IL SAPORE DEL SANGUE

 

 

CAPITOLO DODICESIMO

 

“Secondo me, dovevamo chiedere consiglio a lui…” azzardò ancora una volta Usop, seguendola con evidente difficoltà: Nami aveva preso quel suo passo caratteristico, quello portato solo da una tale quantità di furia da risultare pericolosa per ogni forma di vita presente nei paraggi… e starle dietro non era affatto semplice.

  “Ti sei bevuto il cervello?” s’informò, non proprio con la gentilezza di una sacerdotessa. “Quello era un fanfarone, ecco cos’era!”

  “Sì? Mi sembrava sapesse il fatto suo…” Usop, poveretto, non aveva idea del guaio dove si stava cacciando. Per usare un’efficace immagine metaforica, ogni parola pronunciata in quel senso era per lui la proverbiale zappata con cui si stava scavando la fossa.

  “Il fatto suo! Ha fatto un po’ di polvere, mi ha palpata ed è corso via!”

  “Va bene, è stato grezzo, ma potrebbe aiutarci…”

  “Piuttosto che chiedere consiglio a quel…” seguì una lunga, lunghissima lista di aggettivi che è assai meglio non trascrivere. “… Piuttosto, io lo…” e dalle labbra della fanciulla uscirono una serie di propositi talmente sanguinari, che un serial killer, udendola, sarebbe fuggito a gambe levate. Usop impallidì, decidendo fosse saggio non proporre mai più a Nami una cosa simile.

  Proseguì a zampettare dietro di lei, annaspando; erano diretti, lo sapeva, alla casa del vecchio professore pazzo: abitando egli – per allucinanti motivi collegati ad ancor più allucinanti fobie – in una casupola sul cocuzzolo di una ripida collina, gli ospiti erano sempre costretti ad abbandonare carrozze e cavalli ai piedi della stessa, per affrontare una lunga, estenuante, terribile arrampicata. Inoltre, dovevano possedere le chiavi dei cinque cancelli, conoscere il segreto per addormentare l’Idra del fosso (un po’ di solletico alla base del collo; di uno qualsiasi dei colli ), sapere a memoria il percorso per evitare le tagliole e sapere che fare cucci-cucci bau-bau a uno dei suoi enormi, sbavanti e sanguinari cani da guardia non era una buona idea

  Il professore non era famoso per il numero dei suoi amici; proprio no.

  Ma Nami e Usop lo sopportavano: perché era pazzo, sì, ma un pazzo pieno di soldi. E i soldi, uniti a pazzi disposti a scialacquarli, piacevano ad entrambi.

  “Ma io non potevo aspettare giù?” Usop mise insieme la faccia più tranquilla che trovò, cercando di far notare ai grossi cani da guardia che lui non aveva affatto paura. Mera menzogna, della quale i canidi si accorsero, ringhiando minacciosi. “C’è quell’assistente che…”

  Giunsero innanzi al portone, al quale Nami, senza degnare di attenzione i balbettii sconnessi del compagno d’avventura, bussò con una grazia ritrovata chissà dove.

  Dietro alla spessa parete in legno vi furono una serie di rumori curiosi: tonfi, gridolii, altri tonfi, un lieve starnazzare, un ultimo colpo. Quindi, riassestandosi alla bell’e meglio abiti e piumaggio, l’assistente del dottore aprì loro.

   Era nuovo, il ragazzo. L’assistente precedente era sparito in seguito a misteriose circostanze che né Nami né, tanto meno, Usop avevano inteso approfondire. Ed era stato rapidamente sostituito.

  Ma se quello vecchio, una specie di renna parlante, era stato strano, quello nuovo aveva il dono di essere… qualcosa al di là dello strano… ed anche qualcosa al di là del sorprendente… era un qualcosa di obbrobrioso. Niente di meno, e forse qualche cosina in più.

  “Ospiti!” squittì allegro Bonkure, l’assistente, troppo impegnato a rullare con eccitazione sulle punte per osservarli con attenzione. Quindi, purtroppo per loro, si decise a guardarli: e impazzì fino in fondo. “BEL NASONE!” gorgogliò, saltando al collo di Usop, attorcigliandosi con le nude – e pelose – gambe all’inerme corpo di lui. “SEI VENUTO A TROVARMI!”

  “No, no, no!” Usop tentò in ogni modo un accenno di ribellione, mentre Nami, stanca di quella routine, borbottando qualcosa come ‘fate come se non ci fossi’, li oltrepassò, avviandosi all’interno dell’abitazione.

  “Bello il mio nasone! Ma che bel nasone lungo! Ma che bel nasone duro! Uh, uh, uh!” Usop, afferrato per la gola, fu costretto ad inscenare con egli una versione deformata della morte del cigno… cigno che, ovviamente, morì tra le braccia di Bonkure. “Sei così aggraziato, oh Nasone!”

  “Ieri sera un pazzo che mi accarezza il collo… ora questo…” singhiozzò l’improvvisato ballerino, ottenendo lo spaventoso effetto d’incuriosire Bonkure.

  “Quale pazzo?” domandò, lasciandolo andare. Usop, con una piroetta puramente istintiva, ricadde esausto sul divanetto dell’ingresso.

  “Beh, ieri sera abbiamo trovato i vampiri…”

  “Oh!” la bocca dell’assistente divenne un cerchio perfetto.

  “E uno di loro voleva mordermi… sul collo!”

  “OH!” sul cerchio perfetto vennero posate le dita di una manina.

  “Ma io ho reagito, e…”

 

“Ed è arrivato un borioso, puzzolente…” il professore si lasciò scappare un sorriso, che badò bene di celare dietro il volume che stava leggendo. La fanciulla innanzi a lui, quella rossa tutto pepe che aveva assoldato allo scopo di procurargli un bel vampiro fresco fresco da utilizzare al posto delle cavie di laboratorio, era letteralmente fuori di sé. Per colpa di un misterioso forestiero, sì. Aveva orgoglio da vendere, la piccola. Per questo gli era piaciuta, sin dall’inizio: un giorno, forse, le avrebbe rivolto qualche parola carina, le avrebbe offerto un drink, l’avrebbe confusa… ed infine l’avrebbe vivisezionata nel suo laboratorio! Ah, quali dolci sogni…

  Nami sbatté entrambe le mani sul suo tavolo, riportandolo bruscamente a quella dura realtà dove lui non aveva mani imbrattate di sangue e lei non era ancora un innesto tra un umano, un levriero e un geranio.

  “Mi state ascoltando, o siete di nuovo perso nei labirinti della vostra pazzia?” sibilò la rossa, come sempre piena di tatto. “Senza dirci niente, voi avete assoldato un altro cacciatore! Non è così?”

  “Non è così” rispose, pacato, posando infine la sua lettura. “E lo dimostra il fatto che lui volesse uccidere i vampiri. Io li voglio vivi, no?”

  Sì, il discorso filava.

  Dalla stanza attigua, Bonkure emetteva versetti d’eccitazione al racconto certamente pieno d’eroismo che Usop stava propinando lui.

  Il professore sospirò.

  “Se ho capito bene la descrizione da te fornitami, credo di sapere con chi abbiamo a che fare.” ammise, cauto. “E’ Zoro, il Cacciatore.”

  “Zoro? Che razza di nome!” lei sbuffò. “Altre informazioni utili?”

  “Se la memoria non m’inganna, è l’unico ad aver invertito le parti.” ridacchiò il professore.

  “In che senso?”

  “Nel senso” lo sguardo di lui si oscurò di un’ironia al limite del macabro. “che non sono i vampiri a cacciare lui.”

 

 

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