I giuochi nella tradizione popolare gaetana
Un nuovo libro, postumo, di Nicola Magliocca |
Nota: Il libro, attualmente in stampa, è il sesto della collana e sarà presto in vendita nelle edicole e librerie gaetane, oltre che presso il Centro Storico di Gaeta. E' stato possibile realizzarlo grazie alle cure amorose della moglie, delle figlie e dei nipoti che hanno voluto così ricordare Nicola, da poco scomparso. In questa edizione internet mancano disegni e fotografie, che chi è interessato può trovare direttamente sul libro. Da parte mia un grazie ai familiari, sempre sensibili ai problemi culturali della nostra città, che hanno permesso di inserire il libro nel sito di Gaeta. |
GIUOCHI
PER I PIÙ PICCINI
Batti
le mani
La
Madònne vestuta d’ore
GIUOCHI
PER FANCIULLI
GIUOCHI
PER RAGAZZI
GIUOCHI
IN RIVA AL MARE
GLIU
STRUMMEĜLIE
GIUOCHI
CON MANDORLE, NOCCIUOLE, PALLINE, UOVA, FIGURINE
GIUOCHI
CON MONETE
GIUOCHI
CON FILO E SPAGO
GIUOCHI
PER OTTENERE SUONI
GIUOCHI
CON LA CARTA
GIUOCHI
CON IL FAZZOLETTO
GIUOCHI
CON LA PERRÉNGHELE
GIUOCHI
CON LA STÌCCHELE
GIUOCHI
CON LA PALLA
GIUOCHI
CON LA CORDA
Niik-là:
pere, arance, fragole, limoni… La voce della bambina risuona argentina e
ritmata al girare della corda (spesso di strame) che con schiocco cadenzato
scandisce i salti di chi partecipa al gioco.
Ogni
vicolo di Via Indipendenza (e non solo) si riempiva di questi rumori, adesso per
sempre perduti, E qui, alla nostalgia e al ricordo, che rischiano di sbiadire
sempre più, viene in aiuto ancora una volta Nicola Magliocca, che ormai può a
buon diritto chiamarsi la memoria storica della nostra città e del suo modo di
essere. Viene in aiuto e presenta quanto
si sta perdendo (o non i sia ormai già perso). Scorrendo questi giuochi,
chiunque li abbia praticati si sente portato di colpo indietro nel tempo e, se
socchiude gli occhi anche solo per un istante, rivive in concreto gli anni e i
giorni più belli di un’età che ahimé non è più.
Ecco
lo scenario della fanciullezza di ciascuno rivivere e risuonare delle voci e
riempirsi delle azioni di allora: Tornano alla memoria fatti, persone e
personaggi del tempo e magari vien dato di ricordare improvvisamente una persona
o un compagno che da tantissimo tempo non si vedeva più ma di cui solo ora si
nota l’assenza. E ciò che si credeva per sempre uscito dalla memoria sta
invece lì, aspettando solo l’occasione buona per farsi notare.
“Barracche”,
“gliu mmaste”, “mazze e fetuce”…chi di noi non ha
assaporato le gioie e le delusioni di un gioco che ti fa felici se vinci,
soffrire e scontroso se perdi? Erano figurine, vecchie monete, d’accordo, ma
era tutto ciò che avevi, erano gli unici beni del tempo.
Come
sono lontani i giocattoli sofisticati di oggi!
Oggi
sono avveniristici e pieni di tecnologie (ove si voglia ancora giocare. Molti
“giocano” con gli oggetti dei grandi…) ma non so se siano in grado di
garantire lo stesso intenso divertimento che prendevamo noi dai nostri giochi.
Oggi, ripetendo all’infinito meccanicamente le stesse mosse, dopo pochissimo
tempo i ragazzi si stancano di ciò che hanno; noi trascorrevamo intere giornate
alle prese con i nostri giochi e non ci bastava mai.
