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Capitolo 7
IL TEOREMA DI GÖDEL CONTRO IL MECCANICISMO

  1. Penrose: l'intelligenza del non computabile
  2. L'argomento gödeliano
  3. Variante dell'argomento gödeliano
  4. Due critiche all'argomento gödeliano
  5. Scrupoli di Penrose
  6. Putnam centra il bersaglio

1. PENROSE: L'INTELLIGENZA DEL NON COMPUTABILE

Agli antipodi per Penrose l'intelligenza, come pensiero consapevole, sfugge alla presa del computo. Penrose ritiene che l'azione fisica del cervello susciti la consapevolezza; pertanto già in tale azione deve trovarsi un ingrediente al di là dell'algoritmico, che ne vanifichi qualsiasi tentativo di simulazione computazionale. Ma la natura della coscienza non si sottrae per questo a ogni tipo di spiegazione scientifica. Un chiarimento a ciò che di essa è per noi ancora un mistero dovrebbe infatti provenire, secondo Penrose, da una più approfondita conoscenza delle leggi fisiche e, in particolare, dal sorgere di una nuova teoria, capace di coniugare la meccanica quantistica con il fenomeno della gravità. La presenza del non computabile potrebbe essere rivelata insita nel cuore della materia.
Penrose suggerisce quindi di ricercare le basi fisiche della mente, contro l'opinione comune che affida le funzioni cognitive superiori alla corteccia, in uno strato subneurale, dove si riesca a individuare l'esercizio di un'attività quantistica. Egli propone come candidati per questo ruolo i microtuboli, strutture interne a ogni neurone, e capaci forse di influenzare, in modo non esclusivamente computazionale, l'intensità delle sinapsi. Penrose riprende la congettura di Stuart R. Hameroff (1987), secondo cui i microtuboli si comporterebbero come "automi cellulari", in grado di inviare segnali grazie alle molecole di tubolina, ognuna delle quali può assumere almeno due conformazioni, rappresentabili, per esempio, dallo zero e dall'uno di un computer digitale. Penrose suggerisce che all'attività dell'automa cellulare di Hameroff si combinino oscillazioni quantistiche coerenti. L'isolamento necessario sarebbe garantito dalla forma tubolare e dall'acqua ordinata che circonda i microtuboli. Come prova che il fenomeno della coscienza sia collegato ai microtuboli, Penrose sottopone quindi all'attenzione dei lettori la teoria di S. R. Hameroff e R. C. Watt sugli effetti degli anestetici generali. Questi esplicherebbero la loro azione grazie alla forza di van der Waals, attrazione debole tra molecole con momento di dipolo elettrico. Le interferenze della forza dovrebbero bloccare la normale capacità della tubolina di passare da una conformazione all'altra; ma ciò richiede l'ulteriore premessa, che al centro di ogni dimero di tubolina si trovi un elettrone, responsabile, con la sua posizione, della forma del momento di dipolo del dimero.
Non esistono chiare evidenze sperimentali, che consentano di suffragare le intuizioni di Penrose circa l'importanza dei microtuboli per la coscienza1 .
Ma al di là di questa speculazione, in Ombre della mente Penrose dichiara: "io uso l'argomento di Gödel per dimostrare che la comprensione umana non può essere un'attività algoritmica; e, se possiamo dimostrare questa cosa in qualche contesto specifico, ciò sarà sufficiente"2. Il contesto scelto è correttamente quello matematico, ma Penrose, basandosi su quella versione dell'incompletezza offerta dall'indecidibilità del problema dell'arresto, elabora un proprio argomento gödeliano.

