Genere:
fantasy, yaoi
Raiting:
PG-13, R
 Disclaimers: i personaggi di questa storia li ho creati io, quindi mi appartengono.

White heart

di Bombay

VII.

Atras

Stiamo viaggiando verso Nord da giorni, senza una meta ben precisa. Abbiamo da poco lasciato una locanda fa un freddo terribile, la neve turbina violenta intorno a noi, penetra nei nostri abiti pesanti. I cavalli arrancano nella neve, all’improvviso Nerek smonta dalla sua cavalcatura.

Lo chiamo, ma lui non mi sente, la mia voce si perde nell’ululato del vento.

Non si cura del suo cavallo e prosegue nella neve alta fino al ginocchio, scendo a mia volta e lo seguo afferrando le redini del suo animale, lo seguo faticando a stargli dietro, ha abbandonato il sentiero principale, stento a proseguire i due animali mi frenano sono stranamente recalcitranti ad andare avanti.

Dinnanzi a noi si staglia un costone di roccia, intravedo un’apertura: una grotta.

Lo tallono all’interno dopo aver legato i cavalli ad un albero all’esterno.

Nerek si è fermato al centro della grotta e fissa, con sguardo assente, il muro di ghiaccio davanti a sé; rabbrividisco, se possibile qui dentro fa ancora più freddo che all’esterno.

Mi avvicino a Nerek, gli poso una mano sulla spalla, si volta e mi guarda, i suoi occhi grigi, sono freddi, privi di espressione.

Il medaglione che porta al collo splende di una tenue luce azzurra.

Questo posto non mi piace, fa sempre più freddo.

“Nerek…”

Scosta bruscamente la mia mano dalla sua spalla, si avvicina alla parete vi posa le mani ed il muro scompare.

Una luce accecante mi abbaglia, mi stringo nel mantello, la luce si attenua, si estingue. Nerek sembra essere tornato in sé, si guarda intorno smarrito e confuso, spaventato.

Due donne stanno di fronte a noi: assomigliano molto a Nerek, soprattutto la fanciulla, è praticamente identica a lui.

Ho sempre più freddo, le membra mi si stanno intorpidendo sempre di più.

“Ti stavo aspettando, figlio mio”

E’ l’ultima cosa che sento prima di crollare a terra ed essere inghiottito dal buio.

 

Nerek

Sbatto le palpebre un paio di volte. Che luogo è questo? Dove mi trovo? Mi guardo intorno confuso sembra una grotta, almeno non fa freddo come fuori, ma come sono arrivato qui?

Davanti a me ci sono due donne: chi sono?

Mi volto verso Atras sta tremando come una foglia.

“Ti stavo aspettando, figlio mio”

Sgrano gli occhi fissando la donna che ha parlato; sto per aprire bocca quando Atras crolla a terra con un gemito, mi inginocchio accanto a lui. Cosa sta succedendo? Atras è freddo, ha il viso livido, ha un principio di congelamento, ma non è possibile.

“Per un uomo comune, questo luogo è più gelido della tormenta che si sta scatenando fuori da qui”

A parlare è stata la fanciulla, mi somiglia tantissimo, ha lo stesso colore dei miei occhi e dei miei capelli, indossa una tunica bianca stretta in vita da un cordone azzurro, al collo porta lo stesso medaglione che ho io.

Mi tolgo il pesante mantello e copro Atras.

“Come sarebbe, per un uomo comune?”

“Tu sei un Figlio del Ghiaccio”

“Cosa?”

“Fratello, il mio nome è Raret, tu sei il successore. Appartieni a questo luogo, come nostra madre e me”

Sono terribilmente confuso, ma devo fare qualcosa per Atras o lui.

“Ho dato alla luce due bambini: uno di loro, il maschio, doveva vivere nel mondo degli uomini. Ti lasciai alle porte di un castello, li avresti vissuto, ignaro della tua vera identità. Ti lasciai solo il medaglione quando sarebbe giunto il momento avresti trovato la via della tua gente: così è stato”

“Mi avete abbandonato al castello di Re Duncan” sussurro sgomento.