Questo
volume ha il pregio di far rivivere il passato con una tale intensità,
ricreandone l’atmosfera, come una bella canzone o un disco del tempo andato e
ci sorprende a rivivere quei momenti con una nitidezza che forse forse neppure
supponevamo in ciascuno di noi. Anche a coloro che di quei tempi non hanno un
buon ricordo, vuoi per le ristrettezze nelle quali si viveva, vuoi per problemi
di natura varia, ma tutti riconducibili a una sostanziale carenza di mezzi, il
sentire quelle filastrocche che accompagnavano i giochi genera una indicibile
dolcezza che sa di un sapore mai più gustato. È la parte più bella della
vita, la fanciullezza, l’adolescenza, quando la spensieratezza la fa da
padrona e con una scrollata di spalle si depongono problemi più grandi e
irresolubili.
Molti
giochi sono comuni a tutti i centri nei quali vi sono ragazzi che giocano,
perché lo spirito è quello dovunque; ma alcuni hanno un sapore diverso,
perché fatti in particolari ambienti. Chi non ha mai giocato a “picculì”
e quanti lo ricordavano? E quanti riuscivano a far ruotare la “tabacchere”
o “gliu strummeglie” in un’età superiore a quella canonica?
Inutilmente ricordo di avere provato a farlo all’età di 14-15 anni! Non ero
neanche l’ombra di ciò che ero capace di fare con quell’aggeggio all’età
di 8-9 anni, quando, cioè possedevo un’abilità diabolica nel far girare a
piacimento quella minitrottola di legno che spesso costruivamo da noi, col
doppio vantaggio di risparmiare soldi (servivano per andare al cinema) e di
avere un giocattolo che funzionava meglio di quelli venduti al negozio, che
erano solo belli a vedersi ma poco funzionali!
E
adesso sono tutti qui, quei giochi, raccolti come in uni scrigni di pietre
preziose, pronti a far sentire il loro fascino, il profumo di un tempo migliore
che, per coloro che leggono queste cose e rivanno con la mente indietro, ormai
non è più. E questo acuisce quel senso di sgomento e sbigottimento che ci
prende subito dopo: come passa il tempo! Sembra ieri…
Ecco,
una cosa mi ha sorpreso scorrendo questo testo. Ci sono giochi per ogni fascia
di età: dalla primissima infanzia, come quelli con la carta ritagliata, a
quelli dell’adolescenza più avanzata, che richiedono una certa razionalità,
oltre che abilità. Sono giochi completi, che abbinano destrezza di mente e di
fisico. Qualcuno, come “zompacòrve”, un po’ “più forte” sotto
il profilo fisico, magari, ma che stoicamente vedeva la partecipazione di tutti,
anche di chi non avrebbe voluto o potuto partecipare perché gracile o
malandato, ma che pagava dazi all’alternativa di essere tacciato di
vigliaccheria: insopportabile!
E
così questi giochi avevano anche, per così dire, una funzione “democratica”,
nel senso che erano aperti a tutti.
Si
può indirizzare questo massaggio ai ragazzi di oggi?
Certamente
si. Anzi sarebbe auspicabile vedere il “ritorno” di qualcuno di tali giochi,
perché coinvolgerebbero decisamente meglio i partecipanti. Non ci sarebbero
certamente crisi isteriche come quelle che generano i videogames odierni!
È
esagerato sperare ciò? Forse si, ma..sperare non costa niente e la speranza è
sempre l’ultima a morire. È chiaro che no è solo di giochi che si auspica il
“ritorno”, ma di un modo di penare semplice e schietto che ormai non è
più.
Ma
alle orecchie e al cuore di chi li ha praticati essi sono sempre presenti,
perché in Fondo ognuno di noi è rimasto lì, a giocare con questi giochi…per
sempre.