2. L'ARGOMENTO GÖDELIANO

Egli suppone di disporre di un procedimento computazionale A, analogo di una macchina di Turing universale, il cui input sia costituito da una qualsivoglia coppia di numeri (p,n), tale che, se A(p,n) si arresta, il p-esimo computo Cp(n), applicato a n, non si arresta. Cp(n) rappresenta l'analogo di una TMp(n), p-esima macchina di Turing, operante su input n. Come accade quindi nella tradizionale versione del problema dell'arresto, occorre immaginare di disporre di un elenco, ordinato e completo, di tutti i possibili computi C(n).
Penrose interpreta A come la somma di tutti i procedimenti algoritmici, di riconosciuta validità, usati dai matematici per accertare se un certo Cp(n) non si arresta. La clausola della riconosciuta validità comporta che il matematico sappia, in modo esplicito e cosciente, che A è valido, cioè che, ogniqualvolta A fornirà una risposta, tale risposta sarà corretta: quindi se A(p,n) si arresta, realmente Cp(n) non si arresta.
Considerando il valore p = n, segue che:
se A(n,n) si arresta, Cn(n) non si arresta.
Poiché A(n,n) dipende ora dal solo numero n, esso appartiene alla famiglia dei computi C(n); sia A(n,n) = Ck(n).
Quando n=k, risulta che:
se Ck(k) si arresta, allora Ck(k) non si arresta.
Per diagonalizzazione si realizza dunque uno stato, in cui il procedimento A non riesce ad accertare che il particolare computo Ck(k) non si arresta; il matematico riconosce invece che, se A è valido, Ck(k) davvero non si arresta. Se però il matematico sa qualcosa, cui A non è in grado di pervenire, come insieme degli algoritmi consapevolmente validi, A non esaurisce ogni forma di comprensione matematica per stabilire la verità di: 'Ck(k) non termina'.
Generalizzando, Penrose trae a conclusione l'enunciato G:
"I matematici umani non stanno usando un algoritmo conoscibilmente valido per accertare la verità matematica"3.

3. VARIANTE DELL'ARGOMENTO GÖDELIANO

Secondo Penrose l'argomento calza anche se si prenda, come modello della comprensione matematica umana, una O-macchina. Elencando le macchine oracolo esattamente come le comuni macchine di Turing, e interpretando A come l'insieme di tutti gli algoritmi oracolo disponibili all'intuizione umana, per decidere con certezza se una qualunque Op(n), p-esima macchina oracolo, applicata a n, si arresti o meno, Penrose deduce la proposizione G':
"I matematici umani non stanno usando un algoritmo oracolo, conoscibilmente valido, per accertare la verità matematica".4
Il processo si ripete immutato, anche se si considerino ordini di O-macchine superiori al primo, dove ogni ordine è dettato dal grado di difficoltà della classe dei problemi risolti. Si dilata quindi la precedente proposizione in G'':
"I matematici umani non stanno usando un algoritmo oracolo di ordine a, conoscibilmente valido, per accertare la verità matematica,qualunque sia l'ordinale computabile a"5.
Ciò però non implica per Penrose che l'intuizione umana debba avere tale potenza, da risolvere ogni caso del problema dell'arresto e eguagliare qualsiasi O-macchina. Né si richiede che le leggi di una teoria fisica per la mente si pongano, di necessità, oltre ogni livello del computabile mediante macchine oracolo; piuttosto occorre che tali leggi siano di natura qualitativamente diversa.

4. DUE CRITICHE ALL'ARGOMENTO GÖDELIANO
4.a. Copeland: sulle O-macchine

In Turing's O-machines, Searle, Penrose and the brain, Copeland osserva che, individuando con il grado 0 la classe dei problemi risolti da una normale macchina di Turing, e con il grado 1 la classe dei problemi risolti da una O-macchina del primo ordine, esistono, tra 0 e 1, gradi intermedi per classi di problemi troppo difficili per una macchina di Turing e non abbastanza difficili per una O-macchina del primo ordine.
Le leggi di una fisica della mente avrebbero forse complessità conforme a uno di questi gradi intermedi. Ma designando con i l'oracolo per una classe di problemi, situata in uno qualsiasi dei gradi compresi tra 0 e 1, e con I le macchine il cui oracolo sia i, l'argomento di Penrose si applica ora sulle I-macchine. Perciò i matematici non ricorrono neppure a una procedura conoscibilmente valida, eseguibile da una I-macchina. "So what knowably sound procedure can mathematicians be supposed to use (recall that i was arbitrarily selected)?" domanda quindi polemicamente Copland. "It is by no means clear how an upholder of the Gödelian argument might respond to this difficulty."6
Sembrerebbe dunque che nessuno degli innumerevoli livelli intermedi servano a configurare una fisica della mente. Tuttavia l'osservazione di Copeland suona, essa per prima, superflua; infatti: se l'argomento di Penrose è corretto, allora non può che ripetersi pedissequamente, per ognuno degli immaginabili infiniti gradi; se l'argomento non è corretto, allora deve cadere già di fronte al grado zero delle macchine di Turing.

