Figlio di
Carlo Emanuele I di Savoia
, sesto principe di Carignano, e di Maria Cristina di Sassonia-Curlandia. All'epoca della dominazione napoleonica in Piemonte, seguì i corsi di studio a Parigi ed a Ginevra; nel 1814 Napoleone lo nominò sottotenente del Reggimento Dragoni; caduto l'Impero poco dopo, fece ritorno a Torino ed ivi fu riammesso nella famiglia reale benché guardato un po' con sospetto a causa delle sue simpatie per la Francia.
Nel 1821 ebbe una parte non molto chiara nei moti costituzionali avvenuti in Piemonte. Certamente egli era stato in contatto con i rivoltosi, ma all'ultimo momento pare si
ritraesse mentre i congiurati, in buona o in mala fede, continuarono a contare su di lui.
Avvenuta l'abdicazione del re
Vittorio Emanuele I
(1821), egli divenne reggente ed accordò la Costituzione fatta salva l'approvazione del Re, cioè di
Carlo Felice
, questi invece disapprovò l'operato, chiamò gli austriaci in Piemonte ed ordinò a Carlo Alberto di recarsi in mezzo alle truppe fedeli a Novara, il che egli fece senza esitare.
Caduto in sospetto per qualche suo atteggiamento non solo ai Carbonari, i quali lo accusarono di tradimento e per i quali divenne l'esecrato Carignano (Berchet), ma anche a corte, si recò dapprima in esilio presso il suocero,
Ferdinando III di Toscana
, poi prese parte parte alla repressione della rivoluzione liberale spagnola combattendo al Trocadero e attirandosi in tal modo l'odio dei suoi antichi amici politici.
Nel 1831, alla morte di
Carlo Felice
, salì al trono senza difficoltà (è leggenda che il
Metternich
tramasse per escluderlo dalla successione) e subito dimostrò grande energia e rigore nel reprimere qualunque tentativo di rivoluzione liberale. Si dedicò al riordinamento dello Stato risanando le finanze, promuovendo lo sviluppo economico del Regno, riorganizzando l'esercito e dando impulso alle riforme amministrative di cui le più notevoli furono l'istituzione del Consiglio di Stato (organo giurisdizionale con il quale il sovrano veniva in certo senso ad autolimitare la propria autorità) e la promulgazione di un nuovo codice civile. In questa attività Carlo Alberto più che alle nuove idee del secolo guardò alla tradizione settecentesca ed in parte ripristinò la tradizione amministrativa napoleonica che
Vittorio Emanuele I
aveva improvvisamente abbandonato.
In politica estera si distinse per il sostegno dato alla causa del legittimismo aiutando in Portogallo i miguelisti ed in Spagna i carlisti, parteggiando entrambe le volte per i reazionari contro i liberali.
Pur nemico dell'Austria, si alleò con essa nel 1831 per timore della Francia di Luigi Filippo; tuttavia, dopo la crisi egiziana del 1840 (occasione in cui l'Austria dimostrò di non avere alcuna intenzione di intervenire in soccorso del Piemonte qualora fosse stato attaccato dalla Francia) Carlo Alberto si staccò sempre più da Vienna senza però agire in modo concreto, tormentato com'era da scrupoli religiosi. Questi svanirono quando nel 1846 l'elezione di
Pio IX
sembrò dar corpo alla concezione giobertiana di un papato conscio di una missione italiana.
Carlo Alberto aveva una sua teoria in base alla quale gli unici due sovrani legittimi erano il Savoia ed il Pontefice: quando vide che quest'ultimo si schierava contro l'assolutismo e contro l'Austria pensò fosse venuto il momento di divenire la "spada d'Italia". Cominciò appoggiando energicamente dapprima il Papa nel conflitto che questi ebbe con l'Austria per l'occupazione di Ferrara (estate 1847) e quindi il Granduca di Toscana nella controversia che questi ebbe con il Duca di Modena che era appoggiato da Vienna (autunno 1847).