Anche
se non si può più giocare in riva al mare; |
anche
se non si possono fare più i
bagni alla Voggiarèlle; |
anche
se a Montesecco non c’è più l’enorme spazio dove i ragazzi giocavano
a fare la guerra; |
anche
se a riva non si può più scavare in cerca d pelùrdele; |
anche
se non sai dove sommozzare vongole e cacasanghe; |
anche
se non si può più fare la capanna sulle dune; |
anche
se migliaia di metri quadrati di preziosa sabbia di Serapo sono stati
seppelliti sotto il cemento per fere posto alle macchine; |
anche
se sullo Steccato non ci sono più amurle da raccogliere; |
anche
se a Porta Regina non si pescano più tonni; |
anche
se a Cuostolo, coperto di cemento, non si può più andare a fare il
pascone; |
anche
se la Catena, anziché di vigneti è coperta di villette; |
anche
se non si vedono più le carovane di asinelli impegnati nella vendemmia; |
anche
se nei vicoli a ottobre non si sente più odore di mosto; |
anche
se non ci sono più per strada ragazzi che giocano; |
anche
se mi pare di essere uno straniero quando sento i paesani che si
vergognano di parlare la loro lingua; |
anche
se botteghe e farmacie non restano aperte a tutte le ore; |
anche
se di Corso Attico ce n’è rimasto solo un pezzetto; |
anche
se i ragazzi non si chiamano
più Maria, Antonio, Giuseppina, Cosmo, Salvatore; |
anche
se la torre di Atratina non so più se c’è o non c’è, soffocata com’è
dai fabbricati; |
anche
se hanno alterato e distrutto il paesaggio costiero; |
anche
se il suolo della Vetreria lo daranno in pasto a una ingorda speculazione; |
anche
se vai a Fontana e ti tagli i piedi sui fondi di bottiglia; |
anche
se la cerchia delle antiche mura è stata sventrata e distrutta; |
anche
se gli abitanti del borgo medievale sono stati sostituiti dagli
speculatori e camorristi; |
anche
se la piana di Arzano puzza di petrolio, anziché odorare di zagare; |
anche
se a Fossanova non fioriscono più l’arancio e il melograno; |
anche
se non senti più il lamento delle gnègnere; |
anche
se i contadini non fanno più i fichisecchi profumati di lauro; |
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Gaeta
è sempre bella. |
Quando
non mi va, chiudo gli occhi e chiudo le orecchie; ma la bocca no! Chelle
adda parlà!
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Dell’infanzia e dell’ adolescenza noi adulti ricordiamo con nostalgia i giuochi e i compagni con i quali dividevamo le ore più belle confrontandoci, aiutandoci, affezionandoci anche ai luoghi.
Allora giocavamo a tutte le ore e con qualsiasi condizione atmosferica, a casa, nei vicoli, in strada, lungo il mare, allegri, spensierati, sani di corpo e di mente. Giocavamo ed eravamo felici, pur nelle ristrettezze economiche di quel periodo. Giocavamo per istinto, per il bisogno di muoverci, come sapeva bene S. Filippo Neri quando, rivolgendosi ai bambini, diceva: “State fermi,… se potete.”. Solo molto più tardi venni a conoscenza dell’importanza fisica e sociale di quei giuochi, imparai che nel gioco il bambino manifesta la sua indole formando il carattere che conserverà per tutta la vita. Lessi anche che svariati scrittori si erano interessati all’importanza del gioco, e “I ragazzi della via Pal” ce lo testimoniano. Già nel ‘400 Vittorino da Feltre valutava il gioco come “creatore di grazia, moderatore della passione” e S. Giovanni Bosco affermava che la personalità del bambino “viene a definirsi proprio nel gioco”.
Oggi i nostri antichi giuochi sono spariti. Passando per le strade del paese non si sentono più gli allegri cori che accompagnavano la maggior parte dei giuochi di fanciulli e ragazzi: “È arrivato l’ambasciatore”, “La povera mantellina”, “Il papore fugge” Non si vedono più ragazzi correre per le vie sicure, animate dalle loro grida: “A nòve nòve”, “Cacarituso”. E i giocattoli? Pochi, semplici, costruiti da noi ragazzi con materiale di fortuna e tanta fantasia.