4.b. Feferman: sul platonismo

Tornando adesso alla conclusione da Penrose espressa in G, essa andrebbe letta in senso forte, poiché per tale autore la mente vive una sorta di contatto con il mondo delle verità matematiche assolute; accertarle è 'vederle' con l'intuizione.
Alla luce di questo platonismo, secondo Solomon Feferman (Penrose's Gödelian Argument), Penrose enfatizza in modo improprio la nozione globale di validità. La critica di Feferman si appunta all'interpretazione che lo stesso Penrose propone, per il proprio argomento, alle pp. 126-127 dell'edizione italiana di Shadows of the Mind. Qui Penrose afferma che, per i suoi scopi, algoritmi e sistemi formali, come procedure per accedere alla verità, possono essere considerati equivalenti. Infatti per ogni algoritmo P, esisterebbe un sistema formale P, che riassegna il valore di verità vero a tutte le proposizioni matematiche vere, ottenibili mediante P. Perciò l'argomento gödeliano, sebbene svoltosi in termini di computi, inerisce anche ai sistemi formali.
Scrive Penrose in particolare: "Il mio procedimento algoritmico A gioca il ruolo del sistema formale F nel teorema originario di Gödel: algoritmo A « regole di F."7
Quindi la proposizione: "Ck(k) non si arresta", non decidibile mediante A, ma percepita come vera finché si riconosce la validità di A, corrisponderebbe all' asserzione, indicata da Penrose con G(F), della consistenza del sistema formale F. Cioè:
'Ck(k) non si arresta' « G(F).
Anche G(F) sarebbe infatti percepita come vera in funzione della validità di F: "Il punto essenziale, per i nostri scopi, è: la fiducia nella validità implica la fiducia nella consistenza"8 . Ma, per Penrose, che il sistema F sia valido significa ora che gli assiomi e ciò che ne consegue, grazie alle regole di derivazione, alludano a verità matematiche reali. Se "una proposizione è derivata con il valore vero, allora deve essere realmente vera"9. E' perché il valore di verità assegnato a una proposizione rispecchia per Penrose l'esistenza autonoma di un vero matematico assoluto, che vero (come valore di verità) implica vero (come realtà matematica assoluta), e falso implica falso. Perciò, prosegue Penrose, "Non abbiamo alcun diritto di usare le regole di un sistema formale F, e di credere che i risultati, derivati da esso, siano realmente veri, senza credere anche nella consistenza di quel sistema formale"10.
Così Feferman sintetizza questo ragionamento: "The argument goes something as follows: how could we know that F is sound if we did not understand what F is about - its intended interpretation - and see that the axioms of F are all true of that interpretation and that its rules of inference all preserve truth? (...) And once we recognize the soundness of a system F (...) we see that G(F) is true"11.
L'obiezione immediata di Feferman è che non occorre poggiare l'accertamento della verità di G(F) sulla globale validità di F. Come si sa, per esempio dagli sforzi dello stesso Gödel o di Gentzen, in una accezione più morbida del programma finitario, la coerenza della teoria elementare dei numeri diventa dimostrabile. Lo stesso Feferman ha inoltre presentato un controesempio al secondo teorema di incompletezza di Gödel, tale che, con un'apposita costruzione, l'enunciato Wid(P): "P è consistente", diviene dimostrabile nel sistema.
Feferman rimprovera ancora a Penrose di avere giudicato il proprio platonismo una sorta di atteggiamento condiviso tra i matematici. Ma nessuna filosofia della matematica incontra un universale plauso perciò, qualora in generale un matematico nutrisse simili convinzioni, esse non costituirebbero in alcun modo il metro con cui valutare l'accettabilità di un risultato conseguito. Così, per quanto proprio Gödel abbia palesato nelle sue lettere di aderire a un'idea di verità matematica oggettiva, i teoremi di incompletezza non si impongono certo in virtù di questo credo.
Tuttavia, prescindendo dall'interpretazione appena descritta, la critica di Feferman non colpisce in modo diretto l'argomento gödeliano, che non abbisogna per sostenersi del significato dilatato di validità, ma solo del criterio del corretto funzionamento di A12.

