IL SAPORE DEL SANGUE

 

 

CAPITOLO NONO

 

  

Poteva forse chiedere di meglio che esser prigioniera di un branco di vampiri? Certo che no.

   Maledisse quel ritardato del dottor Hillk. O forse, le suggerì una saggia voce dentro la sua testa, probabilmente la voce della sua coscienza, avrebbe dovuto maledire la propria avventatezza. Eppure, come sempre preda dell’orgoglio, maledisse quella stupida voce che le rimproverava di esser stata poco furba.

   E non si sa bene come, alla mente le tornò improvviso il ricordo di quell’uomo nel vicolo. No, non quello che le aveva chiesto quanto prendeva, ma quello che l’aveva guardata con occhi fissi, scuri ed imperturbabili, e lucidi, nonostante i fiumi d’alcol che doveva contenere il suo corpo. Le aveva parlato dei Succhiatori di Sangue, come se li stesse cercando anche lui. E in più aveva anche fatto cenno al fatto che, con tutta probabilità, sarebbe stato lui a metter fine alla loro secolare ed inumana razza.

   Già che si ritrovava maledicendo a destra e a manca, maledisse anche quel tizio ubriaco ma lucido: se diceva di voler sterminare i vampiri, perché diavolaccio non si era messo subito a caccia di quelli che ora stavano per succhiarle il sangue?! Al diavolo il professore e le sue paranoiche ricerche da scienziato pazzo! Al diavolo il romanziere che gli aveva suggerito quelle follie!

   “Al diavolo! Tutti!” ringhiò quindi, quando, ancora stretta fra le braccia di Sanji, il vampiro biondo, si preparava ad assistere, impotente, alla nuova ipnosi cui il suo compagno di sventura sarebbe stato costretto a subire dal rosso padrone di casa.

   Sanji, alle sue spalle, sorrise. “Milady…” cominciò con la sua solita voce suadente, stringendole le braccia con delicatezza, segno che, vampiro o meno, era da sempre stato abituato a trattare col gentil sesso e che quindi, probabilmente, nella sua vita passata, era stato un elegante dongiovanni. “Non credo che le vostre maledizioni possano molto contro chi è già divenuto figlio del Signore Oscuro…” sussurrò avvicinando le labbra all’orecchio scoperto di lei.

   Nami tentò di evitare quel contatto, ed in suo aiuto venne la voce di una donna che in quel momento fece il suo ingresso in sala al braccio di un ragazzo. Era bellissima. Non v’erano parole per descrivere la sua eleganza, la sua figura. Alta, snella, formosa dove occorreva, aveva due occhi chiari come il cielo estivo, eppure così freddi, gelidi, magnetici…

   Nami dovette fare violenza contro se stessa per non fissarla ancora: pena, subire ancora una volta l’ipnosi di quegli esseri immortali ed assassini. Spostò lo sguardo sul ragazzo che accompagnava quella regina dai capelli corvini, e fu a quel punto che corrucciò la fronte: lui era diverso.

   Aveva tratti fanciulleschi, occhi grandi e intelligenti, un viso innocente. Non aveva il minimo tratto di malignità nello sguardo, solo molta tristezza. Il cuore le si piegò per la compassione che quel prigioniero le insinuò in seno, e per un attimo smise di divincolarsi dalla ferrea, e al contempo dolce, presa del suo carceriere. Perché quel ragazzo si trovava lì? Certo, aveva riconosciuto in lui l’ombra della Morte che contraddistingueva anche gli altri tre, eppure… Eppure lui non aveva l’aria di uno che si divertiva. Osservava lei e l’altro ospite senza malizia, senza quel gelido sorriso che invece si poteva riscontrare sulle labbra dei suoi complici.

   Era diverso da loro.

 

Gettò uno sguardo al comignolo dal quale da un po’ aveva smesso di uscire il fumo: il fuoco era dunque stato spento. Che il banchetto fosse già finito? No, non era passato il tempo sufficiente per sfamare quei quattro famelici assassini, lo sapeva bene. Quei maledetti Succhiatori di Sangue si divertivano con le loro prede, amavano sedurle, amavano giocarci. Solamente una volta che il loro diletto era stato appagato, passavano all’azione. A meno che la loro preda non si fosse ribellata loro, certo.

   Forse poteva concedersi il lusso di preoccuparsi.

   Sbadigliò stiracchiandosi i muscoli delle braccia e delle spalle, e finalmente si mosse. Scavalcò il bordo del comignolo con una gamba, e tornando a dare un’occhiata all’interno di quel tunnel verticale, si lasciò scivolare giù, inghiottito dal buio.

 

 

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