“D’ora in avanti resterai qui, avrai il potere di dominare le energie fredde e dovrai mantenere l’equilibrio tra gli elementi…”

“Non voglio questo potere, non lo voglio…” grido disperato.

Atras giace immobile, lo prendo tra le braccia e lo cullo, devo portarlo via da qui.

“Non temere, fratello, non sta soffrendo, passerà dal sonno normale a quello eterno senza soffrire” mi spiega mi sorella con gelido distacco.

Impallidisco “Non potete, devo uscire da qui, devo portarlo al sicuro, al caldo” ma nonostante tutto non riesco a muovermi ed agire.

“Figlio mio, è tempo che tu lasci il mondo degli uomini e prendi il posto ed il potere che ti spetta”

“Non voglio nessun potere…” mormoro scuotendo la tesa con forza, poso la guancia sul quella di Atras, il calore sta lasciando in fretta il suo corpo non so cosa fare, fisso mia madre, comprendendo che ho un’unica possibilità.

“Salvatelo…” sussurro, non ho altra scelta “Salvatelo e faro tutto ciò che vorrete” mormoro chinando il capo.

Un istante dopo stringo solo il mio mantello bianco, di Atras non c’è più traccia. Tutto questo è un incubo. Sollevo il viso, sono prigioniero in una fortezza di ghiaccio ed i miei carcerieri sono mia madre e mia sorella.

 

Atras

Apro lentamente gli occhi, strano il senso di gelo profondo è scomparso. Sbatto le palpebre, sono in una stanza piccola ed accogliente, le pareti sono di legno scuro e la stanza odora di resina.

“Oh vi siete svegliato, signore”

Volto la testa, un’anziana donna siede su una poltrona tra il letto ed il camino acceso, si alza e mi posa una mano sulla fronte sorridendomi.

“Siete stato fortunato, che mio nipote vi abbia trovato o a quest’ora sareste morto”

Mi sollevo sui gomiti, ho il corpo indolenzito ed un terribile mal di testa.

“Dove sono?” biascico.

“Queste sono le estreme terre del Nord, ma riposate ora, ci sarà tempo per parlare”

Mi sospinge a sdraiarmi ed intona una ballata in una lingua che non conosco, la voce della donna mi culla, c’è qualcosa che devo ricordare, ma la testa mi duole troppo e sono sfinito.

Quando apro nuovamente gli occhi la donna anziana non c’è più al suo posto c’è un ragazzo, ha corti capelli castano chiaro, sta mettendo le piume alle frecce, indossa abiti marroni, sembra un cacciatore.

Si volta verso di me, mi fissa con due caldi occhi color nocciola e sorride dolcemente. E’ molto giovane avrà sì e no sedici anni.

Posa le frecce si alza e si avvicina a me.

“Ben svegliato, il mio nome è Gwen” si presenta.

“Mi chiamo Atras…” tossisco, ho la gola arida e la bocca impastata, il ragazzo mi porge un ciotola, bevo qualche sorso, il liquido tiepido sa di menta e mi da sollievo.

“Sono figlio di re Ogar e vengo dalle terre di Goran” concludo la mia presentazione e bevo un altro sorso di infuso.

Gwen solleva un sopracciglio “Cosa ci fa un principe come voi così lontano da casa, in una terra tanto inclemente come la nostra, da solo per giunta?”

Corrugo la fronte.

“Solo…” ripeto, non riesco a ricordare.

“Sì. Quando vi ho trovato eravate solo e mezzo congelato”

Scuoto la testa le sue parole non mi aiutano.