5. SCRUPOLI DI PENROSE
5.a. Algoritmi alternativi per la conoscenza matematica

Una nuova questione sembra invece compromettere, in maniera determinante, l'argomento gödeliano. Penrose ha concluso rimarcando per l'intuire matematico la sua non riducibilità a un qualunque processo algoritmico, a patto che di tale processo si riconosca, con pieno intendimento, la correttezza. Proprio questa premessa, esigendo per ogni algoritmo compreso in A l'essere conoscibilmente valido, vanifica le pretese dell'argomento gödeliano: esso non fronteggia qualunque variante dell'ipotesi computazionale. Rimane aperta l'eventualità che l'intuizione avvenga secondo un algoritmo, di per sé valido, eppure troppo complesso perché se ne sappia appurare, in modo cosciente, la correttezza.
In Shadows of the Mind, Penrose sembrerebbe per un momento discutere simile evenienza. Si legge infatti: "Dobbiamo considerare che, in accordo con G, la comprensione matematica potrebbe essere il risultato di qualche algoritmo non valido o inconoscibile, o forse valido e conoscibile ma non conoscibilmente valido"13. Lo svolgimento successivo però si limita alla trattazione dei due casi:
a) un algoritmo abbastanza semplice, da definirsi, in linea di principio, "consciamente conoscibile", determina in modo inconscio la comprensione del matematico;
b) un algoritmo al di là della portata della comprensione umana, o "inconsciamente inconoscibile", guida questa stessa comprensione.

5.b. Un algoritmo semplice e consciamente conoscibile

Penrose rigetta la prima ipotesi, tacciandola di scarsa credibilità. Se infatti l'algoritmo fosse semplice a sufficienza, il matematico che giungesse ad apprezzarlo in ogni suo aspetto, ne stimerebbe, a fortiori, in modo consapevole anche la correttezza. Ma, dal momento in cui la sua validità fosse divenuta nota, tale algoritmo ricadrebbe nel dominio dell'argomento gödeliano. In virtù dell'interpretazione già criticata da Feferman, Penrose però sfrutta la propria equivalenza: algoritmo A « regole di F, per trasferire la disamina da un algoritmo F al sistema formale F descritto da Gödel nel saggio del 1931. Quando, secondo Penrose, il matematico si sia persuaso della inconfutabile validità (nell'accezione forte di verità obiettiva) di F, egli sarà convinto anche della sua consistenza. Ma l'enunciato G(F), per quanto vero, non compare tra i teoremi di F; dunque, prosegue Penrose, F non racchiude tutto ciò cui della matematica l'intuizione umana accede.
Il richiamo a F costituisce in realtà, una falsa traccia: "The reference to formal systems becomes a red herring" commenta H. Putnam. "To reject the possibility that such a formal system might simulate the output of a idealized mathematician (...) is to give no argument at all"14. Coinvolgendo F infatti Penrose esibisce di nuovo e solamente come esso non formalizzi in sé l'intera matematica; e nulla ottiene di provare circa i processi della comprensione umana.

