3° Lezione


LA BIBBIA
« Nessuna profezia della Scrittura proviene da un’interpretazione personale; infatti nessuna profezia venne mai dalla volontà dell’uomo, ma degli uomini hanno parlato da parte di Dio, perché sospinti dallo Spirito Santo » (1° Pietro 1, 20-21)

La Bibbia
Dio non ha affidato il suo messaggio soltanto alla parola orale, che nel corso dei secoli avrebbe potuto essere trasmessa male e travisata, ma ci ha lasciato un documento scritto in modo che potesse conservarsi inalterato  per le generazioni future. In questo consiste anche l’universalità del messaggio divino, che è stato concepito fin dall’inizio come una rivelazione che doveva rimanere ferma ed essere valida per tutte le età, per tutti i luoghi e per tutte le generazioni.

La Bibbia è appunto il documento scritto nel quale troviamo la progressiva rivelazione di Dio agli uomini. Il suo nome deriva da un termine greco che i significa LIBRI. Si tratta infatti di una raccolta di 66 libri, scritti durante un arco di tempo di 1500 anni circa, da autori diversi, divinamente ispirati. Nella sua prima lettera l’apostolo Pietro scrive: «Abbiamo inoltre la parola profetica più salda: farete bene a prestarle attenzione, come a una lampada spendente in luogo oscuro, fino a quando spunti il giorno e la stella mattutina sorga nei vostri cuori. Sappiate prima di tutto questo: che nessuna profezia della Scrittura proviene da un’interpretazione personale; infatti nessuna profezia venne mai dalla volontà dell’uomo, ma degli uomini hanno parlato da parte di Dio, perché sospinti dallo Spirito Santo» (1° Pietro 1, 19-20).

Collegando queste parole dell’apostolo Pietro con altre da lui scritte nella sua prima lettera, possiamo capire meglio chi era colui che ispirava gli antichi profeti: « (Gesù Cristo), benché non l’abbiate visto, voi lo amate; credendo in lui, benché ora non lo vediate, voi esultate di gioia ineffabile e gloriosa, ottenendo il fine della fede: la salvezza delle anime. Intorno a questa salvezza indagarono e fecero ricerche i profeti, che profetizzarono sulla grazia a voi destinata. Essi cercavano di sapere l’epoca e le circostanze cui faceva riferimento lo spirito di Cristo che era in loro, quando anticipatamente testimoniava delle sofferenze di Cristo e delle glorie che dovevano seguirle. E fu loro rivelato che non per se stessi, ma per voi, amministravano quelle cose che ora vi sono state annunziate da coloro che vi hanno predicato il Vangelo mediante lo Spirito Santo inviato dal cielo: cose nelle quali gli angeli bramano penetrare con i loro sguardi » (1° Pietro 1, 8-12).

Benché il termine “Bibbia” sia stato usato per la prima volta da Crisostomo per indicare i libri riconosciuti ispirati dell’Antico e Nuovo Testamento, tale termine ha il suo fondamento nelle stesse Scritture che spesso parlano di libri nei quali gli autori sacri dovevano scrivere la rivelazione di Dio. Un esempio per tutti lo troviamo per l’Antico Testamento in Esodo 17, 14 e in Giosuè 24, 26 e per il Nuovo Testamento in Giovanni 20, 30.

Un altro termine per designare la Bibbia è quello di SACRE SCRITTURE , come ci viene testimoniato in una lettera dell’apostolo Paolo al giovane Timoteo: «Tu  però persevera nelle cose che hai imparato e nelle quali sei stato confermato, sapendo da chi le hai imparate, e che sin da bambino hai conosciuto le Sacre Scritture, le quali ti possono rendere savio a salvezza, per mezzo della fede che è in Cristo Gesù. Tutta (questa) Scrittura è divinamente ispirata e utile a insegnare, a convincere, a correggere e a istruire alla giustizia, affinché l’uomo di Dio sia completo, pienamente fornito per ogni opera buona» (2° Timoteo 3, 14-17).

