IL SAPORE DEL SANGUE

 

 

CAPITOLO DICIASSETTESIMO

 

La pioggia scendeva così scrosciante dal cielo di piombo, e ormai diventato ancor più scuro per l’approssimarsi della notte, che non solo i due ospiti dovettero accettare di rimanere per cena - invitati, ad ogni modo, non certo dall’inquilino del secondo piano, ma dalla cara Terracotta che vedeva in quei due il danaro che il disgraziato cui aveva affittato l’appartamento ancora le doveva - ma per di più furono costretti a rimanere in quella modesta pensioncina persino per la notte. Con grandissima gioia di tutti, si intende.

   E come, no?

   Usop, benché si sentisse decisamente al sicuro accanto al famoso e feroce Cacciatore, nel qual caso i vampiri fossero usciti nottetempo alla ricerca di una sanguinosa vendetta nei loro riguardi, non era comunque troppo entusiasta della cosa in quanto la sua sconosciuta e feroce collega gli incuteva molta più paura dei Succhiatori di Sangue. Nami, infatti, imprecante come sempre, borbottava improperi contro tutto e tutti: avrebbe dovuto dormire sotto lo stesso tetto dell’Essere, come lo aveva mentalmente appellato lei. Bleah! Forse, meglio i vampiri. Anzi, decisamente.

   Quando gli era stata comunicata la cosa da parte di Terracotta, Zoro aveva invece alzato le spalle: che facessero quel che più gli pareva, purché lo lasciassero dormire in santa pace.

 

E fu così che la padrona della pensione si era precipitata a lustrare l’appartamento di quello sciagurato inquilino al fine di renderlo presentabile e soprattutto decente per ospitare i due visitatori portatori di grana. Tra una spolverata ai mobili ed una spazzata ai pavimenti, oltretutto, si era avvicinata nel modo più discreto possibile all’avventore dal lungo naso e, di nascosto agli occhi degli altri, lo aveva tratto da parte.

   “Cosa c’è?”

   Terracotta esitò un attimo prima di umettarsi le labbra e domandare: “Voi siete il marito di quella ragazza, o non lo siete?”

   Usop avvertì un colpo al cuore: non che Nami fosse brutta, tutt’altro; ma mai avrebbe potuto sopravvivere accanto ad una moglie del genere. “No, vi sbagliate, signora…” boccheggiò con voce provata all’idea. “Per fortuna siamo solo buoni compagni di lavoro”

   “Ah…” commentò la donna corrucciando la fronte e rilassando i muscoli, tanto da lasciargli andare il braccio. “Mi pareva strano che una bella ragazza come quella potesse sposare uno come voi…”

   “Ehi!” s’indispettì il poveretto, non certo campione di bellezza.

   “Ma ditemi,” riprese l’altra. “E’ sposata?”

   “No”

   “Fidanzata?”

   “Nemmeno”

   “Oh, ecco perché è isterica” ragionò quindi, riprendendo le sue pulizie e facendo scoppiare a ridere Usop. Quest’ultimo, però, non poteva di certo immaginare quali assurdi pensieri stessero passando per la mente della locandiera…

   Dall’altra parte della stanza, frattanto, Nami era tornata a curiosare fra gli oggetti presenti nell’alloggio, arricciando di tanto in tanto il naso per via della polvere accumulatasi nel corso di chissà quanti mesi. Non vi era niente di valore, constatava con espressione di sufficienza, e di tanto in tanto gettava un’occhiata furtiva al Cacciatore: aveva un’aria spettrale, a volte, lo sguardo profondo e per nulla stupido; oltretutto, quegli occhi, erano oscurati da un velo di… tristezza? Nascondeva qualcosa, il Cacciatore, lo sentiva. Qualcosa che la incuriosiva ulteriormente, si capisce: forse aveva a che fare con il suo odio per i vampiri? Perché di folli ne aveva conosciuti diversi, come la nuova domestica – ammesso che così potesse chiamarsi – di Hillk, e lo stesso professore per cui lavorava; di sicuro Mr Roronoa non lo era. Non era pazzo come loro, per lo meno, e ragionava in maniera impeccabile.

   Poteva però ammetterlo apertamente? Giammai. Quel bastardo le aveva palpato il seno la notte prima, trovando come scusa il salvataggio dai vampiri. Tskè! Che originalità!

   Si ostinava pertanto a tenergli il muso e a fissarlo con fare torvo, inviando nella sua direzione unicamente emanazioni negative, quali: acidità, ostilità, antipatia e, dulcis in fundo, odio allo stato puro.

   “Bene” esclamò soddisfatta la signora Terracotta, quindici minuti dopo, mentre suo marito, schiavo in casa propria, portava via i secchi pieni d’acqua sporca. “Il divano, qui, è sistemato, Zoro. Puoi dormire qui e lasciare così la tua camera a Miss Nami”

   Ottimo, pensò quest’ultima: avrebbe avuto modo di curiosare anche fra gli effetti personali dell’Essere al fine di capire qualcosa di più su di lui.

   “E perché?” si sdegnò invece Zoro, contrariato all’idea di dover lasciare libertà d’azione a quella ficcanaso che pareva investigare su di lui senza troppi complimenti, sotto ai suoi occhi, per di più.

   “Suvvia,” sospirò pazientemente il grosso donnone, portandosi le mani alle anche, un sorriso bonario sul volto paffuto. “fai il gentiluomo, una volta tanto, e cedile il tuo letto”

   “Oh, e io? Dove dormo, io?” domandò Usop, facendo un passo avanti.

   “Voi, mister, dormirete di sopra: c’è un appartamento libero al piano superiore a questo”

   “E non può dormirci anche lei?” si lamentò Roronoa, additando la rossa che già si stava avviando verso la camera da letto. L’afferrò per il gomito prima che quella potesse arrivare alla porta. “Dove credi di andare?”

   “Sono stanca, vorrei ritirarmi” rispose lei, con la solita simpatia che la caratterizzava in certi momenti.

   “L’appartamento di sopra l’ho ripulito stamattina perché domani verrà occupato da un professore di Oxford che verrà a svolgere alcune ricerche qui a Londra per scrivere un libro, e pertanto preferirei non si sporcasse troppo” chiarì Terracotta, cominciando a muovere i primi passi per uscire dall’alloggio.

   “E…” riprese Zoro, che ancora tratteneva saldamente la fanciulla per un braccio.

   “…e no, mio caro: sai meglio di me che in quest’ultimo periodo se ne sentono di cotte e di crude riguardo i malviventi della città: pare che alle volte si introducano persino in casa della gente e compiano oscenità mai viste. La signorina, ne sono sicura, sarà certamente più al sicuro qui, con te che sei grande e grosso, e forte come un toro, anche” e così dicendo, senza aspettare ulteriori proteste da parte del giovane, trascinò Usop con sé fuori dalla stanza e richiuse con un tonfo sordo la porta alle loro spalle.

 

 

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