IL SAPORE DEL SANGUE

 

 

CAPITOLO OTTAVO

 

Vi fu un dolce bussare.

   Sembra impossibile che il suono di nocche che battono ad un grande portone di legno possano sembrare all’orecchio umano dotate di una sfumatura di dolcezza, eppure quelle lo furono. Il cucciolo avvertì tutto l’amore della sua creatrice, in quel bussare. E sprofondò maggiormente nelle preziose sete delle sue lenzuola.

   Il silenzio dell’attesa fu lungo. Robin, fuori dalla porta, donna di marmo elegantemente vestita, esitò solo un attimo, prima di riavvicinare la mano al legno, bussando una seconda volta.

   “Non ci sono.” mugolò finalmente una voce imbronciata dall’interno. Che buffo che era, il loro cucciolo. Lo aveva adorato sin dalla prima volta che l’aveva incrociato, lui garzone di un’osteria, lei ricca viandante dallo sguardo magnetico. Aveva intuito in lui una luce splendente, abbagliante; ed aveva proposto a Sanji, il suo unico, eterno, immortale amore, di prenderlo con loro: di avere un figlio tenebroso, inventando una scappatoia a quella scriteriata legge naturale che impediva a quelli come loro di poter udire i vagiti di un neonato concepito col proprio sentimento.

   “Se non ci fossi, come potresti rispondere?” mormorò con un sorriso intenerito.

   “Non lo so.” ammise la voce dall’interno.

   “E dunque aprimi.”

   Per un attimo pensò che lui non l’avrebbe fatto. Era un vampiro bizzarro, quel ragazzo: la trasformazione lo aveva condotto su di una strada inedita, spegnendo lentamente – ma inesorabilmente – quella brillantezza che l’aveva indotta ad amarlo. Ora, terrorizzato dalla propria vita eterna, demoralizzato dal non poter più godere del sole, e, soprattutto, per nulla smanioso di nutrirsi col sacro sangue, egli era una creatura che a stento lei capiva. E il suo cuore si stringeva, a quel pensiero.

   Quando l’uscio fu aperto, apparve un ragazzo. I capelli erano corvini, come lo erano anche gli occhi, grandi ed innocenti. Non indossava abiti eleganti, li rifiutava come rifiutava il sangue. Però, ed era questo che ancora accendeva una minuscola speranza in lei, non mancava di rivolgerle sguardi ricolmi di affetto. Perché lui comprendeva quanto amore lei provasse per quel suo figlio delle tenebre, e non gli riusciva proprio di detestarla per ciò che gli era stato fatto; anzi.

   “Non voglio uscire a caccia.” proclamò, col tono di un bambino. Robin, non resistendo un minuto di più, l’attrasse a sé, carezzandolo come avrebbe carezzato quel pargolo che, se non fosse stata strappata alla vita così giovane, certamente avrebbe avuto, avrebbe cullato. Avrebbe cresciuto.

   Lei strofinò il proprio capo contro quello di lui, distrutta nell’animo per l’evidente mal di vivere che aveva colto il suo cucciolo. Eppure, mio amore, noi volevamo renderti infinito… ed infinitamente felice…

   “Non usciremo.” promise, gli occhi color zaffiro che guizzarono di bagliori sovrannaturali.

 

Nami decise che era il momento di fare il punto della situazione.

   Bussare era stato stupido. Va bene, un errore a suo svantaggio.

   Fissare negli occhi quel – tenebroso, carismatico, sensuale… - maledetto vampiro s’era rivelata un’imprudenza decisamente troppo stupida. Segnò anche quello nella tabella del ‘non si fa’.

   Entrare nella residenza di almeno quattro succhia sangue patentati come quelli, infine, aveva completato il tutto. Tombola.

   Ma non era certo ancora tutto perduto. In primo luogo, Shanks the Red non dava idea d’essersi accorto del suo risveglio dall’incantesimo. E questo era un vantaggio. Forse con Usop avrebbe potuto…

   “Lei è davvero splendido. Davvero, davvero splendido. Ho già detto che è splendido?” proclamò il nasone, decisamente ancora sotto l’effetto del potere vampiresco.

   “Io trovo molto attraente il tuo collo…” sorrise con aria malandrina Shanks, carezzandolo.

   “Oh, che onore! Lo osservi pure da vicino, se gradisce…” Usop fece per allungarlo, ma fu atterrato da un calcio agli stinchi di Nami. Cadde a terra, ululante.

   Nami, prima che Shanks potesse – o desiderasse – reagire, già gli era addosso, ringhiante, un paletto in legno puntato sul cuore dell’immobile vampiro. Una mano di lei lo afferrò per un polso, impedendogli di muovere il braccio destro; per quanto riguarda il sinistro, fu costretto sotto il dolce peso della donna, pronta a lottare con tutta sé stessa per la propria vita.

   “Non una mossa.” Ringhiò, la lunga gonna che ricoprì quasi per intero la parte inferiore del vampiro caduto a terra sotto di lei.

   Shanks, superata la piccola sorpresa, le rivolse un sorriso, divertito dal fatto che lei osservasse qualsiasi cosa, tranne che i suoi occhi. Ora stava attenta, la signorina…

   “Non lo farai.” proclamò, tranquillo.

   “Perché no?” sibilò lei, mentre Usop, ritrovata la sensibilità alle gambe e la propria, precaria, sanità mentale, resosi infine conto di dove era già cercava la via di fuga attraverso la cappa del camino.

   “Perché io leggo nel pensiero. E so che ti serve un vampiro vivo…” il sorriso di lui scoprì i canini, avvertendo la scarica di adrenalina nel corpo di lei. “Inoltre…”

   “Inoltre?” il tono di Nami rimase duro, e la fanciulla sperò che lui non vi rilevasse una sottile nota di panico. Ma tanto a che sarebbe servito? Lo avrebbe letto nella sua mente…

   “Inoltre, i miei figli non apprezzano che mi si riservi questo trattamento.”

   In quella, un biondo, oscuro, potente vampiro, giuntole alle spalle, la sollevò, prendendola tra le proprie braccia. Nami lottò, con le unghie e con i denti, eppure non riuscì a smuovere di un dito quella fredda, ferrea, mortuaria presa.

   “Siete davvero meravigliosa, Milady…” si complimentò il nuovo arrivato, soffiando una nuvola di fumo verso il suo viso.

   Usop, novello Babbo Natale, decise che quello era il momento giusto per perdere la presa, e rovinare giù per il camino, sollevando una marea di fuliggine a causa dello sconclusionato atterraggio.

 

 

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