IL SAPORE DEL SANGUE

 

 

CAPITOLO QUINDICESIMO

 

Varcata la soglia dell’appartamento del secondo piano, Nami dovette alzare immediatamente l’orlo della lunga gonna bagnata dal pavimento, terribilmente sporco ed impolverato. “Che schifo di casa!” esclamò guadagnandosi uno sguardo torvo dall’affittuario. “Pare rispecchiare il proprietario” aggiunse, rincarando la dose di insulti con una certa soddisfazione.

   Ma Zoro non abboccò e lasciò perdere, preferendo andare ad accendere il fuoco nel caminetto dell’anticamera. L’appartamento era in realtà composto da due sole stanze: quella in cui i nostri si trovavano ora, e la camera da letto. Era spoglio e trascurato, esattamente come appariva il suo proprietario, su questo bisogna dar ragione alla maleducazione di Miss Nami. Tuttavia se non ci si fermava alle apparenze, si scoprivano alcuni particolari interessanti; di questo la fanciulla, dotata di un ottimo spirito d’osservazione, se ne accorse subito: neanche un libro, in quella stanza. Che Mr Roronoa fosse analfabeta?, le venne da ironizzare. No, probabilmente non era tipo da perdersi in letture di piacere, visto il suo proposito di sterminare i vampiri; magari studiava solo testi sull’argomento. E questi testi, sicuramente, dovevano trovarsi nella camera attigua, ponderò spostando lo sguardo alla porta di legno scuro che fungeva da tramite fra i due ambienti.

   “Con permesso” fece Usop, non udendo il minimo invito a sedersi, e nemmeno ad entrare, a dirla tutta. Nami, invece, non aveva fatto complimenti e già si guardava attorno con fare curioso. “Dunque…” si schiarì la voce il suo socio, fermandosi in piedi davanti al divanetto vecchio e logoro che arredava, insieme ad altra mobilia modesta e in pessime condizioni, l’anticamera. “Siamo venuti fin qui per ringraziarvi per ieri notte…”

   “Pff!” sbuffò la fanciulla, alzando gli occhi al cielo e distogliendoli così da una vecchia cornice dal vetro rotto e talmente lurido che non si riusciva neanche a capire cosa potesse rappresentare. “Tagliamo corto, sì?” cominciò, già stanca di inutili chiacchiere. Perché ringraziare quel buzzurro era senza dubbio inutile. E nocivo: non aveva la minima intenzione di farsi sottomettere da quel tizio dalle mani lunghe e dallo sguardo invasato.

   “Che volete?” prese dunque parola il buzzurro in questione, alzandosi in piedi e spolverandosi le ginocchia dei pantaloni. “Non ho tempo da perdere, sono impegnato”

   “Vi assicuro che non vi ruberemo molto tempo, sign…” stava per rassicurarlo Usop. Ma Nami lo interruppe bruscamente, come era solita fare, e, accomodandosi senza tanti complimenti sullo spigolo di una sedia, bagnandola per gli abiti zuppi di pioggia, esclamò: “Non farmi ridere… Scommetto che passi il tuo tempo ad ubriacarti per i vicoli di giorno e a dar la caccia ai vampiri di notte”

   “Miss,” cominciò con fare apparentemente cortese Zoro, prendendo addirittura a darle del ‘voi’ ma guardandola dritta negli occhi con fare penetrante. “vorrei pregarvi di comportarvi come si addice ad una donna della vostra risma”

   “E’ quello che faccio solitamente” rimbeccò lei, alzando il mento e reggendo stoicamente lo sguardo intimidatorio del suo interlocutore.

   Quest’ultimo curvò le labbra all’insù in un sogghigno. “Si spiegano molte cose, capisco…” borbottò.

   Indispettita, ma non per questo sconfitta, Nami preferì cedere la parola al suo socio per non esser costretta a lasciarsi sfuggire pesantissime imprecazioni contro il Cacciatore. “Mr Roronoa, siamo qui perché, lo confessiamo, dopo averci dato quella prova di grande coraggio, la notte scorsa, abbiamo deciso di chiedere informazioni sul vostro conto”

   “E vi hanno detto che sono un pazzo ubriacone, scontroso ed ossessionato dai Succhiatori di Sangue, dico bene?” cantilenò subito con voce piatta Roronoa, facendo qualche passo strascicato verso la finestra ed osservando la pioggia che cadeva fitta sui tetti di Londra, le mani in tasca. C’era abituato a quel tipo di giudizi e nemmeno se ne curava, a dirla tutta. L’unica cosa che gli importava erano loro: i vampiri.

   “Vedo che è opinione comune, allora…” mormorò acida Nami, col sorriso sulle labbra. “Ahio!” sibilò un attimo dopo, per il calcetto che Usop le aveva assestato alla caviglia sinistra.

   “Al contrario! Al contrario!” proruppe lui con entusiasmo, cercando di non ascoltare le promesse di vendetta di quella pazza della sua collega. “Ci hanno parlato molto, molto bene di voi!”

   Zoro si volse a guardarlo stranito, un sopracciglio alzato in segno incredulità. “Prego…?”

   “Ecco, noi lavoriamo per il professor Hillk” cominciò a spiegargli il giovanotto dal lungo naso, avvicinandosi a lui e porgendogli un biglietto da visita. “E’ stato lui a parlarci in questi termini di voi e della vostra abilità!”

   Aveva cominciato ad annuire al nome di Hillk, l’altro, comprendendo finalmente molte cose; e quando Usop gli porse il biglietto da visita, lo snobbò con un: “Cosa vuole quel vecchio pazzo da me?”

   “Lo conosci bene?” domandò Nami, corrucciando la fronte: solo l’espressione ‘vecchio pazzo’, attribuita ad Hillk, bastava ed avanzava per giustificare e dar credito alla domanda da lei appena posta.

   “Mi contattò tempo fa per dare la caccia ai vampiri, probabilmente prima di assumere voi”

   “E perché non avete accettato la sua proposta?” chiese Usop, incuriosito. “Paga bene, sapete?”

   Zoro sorrise con fare enigmatico e rivolse ai due uno sguardo raggelante, lo stesso che lasciò impietrita Nami la notte del loro primo incontro, nei vicoli alla periferia della città. “Lui i vampiri li vuole vivi. Io li voglio morti”.

 

 

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