IL SAPORE DEL SANGUE

 

 

CAPITOLO QUINTO

 

“N-N-Nami…” Quel balbettio arrivò alle orecchie delle ragazza accompagnato dal rumore ritmico di due arcate dentali che cozzavano fra loro. “…tu sei p-p-proprio convinta che sia il caso di andare a fondo in questa f-f-faccenda?” Ma lo sguardo determinato di Nami, in completa antitesi con quello del suo socio che quasi se la faceva sotto, non lasciava adito a dubbi: la risposta era ‘sì’. “Te lo richiederò per sicurezza:” prese fiato Usop, le mani chiuse attorno alle scure inferriate dell’alta cancellata di ferro che circondava un’imponente villa a più piani, i cui muri esterni quasi interamente ricoperti di rampicanti, il giardino non proprio in ottime condizioni, l’erba alta che invadeva il vialetto di pietra che portava al grosso portone nero che, a sua volta, sotto ad uno stretto porticato, costituiva l’ingresso in quel piccolo maniero. “ne sei proprio sicura?”

   “Ci sono parecchi soldi in ballo, lo sai?”

   “Sì, ma le nostre vite valgono di più!” ululò a bassa voce il poveretto, timoroso che quel posto potesse pullulare di mostri e fantasmi ad ogni angolo. E la fitta pioggerella che ora cadeva dal cielo plumbeo, attutendo ogni rumore, dava una sensazione ancor più sgradevole, gravando ulteriormente sull’aspetto lugubre di quel castello.

   “Taci e seguimi” lo zittì Nami, facendosi avanti con le dita protese verso l’entrata del cancello che, subito, si aprì sotto la guida della sua mano inguantata.

   Ad Usop venne un colpo. “Pazza! Dove vai?!”

   Ma lei, incurante delle sue disperate suppliche, l’orlo della gonna, già zuppo d’acqua, sollevato di qualche centimetro da terra, avanzò per il vialetto, scavalcando di tanto in tanto qualche ramoscello spezzato dagli alberi che circondavano la villa.

   “Non puoi lasciarmi da solo!” piagnucolò ancora l’altro, affacciandosi sulla soglia della proprietà e guardandosi alle spalle.

   “Allora seguimi!” sbottò Nami, non potendone più, mentre si voltava a guardarlo. “Ma si può sapere di cosa hai paura? Questa villa pare disabitata, non lo vedi?”

   Usop tacque. Squadrò nuovamente la villa e notò diversi piccoli particolari che gli fecero presagire che quell’incosciente della sua compagna d’affari non avesse poi tutti i torti. “Ok, vengo con te!” si fece quindi avanti con fare baldanzoso, inciampando però in un ramo e finendo lungo disteso in terra. Centrò una grossa pozza d’acqua che schizzò addosso a Nami. Si rialzò sentendola borbottare una marea di imprecazioni e aggiunse con un sussurro: “Ma vai avanti tu, così posso coprirti le spalle”

   La rossa lo fissò male. Ma davvero molto male, eh. Aprì la bocca per replicare, ma la richiuse con un sospiro: era una causa persa. Scosse il capo e tornò a rivolgere la sua attenzione al grosso portone nero. Pochi passi ancora, e i due furono sotto al porticato. Nami richiuse l’ombrello, scrollandosi l’acqua di dosso, e, afferrando il pesante battente di ferro battuto dalla testa leonina, bussò rumorosamente.

   “Perché bussi?” domandò Usop, dietro di lei, asciugandosi dal viso l’acqua che lei gli aveva scrollato addosso per pura ed infantile vendetta.

   “E’ una questione di buone maniere” rispose logica Nami, gli occhi ai guanti che cercava di calzare meglio alle mani.

   “Sì, ma perché bussare se non c’è nessuno?”

   “Io non ho detto che non c’è nessuno”

   L’attimo di silenzio che seguì, sarebbe dovuto servire a far realizzare un concetto molto semplice ai neuroni del giovane dal lungo naso. Inutilmente, ad esser sinceri.

   “Ho detto che questa villa PARE disabitata, ma non è mica detto che lo sia” venne loro incontro la bella Nami, tornando a guardare il compagno.

   “Oh” balbettò questi, con fare pensieroso. “Bene” annuì quindi. “Buona fortuna!” le augurò voltandole le spalle per mettersi a fare marcia indietro di gran carriera.

   La ragazza lo afferrò per il bavero dell’impermeabile prima ancora che quello potesse muover muscolo, e lo strattonò talmente forte che lo fece andare a sbattere dritto contro il portone dall’aria sinistra. “Sii uomo, per la miseria!”

 

Dall’altra parte della strada, incurante dell’acqua che scendeva ad inzuppargli il pastrano scuro e logoro, un ragazzone alto e massiccio scrutava la situazione da lontano: quella sciocca pareva davvero volersi mettere nei guai. Eppure glielo aveva detto, l’aveva avvertita di fare attenzione… Evidentemente, si convinse il giovane, quella non era una signorina come tutte le altre, affatto. Anzi, forse era addirittura come lui.

   Sorrise divertito: la sfida era dunque aperta.

 

 

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