Il Santuario di Belice

     

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Appunti di fenomenologia della religiosità

popolare a Castel Belice

di Carmelina Chiara Canta e Roberto Cipriani

 

Un giorno di molto tempo fa, un 3 maggio la duchessa Ferrandina Alvarez espose dentro la chiesetta del suo feudo di Castel Belice il Crocifisso ligneo regalatole dal padre guardiano Michelangelo La Placa, che lo aveva fatto scolpire nel 1638 da fra Innocenzo da Petralia dei Frati Minori. Questo si evince da quanto ha scritto il Sac. Luigi Irnmordino di Villalba (1).

Nel 1982 un poeta di Marianopoli, in maniera molto significativa, scriveva:

“...A nuantri ni lassau sti insegnamenti

nsemi a lu crucifissu di Bilici

Avi du o tricentanni ca li genti

vannu mpellegrinaggiu e su felici

lu tri di maiu d'ogni annu iamu

a lu so santuariu e lu ludamu ...” (2).

Per alcuni sono passati 350, per altri 200 o 300 anni dall'inizio del pellegrinaggio, ma indipendentemente dalle discordanze storiche o da quanto dicono le leggende e la fantasia popolare, è un dato di fatto che ogni anno migliaia di fedeli (il 3 maggio 1995

sono stati oltre 7 mila) in un giorno feriale vengano qui, a piedi, da molti paesi della Sicilia, in particolare dalla provincia di Caltanissetta e di Palermo. Marianopoli, Villalba, Vallelunga, S. Caterina Vill.sa, S. Cataldo, Serradifalco, Resuttano, Alia, Gangi, Caltavuturo, Geraci, Petralia Sottana e Soprana, Mussomeli, Sutera, Valledolmo, Castellana Sicula, Caltanissetta e Bompietro sono i paesi da cui provengono la maggior parte dei pellegrini, anche se non manca qualcuno che viene da piu lontano, perfino da Catania.

“Da centinaia di anni tutto questo continua ancora oggi ‑ diceva un pellegrino provenierlte da Petralia ‑ questo ha qualche cosa di straordinario. Dio esiste. Probabilmente per molti intellettuali ciò e sconcertante” (3).

Che cosa spinge, ogni primavera, da 350 anni orrmai, gruppi di donne, uomini, giovani e bambini provenienti da lontano, in macchina o in pullman a salire infine a piedi (molti a piedi scalzi) sulla collina alla cui sommità è collocata la chiesetta dell'ex feudo di Castel Bilici?

Non sono pochi i pellegrini che partono all'alba da Resuttano o da Petralia per fare l'intero “viaggio” a piedi, senza l'uso di alcun mezzo.

E’ proprio questo fenomeno di religiosità popolare che sta analizzando il gruppo di studiosi guidato dal Prof. Roberto Cipriani, nell'indagine socioantropologica in corso, commissionata dal Centro Studi “A. Cammarata” di San Cataldo.

Lo studio, iniziato con una “ricerca di sfondo” e una “ricognizione sul territorio” nel maggio 1994, utilizza dal punto di vista metodologico oltre agli strumenti “abituali” dell'indagine sociologica, quali l'intervista e l'osservazione partecipante, anche la ripresa dei fenomeni analizzati tramite la fotografia e la videoregistrazione, strumenti certamente efficaci della “comunicazione sociale”.

Molti sono gli interrogativi che costituiscono alcune delle ipotesi della ricerca su “U Crucifissu di Bilici?:

‑ E possibile un “identikit” del pellegrino di Bilici?

‑ Qual è la fenomenologia della religiosita popolare e quali forme di devozione praticano i devoti di questo territorio?

‑ E’ mutato nel tempo il rapporto dei fedeli col Crocifisso?

‑ Il rapporto del fedele col Crocifisso è di tipo “personale” o è “mediato” dalla Chiesa?

‑ La tipologia dei fedeli‑pellegrini che si recano dal Crocifisso di Belici e diversa da quella che esiste in altri luoghi?

‑ In particolare, quanto il contesto culturale, agricolo e pastorale di questa vallata rende “unico” il pellegrino del “Bilici,>?

Senza avere alcuna pretesa di esaustivita, ci pare opportuno fare alcune considerazioni che scaturiscono da una prima osservazione realizzata il 3 maggio 1994 e dalle interviste condotte nel maggio 1995.