La Bibbia si divide in due parti che vengono chiamate «patti» in quanto si tratta di veri e propri patti che Dio ha fatto con gli uomini nell’antichità ed ai nostri giorni. In Ebrei 1, 1-2, troviamo scritto: «Dio dopo aver anticamente parlato molte volte e in svariati modi ai padri per mezzo  dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo di suo Figlio, che egli ha costituito erede di tutte le cose, per mezzo del quale ha anche fatto l’universo» (Eb 1, 1-2).

1) L’ANTICO PATTO O TESTAMENTO

Contiene il primo gruppo di libri che il cristianesimo condivide con la religione ebraica. Essi furono scritti per impulso divino da diversi autori ebrei per il popolo ebraico nel corso del primo millennio avanti Cristo. Nella prospettiva ebraica essi sono sempre stati considerati i libri sacri sui quali si basava e si basa tuttora la fede di ogni buon israelita. Al tempo di Gesù e degli apostoli venivano letti e commentati dai rabbini nel tempio di Gerusalemme o nelle sinagoghe, per gli Ebrei che non abitavano a Gerusalemme. Per un certo tempo essi costituirono le sole Scritture Sacre a cui face-vano riferimento anche i cristiani, prima che venissero alla luce i libri del Nuovo Testamento.

Di fatto l'Antico Testamento costituisce l'ambiente vitale di cui il cristianesimo si è nutrito e nel quale si è sviluppato sotto l'impulso del suo fondatore Gesù. Il nome "Testamento" è un termine infelice, perché nel caso specifico non indica l'ultima volontà di un morto, ma si tratta di un patto o di una alleanza. L' Antico Testamento o meglio la Bibbia ebraica contiene infatti le esigenze del patto che verso il 1250 a.C. Dio stabilì con il popolo ebraico per mezzo di Mosè. Anche se al tempo di Gesù e degli apostoli l'Antico Testamento costituiva la base della fede dei Giudei e dei primi cristiani, esso tuttavia non era ancora stato fissato nella sua ampiezza definitiva. Circolavano infatti due raccolte di libri:

elenco giudaico-palestinese che fu definitivamente approvato dal sinodo giudaico di Jamnia verso il 90 d.C. e divenne quindi il canone ufficiale della Bibbia ebraica;

elenco giudaico-ellenistico che proviene dalla traduzione greca cosiddetta dei LXX del II° secolo a.C., in cui sono inclusi, oltre ai libri del canone giudaico-palestinese, altri sette libri: Baruch, Tobia, Giuditta, I e II Maccabei, l'Ecclesiastico ed il libro della Sapienza. Questi ultimi libri, pur essendo oggetto di lettura e di studio, non sono stati ritenuti ispirati né dagli Ebrei né dai promotori della Riforma protestante. Soltanto la Chiesa Cattolica li ha inclusi definitivamente nel proprio canone nel Concilio di Trento (1545-1563) chiamandoli deuterocanonici.

1) Il canone giudaico-palestinese

Comprende l’insieme dei libri sacri riconosciuti ispirati dagli Ebrei e, con una di-versa numerazione, anche dai promotori della Riforma. Gli Ebrei usano identificare questa raccolta di libri con una sigla: TNK , che viene vocalizzata con la lettera “a” per renderne possibile la lettura: TaNaK . Si tratta di un acrostico coniato con le consonanti iniziali delle parole indicanti le tre parti in cui è divisa la Bibbia ebraica: Torah (Legge), Nevìm,(Profeti), Ketuvìm (Scritti).

