IL SAPORE DEL SANGUE

 

 

CAPITOLO VENTESIMO

 

Usop riaprì lentamente gli occhi, sentendosi non poco confuso. E debole. Per il Cielo, era tanto debole, da non riuscire quasi a respirare! Spiò attraverso le proprie palpebre socchiuse ove fosse finito e, con un ingiustificato sospiro di sollievo, distinse un ambiente elegante, pacchiano, più che lussuoso; decise arbitrariamente che non poteva certo essere in pericolo, in quel bel posto dai mobili antichi. Quindi, tranquillizzato dalle proprie, deliranti teorie, richiuse gli occhi.

  No, un momento…

  Li riaprì di scatto, finalmente terrorizzato. Non era andato a dormire in una puzzolente e malsana soffitta, solo qualche ora prima? E allora perché ora si trovava sdraiato su un divanetto apparentemente costruito nell’epoca vittoriana, rivestito in morbido velluto color sangue?

  Sangue…

  I vampiri!

  Immagini e ricordi si riorganizzarono nella sua mente, fornendogli finalmente la registrazione completa di ciò che gli era accaduto: avevano fatto irruzione in casa. Lo avevano rapito. Lo avevano trasportato sotto la pioggia battente, incuranti delle sue urla.

  Tentò di alzarsi, mulinando goffamente le braccia, ma la debolezza eccessiva lo costrinse a tornare sdraiato, attendendo il momento in cui la stanza avrebbe smesso di girare vorticosamente attorno a  lui.

  “Come vi sentite?” era la voce di una gentile fanciulla, quella che aveva parlato, ed il ragazzo sentì la sua presenza vicino a lui. Mugolò di orrore, portandosi faticosamente un mano al collo.

  “Non mordermi, ti prego…” implorò, tenendo ben chiusi gli occhi. Una mano, troppo gentile ma soprattutto troppo calda per appartenere ad un non morto, scese a carezzargli la riccioluta chioma, sorprendendolo non poco.

  “Io non mordo” spiegò intenerita la voce, ed allora lui ebbe il coraggio di aprire gli occhi, per guardarla. Vi rimase a bocca aperta: era bellissima. Un angelo dai morbidi capelli biondi e gentili occhi azzurri, una visione eterea chinata su di lui, il volto corrucciato in un’espressione preoccupata. “Riuscite ad alzarvi?” chiese, per nulla turbata dal fatto che l’ospite la stesse fissando con occhi da ebete.

  “Chi, io?” Usop, pur in una posizione non esattamente degna di orgoglio, riuscì comunque a gonfiare il petto. “Assolutamente sì!” si tirò su, fiero come un comandante. “Anzi, stavo pensando di andare a dare una lezione coi fiocchi a quei…” ma la testa riprese a girargli, ed il suo belligerante discorso fu interrotto lì.

  “Bevete” Kaya gli porse un bicchiere in cristallo ricolmo di vino bianco, un frizzantino novello. La visione di quel liquido risvegliò in Usop un’innaturale sete, come se non assaggiasse nulla di liquido da giorni. L’afferrò, scolandolo d’un sorso. Kaya, gentilmente, gliene versò un altro, che subito sparì tra le sue labbra.

  “Non capisco. Ne berrei a litri” mormorò vergognoso l’ostaggio, accettando che lei glielo riempisse una terza volta.

  “E’ normale che abbiate sete” lo incoraggiò la gentile fanciulla, inginocchiata accanto ai suoi piedi. “Il vostro corpo sente di dover recuperare liquidi.”

  “E per quale motivo?” s’incuriosì Usop, ingurgitandoli quarto bicchiere.

  Kaya esitò. Quindi, chinando il capo con tristezza, mormorò: “Loro vi hanno assaggiato.”

  Il quinto bicchiere rimase a metà strada tra Usop e la sua bocca.

 

“Tra poco arriveranno.” Shanks scostò una tenda spiando il freddo, nero paesaggio inglese bagnato dalla solita, fitta pioggia. “Uno di loro è il Cacciatore.” si volse, sorridendo ai suoi figli di sangue.

  “Il più feroce sterminatore di vampiri” Sanji si accese una sigaretta, fumandola con eleganza. Sapeva che come vampiro non aveva fisiologicamente bisogno di tabacco, e sapeva che ostinarsi a fumare era una cosa poco intelligente; ma era inutile, il suo corpo continuava a richiedere la quotidianità di quel gesto. E lui lo accontentava. “Basterebbe uno di noi, per ucciderlo.”

  “Non sottovalutarlo.” mormorò Shanks, ricordando a quale vampiro il piccolo Zoro fosse scampato in passato, quel vampiro che aveva, forse inconsapevolmente, dato il via alla sua vita di Cacciatore. Aveva conosciuto quella creatura della notte, padrone dell’intera loro genealogia e, in una notte simile a quella, aveva udito quella storia proprio dalle sue antiche labbra. “E’ forte. Si vocifera sia invincibile.” Tacque, sorridendo. “Ma è la stessa cosa che molti dicono di me.” camminò per la grande stanza, deciso ad andare a controllare che l’ostaggio non stesse importunando la sua dolce domestica. “Non vedo l’ora di assaggiarlo… e sentire il battito del suo cuore spegnersi sulle mie labbra.” aggiunse, leccandosi appena i lunghi canini.

  “Ricordate che non deve arrivare sino qui” minacciò Robin, stringendo tra le proprie braccia il suo bellissimo cucciolo. Era pallido, e freddo, il solare Rufy, per nulla rinfrancato, come loro, dal sapore e dall’immensa energia del sangue umano. “Lui non può difendersi.”

  Rufy, il volto poggiato al seno di quella madre giunta dall’inferno, non si disturbò neppure a comprendere di cosa stesse parlando la sua famiglia. Il sole… continuava a pensare al sole. Ed ai suoi raggi, che lo avevano scaldato in ogni giorno della sua vita. Una lacrima, una solitaria ed orrenda lacrima color sangue solcò una delle sue guance, macchiando infine l’abito di Robin.

  Lei non lo sgridò. Si limitò a pulirgli il bel viso, a baciarlo sulla fronte, sussurrando: “Vas tout bien, mon petit.”

 

 

< CAPITOLO DICIANNOVESIMO

CAPITOLO VENTUNESIMO >

                                                                                                                 

 

INDICE DEI CAPITOLI

TORNA AL MENU FAN FICTION

TORNA ALLA HOME PAGE

 

© Tutti i personaggi sono di proprietà di Eiichiro Oda.