“No, non ero solo, ma non ricordo”

“Beh se avevate una scorta o dei compagni di viaggio, non sono sopravvissuti, mi dispiace. Ha nevicato molto in questi giorni e per trovare i corpi dovremmo aspettare il disgelo”

Un lungo brivido mi percorre la schiena. No, chi mi accompagnava, non è morto, ma chi era? Perché non riesco a ricordare? Cerco di concentrarmi: una figura bianco vestita è sbiadita indistinta, non riconosco nulla del suo viso, niente eppure sono molto legato a questa persona.

La porta della piccola stanza si apre, l’anziana donna entra con un vassoio.

“Vi ho sentito parlare, ho pensato che foste affamato, vi ho portato della zuppa calda appena fatta”

“Questa è mia nonna Marian, lui è Atras. Trattalo bene perché è un principe” le dice serio, strizzando un occhio nella mie direzione.

Scuoto la testa mettendomi seduto meglio.

“Non sono necessari tanti riguardi non preoccupatevi”

“Mangiate lentamente che scotta andiamo Gwen, lasciamolo mangiare in pace”

Quando sono nuovamente solo cerco di fare un po’ di chiarezza nella mia mente, ma non ci riesco più ci penso e più il ricordo sbiadisce e si allontana.

La donna torna a prendere il vassoio e mi porge dell’altro infuso alla menta, poi mi lascia ed io scivolo nel sonno. Faccio uno strano sogno ma, al mattino quando mi sveglio, non lo ricordo con chiarezza però mi ha lasciato un grande senso di inquietudine e questo mi turba.

Mi alzo e mi affaccio alla piccola finestra, fuori è tutto bianco.

“Buongiorno”

Gwen entra nella stanza senza bussare facendomi sobbalzare dallo spavento.

“Scusate non volevo spaventarvi”

Scuoto la testa “Ero soprapensiero”

“Ieri mi sono dimenticato di dirvi una cosa, mentre eravate privo di sensi, ripetevate spesso questo nome: Nerek”

Mi siedo pesantemente sul letto, prendendomi la testa tra le mani.

“Nerek…” sussurro.

Nerek, Nerek, Nerek, Nerek.

I contorni della figura nella mia mente si definiscono, capelli color argento, occhi grigi e tristi conosco quel viso, quel corpo: Nerek!

“State bene?” mi domanda preoccupato Gwen sedendosi al mio fianco.

“Ora ricordo. Ora ricordo tutto: la grotta di ghiaccio, le due donne così simili a Nerek” sollevo lo sguardo.

“Hai detto che c’ero solo io, che hai trovato solo me…”

Annuisce ascoltandomi attentamente.

“Non viaggiavo da solo: c’era Nerek con me. C’è una grotta qui nelle vicinanze? Non so una grotta particolare…”

Gwen riflette e poi si acciglia.

“C’è un grotta a mezza giornata di cammino da qui, viene definita la Grotta Maledetta ci sono parecchie storie a riguardo, ma nessuna a lieto fine. Mia nonna ne conosce parecchie, mentre facciamo colazione potete farvele raccontate”

Mi vesto in fretta, raggiungo Gwen e sua nonna nell’altra stanza, al centro c’è il tavolo con le sedie su un parete il camino acceso ed annerito dalla fuliggine, su un’altra parete una finestra e scaffali pieni di barattoli ed alle mie spalle le due porte delle stanze da letto, sull’ultima parete la porta d’ingresso.

Mi siedo al tavolo dove la donna ha messo pane burro e marmellate varie, Gwen è intento ad imburrare un fetta enorme di pane.

Marian si siede davanti a me.

“Raccontagli della Grotta Maledetta, nonna”

La donna mi squadra pensierosa “Come siete a conoscenza della grotta?”

Mi mordo il labbro inferiore, non so perché, ma mi fido di questa donna e di suo nipote.

“Stavo viaggiando verso Nord, con un mio amico, Nerek, quando lui all’improvviso ha lasciato il sentiero principale e si è inoltrato nel bosco. Abbiamo camminato a lungo fino ad una grotta. Nevicava e faceva molto freddo, il sole era già tramontato, l’ho seguito all’interno sperando di trovare un riparo dalla tormenta dove passare la notte, ma dentro faceva molto più freddo.

