IL SAPORE DEL SANGUE

 

 

CAPITOLO VENTUNESIMO

 

Erano giunte numerose segnalazioni da parte del vicinato, e anche le descrizioni fornite loro dai cittadini dei sobborghi di Londra combaciavano perfettamente con gli indiziati: un uomo alto, imponente, dai capelli rossi; una donna bellissima, marmorea, glaciale all’apparenza; un altro uomo, biondo, slanciato, elegante. E tutti e tre, a quanto si diceva in giro, erano così affascinanti da irretire i sensi di chiunque si ritrovasse ad avere a che fare con loro. Si vociferava anche che quel giovane garzone sparito qualche tempo addietro, così come la piccola Kaya, domestica in casa di uno dei nobili più illustri della City, fosse stato inghiottito da quella dimora senza tempo, oscura, disabitata da secoli. O forse non lo era più?

   Una cosa, però, era certa: la villa del Duca Shanks the Red era maledetta.

   L’ultima segnalazione parlava di due giovani, un uomo ed una donna, fatti accomodare in quella casa da un’ombra dai capelli di fiamma, probabilmente il fantasma dell’ultimo discendente della dinastia dei duchi Red. E dopo meno di due ore si era avvertito un boato, poi delle urla, una carrozza che correva a folle velocità, e, infine, il silenzio che precede l’alba. Sì, perché poco prima dello spuntar del sole tutto svaniva: le voci, le ombre alle finestre, tutto.

   L’uomo appostato dall’altra parte della strada, ben nascosto alla vista di qualunque essere umano, sospirò portandosi ancora una volta il grosso sigaro alla bocca, serrandone quindi l’estremità tra le mascelle con una strana smorfia sul viso dalla barba incolta. Si era trovato un piccolo rifugio dalla pioggia torrenziale, ma i suoi grossi piedi, rivestiti in un paio di stivaloni di cuoio, erano comunque zuppi d’acqua. I suoi occhi attenti scrutavano con fare vigile tutto intorno, ma con lo scroscio dell’acqua che veniva giù a cascate gli era difficile distinguere i rumori. Tuttavia, il poliziotto non si preoccupava: anche se l’udito non poteva venirgli in aiuto, gli altri suoi sensi, intuizione compresa, erano vigili come non mai.

   Non credeva alle storie dei fantasmi, né, soprattutto, a quelle sui Succhiatori di Sangue: fandonie, fanfaronate di ubriaconi di periferia, buoni solo a mandare avanti gli affari degli oste delle bettole di Londra e dintorni. Eppure doveva riconoscere che qualcosa, in quella villa, non rientrava propriamente nell’ordinario. Bisognava indagare a fondo; ormai non bastavano più i resoconti fornitigli da quella svampitella della sua compagna, una giovane donna poco più che ventenne che giocava a fare lo sbirro insieme a lui. Peccato solo che lei, Tashigi, non la pensasse allo stesso modo: il mestiere di poliziotto era serio, sacro. E Smoker doveva assecondare i suoi vaneggiamenti, i suoi capricci… insomma, non si era mai vista una donna nei panni di un gendarme, ma a contraddire quella invasata c’era da uscir di senno: con le sue chiacchiere, Tashigi, sarebbe stata capace di stordire persino Usop che, lo sappiamo bene, era terribilmente abituato ad avere a che fare con le lunghe litanie di imprecazioni, bestemmie e maledizioni di Miss Nami.

   E così Smoker, il nostro poliziotto tutto d’un pezzo, per quanto fosse imponente nel fisico e nel carattere, burbero e scontroso come pochi altri, era stranamente abituato a lasciarsi subdolamente irretire dalle chiacchiere della sua compagna. Non che Tashigi fosse cattiva o lo facesse con intenzione, sia ben inteso al lettore; tutt’altro. Era semplicemente riuscita a far leva sul lato più umano del rude poliziotto, e quest’ultimo l’aveva presa a cuore, accogliendola sotto la propria ala protettiva, dal momento che non tutti vedevano di buon occhio quella svitata, maniaca de ‘la giustizia a tutti i costi’. Tutto qui.

   Ora, dicevamo, Smoker era appostato davanti alla dimora maledetta, le luci delle finestre che saettavano tremule dietro la coltre di pioggia e vento, e aspettava soltanto il minimo cenno che gli facesse presagire che qualcosa di tremendo sarebbe accaduto di lì a poco. Il pover’uomo, però, non sapeva che quella disgrazia, il ratto dell’illustre signor Usop, cacciatore di Vampiri non proprio per sua volontà, era già avvenuta. Ma come avrebbe potuto accorgersene, il nostro buon gendarme? Era abilissimo nell’avere a che fare con ladri, briganti, assassini, farabutti di ogni genere, certo; ma quelli a cui era abituato non erano certo dei Non Morti, i quali, invece, hanno facoltà così superiori a quelle umane, che di certo non possono essere scorte ad occhio nudo. O se quant’anche essi sono in vena di giocare, e quindi di mostrare alle loro prede quel che son capaci di fare, appaiono agli occhi di queste ultime come degli esseri magici. E lo sono, il lettore ormai l’avrà già compreso da sé.

   Ma per far giustizia all’abilità innata del nostro capitano di polizia, possiamo ben assicurarvi che quelle due figure che avanzavano lungo la strada che portava alla villa del Duca - una alta e robusta, l’altra più minuta e ammantata da capo a piedi - non sfuggirono ai suoi sensi.

 

“Avete già in mente qualcosa?” la voce di Nami, affannata per la lunga camminata sotto l’acqua gelida e sovrastata dal rumore della pioggia, arrivò appena alle orecchie del suo compagno d’avventura. Non erano riusciti a trovare neanche una vettura disposta ad accompagnarli da quella parte a quell’ora della notte: la voce di quanto accaduto circa ventiquattr’ore prima nell’antica villa maledetta si erano sparse a macchia d’olio per tutta la contea.

   Zoro si schiarì la gola. “Ci staranno sicuramente aspettando,” si pronunciò, gli occhi cupi che scrutavano la grande casa che si avvicinava sempre più alla loro vista. “altrimenti perché rapire il vostro amico anziché ucciderlo subito?”

   La ragazza si morse il labbro inferiore: era sinceramente legata ad Usop da una profonda amicizia, era vero, e quelle parole le fecero male. “Dite che è condannato?”

   Il Cacciatore scosse il capo. “Chi può saperlo?” mormorò. Rallentò finalmente il passo e infine si arrestò prima ancora di giungere davanti all’alto cancello della villa. “Non volevo che veniste con me”

   “Vi ho già detto che sono pronta a qualunque cosa per salvare il mio collega,” rispose di rimando la rossa, alzando finalmente il tono di voce e fermandosi poco più avanti di lui, pronta a reggerne lo sguardo duro. “quindi finitela una buona volta di farmi la predica”

   “Siete davvero disposta a tutto?”

   “Sì”

   “Anche a perdere i vostri soldi?”

   Miss Nami aprì la bocca ma non emise suono. Decise allora di pensarci su un attimino; e infine affermò con insolenza: “Non azzardatevi ad ucciderli tutti!”

   “E se loro stanno per uccidere voi?”

   “Tramortiteli”

   “Non siete stata voi a dirmi di lasciarvi in balia del destino e della vostra incoscienza?”

   Di nuovo, Nami, si trovò in difficoltà a causa di quel farabutto: fu in quel momento, crediamo, che stabilì di essere innamorata di lui. “Vi odio con tutta l’anima”

 

 

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