 

IL PANI

Il “devoto” va dal Crocifisso per sciogliere un voto, chiedere una grazia. E’ un pellegrino che parla un linguaggio semplice e coerente e porta un ringraziamento altrettanto coerente e “concreto” per la grazia che ha ricevuto: una gamba, una testa, una figura umana, tutte fatte di “pane”, che viene deposto sul “banco del pane”, collocato all'interno della chiesa e che verra distribuito a tutti i pellegrini. Questo è un uso molto diffuso in tutta la Sicilia e in particolare nelle zone interne, anche per molti altri santi: S. Antonio, S. Elisabetta, S. Lucia, S. Giuseppe. Probabilmente in altri tempi, in cui in queste zone la fame era una piaga endemica, il voto consisteva nel portare il pane per i poveri. Anche oggi, oltre a quello che viene portato dai pellegrini, vengono distribuite centinaia di chili di pane che ha preparato il comitato che gestisce la festa.

Molti portano la loro offerta in denaro, in forma molto personale e libera e questo avveniva anche in passato se ancora oggi parlano, probabilmente esagerando alquanto, delle “ceste” colme di denaro e dei litigi “a colpi di bastone” (3) tra i “partitari” che organizzavano la festa e poi dividevano i proventi.

Altri portano ex voto, nella piccola chiesa infatti sono visibili molti di questi (di cera, d'oro e d'argento), che i pellegrini hanno portato in tempi lontani, a giudicare dalle date ivi apposte.

 

LA TRAZZERA Dl MARIANOPOLI

Gli abitanti di Marianopoli sono certamente i maggiori frequentatori del santuario. Alla fine del sentiero che da Marianopoli porta al santuario e che diventa faticoso e ripido nell'ultimo tratto, arrivano numerosi, nella tarda mattinata, molti pellegrini, soprattutto giovani e a gruppi numerosi e disordinati. La visita al “Signuri di Bilici” spezza il ritmo quotidiano del tempo; anche chi abitualmente lavora interrompe per quel giorno la sua attivita, ma altri raggiungono amici e parenti piu tardi, “quando la mandria ritorna dal pascolo” come riferisce del proprio marito una giovane donna che arriva a piedi con un bimbo di appena quattro mesi in braccio.

Anche il pellegrinaggio organizzato nel maggio '95, nel pomeriggio delLa vigilia dal parroco della chiesa madre di Marianopoli, ha percorso questo “antico sentiero”, che non è certamente agevole.

Per tutta la durata del percorso si recita, nel dialetto locale l'antico rosario alla Santa Croce “milli voti Gesù, Gesù, Gesù....” intercalato da canti.

Ancora lungo la stessa “trazzera”, così come vuole la tradizione, si usa raccogliere delle “pietruzze”, che poi saranno usate durante l'inverno per scongiurare pericoli e calamita naturali. Qualche giovane ricorda dei propri nonni che avevano di questi sassolini e li buttavano sul tetto della propria casa per proteggerla dai temporali.

Di quest'uso esistono due versioni: altri infatti riferiscono che i pellegrini partivano con tanti sassolini, tanti per indicare le decine del rosario della Santa Croce, che recitavano lungo il percorso e le andavano disseminando sulla strada mentre altri li raccoglievano e li portavano a casa, per utilizzarli nei momenti di maggior pericolo alle persone e alle cose.

Nel 1995 un'analoga processione di pellegrini provenienti da Villalba, insieme al loro parroco, si è snodata dal punto in cui ha fine la strada asfaltata e inizia il sentiero che arriva fino al santuario, dove si è congiunto con il gruppo di Marianopoli.

 

UNA FESTA DI PRIMAVERA

L'atmosfera è quella della festa campestre, della scampagnata primaverile. Moltissimi sono gli adulti, gli anziani, ma non mancano i giovani. Gruppi di studenti della vicina Marianopoli disertano le lezioni per salire su al santuario, dopo aver camminato per due ore. Passano tutta la mattinata in allegria. In particolare abbiamo incontrato e seguito un gruppo, piu volte nella mattinata, ora nello spiazzo antistante la chiesa, ora nel cortile interno, poi al “calvario”, all'altra estremita del colle.

Anche nel salone interno al cortile, in quel grande locale che è stato ora stalla e ora granaio, ci sono gruppi di persone che scherzano allegramente mentre consumano il loro “pranzo a sacco”. Sono soprattutto gruppi familiari molto numerosi, di “famiglie patriarcali” (suoceri, cognati, fratelli, figli, nipoti... 25 persone!), che si organizzano con macchine proprie.

La dimensione della festa campestre è certamente antica e infatti i più anziani ricordano e raccontano, con una certa reticenza, che molti anni fa, quando partivano in gruppi dai paesi, sui cavalli, ognuno con la propria famiglia, arrivavano uno o due giorni prima e la sera della vigilia, nel grande salone che ancora oggi si affaccia sul cortile, si creava un clima di allegria e di gioia. Si cantavano motivi popolari al suono di una fisarmonica e molti, soprattutto giovani, ballavano fino a tardi, aspettando il nascere del giorno della “Santa Croce”. Per alcune coppie giovani, sposate da qualche mese il “viaggio a Bilici” era atteso con trepidazione e costituiva, insieme al “viaggio” a Caltanissetta per le “vare” della settimana Santa, il “viaggio di nozze”. Per molti questa rimaneva la prima se non proprio l'unica esperienza di viaggio fuori dal proprio paese. Oggi l'uso dell'automobile, che permette di raggiungere il santuario in minor tempo, ha cambiato molto queste usanze; nessuno arriva più la vigilia né prima delle 7,30 del mattino del 3 maggio.