All’improvviso il mio compagno ha toccato la parete di roccia che aveva davanti e questa è scomparsa, dall’altra parte c’erano due donne.

Quel posto non mi piaceva, volevo andarmene ma avevo sempre più freddo. L’ultima cosa che ricordo sono le parole della donna rivolte a Nerek - Ti stavo aspettando, figlio mio -

Rimaniamo a lungo in silenzio.

“Siete entrato nella grotta e siete qui a raccontarlo? Io mi riterrei molto fortunato” commenta Gwen.

“Strano molto strano” sussurra Marian.

“Mi spiace per il vostro amico però”

“Sta zitto, Gwen, non hai capito niente. Il vostro amico, Nerek, qual è il suo aspetto?”

Sbatto le palpebre non comprendendo la domanda.

“Come?”

“Descrivetemelo” mi invita posando la sua mano sulla mia.

“E’ alto più o meno come me, snello, ha la pelle chiarissima, occhi grigi e capelli bianco argentei…”

“Un Figlio del Ghiaccio” mi interrompe la donna.

“Eh?”

“Nonna, è solo una vecchia leggenda…” borbotta Gwen, togliendo la teiera dal fuoco.

“A quanto pare non più”

“Non capisco…”

“Qui dalle nostre parti si narra la leggenda del Figlio del Ghiaccio. Si racconta che una donna, figlia del Dio Ghiaccio, avrebbe dato alla luce due gemelli: una bambina ed un bambino.

Il piccolo doveva essere lasciato alle cure degli Uomini, doveva imparare a vivere in questo mondo ignorando la propria identità fino al giorno della successione, nel caso il bambino fosse morto il titolo sarebbe andato alla gemella, allevata nel proprio regno freddo e credo proprio che il tuo amico sia il Figlio del Ghiaccio della leggenda o come è chiamato qui un Cuore Bianco, se non ricordo male il simbolo di questa, diciamo dinastia, è l’unicorno”

“Il medaglione. Il medaglione di Nerek portava l’effige dell’unicorno”

“Ora capisco perché sei vivo. Il tuo amico ti ha salvato, cosa ha promesso in cambio non lo so, però è grazie a lui che sei qui”

Cala un silenzio denso e pesante.

“Devo tornate là. Devo vederlo, parlargli, devo sapere…”

“Gwen va a spaccare un po’ di legna” ordina la donna.

“Ma ce n’è ancora parecchia” protesta il giovane guardando il mucchio accatastato accanto al camino.

“Gwen…” esclama la donna con un tono che non ammette altre rimostranze.

“Va bene, vado, vado…” borbottando indossa il mantello, prende l’accetta ed esce.

Marian mi prende le mani tra le sue… “Tra voi ed il vostro amico Nerek, esiste un legame ben più profondo dell’amicizia vero?”

Arrossisco lievemente a quelle parole. Chi è questa donna?

“Non vergognatevi, l’ho letto nei vostri occhi” sussurra sfiorandomi una guancia.

“Tutti quelli che sono entrati nella grotta non sono mai più tornati, non potete tentare la sorte nuovamente il vostro amico non ve lo permetterebbe…”

Chiudo gli occhi, ricordo un’altra cosa, lo sguardo di Nerek: era spaventato.

“Devo andare da lui, sono certo che ha bisogno di me. Voi non capite e non vi chiedo di farlo ma…” smetto di parlare sono quasi sull’orlo delle lacrime.

La donna si alza “Se siete deciso non posso fermarvi, non ne ho il diritto anche se ne avrei il potere”

Non comprendo le sue parole e lei prosegue “Aspettate che smetta di nevicare e dirò a mio nipote di accompagnarvi…”

Solo ora mi rendo conto che non saprei tornare in quel luogo.

“Grazie” sussurro.