All'interno, accordò alcune riforme che l'opinione pubblica richiedeva ma solo dopo che
Ferdinando II di Napoli
ebbe promesso la Costituzione (29 gennaio 1848) egli pure promise di accordare la sospirata Carta Costituzionale ai suoi sudditi (8 febbraio 1848). La promessa fu adempiuta il 4 marzo successivo, non senza crisi di coscienza ed ondeggiamenti (non fu detto "re tentenna" per niente). La Costituzione, chiamata Statuto albertino, era ricalcata sulla carta francese del '30 e non instaurava il governo parlamentare ma quello costituzionale (quindi senza responsabilità dei ministri dinanzi alle Camere).
Due giorni dopo la cereazione del ministero "costituzionale", affidato a
Cesare Balbo
, scoppiava a Milano il moto rivoluzionario noto con il nome di Cinque Giornate. Sotto la pressione degli avvenimenti e dopo nuove, sia pur brevi incertezze, Carlo Alberto decise l'intervento armato contro l'Austria. La guerra, condotta personalmente dal re, dopo alcuni successi iniziali, finì con la grave rotta di Custoza cui seguì la battaglia di Milano ed il rientro dei piemontesi nelle terre del regno sardo.
La sconfitta, provocata da varie cause, tra cui l'incapacità del re come comandante supremo, originò gravi ma infondati dubbi sulla sua lealtà. Alcuni, memori del 1821, arrivarono addirittura ad insinuare che Carlo Alberto si fosse fatto battere apposta dagli austriaci (per essere "costretto" a ritirare lo Statuto). In realtà il re non solo lasciò che fino al luglio del 1848 il governo restasse parlamentare ma tollerò che venissero revocati dal loro impiego pubblico militari e civili che l'opinione pubblica giudicava avversi al nuovo regime ed alla fine dell'anno chiamò al governo i democratici con
Vincenzo Gioberti
alla testa.
Addirittura si oppose al piano di questi di intervenire in Toscana per abbattervi il governo democratico di
Domenico Guerrazzi
e restaurare quello del granduca
Leopoldo II
preferendo licenziare il ministro e riprendere, come voleva l'opinione pubblica, la guerra contro l'Austria benché fosse convinto nel suo intimo dell'enorme difficoltà dell'impresa e dovesse rinunciare ad essere il comandante supremo dell'esercito, carica alla quale fu chiamato un esule polacco, Wojciech Chrzanowski, che dava assicurazione all'opinione pubblica se non delle sue capacità militari della sua rettitudine politica.
La breve campagna si risolse in tre giorni con la disastrosa battaglia di Novara (23 marzo 1849): Carlo Alberto abdicò il giorno stesso in favore del figlio
Vittorio Emanuele II
, ritirandosi in Portogallo, a Oporto, dove morì poche settimane dopo (28 luglio) sia per malattia riacutizzata dopo le fatiche dell'ultimo anno, sia per lo strapazzo terribile del viaggio da Novara ad Oporto, compiuto quasi senza sosta.
La sua rapida fine suscitò attorno a lui un alone di benevola simpatia di cui non aveva mai goduto quand'era in vita e tale corrente crebbe fino al punto da rasentare l'agiografia. Figura complessa, egli si trovò a vivere in un periodo di transizione senza avere programmi ben definiti salvo l'odio per l'Austria, il rispetto per la Chiesa ed il desiderio di espandere i domini della sua casa. Alle comprensibili titubanze di chi vive nei periodi di trapasso da una forma politica all'altra (ed in questo ebbe compagni anche
Leopoldo II di Toscana
,
Ferdinando II di Napoli
ed altri) aggiunse ulteriori dosi d'incertezza derivanti dalla sua natura e dalla sua disgraziata giovinezza; è alla luce di queste considerazioni che si possono spiegare molti suoi atteggiamenti che gli valsero odi inestinguibili (lo stesso Berchet si ricredette) ed il carducciano appellativo di "Italo Amleto".