5.c. Penrose si confronta con Gödel

Ma il ricorso al sistema formale F serve probabilmente a Penrose, per indebolire il peso dell'autorità di Gödel. Questi alla Gibbs Lecture, tenuta a Providence nel 1951, aveva dichiarato come, sulla base dei risultati di incompletezza, non fosse lecito escludere la possibilità dell'esistenza di una macchina per dimostrare teoremi, davvero equivalente all'intuizione matematica. Questa equivalenza resterebbe, al tempo stesso, non passibile di ricevere una prova; se infatti il concetto della intuizione matematica coincidesse con quello di sistema formale, la prova di questo coincidere richiederebbe un sistema più ampio, e perciò più forte, dell'intuizione medesima.
Penrose ritiene di affrontare in modo esauriente l'eventualità logica, racchiusa nelle parole di Gödel, riducendo, grazie alla mediazione del sistema formale F, la macchina per dimostrare teoremi al procedimento algoritmico F, in sintonia con uno dei due casi prima indicati.
Così nel caso a: "la presunta macchina dimostra teoremi di Gödel potrebbe essere, come da lui fatto notare, 'empiricamente scopribile', il che corrisponde alla richiesta che F sia 'consciamente conoscibile'"15. Inoltre il requisito che F guidi l'intuire del matematico in modo inconscio, esprimerebbe la reale ma non dimostrabile equivalenza tra macchina e intuizione. Ma, poiché slittando, nel corso della disamina, da un algoritmo F allo specifico sistema formale F di Gödel 31, Penrose non approda che alla consueta G(F), egli è costretto ad ammettere: "niente di ciò ci dice che un simile F - la presunta 'macchina per dimostrare teoremi' di Gödel - sia impossibile"16, dove F è ora, secondo l'interpretazione: algoritmo A « regole di F, quel preciso procedimento che accede alle stesse verità di F.
Non trovando elementi capaci di sventare in modo inequivoco il sospetto computazionale, Penrose ripara in un luogo retorico: poiché non si dispone del minimo indizio di esistenza di un simile F, né di un suggerimento che illumini la sua natura, non conviene a chi pratica l'IA contare sulla ricerca di questa procedura algoritmica, troppo dubbia per meritare che le si consacrino gli sforzi umani.

5.d. Un algoritmo inconsciamente inconoscibile

Nel caso b: la qualifica di 'inconsciamente inconoscibile', attribuita all'algoritmo F, porta all'estremo la non dimostrabilità di un presunto carattere meccanico dell'intuizione matematica, lasciando scivolare tutto intero F oltre i margini dell'umano comprendere. Penrose intende qui con le parole 'inconsciamente inconoscibile', che la specificazione concreta di come una macchina di Turing esegua F, o persino quella del numero che codifichi tale esecuzione, elude le capacità della mente. Ma se di questo algoritmo, destinato a sottrarsi alla conoscenza, nulla si può precisare, nemmeno i praticanti dell'IA ne trarranno vantaggio. A chi creda infatti che con il secondo caso illustrato si fornisca il fondamento alla comprensione matematica, non resta che affidarsi, per spiegare la genesi e la struttura di F, all'intervento divino.

6. PUTNAM CENTRA IL BERSAGLIO

Anche accettando di escludere i punti descritti da Penrose, in quanto poco plausibili o infruttuosi, resta nella discussione, come nota Putnam, un'ovvia lacuna, un fattore che, a differenza dei precedenti due, sfalda l'argomento gödeliano. "But there is an obvious lacuna: the possibility of a program which we could write down but wich is not 'simple enough to appreciate in a perfectly conscious way' is overlooked"17. Osserva Putnam che gli attuali programmi per computer spesso raggiungono una complessità18 tale da non sapersi con esattezza spiegare come in pratica lavorino. "Actual programs sometimes consist of thousands of lines of code, and it can happen that by the time a program has been tinkered with and debugged no one is really able to explain exactly how it works"19. Questi programmi non risultano quindi trasparenti a un apprezzamento conscio; ma, in quanto scritti da mano umana, non si definiscono neppure come inconsciamente inconoscibili.
Sulla scia di queste considerazioni, è lecito immaginare che un algoritmo simuli con successo le abilità di un matematico. Tale algoritmo potrebbe per esempio derivare da tutte e sole quelle regole, che un matematico utilizza con razionale consapevolezza della loro validità; tuttavia esso rimarrebbe oscuro alla nostra comprensione. "Then we might not be able to appreciate it in a perfectly conscious way, in the sense of understanding it or of being able to say whether it is plausible or implausible that it should output correct mathematical proofs and only correct mathematical proofs."20
La descrizione di un programma, troppo complicato perché se ne garantisca la correttezza, incarna, meglio di quanto non facciano i due casi proposti da Penrose, quell'idea di macchina dimostra teoremi, prospettata alla conferenza di Providence. Le affermazioni di Putnam ripercorrono quasi fedelemente le parole di Gödel: "non può neppure essere dimostrato che (la macchina dimostra teoremi) dia soltanto teoremi corretti della teoria finitista dei numeri"21.
Se dunque l'intuizione del matematico umano fosse sorretta da un algoritmo simile a quello di cui Putnam abbozza i connotati, la trasparente comprensione del suo funzionamento incontrerebbe le stesse difficoltà rinvenute di fronte al programma che cerca di simularla. Tuttavia non potendosi dimostrare l'equivalenza tra l'azione della macchina e i processi mentali del matematico, anche la ricerca di una prova della natura algoritmica di questi ultimi dovrebbe rivelarsi priva di risoluzione.