Elenco dei libri della Bibbia ebraica secondo il canone giudaico-palestinese:

Torah (o legge) che corrisponde al Pentateuco cristiano, ossia “cinque libri”

Genesi (1)
Esodo (2)
Levitico (3)
Numeri (4)
Deuteronomio (5)

Nevìm (o profeti)

profeti anterior i: (nella Bibbia cristiana sono i libri cosiddetti “storici”)
Giosuè (6)
Giudici (7)
I e II Samuele (unico libro) (8)
I e II Re  (unico libro) (9)

profeti posteriori:

maggiori:

Isaia (10)
Geremia (11)
Ezechiele (12)
12 minori: (unico libro) (13)
Osea
Gioele
Amos
Abdia
Giona
Michea
Nahum
Abacuc
Sofonia
Aggeo
Zaccaria
Malachia

Ketuvìm (o scritti)
Salmi (14)
Proverbi (15)
Giobbe (16)

I cinque rotoli (Meghillot)

Cantico (17)
Rut (18)
Lamentazioni (19)
Ecclesiaste (20)
Ester (21)
Daniele (22)
Esdra e Nehemia (unico libro) (23)
I e II Cronache (unico libro) (24)

Come si può notare dai numeri tra parentesi a fianco di ciascun libro, la Bibbia ebraica per i rabbini risulta essere composta di 24 libri. Per questa numerazione abbiamo una documentazione nel libro apocrifo di 4° Esdra di cui riportiamo la seguente citazione:

«Allora io presi cinque uomini come mi era stato comandato. E il giorno dopo ecco che una voce mi chiamò dicendo: Esdra apri la tua bocca e bevi ciò che ti do da be-re. Io lo presi e bevvi e quando ebbi bevuto, il mio corpo produsse intendimento; la sapienza crebbe nel mio petto e il mio spirito ritenne la sua memoria. La mia bocca si aprì e non si chiuse più. L’Altissimo diede conoscenza ai cinque uomini ed essi scrissero quanto io dettavo loro in ordine e in caratteri ad essi sconosciuti. Ed essi sedettero per quaranta giorni, scrissero di giorno e di notte mangiarono del pane. Ma in quanto a me, io parlai di giorno e di notte non rimasi silente. Così in quaranta giorni furono scritti novantaquattro libri. E avvenne che quando i quaranta giorni fu-rono compiuti, l’Altissimo mi parlò dicendo: Metti in pubblico i ventiquattro libri che hai scritto, in modo che tanto i degni quanto gli indegni li possano leggere; ma i settanta ultimi procura di consegnarli solo al saggio di tra il popolo, perché in essi vi è la sorgente dell’intendimento, la fontana della sapienza e il fiume della conoscenza. Io feci ciò il settimo anno, nella settima settimana dopo 5000 anni, tre mesi e 12 giorni dalla creazione del mondo » (4° Esdra 14, 37-48, in R.H.Charles, “The Apro-chripha and Pseudepigrapha of the O.T. in English”, vol II, Oxford, 1964, pp. 623s. Il libro 4° Esdra fu scritto vero il 120 d.C.)

Si tratta evidentemente di una leggenda, che però documenta l'esistenza di soli 24 libri ritenuti sacri e letti a tutti nelle sinagoghe. Sono i libri dell'Antico Testamento, che regolarmente nel Talmùd e nei Midrash sono chiamati "i 24 libri". Il racconto di Esdra ha uno scopo apologetico; vuole difendere la propria ispirazione e quella degli apocrifi che al suo tempo erano diffusi, ma che erano stati sconosciuti prima. Essi esistevano – scrive il libro – senza essere però noti perché erano stati volutamente tenuti nascosti per ordine divino. Anzi questi libri sono più importanti degli altri, perché mentre i primi si possono leggere da tutti, gli "apocrifi" (da apokrüpto = "occultare") sono invece riservati alle persone dotte e più intelligenti

Un'altra numerazione, riferita da Giuseppe Flavio, parla di soli 22 libri, ma in realtà si accorda con il 24 precedente. Ecco come ne parla:

«Noi non possediamo una moltitudine di libri che sono in disarmonia e si contraddicono l'un l'altro (come avviene presso i greci), ma abbiamo solo ventidue libri che contengono il ricordo del passato, e giustamente vi prestiamo fede. Di essi cinque appartengono a Mosè, e contengono le sue leggi e le tradizioni dall'origine dell'umanità sino alla sua morte. Questo intervallo di tempo fu poco meno di 3000 anni; ma dalla morte di Mosè sino al regno di Artaserse, re di Persia, che regnò dopo Serse, i profeti che furono dopo Mosè, scrissero ciò che avvenne in tredici libri. Gli altri libri contengono inni a Dio e precetti di condotta della vita umana  . . . Da Artaserse (sec. V) fino a noi, tutto fu scritto, però questi libri non hanno presso di noi la stessa autorità che i precedenti, perché non vi fu una sicura successione profetica» (Contro Apione 1, 8)