 

LA DEVOZIONE POPOLARE DEL CR0CIFISSO

Fino ad alcuni anni fa (forse l'89), probabilmente prima dell'ultimo restauro, come riferisce sompre qualche pellegrino, c'era l'abitudine di prendere una piccola parte del legno del Crocifisso e di mangiarla pensando che cio avesse un potere taumaturgico.

Oggi questo potere è stato trasferito alle ferite sanguinanti del Crocifisso, soprattutto quelle del costato, il cui sangue scorre per tutte le costole. Sono queste che i pellegrini vanno a baciare quando il Crocifisso e ancora in chiesa, sulla scala posta davanti all'immagine, proprio dietro l'altare. Alla fine della processione, in un clima di commozione generale, i fedeli baciano il Cristo da lontano e porgono i fazzoletti perche “asciughino” le ferite e poi li conservano come relique.

Un particolare significato “miracoloso” e “protettivo” viene attribuito anche al “nastro rosso” distribuito insieme all'immaginetta del Crocifisso. Molti lo legano alla croce di ferro che in epoca piu recente è stata posta sul Calvario, poco distante dalla chiesa in cui e posta la venerata immagine. Alcuni, soprattutto i giovani lo portano come un bracciale e lo conservano come un bene prezioso.

Marianopoli e Villalba sono certamente i paesi maggiormente coinvolti nel culto del Crocifisso di Bilici e si è instaurata una certa solidarietà, rafforzata anche dall'isolamento di questi due paesi rispetto agli altri, certamente meglio collegati da strade piu agevoli.

Anche le leggende sul Crocifisso hanno tre varianti che fanno riferimento a Petralia, Villalba e Marianopoli.

 

Nella religiosità popolare la devozione al Crocifisso, in particolare in questa zona interna della Sicilia è molto diffusa e sicuramente e legata alla predicazione dei gesuiti. Anche a Valledolmo, Resuttano, Bisacquino è molto radicata la devozione al Crocifisso e processioni e feste si svolgono in quei giorni, il 2 o il 4 di maggio in ogni caso in modo da non interferire col pellegrinaggio di Belice, che rimane il punto di riferimento e la festa piu sentita.

Queste stesse considerazioni valgono per i sancataldesi, i quali non solo sono molto numerosi il 3 maggio a Belice, ma hanno una forte devozione per il crocifisso espressa in varie forme e legate ad una lunge tradizione; un prezioso crocifisso in avorio dell'inizio del '700 è conservato nella chiesa madre di San Cataldo. “Veneratissimo” e anche il crocifisso di p. Rosario Pirrelli, la cui predicazione era incentrata sul Crocifisso “che portava sempre con sé”. Oggi le sue ossa sono deposte nella chiesa di S. Stefano in San Cataldo (4).

Anche nella vicina S. Caterina si svolge una festa al Crocifisso e sempre allo stesso sono dedicate le edicole nel paese, oggetto di devozione popolare per tutto il mese di maggio.

La fede nel Crocifisso percorre sentieri certamente diversi da quelladella scienza, ma la gente ha bisogno di credere che il soprannaturale sia presente nella vita quotidiana e che questa “presenza” sia benefica e porti salvezza: e infatti “Grazia, Signiruzzu!” è il grido fiducioso e accorato con cui i pellegrini continuano a rivolgersi al Cristo “miracoloso”.

 


Note

(1) Sac. Luigi Immordino, Il SS. Crocifisso venerato nell’ex feudo di Castel-Belice, Villalba, 1959, p. 15

 (2) II brano è tratto dalla poesia di Mansueto Montagna pubblicata in: C. Montagna (a cura di), Il crocifisso e il Santuario di castel Belicii, Marianopoli, 1984.

(3) Queste notizie sono state ricavate dalle inerviste fatte ai pellegrini arrivati il 3 maggio del 1994 e 1995 ed altre raccolte nei giorni 1‑4 maggio nei paesi di maggiore provenienza dei pellegrini, soprattutto a Marianopoli, Villalba e S. Caterina Villarmosa.

(4) C. Naro, Momenti e figure della Chiesa nissena dell’otto e novecento, edizioni del Seminario, 1989, pp. 15-22.

 

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