Tutto è cambiato con il consumismo, il progresso, l’urbanizzazione selvaggia, che non ha tenuto conto delle esigenze dei piccoli. Ora i ragazzi, fin da piccoli, hanno tanti, forse troppi giocattoli, perfetti, sofisticati, ma non hanno spazi per i loro giochi più autentici, perché le vie e le piazze, una volta libere e sicure, ora sono diventate pericolose a causa del traffico sempre più caotico.
Noi ragazzi gaetani avevamo la fortuna di disporre di tutta la vasta zona di Montesecco e Serapo, ora completamente lottizzata. Il campo sportivo si è salvato per miracolo dalla lottizzazione prevista dal piano R. Zocca, che prevedeva il suo trasferimento a Calegna; se ne sarebbero potuti avere due, ma bisognava scegliere o l’uno o l’altro, e così si è salvato il campo sportivo di Serapo, su cui occhi cupidi avevano già fatto i loro piani.
È stato demolito tutto il fronte di mare, e così la cortina dell’Addolorata; è stato fatto saltare il prezioso Bastione dell’Annunziata, poi la Cortina del Porto, il Portale Carlo V, la batteria Fico e la Sanità. Cosa c’è al loro posto? Campi da tennis per pochi privilegiati, un rimessaggio per barche, che non dovrebbe occupare un luogo pubblico, capannoni per la custodia sotto cellofan degli yacht e mucchi di relitti.
Perché i giuochi di un tempo, ormai caduti in disuso, non siano cancellati del tutto e perduti per sempre, ho voluto raccoglierli e descriverli così come sono custoditi, vivi, nella mia memoria. Molti hanno un’origine antichissima; prima che dai ragazzi della mia generazione, erano conosciuti dai nostri nonni, bisnonni e da tutti quanti ci hanno preceduto ed hanno contribuito con il loro lavoro al raggiungimento del benessere di cui oggi godiamo. Alcuni, con qualche variante o con diverso nome, si ritrovano anche nella tradizione dei centri vicini e nel Napoletano, altri ancora sono noti in tutta l’Italia (Moscacieca). Naturalmente nelle filastrocche prevale il dialetto gaetano, ma si trovano qua e là voci dialettali napoletane, termini in lingua italiana non sempre corretti e parole senza significato.
Termino con l’auspicio che tutti i bambini possano giocare e crescere giocando, sia fisicamente che moralmente, per prepararsi a divenire adulti leali, rispettosi e laboriosi. Nicola Magliocca
Numerose e varie sono le possibili risposte alla domanda del perché l’individuo, bambino o adulto, giochi: il gioco è stato visto ora come eccesso di energia, ora come traccia filogenetica dello sviluppo ontogenetico, ora come un modo di affinare competenze future.
Alcuni studi di psicologia si sono dedicati a descrizioni incentrate sia sul gioco in sé sia su colui che gioca.
Piaget propone per i giochi una classificazione fondata sulla struttura del gioco che, allo stesso tempo, segue strettamente l’evoluzione genetica dei processi cognitivi. Egli distingue:
I giochi di esercizio, caratteristici del periodo senso-motorio (dalla nascita ai 2 anni circa). I giochi simbolici (tra i 2 e i 7-8 anni), che aggiungono all’esercizio stesso la dimensione della simbolizzazione e della finzione. I giochi di regole, che caratterizzano la socializzazione del bambino. Sono in un primo momento un’imitazione del gioco dei bambini più grandi; solo dopo i 7-8 anni si vanno organizzando spontaneamente. |
Mentre i primi due giochi tendono a diminuire con l’età, i giochi di regole diventano più frequenti, dimostrando l’importanza delle relazioni e del codice sociale.