Se teniamo conto della separazione dei singoli 12 profeti minori, che nella Bibbia ebraica sono considerati un libro unico, e della divisione in due dei libri dei Re (I° e II°), delle Cronache (I° e II°), di Samuele (I° e II°) e di Esdra-Nehemia, considerati anch'essi un libro unico, raggiungiamo il numero di 39 libri, che è appunto la cifra riconosciuta dai Riformatori. Essi costituiscono i libri protocanonici, vale a dire inclusi nel primo elenco ("canone"), e sono accolti come sacri tanto dagli ebrei quanto dai cristiani.

A questi libri ammessi da tutti, i cattolici aggiungono altri sette scritti, più alcuni frammenti aggiunti al libro di Ester, Daniele e II° Cronache, che mancano invece nell'originale ebraico, ma sono presenti nella versione greca dei LXX. Questi libri sono detti dai cattolici deuterocanonici , ossia appartenenti al secondo canone (dal greco: deuteros "secondo" e canone "elenco"), secondo la terminologia usata da Sisto Senese (m. 1569), perché si pensava che gli Ebrei di Alessandria avessero un loro elenco di libri sacri più esteso di quello palestinese. Essi sono:

    Giuditta
    Sapienza
    Tobia
   
Ecclesiastico (o Siracide)
   
Baruch
   
I° Maccabei
   
II° Maccabei

Fra i cattolici da una parte ed i protestanti, gli evangelici e gli ebrei dall'altra c'è un po' di confusione sulla terminologia usata per distinguere i 24 libri della Bibbia ebrai-ca (= 39 per i Riformatori), dai 7 libri su indicati e da altri scritti ebraici molto antichi, che però non sono accolti da nessuno nell'elenco dei libri sacri.

Per i protestanti, gli evangelici e gli ebrei sono detti:

canonici,  i libri appartenenti al canone giudeo-palestinese, dichiarati ufficialmente libri sacri ed ispirati dagli Ebrei nel sinodo giudaico di Jamnia verso 90 d.C., che in-vece i cattolici chiamano protocanonici .

apocrifi, ("nascosti") i sette libri e le aggiunte al canone ebraico, che i cattolici invece chiamano deuterocanonici

pseudoepigrafi,  quegli scritti ebraici molto antichi, falsamente attribuiti a personaggi dell'antichità, che in realtà non li scrissero mai. Per esempio: il libro di Enoc, I Salmi di Salomone, il 3° ed il 4° di Esdra, il 3° ed il 4° di Maccabei, il libro dei Giubilei, ecc., che da parte cattolica invece sono detti apocrifi, "nascosti", cioè non appartenenti alla Bibbia.

E' preferibile, secondo noi, non usare il termine apocrifi ("nascosti") riferendoci a libri che, pur non essendo riconosciuti come sacri e quindi ispirati, venivano tuttavia letti e stimati sia dai giudei che dai primi cristiani.

La questione dei libri deuterocanonici

Non riteniamo sacri e quindi ispirati i sette libri deuterocanonici aggiunti dalla Chiesa Cattolica Romana al canone ebraico per i seguenti motivi:

1) Pur essendo stati inseriti nella traduzione greca dei LXX (Settanta) (II° sec. a.C.), questi libri non sono mai stati ritenuti sacri e quindi ispirati dagli Ebrei, come risulta dalla testimonianza di 4° Esdra e di Giuseppe Flavio che abbiamo già citato più sopra. A conferma c'è anche la decisione del sinodo giudaico di Jamnia (90 d.C. ca.). Gesù stesso, pur censurando il comportamento degli scribi e dei farisei, ha detto: «Gli scribi ed i farisei siedono sulla cattedra di Mosè. Osservate dunque e fate tutte le cose che vi dicono di osservare» (Mt  23, 2-3). L'apostolo Paolo dice inoltre che agli Ebrei furono affidati gli oracoli di Dio (Rm 3, 2). Se gli scribi ed i farisei, come dice Gesù, siedono sulla cattedra di Mosè e se ad essi furono affidati gli oracoli di Dio, come ribadisce Paolo, possiamo essere certi che la loro decisione di stabilire quali fossero i libri sacri ed ispirati da Dio, fu una decisione pienamente legittima e conforme alla volontà divina.

2) Questi libri – a differenza dei protocanonici – presentano una grande varietà di recensioni (lunghe e corte) e di varianti, dimostrando che verso di loro si aveva una maggiore libertà di azione rispetto ai libri sacri, ritenuti intangibili.

3) Non vi fu mai discussione fra gli Ebrei di Palestina e quelli di Alessandria sul numero di libri sacri. Segno che le due correnti erano d'accordo a loro riguardo. I cattolici dicono che i palestinesi prima avevano anche essi i deuterocanonici, che vennero poi rimossi per pregiudizi. Infatti a Qumrân si sono rinvenuti allo stato frammentario i libri di Tobia e di Ben Sira (Siracide o Ecclesiastico). Di più nella versione dei LXX i libri deuterocanonici si presentano frammisti a quelli protocanonici. Va però notato che i qumraniti possedevano molti altri scritti oltre ai deuterocanonici, come il Documento di Damasco, la Regola della Comunità, la Regola della Guerra, i Giubilei, ecc.. E' vero che gli attuali codici dei LXX presentano i deuterocanonici, tuttavia essi contengono anche altri scritti che non sono stati accolti dalla chiesa cattolica come sacri, quali le Odi di Salomone, il 3° ed il 4° di Esdra. Come mai si sono accolti i primi e non i secondi se entrambi esistevano nei medesimi codici frammisti con i canonici? Segno dunque che la pura presenza degli scritti in tali codici non bastava a dichiararli sacri. Perché da parte cattolica si sono accolti solo i sette deuterocanonici sopra nominati, tralasciando gli altri che vi si trovano a pari titolo presso i qumraniti e i manoscritti della LXX?

4) Passando poi all'epoca cristiana va notato come il N.T., nelle sue 263 citazioni dei libri sacri, non presenti mai i deuterocanonici, anche quando ciò avrebbe potuto servire per i suoi ragionamenti. Sono citati nel libro di Giuda alcuni apocrifi (come il libro di Enoc e l'apocalisse di Mosè), ma i deuterocanonici non sono mai citati. Anche le allusioni sono ridotte al minimo. E' ben difficile che ciò sia dovuto al puro caso, specialmente se si pensa che il loro uso sarebbe stato utile anche per sostenere dottrine del Nuovo Testamento. Si può quindi concludere che con grande probabilità ciò era dovuto al fatto che ad essi non si attribuiva il medesimo valore dei protocanonici. I pochissimi scritti protocanonici (come il Cantico dei Cantici . . .) che non sono citati nel N.T., si deve al fatto che essi non contenevano alcun riferimento alla dottrina neotestamentaria.

5) Circa l'uso dei deuterocanonici presso i primi cristiani, dobbiamo riconoscere che essi, utilizzando la Bibbia dei LXX, leggevano pure i libri deuterocanonici. Spesso anzi li presentavano come libri sacri in quanto usavano espressioni come "La Scrittura dice; la Sapienza dice". Ippolito, Cipriano ed Ireneo, introducono in tal modo brani della Sapienza di Salomone, di Baruc, di Tobia.  Era difficile per loro agire diversamente. Tuttavia essi citano in tal modo anche il 3° dei Maccabei, il 3° e il 4° di Esdra, i Salmi di Salomone, i libri Sibillini che in seguito non furono ritenuti sacri.

