IL SAPORE DEL SANGUE

 

 

CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO

 

Il geco dai capelli rossi spostò una zampa, cercando attentamente l’ascesa sulla parete della cella. Purtroppo, non essendo dotato di ventose naturali come tutti i geci che si rispettino, dovette rendersi conto che la sua impresa era una questione fisicamente impossibile. E, strisciando buffamente all’indietro, il geco dai capelli rossi ricadde a terra, a gambe all’aria, imprecando.

   “Avevo sentito l’espressione ‘arrampicarsi sugli specchi’...” Zoro, seduto a gambe larghe, la schiena poggiata ad un angolo della cella, la guardò con aria di sufficienza. “Ma è la prima volta che ne vedo una dimostrazione pratica.”

   “Oh, vedete di tacere, maledetto uomo inutile!” Nami, il mancato geco umano, si rialzò, fissando con odio il proprio riflesso sulla parete.

   Una cella proprio degna d’un vampiro voluttuoso e pacchiano, quella dove Shanks, prima di ritirarsi nel proprio sonno giornaliero, li aveva rinchiusi: a terra vi era un tappeto, rosso e morbido. E alle quattro pareti, intervallati unicamente da piccole finestrelle protette da robuste sbarre, vi erano solo specchi. Specchi su specchi, specchi a non finire, dai quali era impossibile sfuggire. Nami fissò con riluttanza il proprio riflesso notando, suo malgrado, di essere un disastro: i capelli, scomposti, e la camicia da notte, troppo abbondante per lei, che ricadeva goffamente sul suo corpo. Aveva pure perso il mantello, durante la colluttazione con quei maledetti demoni succhia sangue. Ed ora aveva la pelle d’oca. Ma forse era dovuta alla paura.

   “Non state lì seduto, accidenti!” riprese Nami, agitandosi come solo una donna poteva agitarsi. “Trovate una via d’uscita!”

   “Credete che Shanks the Red, uno dei più astuti e temibili vampiri degli ultimi due secoli, abbia chiuso un suo mortale nemico in una cella con una via d’uscita?” il Cacciatore inarcò un sopracciglio, ironico. “Questa notte verranno per ucciderci. Allora potremo fare qualcosa.” O meglio, lui avrebbe potuto fare qualcosa.

   Stranamente, Nami parve non essere molto sollevata da quell’idea. Gattonò fino a lui, decisa a non demordere. Zoro non permise al proprio sguardo di scivolare nella scollatura della camicia da notte, anche se la tentazione fu quasi irresistibile. “Se voi mi sollevaste fino a quella finestra…” propose, indicando le finestrelle con ampi gesti; ma lui non la lasciò terminare.

   “Voi morderete le sbarre sino a dilaniarle?” s’informò cortesemente. Nami esplose in un verso che non esprimeva esattamente amore e simpatia per il Cacciatore; verso che, ovviamente, non lo turbò affatto.

   Allora anche lei sedette, con aria imbronciata. “Staremo qui tutto il giorno?”

   “Sì.” confermò Zoro, reclinando il capo, deciso a riposare.

   “Nessuno ci porterà da mangiare?” insistette lei.

   Il Cacciatore riaprì appena un occhio, spiandola divertito. “Ne dubito fortemente.”

   “Come faremo a combattere i vampiri, senza nulla nello stomaco? Saremo troppo deboli!”

   “Oh, questo è esattamente ciò che si augurano!” lui cercò una sistemazione più comoda. “Ora, se non vi spiace, vorrei dormire.”

   “Ma certo! Prima mi fa catturare, poi mi fa rinchiudere, e ora, invece che aiutare, vuole dormire!” Nami alzò gli occhi al cielo, esasperata.

   Questo discorso ebbe la magica capacità di risvegliarlo d’un botto. “Vi avevo ammonito a non seguirmi, Miss.” sibilò.

   “Evidentemente non siete stato abbastanza convincente.” ribatté prontamente lei, fissandolo con superiorità.

    “CONVINCENTE? Per convincervi, sarebbe servito un paletto! Picchiato forte sul lobo destro!” si era mosso di scatto, avvicinandola. Nami, per nulla impressionata dalla mole di lui, lo affrontò di petto, con cipiglio minaccioso. “E non solo mi siete stata d’intralcio, ma avete persino permesso a Shanks di prendervi in ostaggio! Il vostro amico potrebbe essere morto, ora, per colpa vostra!”

   “SIETE UN CAFONE!” strillò quasi istericamente Nami, muovendo di scatto una mano, per schiaffeggiarlo. Ma Zoro, dando l’idea di non aver neppure notato il movimento, la bloccò, con presa ferrea. “Siete un maleducato, siete uno sporco…”

   “E voi siete lenta.” la riprese nuovamente. Nami si divincolò, tentò di colpirlo ancora, ma la seconda mano di lei subì la fine della prima. Zoro la costrinse ad abbassare le braccia. “Siete lenta e stupida, Miss.” si abbassò su di lei, spietato. Nami avvertì il suo calore sin troppo vicino al proprio corpo. “Spero ve ne rendiate conto.”

   Lei ansimava, rabbiosa. Il seno si alzava e si abbassava sotto la sottile stoffa, ancora umida, della camicia da notte. Le gote erano arrossate, i capelli scarmigliati; e gli occhi… gli occhi brillavano di rabbia, lanciavano lampi omicidi. Era sensuale. Maledettamente sensuale, nella sua furia immotivata. Zoro, con un verso di disprezzo, la lasciò andare, tornando al proprio angolo. “Riposate.” le ordinò. “Questa sera avrete bisogno di molte energie.”

 

 

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