NOTE

1. Tuttavia l'idea che il cervello sia un computer quantistico stimola oggi a ricercare un punto di incontro tra scienza dei calcolatori e meccanica quantistica. Si veda in proposito Rasetti, M. "Dal bit al qu-bit: per sfidare la complessità", Le Scienze, 385 (2000), pp. 82-88, dove si descrive la generalizzazione quantistica della macchina di Turing classica. Una macchina di Turing quantistica deve saper computare tutte le funzioni computabili mediante una normale TM; ma essa dispone di caratteristiche originali, che non trovano riscontro nel modello classico, quali: il parallelismo, invece della serialità, nell'esecuzione degli algoritmi, la reversibilità intrinseca di ogni operazione, la sovrapposizione degli stati, il volume del cui spazio cresce in modo esponenziale. L'interazione di ogni sistema quantistico con l'ambiente circostante (per il principio di indeterminazione di Heisenberg) pone comunque il problema tecnico di come preservare la correttezza dell'informazione, e suggerisce che, come supporto fisico per questo nuovo progetto, occorrano strutture isolate. Rasetti ipotizza l'idoneità per questa funzione delle giunzioni di Josephson, in cui fra due tratti superconduttori scorre uno strato sottile di materiale isolante.
2. Penrose, R., Ombre della mente, op. cit., p. 76.
3. Penrose, R., ibidem, p. 103.
4. ibidem, p. 463.
5. ibidem, p. 463.
6. Copeland, J. B., "Turing's O-machines, Searle, Penrose and the brain", Analysis, 58, n. 2, 1998; http://www.phil.canterbury.ac.nz/jack_copeland/pub/turing1.pdf cit. da p. 6 di 8.
7. Penrose, R., Ombre della mente, op. cit., p. 126.
8. ibidem, p. 127.
9. ibidem, p. 126.
10. ibidem, p. 127.
11. Feferman, S., "Penrose's Gödelian Argument", Psyche, 2(7) 1995;
http://psyche.cs.monash.edu.au/v2/psyche-2-07-feferman.html cit. da p. 6 di 8. Nel suo articolo Feferman addebita a Penrose anche una serie di errori tecnici, o "(mis)treatment of the logical facts". Questi errori sono stati da Penrose emendati nell'edizione successiva di Ombre della mente.
12. Alla critica di Feferman ("Penrose tends to emphasize the global notion of soundness and to tie it to his Platonistic philosophy of mathematics"), Penrose replica infatti: "It's the weaker notion of soundness that would be sufficient for all the Gödelian arguments that I actually use in Part 1 of Shadows, though for some of the more philosophical discussions, I had in mind soundness in a stronger sense".
(Penrose, R., "Beyond the Doubting of a Shadow. A Reply to Commentaries on Shadows of the Mind", Psyche, 2(23), 1996;
http://psyche.cs.monash.edu.au/v2/psyche-2-23-penrose.html cit. da p. 3 di 28.)
In difesa del proprio argomento, Penrose aggiunge ancora che gli errori rilevati da Feferman "are concerned essentially with this link of communication with the outside (scientific, philosophical, mathematical, etc.) world, and not with the internal reasonings that consitute the essential Gödelian arguments of Shadows" (p. 4 di 28).
13. Penrose, R., Ombre della mente, op. cit., p. 167.
14. Putnam, H., "Review of Shadows of the Mind", Bulletin of the American Mathematical Society, 32 (1995), pp. 370-373;
http://www.ams.org/journals/bull/pre-1996-data/199507/199507015.tex.html p. 3 di 4.
15. Penrose, R. Ombre della mente, op. cit., p. 171
16. Penrose, R., ibid., p. 176. Il testo completo del discorso pronunciato alla 25° Conferenza J. W. Gibbs, tenuta all'American Mathematical Society a Providence il 26/12/1951, è riprodotto con il titolo "Some basic theorem on the foundations of mathematics and their implications", in Gödel, K., Collected works; Vol. III: Unpublished essays and lectures, per i tipi della Oxford University Press, 1995 (inedito in Italia). Una sua sintesi si trova comunque in Wang, H., op. cit. Penrose discorre a sua volta dell'opinione di Gödel alle pp. 165 e seg. di Ombre della mente.
17. Putnam, H., op. cit., p. 3 di 4.