Di più va ricordato che gli scrittori i quali fecero apposite ricerche sul canone biblico, eliminarono i libri deuterocanonici per accogliere solo i protocanonici, come appare dalle seguenti indicazioni:

II - III secolo : Melitone, vescovo di Sardi (ca 170), presenta come sacri e canonici solo i libri degli Ebrei.
Anche Origene (ca 240), pur citando anche gli altri libri, nel suo Commento al Salmo 1 dà l'elenco degli scritti sacri che sono fatti equivalere alle 22 lettere dell'alfabeto ebraico e consistono solo nei protocanonici.
Anzi Giulio Africano cercò di rimuovere dal testo greco di Daniele i brani che non si trovavano nell'originale ebraico e aramaico (brani deuterocanonici).

IV secolo : seguono la lista ebraica:
Atanasio nella sua Epistula festalis 39
Cirillo di Gerusalemme
Gregorio Nazianzeno
Epifanio
Anfilochio, l'autore dei canones apostolorum

V secolo:
Rufino
Girolamo
Pseudo-Atanasio
li accoglie invece Agostino

6) Dal fatto che anche coloro i quali negano l'autorità dei deuterocanonici ne facciano uso, si può dedurre che essi siano stati inconsistenti e riconoscano in pratica ciò che negano in teoria. Contro ciò milita l'affermazione di Girolamo il quale nella sua lettera ai vescovi Cromazio ed Eliodoro così scrive:

«Noi abbiamo tre libri di Salomone: I Proverbi, l'Ecclesiaste (o Qoelet) e il Cantico dei Cantici. Di fatto il libro intitolato l'Ecclesiastico ( o Siracide) e l'altro che falsamente si chiama Sapienza di Salomone, sono nell'identica situazione del libro di Giu-ditta, di Tobia e dei Maccabei. La chiesa li legge in verità; ma non li riconosce tra gli scritti canonici; li legge per edificazione del popolo, ma non per provare o autorizzare alcun articolo di fede»

Anche nel Prologo galeato (protettivo) Girolamo scrive:

«Questo prologo, che è come il principio galeato (= uno scudo, una difesa) delle S. Scritture, può convenire a tutti i libri che abbiamo tradotto in latino, affinché possia-mo sapere che i libri che stanno al di fuori (della cit. precedentemente presentata), devono essere ritenuti apocrifi. Perciò la Sapienza che volgarmente si dice di Salo-mone, il libro di Gesù figlio di Sirac, Tobia e il Pastore non sono nel canone. Ho tro-vato in ebraico anche il primo libro dei Maccabei; il secondo invece è greco, come si può dedurre anche dallo stesso stile ». Questo è confermato anche dal fatto che nella comunità si leggevano altri scritti oltre a quelli sacri: a Corinto si leggevano le lettere speditevi da Clemente Romano e da Sotere. In Africa, in Asia e in Spagna si leggevano, nell'anniversario della morte, le passioni dei martiri senza per questo che divenissero ispirate.

7) Dal secolo VI in oriente i dubbi contro i deuterocanonici svanirono quasi del tutto, pur essendo stati sostenuti ancora nel secolo VI da Leonzio di Bisanzio e da Giunilio Africano; nell' VIII secolo solo da Giovanni Damasceno e nel IX secolo da Niceforo Costantinopolitano. In Occidente, forse per influsso di Girolamo, i dubbi persistettero più a lungo: circa quindici vescovi o studiosi si opposero ai deuterocanonici (o almeno ad alcuni di essi) nel corso di undici secoli. Tra costoro vanno segnalati:

Gregorio M., papa (m. 604)
Ugo di San Vittore (sec. XII)
S. Antonino di Firenze (sec. XV)
Il cardinale Gaetano (sec. XVI)
Nicola di Lira  (sec. XIX)

Secondo il cardinale Pallavicini al Concilio di Trento (1545-1563) si chiese se si dovessero distinguere il libri sacri in due classi: quelli su cui poggiano i dogmi e gli altri utili a promuovere la pietà. Il cardinale Seripando (in un erudito opuscolo) propose di distinguere i libri sacri in "canonici" ed "ecclesiastici", ma non ebbe seguaci. Anche il cardinale Gaetano sostenne la distinzione in libri "protocanonici" e "deuterocanonici". Tuttavia il Concilio di Trento (1545-1563) non accolse tale idea e presentò l'elenco dei libri sacri, inclusi i deuterocanonici, concludendo con le seguenti parole:

