Genere:
non-yaoi, fantascienza
Raiting:
PG
Disclaimers: i personaggi di questa storia li ho creati io, quindi mi appartengono.

Genesis

di Bombay

 

Missione #04#

La base della loro squadra era collocata nei sotterranei dei magazzini generali, era comodo. Lei aveva trovato un lavoro lì, nel reparto di abbigliamento. Era un’ottima copertura.

Jennifer stava aggiornando il fascicolo della sua ultima missione quando sentì George dire: “Sì, lo hanno proprio conciato per le feste. E’ mancato poco che non portasse a termine la missione”

“Io, Blade, non l’ho mai sopportato. Si da troppe arie secondo me” commentò Mary.

“Credo invece sia un buon elemento, bisogna solo tenerlo sotto controllo o fa quello che vuole” proseguì George “Mi piacerebbe averlo in squadra, sempre che sopravviva, è conciato proprio male”

“L’erba cattiva non muore mai” sottolineò Mary.

Jennifer ascoltò in silenzio la conversazione con il cuore che le batteva impazzito nel petto.

Gary, ferito, in ospedale, in fin di vita.

Non poteva sopportarlo. Doveva andare da lui vedere quali erano le sue reali condizioni.

Sapere dove era ricoverato non sarebbe stato difficile, andare a trovarlo… forse.

Chiuse il fascicolo e lo ripose.

 

Il taxi percorreva veloce le vie di New York a quell’ora della notte. Pagò l’autista ed entrò nell’edificio.

Odiava gli ospedali, erano asettici, bianchi ed odoravano di disinfettante: quello non faceva eccezione.

“Buona sera vorrei vedere Gary Wilson, per favore” chiese ad un’infermiera di colore, robusta e determinata.

“Mi dispiace signorina, ma l’orario di visita è finito da un pezzo” ribatté.

“Sì, questo lo so, ma ho finito di lavorare adesso e questo è l’unico momento che libero che ho” spiegò, se pensava che se ne sarebbe andata si sbagliava di grosso.

“E’ la sua ragazza?” la interrogò.

“No, sono solo… un’amica” mormorò.

L’infermiera la squadrò dall’alto in basso,   cosa pensava di lei francamente non le interessava.

“E va bene! Ma solo dieci minuti” l’ammonì severa guardandosi intorno.

“Grazie”

La stanza era piccola, confortevole e disadorna. Gary giaceva nel letto, immobile. Le sponde alzate, i macchinari vibravano, monitorando le sue funzioni vitali.

Era pallidissimo, la testa in parte fasciata, un occhio nero, parecchie ferite sulle braccia.

Lo avevano intubato.

A Jenny si strinse il cuore nel vederlo così. La missione veniva prima di tutto, lei lo sapeva bene.

Tutti loro ne erano consci e consapevoli.

Prese una mano nella sua era così fredda, molto insolito per lui, Gary era sempre così caldo.

Gli  baciò il dorso della mano e restò a guardarlo fino a quando l’infermiera non andò a chiamarla.

 

Ogni notte Jennifer andava a trovarlo, per dieci minuti, ogni notte non cambiava nulla.

L’infermiera la lasciava rimanere sempre un po’ di più.

Le ferite di Gary si rimarginavano lentamente, troppo per lui.

“Non smettere di lottare, Gary, ti prego”

Un'altra notte ed ancora nessun cambiamento.

“Posso?” l’infermiera entrò.

“Ora me ne vado”

“No, no puoi restare fa bene ai pazienti avere qualcuno intorno. Non viene mai nessuno, per lui, nessun genitore, nessun amico, solo un uomo calvo che a me mette i brividi” disse porgendole un bicchiere fumante di caffè.

“Davvero non sei la sua ragazza?” indagò chiaramente curiosa.

“No, sono solo un’amica” mormorò bevendo un sorso di caffè.

“Beh in fondo sono affari vostri”

“Devo andare, resto pure finché vuoi”

“Grazie”

 

Stava albeggiando quando Jennifer si destò all’improvviso, si era appisolata sulla poltrona accanto al letto.

L’infermiera, Margoth, le aveva messo addosso una coperta, si strofinò gli occhi, si alzò muovendo il collo intorpidito. Guardò fuori dalla finestra, il cielo limpido e terso.

Il segnale del monitor cambiò appena. La giovane donna si voltò avvicinandosi al letto.

Le palpebre di Gary tremarono per poi aprirsi sul mondo.

Si osservò intorno disorientato ed allarmato, poi mise a fuoco il volto di lei e si quietò.

“Ciao” lo salutò commossa dal sollievo prendendogli la mano, lui chiuse gli occhi e li riaprì stringendo la mano di lei.

 

Jennifer attese in disparte, mentre il medico disse che le sue condizioni erano migliorate, che poteva respirare da solo, quindi ordinò all’infermiera di estubarlo.

“Al mio tre espira più forte che puoi. Uno… due… tre!”

Gary si piegò su sé stesso, tossendo violentemente quando il tubo abbandonò la sua gola lasciandola in fiamme. Jennifer lo sostenne e gli accostò alle labbra un bicchiere colmo d’acqua fredda.

Lui si lasciò andare contro di lei esausto non ricordava nulla di quanto era accaduto, se era lì voleva dire che la missione era andata comunque a buon fine, ma in quel momento non gli importava.

Quando riaprì gli occhi erano soli.

“Grazie” gracchiò riconoscendo a stento la sua voce.

“Di cosa?” domandò lei stupita.

“Di essere qui”

Rimasero in silenzio ad ascoltare i loro respiri congiunti.

“Devo andare ora” disse Jennifer spezzando, suo malgrado, quel silenzio.

“Lo so” mormorò adagiandosi sui cuscini “Domani non sarò più qui”

“Lo so”

 

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