, op. cit., p. 402.
8. Hofstadter, D. R., Gödel, Escher, Bach, op. cit., p. 755.
9. Bojadziev, D., "Mind versus Gödel", in Gams, M, Paprzycki, M., Wu, X. (a cura di), Mind Versus Computer, IOS Press, 1997, pp. 202-210;
http://nl.ijs.si/~damjan/g-m-c-html, cit. da p. 6 di 7.
10. Bojadziev, D., ibidem, p. 7 di 7.
11. Bojadziev, D., ibidem, p. 7 di 7.


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