«Se qualcuno non riterrà per sacri e canonici gli stessi libri integri con tutte le loro parti, così come si usò leggere nella chiesa cattolica e si contengono nell'antica edizione della Volgata latina, spezzando consapevolmente e imprudentemente le predette tradizioni, sia scomunicato »

Talvolta si dice che il Concilio di Trento (1545-1563) fu il primo a stabilire il canone degli scritti sacri, in realtà esso non ha fatto altro che ripetere ciò che già prima avevano stabilito il concilio di Firenze nel Decreto per i Giacobiti nel 1442 ; Innocenzo I, vescovo Roma, nella sua lettera al vescovo di Tolosa; Esuperio l'anno 405 ; il concilio III di Cartagine nel 397  e infine il cosiddetto decreto di Damaso, a lui falsamente attribuito, nel 381.

2) IL NUOVO PATTO O TESTAMENTO

Fu stretto fra Dio e tutti gli uomini d’ogni popolo e nazione per mezzo di Gesù Cristo (Luca 22, 20; Ebrei 9,15). Per mezzo d’esso Dio offre la salvezza e la vita eterna a chi CREDE E UBBIDISCE al Suo Figliuolo Gesù Cristo.

Il Nuovo Testamento comprende 27 libri, originariamente scritti in lingua greca da diversi autori a partire dalla metà del 1° secolo dell’era cristiana e si divide normalmente in tre parti: a) PARTE STORICA, b) PARTE EPISTOLARE, c) PARTE PROFETICA.

a) PARTE  STORICA. I  4 Vangeli vengono impropriamente considerati libri storici anche se essi non considerano la storia come una narrazione cronologica dei fatti, come la intendiamo oggi noi. La preoccupazione principale degli autori sacri dei Vangeli non è tanto quella di narrare dei fatti in ordine cronologico, quanto piuttosto quella di suscitare nei propri lettori la fede in Cristo. Possiamo quindi considerare i Vangeli come un genere letterario a se stante e cioè il genere letterario dei Vangeli. Questo intento è chiaramente specificato soprattutto alla fine del Vangelo di Giovanni: « Or Gesù fece in presenza dei discepoli molti altri segni miracolosi, che non sono scritti in questo libro; ma questi sono stati scritti,  affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e,  affinché credendo, abbiate vita nel suo nome » (Giovanni 20, 30). Anche il libro degli Atti, pur considerato storico e scritto da Luca a seguito del suo Vangelo, mira a presentare l’istituzione della prima Chiesa di Cristo a Gerusalemme nel giorno di Pentecoste e la sua rapida espansione in tutta la Palestina ed in tutto il mondo allora conosciuto (Atti 1, 8).

b) LA PARTE EPISTOLARE contiene 14 lettere di Paolo, una di Giacomo, due di Pietro e tre di Giovanni. Anche queste epistole possono essere considerate un genere letterario a se stante; esse, infatti, sono state scritte dai vari autori sacri in occasione di circostanze contingenti delle chiese allora esistenti, ma il loro insegnamento rimane comunque valido per tutti i tempi.

c) LA PARTE PROFETICA è costituita dall’Apocalisse. Più che un libro profetico, l’Apocalisse o Rivelazione può essere considerata, soprattutto per il suo linguaggio, un libro appartenente al genere letterario apocalittico.

Questi ventisette libri furono considerati dai primi cristiani ispirati ed assunsero quindi lo stesso valore delle Scritture dell’Antico Testamento. L’apostolo Pietro, scrivendo circa le lettere di Paolo, dice: « In esse ci sono alcune cose difficili a capirsi, che gli uomini ignoranti e instabili travisano a loro perdizione come anche le altre Scritture » (2 Pietro 3, 16b).