IL SAPORE DEL SANGUE

 

 

CAPITOLO DICIOTTESIMO


 

Nessuno si è mai svegliato con la sensazione che qualcosa non andasse? Magari si va a letto la sera prima, arrabbiati per un qualsivoglia motivo, si sprofonda nel sonno, e la prima sensazione, al mattino, al ritorno della coscienza, è: dovrei essere turbato. Non so perché, ma dovrei.

  E’ una pessima sensazione. Che rende indisposti per il resto della giornata.

  Quando poi il risveglio non è un semplice risveglio, ma un demoniaco ritorno alla vita di un corpo morto da secoli, un insediarsi di una coscienza e di un demone all’interno di un defunto sacco di carne, allora diciamo che la sensazione di malessere può ragionevolmente essere triplicata; e così pure il malumore.

  Shanks il rosso si levò dalla propria tomba, terrorizzando un ratto di passaggio. Osservò con occhi felini l’ambiente completamente buio, attendendo il risveglio dei propri figli. Uno ad uno, per un misterioso ordine di anzianità, essi ripresero vita, salutandosi senza bisogno di parole.

  “Questa sera andremo a caccia.” ordinò il Sire, e nel buio vi fu appena il brillio di un suo canino, scoperto dal ghigno.

 

Com’era rumorosa, quella donna.

  Insomma. Se voleva approfittare dell’avere libero accesso alla sua stanza privata, che perlomeno lo facesse in silenzio! Con una parvenza di silenzio, se non altro.

  Invece no. Spostava, imprecava, spostava, sfogliava, spostava. Una volta ridacchiò, persino.

  Zoro, l’impassibile, oscuro Cacciatore, sdraiato sbilenco su quel divanetto riadattato alla bell’e meglio alla funzione di letto, digrignò i denti: il fracasso di libri ed effetti personali spostati, frugati, ed esaminati proveniente dalla sua stanza lo stava facendo impazzire. Eppure, paradossalmente, sudò veramente freddo quando esso si fermò, d’improvviso: cosa aveva trovato quella donna, di così interessante da placarsi?

  Resistette solo qualche altro minuto, assistendo ad un’intestina lotta tra orgoglio e sentimento di protezione della privacy; quindi, sbuffando, si alzò, dirigendosi verso la propria stanza.

  Aveva fatto bene i suoi calcoli, quella Terracotta. Peccato che nessuno l’avesse capito.

  Non bussò neppure: in fondo, era camera sua, no? Spalancò la porta, assicurandosi un ingresso in pieno stile orco, e le rivolse uno sguardo degno di tale definizione.

  “Ehi!” protestò Nami, seduta sul letto; la veste da notte prestatale dalla Signora Terracotta le ricadeva addosso, abbondante, ed i corti capelli rossi, ora non più raccolti, le carezzavano maliziosamente la base del collo, lungo ed elegante. Zoro non si soffermò su nessuno di questi insulsi particolari: i suoi occhi saettarono al volume che lei teneva tra le nude braccia, quel volume che l’aveva tanto affascinata da indurla ad interrompere l’esplorazione dei suoi effetti personali. “Non è educato fare irruzione…”

  “Non è educato frugare tra le cose altrui!” La interruppe Zoro, attraversando la stanza a grandi passi, e recuperando il volume – Cento e tredici modi per far implorare ad un vampiro una rapida ma sofferta morte – dalle mani di lei.

  Nami esibì la migliore delle sue espressioni imbronciate, ricordandogli una bambina offesa.

  “Cercavo solo una distrazione.” si giustificò.

  “Una distrazione, da cosa?”

  “Dalla puzza.”

  “Senti un po’, tu…!”

 

Usop si smosse nel sonno. Uhm, c’era uno spiffero. Che fastidio!

  Eppure era convinto d’averla chiusa, la finestra.

  Ora si sarebbe dovuto svegliare del tutto, e poi si sarebbe dovuto alzare… avrebbe dovuto attraversare la stanza nel buio, trovare la finestra, e…

  “Buona sera, bocconcino.” lo salutò una voce più fredda del ghiaccio; quindi, delle braccia lo afferrarono.

 

Seguirono molte urla. Un gran casotto, un insieme di tonfi che si susseguirono sulle loro teste, ovvero nell’appartamento che era stato riservato ad Usop, al piano di sopra.

  Un volto femminile, grondante pioggia, ghignante, che spiava l’uomo e la donna dal vetro sporco della finestra, fu illuminato da un improvviso lampo, che lo dipinse di contorni selvaggi e spaventosi, strappando un istintivo urlo a Nami.

  Zoro le fu innanzi, chissà poi perché pronto a proteggere a mani nude quella donna insopportabile. Ma la vampira non mirava a loro; rise, folle, seguitando ad arrampicarsi sulla parete. Il Cacciatore udì distintamente creature muoversi sulle pareti all’esterno dell’abitazione.

  Ma prima che Zoro e Nami potessero raggiungere la finestra della loro stanza, riuscendo pure a cozzare pesantemente quelle loro due teste dure come il legno, già esse erano sparite nel fragore della pioggia, quasi volatilizzandosi.

  Ovviamente, quando corsero al piano di sopra, non trovarono Usop.

 

 

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