 

Nerek

Quanto tempo è trascorso, non lo so. So solo che mi sento terribilmente triste ed amareggiato. Ho scoperto chi sono, lo desideravo tanto, ma a quale prezzo? Atras.

Chissà dov’è ora? Mia sorella mi ha detto che sta bene, non ricorderà nulla dell’accaduto. Non si ricorderà più di me. Ha operato su di lui un incantesimo in modo che scordasse tutto. Come vorrei che praticasse lo stesso sortilegio su di me, se lo dimenticassi non soffrirei più.

Sono stato abbandonato da mia madre per vivere come un uomo normale: per amare, soffrire, odiare, gioire, piangere e ridere.

Ho amato Atras, lo amo ancora, non smetterò mai di amarlo anche se lui non sa più che esisto.
Ho sofferto, sto soffrendo tutt’ora, ma qui nessuno sembra accorgersene.

Ho odiato, mio padre per quello che mi faceva, odio questo luogo e la donna che dice di essere mia madre.

Ho gioito, scoprendo l’affetto taciuto di mio fratello, vivendo al castello di Atras.

Ho pianto, amare lacrime per la nostra separazione, lacrime silenziose e non viste o ignorate.

Ho riso, per gli stupidi scherzi delle principesse a scapito del fratello maggiore.

Ho vissuto, ho provato dei sentimenti, delle emozioni accanto a persone meravigliose, come possono pretendere che dimentichi? Tutto questo fa parte di me.

Essere il Figlio del Ghiaccio significa essere solo, non provare nulla essere freddo come l’elemento che rappresento, ma io non sono così. Ho tanto da dare, ho tanto da ricevere, io non voglio questo potere, rivoglio la mia vita. La mia libertà.

“Fratello…”

La voce della mia gemella mi riporta alla realtà, sollevo lo sguardo, sembra quasi di guardarmi allo specchio.

“Sei felice?” le domando.

Lei scolla le spalle con noncuranza come se la cosa non avesse peso.

“Tu no?” mi chiede ed il suo tono è lievemente stupito.

“No” rispondo secco.

“Perché?”

“Perché vorrei essere in qualunque altro posto tranne qui!”

Mi guarda con occhi freddi “Non capisco” ribatte “Comunque, nostra madre ti sta aspettando…”

Lentamente la seguo, questo luogo è tutto uguale, fatto di ghiaccio, bianco e azzurro.

Non ho visto altri esseri viventi, ma percepisco altre presenze intorno a me. Ho cercato di fuggire, ma ho miseramente fallito.

La donna che mi ha dato alla luce mi fissa, ma sembra non vedermi realmente, com’è diversa dalla mia madre adottiva, in lei non c’è quell’amore incondizionato verso un figlio, quella luce che brillava negli occhi dell’altra mia madre.

“Affinché sia mantenuto l’equilibrio degli elementi, tu sarai il prossimo successore” sentenzia la sua voce è fredda e tagliente come una lama di ghiaccio.

“E se io mi rifiutassi?”

Socchiude gli occhi lievemente irritata “La scelta è già stata compiuta”

“Da chi? Da voi! Io vi conosco appena, mi avete abbandonato pochi giorni dopo la mia nascita, non voglio nulla, volevo solo sapere chi erano i miei genitori naturali, ma voi… voi… non siete la madre che avevo immaginato. E mio padre? Chi è mio padre?”

Scrolla le spalle “Non ha importanza, non ha significato…”

Ho una gran voglia di piangere ed urlare, ma non servirebbe a nulla. A nessuno importerebbe, mi lascerebbero a disperarmi, così ricaccio indietro le lacrime e la frustrazione, volto le spalle alla donna e mi allontano.

 

Atras

E’ quasi l’alba. Marian mette nello zaino del nipote le ultime cose.

“Nonna, per arrivare alla Grotta Maledetta ci vuole solo mezza giornata di cammino, non ti sembra di esagerare?”

