Sul finire del VI secolo Gallipoli è una città latina, sede di un vescovo latino che porta il nome di Saviniano I ma quasi nulla sappiamo, invece, della storia di questa città nei tre secoli successivi, risulta solo che non cadde mai in mano ai Longobardi. Ovviamente il Salento meridionale rappresentava per i Bizantini una testa di ponte indispensabile per i loro interventi sul suolo italiano ed infatti cercarono ben presto, già durante la conquista della Puglia da parte dei Longobardi, di farne un angolo fortificato capace di bloccare gli attacchi da Nord e da Ovest, non è, quindi, da escludere che fin da quell'epoca i Bizantini avessero in animo l'ellenizzazione della regione, per legarla più strettamente all'Impero e renderla meno vulnerabile. Infatti, verso 1'830 la vicina Otranto è già sede di un episcopato bizantino, ma è la successiva riconquista dell'Italia meridionale tutt'intera, ad eccezione ovviamente della Sicilia, sotto il regno di Basilio I e Leone VI, che crea le basi concrete di una vera colonizzazione bizantina del Salento, i Bizantini possono così dedicarsi alla riorganizzazione amministrativa, militare ed ecclesiastica dei territori strappati agli Arabi, con particolare attenzione alla difesa del golfo di Taranto e della penisola salentina.
E per l'appunto in quest'epoca che la storia di Gallipoli inizia ad uscire dall'ombra, grazie ad un'interpolazione della Cronaca di Scilitze, sulla quale ritengo di dovermi soffermare in quanto essa costituisce in un certo senso l'atto di nascita ufficiale della Gallipoli bizantina. Infatti, proprio l'imperatore d'Oriente Basilio I edificò un città, bagnata da ogni lato dal mare e con un unico accesso strettissimo sulla terra ferma di cui doveva necessariamente servirsi chi volesse entrare in essa. Poichè mancava di abitanti, vi insediò una popolazione che fece venire dalla città di Eraclea del Ponto, e le diede il nome di Calipolis e viene inclusa nella provincia ecclesiastica di S. Severina, che i Bizantini avevano appena creato nelle montagne della Sila, sul versante occidentale del golfo di Taranto.
Dopo la conquista del Salento da parte dei Normanni, agli inizi del XI secolo, i vescovi greci della regione vengono gradatamente sostituiti da vescovi latini anche se nulla sappiamo del modo in cui si produsse il passaggio dalla gerarchia greca alla gerarchia latina nella diocesi di Gallipoli. A tal proposito, l'avvenimento di maggiore portata è senz'altro il ripristino della gerarchia greca, testimoniato da un atto del monastero di S. Mauro, datato agosto 1172. Questo sorprendente capovolgimento di situazione costituisce un esempio unico nella storia della Chiesa dell'Italia meridionale sotto il dominio normanno. Il ritorno di pastori greci sulla cattedra episcopale di Gallipoli in pieno secolo XII ha dunque qualcosa di eccezionale e può spiegarsi solo con la notevole pressione esercitata sulle autorità civili e religiose dal clero e dagli abitanti della città, quasi tutti ellenofoni. Infatti la rottura tra Roma e Costantinopoli non impedì certo ai Greci di Terra d'Otranto di intrattenere stretti rapporti con varie personalità della Chiesa bizantina che essi non esitarono ad interpellare per i loro problemi liturgici o teologici. Per la storia della città di Gallipoli nel periodo normanno non abbiamo quasi nessun documento, ad eccezione di un privilegio accordato da Federico II ai Gallipolini nel marzo del 1200. È indubbio, comunque, che essi si schierarono a fianco dell'imperatore e ne appoggiarono la politica ostile alla Chiesa di Roma.
Si è visto dunque il ruolo non certo trascurabile che l'attività monastica ha avuto nella storia di Gallipoli; tra i monasteri interessati il più importante è stato S. Mauro, la cui chiesa in rovina si staglia ancor oggi su un'altura lungo la strada da Gallipoli a S. Maria al Bagno in località "Altolito".
