IL SAPORE DEL SANGUE

 

 

CAPITOLO SESTO

 

Ovviamente, dato che la villa doveva essere disabitata, qualcuno aprì loro. Luce esplose dall’interno, illuminando d’improvviso il vecchio giardino; qualcuno li osservò, interessato, come una volpe tende a studiare la sua preda. Qualcuno di assolutamente, tremendamente, incredibilmente…

  “SPAVENTOSOOO!” Usop alzò le braccia al cielo, urlò come un pazzo e prese a correre per il grande, malcurato giardino in rovi. Una specie di coniglio troppo cresciuto, al quale Nami rivolse ben più d’una occhiata assassina. Quindi, vedendo che il poveretto era troppo distratto a cercare un’improbabile via di fuga attraverso un cunicolo scavato con le unghie, decise di prestare la propria attenzione a colui che aveva spalancato il portone. E rimase a bocca aperta.

  Aveva capelli rossi, come i suoi. Solo che era un’altra sfumatura di rosso. Una sfumatura più intensa, brillante… simile al colore del sangue, ecco. E gli occhi? Magnetici, quasi ipnotici. Riflettevano deliziosamente la pallida luce della lanterna che teneva in una mano, e, chissà per quale motivo, una mano di Nami salì a coprirsi il candido collo. Fu una cosa maledettamente istintiva, forse portata dal fatto che le sue pupille, quasi indistinguibili dal resto dell’iride, sembravano straordinariamente fisse sulla sua indifesa carotide.

  “Buona sera, Milady” Salutò con voce melodiosa, capace di farla sussultare. La magia, si ricordò la ragazza, loro sono pieni di magia. Possono usarla per confondere gli umani. Anzi, amano usarla per confonderci, come un gatto ama giocherellare con il topo. Devo stare attenta.

  Stare attenta? Com’era possibile stare attente, quando un uomo simile, elegantemente vestito, deliziosamente profumato, meravigliosamente pallido, scivolava verso di lei, sollevandole con grazia una mano guantata, e soffiandovi sopra un delicato bacio?

  “Siete un incanto” Proclamò, apparentemente non notando il fatto che lei stesse per liquefarsi ai suoi piedi. “Qual è il vostro nome?”

  Di’ una bugia, di’ una bugia, di’ una bugia… “Mi… mi chiamo… Nami.” Oh, no. Non dovevo dire una bugia?

  “Un nome meraviglioso.” Si complimentò l’uomo. “Posso invitarvi ad entrare?”

  Costui aveva appena aperto nel pieno della notte ad una perfetta sconosciuta, presentandosi non in pigiama, come farebbero tutti i comuni mortali, ma bensì vestito come una persona in procinto di recarsi ad una lussuosa festa a corte. Non pago di queste stranezze, ora stava invitando ad entrare la perfetta sconosciuta, osservandola come se la conoscesse da sempre. Eppure, nonostante tutti i controsensi di quella faccenda, Nami altro non poté fare, se non un sorriso educato, che comparve quando lei, decisamente povera di parole, annuì, accettando il cortese invito.

  “Meraviglioso. Entri, entri.”

  Queste parole scivolarono all’orecchio di Usop, il quale, con energie trovate chissà dove, già aveva ottenuto una splendida via di fuga, nella quale era sprofondato sino alla vita. Riemerse di scatto.

  “Ehi!” urlò. “Ehi, dove stai andando?”

  Nami parve riemergere da un sogno. Ebbe un tremito per il corpo, mentre, in un lampo di ritrovata coscienza, si volse ad osservare Usop.

  “E’ vero…” rammentò. “Lui è con me.”

  “Ah.” Shanks il Rosso osservò quello che definì un inutile omuncolo; quindi, con un sorriso benevolente, decise che due bistecche al sangue erano assai meglio di una. “Allora si accomodi anche lei, mio caro” Fece un ampio gesto con il mantello.

  “COSA? No, guardi, io…” Usop fece l’errore di osservare Shanks negli occhi. Di osservarlo attentamente. “Io…”

  “Lei?” S’incuriosì con estrema eleganza il rosso. Un brillio parve esplodere tra le sue ciglia, segno della magia che, potente, aveva incatenato l’assistente di Nami, trascinandolo verso fine certa.

  “Io stavo giusto per entrare…” Ammise, seguendo come un bravo agnellino ospite e padrone di casa.

  Il portone si richiuse alle loro spalle, oscurando il giardino.

 

 

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