18. A differenza di Penrose, Lucas si chiede, in chiusura del suo articolo, "Minds, Machines and Gödel", che cosa accadrebbe superando, nella costruzione della macchina, un livello critico di complessità. Egli ammette allora: "Although it sounds implausible, it might turn out that above a certain level of complexity, a machine ceased to be predictable, even in principle, and started doing things on its own account, or, to use a very revealing phrase, it might begin to have a mind of its own". In tal caso per Lucas la macchina dovrebbe cessare di essere prevedibile, per esibire un comportamento intelligente, che non dipenda strettamente da quanto immesso in fase di programmazione. Ma, di nuovo, una macchina siffatta non sarebbe modello meccanico della mente; essa sfuggirebbe infatti ai principi meccanici (mechanical principles) essenziali: che il funzionamento del tutto sia comprensibile mediante quello delle parti, e che di ogni parte l'operare risulti determinato da precise condizioni iniziali. Diventa perfino improprio applicare il termine macchina a questa 'creatura' complessa: "we should take care to stress that although what was created looked like a machine, it was not one really"; ci troviamo infatti di fronte a una mente. Ora sembra realizzarsi una convergenza singolare tra le frasi di Lucas e la speranza più audace dell'intelligenza artificiale, all'insegna della costruzione plausibile della creatura: "There would then be two ways of bringing new minds into the world, the traditional way, by begetting children born of women, and a new way by constructing very, very complicated systems of, says, valves and relays". Allora non si sa più in che senso Lucas pensi di avere confutato il meccanicismo, se non rispetto a quell'accezione, volutamente modesta, dei due basilari "mechanical principles"; eppure egli non rinuncia a quella specie di formula magica, che sembra essere per molti il teorema di Gödel, e a questo affida il segreto del significato della parola "macchina": "any system wich was not floored by the Gödel question was eo ipso not a Turing machine, i.e., not a machine within the meaning of the act". Non resta che ricordare come, poche righe prima, lo stesso Lucas avesse dichiarato che solo una macchina, inconsistente sì ma pur sempre macchina, potrebbe eludere i limiti imposti dal teorema di Gödel, per concludere che Lucas è inconsistente (Lucas, J. R., op. cit., p. 8-9 di 10).
19. Putnam, H., op. cit., p. 2 di 4.
20. Putnam, H., op. cit., p. 2 di 4. Conclusioni affini sono quelle tratte da Paul Thagard, che all'argomento di Penrose dedica alcune pagine del suo saggio Mind. Introduction to Cognitive Science, Massachusetts Institute of Technology, 1996; trad. it. di A. M. Marchini, ed. a cura di L. Magnani, La mente. Introduzione alla scienza cognitiva, Guerini e Associati, Milano, 1998. Il punto debole dell'argomento di Penrose sta, anche per Thagard, nel presupposto che un modello computazionale della mente sia conoscibilmente corretto. Si supponga infatti di disporre del modello cognitivo completo di un matematico (Modello Cognitivo Aritmetico o MCA); il programma che lo implementa non potrà che essere, per la sua alta complessità, il frutto dell'ideazione e dello studio non di un singolo ma di molti. Nessuno allora conoscerà l'insieme di tutti gli algoritmi di MCA; nessuno saprà, per lo stesso motivo, tradurre questo modello in una macchina di Turing equivalente. Se del resto si riuscisse a realizzare tale traduzione in maniera automatizzata, ugualmente la sua comprensione integrale resterebbe inaccessibile: soltanto parti dell'algoritmo globale della macchina di Turing o dei sistemi formali della MCA verrebbero riconosciuti, non mai l'intero. Quand'anche quindi fosse corretto il Modello Cognitivo Aritmetico, e così lo fosse la sua traduzione in macchina di Turing, ciò resterebbe impossibile da dimostrare.
21. Penrose, R., Ombre della mente, op. cit., p. 165.


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