Questa struttura è anche quella che meglio conosciamo, grazie soprattutto alle diciotto pergamene pubblicate da Trinchera nel secolo scorso ma oggi scomparse a cui bisogna aggiungere un documento pervenutoci in traduzione latina del Settecento. Tra tutti questi, l'atto più antico porta la data del 1111-1112, nulla sappiamo dell'epoca della sua fondazione, ma l'analisi della diffusione del culto del santo ci induce a ritenerla anteriore forse alla conquista normanna. All'inizio del XIV secolo il monastero dispone ancora di rendite soddisfacenti e gli affreschi che decorano la volta e i pennacchi della navata centrale vengono probabilmente realizzati in quell'epoca. La crisi del monachesimo italo-greco, che si accentua e si generalizza nel corso del Trecento, aggravata dalla flessione demografica conseguente al dilagare della peste e dalla progressiva romanizzazione, non risparmia il monastero di S. Mauro. Gli egumeni della seconda metà del secolo sono ancora monaci greci ma, a partire dai primi anni del secolo successivo sono abati commendatari a prenderne il posto; da quel momento non ritroviamo più a S. Mauro nessuna traccia di vita monastica.
Nell'ambito della pittura "bizantina" del Salento il frammentario cicio di affreschi conservato in precario stato nella piccola chiesa di San Mauro, un tempo inserita in un complesso monastico di rito greco di cui non rimane traccia, occupa uno spazio di notevole interesse sia per il momento storico in cui fu eseguilo sia per la qualità della materia pittorica. La chiesa e il monastero sono stati sempre ritenuti dipendenza di un monastero italo-greco di Gallipoli, precisamente Santa Maria delle Servine di cui non rimane traccia alcuna nella citta, ma I'ordine dei Serviti o Servi di Slaria risulta fondato in Toscana solo nel XIV sec: in realtà la nostra badia era in origine alle dipendenze di un grande monastero del Salento, con ogni probabilita a mio avviso Santa Maria di Nardò che, nato di rito greco, passò ai Benedettini durante il pontificato di Urbano II (1088-1092). Al tempo di Alessandro III (1159-1181) San Mauro pagava infatti le decime all'abate di Santa Maria di Nardò, fatto che sottolinea i legami di interdipendenza tra i due monasteri: questa ipotesi va tuttavia ulteriormente documentata.
La prima menzione specifica relativa ad A San Mauro e conservata in una pergamena in lingua greca datata al mese di maggio 1149; vi troviamo una serie di notizie relative all edificio in esame fino all anno 1227, ma non vi è cenno alcuno alla decorazione interna. La data 1149 e quindi da considerarsi un terminus ante quem per I'istallazione deil'insediamento monastico e in particolare per Ia piccola chiesa che per la struttura e determinati elementi semantici si colloca positivamente in questo momento cronologico. Ma chi erano e da dove venivano i frescanti di San Mauro? A giudicare dalla qualità degli affreschi, dalla loro posizione isolata rispetto alla produzione bizantineggiante pugliese che tranne in particolari casi è in genere "provinciale" e dal complesso programma iconografico eseguito rigorosamente, la maestranza era sicuramente greca. Durante une recenté visita a San Mauro, il Guillou ricordava al proposito la nota lettera di Giorgio Bardanes, metropolita di Corfù all'abate di Casole Nettario (c. 1235) portata da un pittore di Corfu che si recava a Casole anche se la decorazioné di San Slauro non è direttamcnte riferibile a tale avvenimento, e del resto a mio avviso gli affreschi sono di numerosi decenni piu tardi, ciò dimostra sia che sono esistite precise committenze a maestranze estranee alla regione sia che i rapporti tra i monasteri italo-greci e la madre-patria erano assai stretti.
Riguardo al signifcato globale del programma iconologicoico, va tenuto presente che il ruolo preminente era svolto a mio avviso dall'originaria composizione absidale, probabilmelite come si è visto una Deisis, tema che riassume in sè, come punto di partenza e di conclusione della lettura dell'intero ciclo, il messaggio significante contenuto in ciascuna delle singole immagini e che la scelta dei santi campiti nei sottarchi, nel!a maggior parte legati al monachesimo, sottolinenao, anche con i contenuti dei cartigli, I'ideale della vita monastica. La composizione absidale quindi, come summa di ciascuno dei momenti della salvazione narrati per immagini nel ciclo, è innanzi tutto un'immagine parusiaca: l'esaltazione della vita monastica, esaltata dai santi nei sottarchi, nell' attesa della Seconda Venuta del Signore, può dunque essere considerata come momento unificante del dettagliato programma iconologico del cicio di affreschi della chiesa di San Mauro presso Gallipoli, ipotesi che sarà più attentamente vagliata in un prossimo e piu ampio studio dedicato appunto agli affreschi rapidamente esaminati in tal sede.