La donna scuote energicamente la testa poi porge ad entrambi una fiaschetta.

“Prima di entrare nella grotta bevete tutto il contenuto della fiasca”

Annuisco legandola alla cintura.

Seguo Gwen sui sentieri della foresta, ha arco e frecce con sé, si orienta perfettamente, deve conoscere questi luoghi come le sue tasche.

“Non sei obbligato a seguirmi dentro la grotta”

“Scherzate?” esclama “Quando mi ricapita un’avventura del genere?”

“Potrebbe anche essere l’ultima” sussurro tetro.

Si ferma di botto ed io gli vado contro “Dovreste essere un po’ più ottimista” asserisce scuotendo la testa, riprende a camminare lungo il sentiero.

Ci fermiamo vicino ad un ruscello che sbocca dalla neve, mangiamo un po’ di pane e formaggio.

Camminiamo per un’altra ora e finalmente giungiamo alla grotta. Affretto il passo per raggiungere l’entrata, ma Gwen mi afferra per il braccio.

“Aspettate”

Lo fisso mentre prende la fiaschetta e l’apre, faccio altrettanto con la mia, bevo un lungo sorso. E’ un liquore denso e dolce in tre sorsi l’ho finito.

“Ora possiamo andare!” esclama Gwen soddisfatto.

Entriamo guardandoci intorno circospetti.

“Sei sicuro che è la grotta giusta, Gwen?”

“Sì, guardate” mormora scostando della neve da un blocco di pietra, un unicorno è scolpito in essa.

E’ stano però, l’altra volta appena ho messo piede qui dentro ho cominciato subito ad avere più freddo invece ora no. Guardo Gwen, che sta ispezionando la grotta con lo sguardo, anche lui sembra non avere più freddo del dovuto.

Inspiro profondamente “Nerek!” grido.

Gwen sobbalza spaventato

“La prossima volta avvisate!” esclama.

Sorrido e grido ancora “NEREK!”

La mia voce si spande sulle pareti ghiacciate, poso le mani sul muro freddo davanti a me, è gelido e bagnato, null’altro, non scompare. Cosa mi aspettavo? Non ho il potere di Nerek.

“Ti prego, torna da me”

 

Nerek

Mi blocco a metà di un passo. Scuoto la testa, me lo sono sicuramente immaginato. Lo sento di nuovo. Il mio cuore batte più forte, non può essere, è la sua voce. La voce di Atras, mi sta chiamando, corro seguendo l’eco della sua voce. I miei stivali non producono nessun rumore.

Ansimante arrivo al muro di ghiaccio, lo vedo: Atras. Lui non mi vede, non può vedermi.

C’è un ragazzo con lui, si sta guardando intorno, sento Atras chiamarmi ancora, ma le sue labbra non si muovono.

Poso le mani sulla parete e questa diventa trasparente come il vetro, permettendo così ad Atras di vedermi.

Colgo lo stupore sul suo viso e nei suoi occhi che mi fissano, le sue labbra sfiorano il mio nome. Estrae la spada e colpisce ripetutamene lo spesso strato di ghiaccio, ma scalfisce appena la superficie.

Posa la sua mano all’altezza della mia.

“L’hai dissolto una volta, fallo ancora”

Scuoto la testa “Non posso, non so come ho fatto, non sono stato io”

“No, non è stato lui, siamo state noi” chiudo gli occhi, la voce di mia sorella alle spalle.

“Lasciatelo andare, altrimenti…” grida Atras impugnando con entrambe le mani la spada.

“Altrimenti cosa, giovane principe”

E’ mia madre a parlare questa volta.

Il ragazzo che è con lui gli posa la mano sulla spalla scuotendo la testa ed Atras ripone l’arma.

“C’è il Cacciatore con lui, madre” sussurra mia sorella.

“Non capisco cosa ti spinga a fuggire, figlio mio…” mormora alzando la mano, il muro si dissolve, faccio un passo verso Atras.

“Fermo!”

