Pindaro (522/518 a.C. - 436/432 a.C.)
È considerato l'apice della lirica greca, e perfino il più grande poeta sorto sulla terra. Orazio scrive che è impossibile competere con il poeta di Tebe. "Chiunque si provi... a emulare Pindaro, si sostiene su ali appiccicate con la cera per arte di Dedalo, ma finisce per cadere e dare il nome al mare cristallino." (Od. II. Lib. IV) Pindaro è il poeta greco di cui ci è giunto di più: 4 libri su 17. A noi rimangono le Odi in onore dei vincitori nei giochi solenni della Grecia. A Olimpia, a Delfo, a Corinto, a Nemea concorrevano i migliori atleti della nazione; e alla presenza di molti popoli uniti, si disputavano l'onore del trionfo in quegli esercizi, nei quali la forza, l'agilità, la destrezza, e tutte le altre virtù dei tempi eroici, rendevano il cittadino degno di venerazione. Accesa la mente dallo splendore e dalla maestosità di così fatti spettacoli, il poeta tebano veniva con la sua lira rallegrando le fatiche dei vincitori; e poiché il solo argomento delle loro vittorie non bastava a tanta ricchezza di linguaggio e di pensieri che sorgevano nella fantasia commossa del poeta, egli spaziava nel passato e nell'avvenire, con una narrazione rapida incalzante simultanea, che sconvolgeva l'ordine degli avvenimenti e delle immagini. Ricchi di tanti pregi i suoi inni venivano recitati nelle pubbliche solennità, e alcuni di essi scolpiti a caratteri d'oro nei templi dei Numi. La sublimità dei concetti, l'abbondanza e la vivacità delle immagini, il felice ardimento delle metafore, la novità e la veemenza dello stile (i cosiddetti voli pindarici), sono tutte qualità che concorrono a formare di Pindaro un poeta inimitabile. Tuttavia non si deve tacere che lo stesso Orazio fra i latini, Chiabrera e il Foscolo delle Grazie in Italia, e in Germania Goethe e Hölderlin, furono vicini allo spirito di questo divino poeta.
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