Caillois presenta una classificazione strutturale dei giochi secondo un doppio asse.
Il primo asse è rappresentato da un fattore d’ordine, di codificazione, che va dal gioco di improvvisazione libera, di soddisfazione senza preoccupazione, che Callois definisce “paidia”, al gioco regolato, rigoroso, che richiede pazienza, sforzo o agilità, e che viene definito “ludus”. Analoga è l’opposizione anglosassone tra “play” e “game”, che in italiano si traducono con lo stesso sostantivo “gioco”.
Il secondo asse si occupa di descrivere la struttura stessa dei giochi secondo quattro componenti fondamentali:
L’agôn (agonistica), il gioco in cui domina la competizione. L’aléa (fortuna), in cui la molla del gioco è il caso. La mimicry (pantomima), regno dell’illusione, della finzione e del “come se”. L’ilinx (terrore), in cui il gioco è costituito dalla vertigine, dallo spasmo, dall’angoscia. |
Ognuna di queste quattro componenti può associarsi alle altre in maniera non arbitraria, poiché esistono unioni fondamentali (agôn e aléa, mimicry e ilinx), contingenti (aléa e ilinx, agôn e mimicry) o, secondo Caillois, impossibili (agôn e ilinx).
La psicoanalisi, a partire dalle osservazioni di Freud sul gioco del rocchetto, non si è limitata alla descrizione del gioco in sé, ma ha messo in rilievo il significato che esso può avere in funzione dello sviluppo psicoaffettivo del bambino.
Secondo Melanie Klein, il gioco, come il sogno, permette una soddisfazione sostitutiva dei desideri. Ma non solo: la proiezione dei conflitti interni, e dell’angoscia che li accompagna, sulla realtà esterna rappresentata nel gioco, permette sia un migliore dominio di questa realtà che un sollievo dall’angoscia interna. Così “il gioco trasforma l’angoscia del bambino normale in piacere”. Il rischio di una simile concezione è quello di fare del gioco la rappresentazione diretta dei diversi istinti o pulsioni interni.
Winnicott si differenzia dalla concezione Kleiniana del gioco spostando l’accento sull’interazione tra il bambino e il suo ambiente. Egli definisce la nozione di spazio di gioco: “quest’area in cui si gioca non è la realtà psichica interna. È al di fuori dell’individuo, ma non appartiene neppure al mondo esterno.” Winnicott fa riferimento ad una terza area posta tra il mondo interno e la realtà esterna, area che inizialmente è proprietà comune della madre e del bambino. Gradualmente il lattante acquista una certa autonomia in quest’area intermedia, soprattutto grazie al suo oggetto transazionale: il pezzo di coperta o di lenzuolo, l’animaletto di peluche di cui il bambino non può fare a meno o anche semplicemente il suo pollice.
Gli studi, che hanno cercato di correlare il livello intellettivo e la capacità di giocare, hanno evidenziato che i bambini dotati giocano molto, ad una grande varietà di giochi, in cui si mostrano capaci di cambiamento ed invenzioni. All’opposto, i bambini con deficit intellettivo giocano poco, passando periodi abbastanza lunghi inattivi e preferendo i giochi senza regole complicate a cui si dedicano generalmente i bambini più piccoli.
Concludendo, a prescindere dai diversi punti di vista, è chiaro che il gioco occupa un posto centrale nello sviluppo della personalità di un individuo, in quanto investe la sfera cognitiva, la sfera affettiva e quella sociale. Attraverso il gioco il bambino sviluppa l’abilità psicomotoria, la creatività, la tolleranza alle frustrazioni e, non ultime, le abilità sociali. Infatti il gioco facilita la disponibilità sociale del bambino, offrendogli la possibilità di intensi rapporti interpersonali, ricoprendo, quindi, un ruolo fondamentale nel processo di socializzazione Dora Tarallo