Mi blocco ubbidendo all’ordine di mia madre.

“Se avanzi ancora morirai…”

Guardo Atras, scuote la testa implorandomi con lo sguardo di fermarmi.

Mi volto verso mia madre “Preferisco morire tra le braccia di chi mi ama piuttosto che vivere in luogo privo di sentimenti circondato da sguardi freddi”

Così dicendo oltrepasso la linea dove prima si ergeva il muro, lasciandomi alle spalle il mio mondo, per entrare definitivamente in quello di Atras.

Sento mia madre sussurrare “La scelta è compiuta, addio, figlio mio”

Il medaglione che porto al collo irradia un gelo terribile che si diffonde in un baleno in tutto il mio corpo, Atras mi afferra stringendomi forte al petto. Avverto il suo calore, il suo profumo.

Porto una mano al medaglione, lo afferro, ustionandomi le dita tant’è freddo.

Un istante dopo si spezza ed io con lui.

 

Atras

Lo afferro prima che cada, alzo lo sguardo verso le due donne, la più giovane scuote la testa, il muro riappare, stringo forte Nerek a me. Lo guardo, l’ho ritrovato solo per perderlo di nuovo.

Afferra il medaglione, che irradia una luce sinistra.

Il gioiello si spezza e la luce si estingue, nello stesso istante gli occhi di Nerek diventano vitrei, reclina il capo, giace inerme tra le mie braccia.

“No… no… no… no…” singhiozzo.

Gwen mi è accanto posa due dita sul collo di Nerek.

“Atras, non è morto, non ancora almeno…”

Lo fisso senza capire mentre tira fuori dallo zaino un mantello e ci avvolge Nerek. Ha ragione il cuore di Nerek batte ancora ed il suo respiro è appena percettibile.

Gwen prende il mio zaino e la mia spada.

“Così potrete portarlo meglio. Non c’è tempo da perdere andiamo…”

“Dove?”

“Da Marian…”

“E’ un viaggio troppo lungo, non sopraviverà” mormoro disperato non sopravviverà comunque penso tetro.

Gwen si para davanti a me, mi afferra per le spalle e mi scuote “Vi fidate di me?”

Annuisco debolmente. Quale scelta ho?

“Bene! Allora muovetevi e seguitemi” mi ordina.

Faccio come mi dice e lo seguo. Mi rendo conto che non stiamo percorrendo la stessa strada dell’andata, non seguiamo nemmeno il sentiero. Il paesaggio è tutto uguale per me alberi e neve, neve ed alberi.

Stringo Nerek a me. Sta diventando freddo, la neve che ricopre la strada ci rallenta e ci sfianca.

Continuo a camminare dietro a Gwen che di tanto in tanto si volta per vedere se ci sono ancora, comincio a sentire il freddo e la fatica, da quanto stiamo camminando? Alzo gli occhi è ancora giorno.

“Ancora un piccolo sforzo…” la voce di Gwen mi giunge lontana attraverso una cortina di stanchezza, devo continuare a mettere un piede davanti l’altro.

Alzo gli occhi una casa davanti a noi, vedo il fumo uscire dal comignolo. una donna sulla soglia ci sta aspettando: Marian.

Non è possibile, non ci abbiamo impiegato mezza giornata. Il sole sta cominciando a tramontare solo ora.

Gwen rallenta restando indietro, Marian mi viene incontro mi fa strada mi conduce nella stanza accanto a quella di Gwen, la sua suppongo, è calda nel camino arde un bel fuoco.

“Spogliatelo completamente, mettetelo sotto le coperte, ho provveduto a scaldare il letto”

Sono troppo stanco per fare domande faccio quello che mi ha ordinato mentre lei si affaccenda intorno a noi.

“Sbarazzatevi del medaglione” ordina secca.

Lo sfilo dal collo di Nerek, lo fisso qualche istante ha perso tutta la sua lucentezza. La donna si avvicina e fa bere a Nerek un infuso.

“Gettatelo nel camino, domani non ci sarà più, dissolto come neve al sole”

Lo butto nel fuoco, nell’istante stesso in cui il gioiello tocca le fiamme, Nerek si tende e si lamenta.

La donna gli accarezza il viso “Va tutto bene, ora passa piccolo, va tutto bene”

Volge i suoi occhi su di me “E’ un ragazzo forte, anche se dall’aspetto non si direbbe e poi ha voi…”

Con un sospiro torno nell’altra stanza, Gwen sta rovistando negli scaffali.

“Vorrei proprio sapere dove ha messo quel delizioso liquore che ha fatto la settimana scorsa…” borbotta.

Mi siedo pesantemente su una sedia.

“Trovato!” esclama vittorioso posando la bottiglia sul tavolo prende due bicchieri li riempie e me ne porge uno.

“Tenete vi scalderà”

Bevo un sorso, è forte e mi brucia la gola. E’ diverso da quello che ho bevuto prima di entrare nella grotta. Molte domande affollano la mia mente, ma sono troppo stanco e preoccupato.

Marian esce e si siede davanti a me bevendo qualche sorso di liquore dal bicchiere del nipote, poi si alza e mette in tavola carne arrosto, mangio senza sentire il sapore.

“Andate a riposare ora. Ha bisogno di voi del vostro calore”

“E voi dove dormirete?”

“Nella stanza di Gwen”

Il nipote la fissa stranito, manda giù un boccone.

“Ehi, un momento, loro due in camera tua, tu nella mia ed io?”

“Qui, sul tavolo o se hai freddo sul pavimento davanti al camino”

Gwen la fissa con il coltello a mezz’aria sconcertato dalle parole della nonna.

Apro la bocca per proporre una soluzione, ma la donna alza la mano mettendomi a tacere.

Gwen sospira avvilito e rassegnato, finisco di mangiare mentre Gwen racconta quello che è successo nella grotta.

Mi ritiro nell’altra stanza, Nerek è immobile e silenzioso, mi spoglio lentamente, ripenso alle parole di Marian, mi sfilo tutti gli indumenti, mi corico nudo accanto a lui. Il suo corpo è freddo, non più gelido, ma ancora freddo.

Mi accoccolo contro di lui facendo aderire il più possibile il mio corpo al suo, gli accarezzo le spalle, il petto, bacio le sue labbra fredde, lo coccolo fino a quando sono troppo stanco per tenere gli occhi aperti.

Mi desto a notte fonda, svegliato dalla voce di Nerek, si lamenta debolmente. E’ voltato su un fianco. Il suo braccio mi circonda la vita, lo stingo a me, lo cullo gli parlo finché non si calma ed io stesso mi riaddormento.

Apro nuovamente gli occhi mi specchio in quelli lucenti e grigi di Nerek, grandi e smarriti come quelli di un cucciolo.

“Nerek…” mormoro posandogli la mano sulla guancia, chiude gli occhi li riapre.

“Atras, non è un sogno. Sono vivo, tu sei qui…”

Bacio le sue labbra socchiuse per me, la sua lingua sfiora la mia, le sue mani sono tra i miei capelli, le mie sulla sua pelle tiepida.

Mi sollevo un poco, si lascia andare tra i cuscini sospira stancamente. A malincuore lascio il letto.

Nerek si fissa la mano fasciata, mi avvicino al camino infilandomi la camicia, guardo tra le ceneri: non c’è nulla nemmeno un grumo di metallo.

“Dov’è il mio medaglione?” mi domanda con voce sottile e stanca.

Mi volto verso di lui.

“Si è spezzato. Quando siamo arrivati qui l’ho gettato nel fuoco: si è dissolto” spiego tornando al suo fianco.

“Come ti senti?”

“Molto stanco, debole…”

“Allora riposa ci sarà tempo per parlare” mormoro lasciando la stanza.

 

Commenta


Precedente Back Home Successivo