IL SAPORE DEL SANGUE

 

 

CAPITOLO VENTICINQUESIMO

 

Fissò forse per la milionesima volta la propria immagine riflessa su uno dei tanti specchi con cui i loro aguzzini avevano rivestito quella che nella mente di Nami era stata definita come l’esatto opposto di una cella imbottita, ed imprecò: c’era da diventar matti, lì dentro! Dovevano esser passate le quattro del pomeriggio, forse persino le cinque, e di lì a poco avrebbero cominciato a scendere le tenebre; forse per sempre, per loro. E cosa le rimaneva, come ultimo ricordo di quella vita passata a racimolare denaro in attesa di un avvenire migliore? Nulla, a parte una visione globale della propria figura e di quella dell’uomo che le dormiva accanto. Eh… dormiva… beato lui. O forse dovremmo dire ‘incosciente’?

   Nami si avvicinò pericolosamente al giovane e sbirciò nella sua direzione: se ne stava seduto in terra con la schiena poggiata contro il muro di specchi, le braccia conserte, il capo all’indietro. Quel volto dai lineamenti piacevoli, sì, ma duri, i muscoli perennemente contratti, la pelle abbronzata (inspiegabilmente, visto il clima di Londra) su cui erano ancora ben visibili i tre graffi provocati dalle sue unghie poco più di ventiquattro ore prima, la linea della bocca all’ingiù, le palpebre chiuse su quelle orbite scure e profonde come la notte… Era la prima volta che si soffermava ad osservarlo così bene, e la fanciulla ne dedusse un solo pensiero: Peccato che sia così schifosamente odioso.

   Ma, come avevamo già accennato qualche capitolo fa, questa considerazione non fece altro che accrescere in lei il desiderio per il Cacciatore.

   “Perché mi fissate, ora?”, la voce roca di Zoro le fece sobbalzare il cuore per l’improvvisa rottura del lungo silenzio che era sceso nella prigione.

   “Perché credete che stia fissando voi?”

   “State guardando verso di me”

   “Allora fate solo finta di tenere gli occhi chiusi?” dedusse la ragazza, con fare quasi stizzito. “E comunque, e qui mi spiace deludere la vostra vanità, stavo osservando la mia aggraziata figura riflessa alle vostre spalle”

   Zoro alzò una palpebra. “Con tutti gli specchi che ci sono qui dentro, vi siete messa a contemplare la vostra… ‘aggraziata figura’ proprio in quello che c’è dietro di me?” domandò con fare retorico ed una smorfia sul viso altimetri imperturbabile.

   “Sì, se è solo per darvi fastidio”

   “Miss…” riprese quindi il Cacciatore, cercando di rilassare il corpo e la voce, e riaprendo entrambi gli occhi. “… Perdonate la sfacciataggine, ma sento il bisogno di domandarvi una cosa”

   “Di che si tratta?” s’incuriosì Nami, sinceramente colpita da quel cambiamento da burbero-e-rozzo-energumeno a uomo-quasi-socievole.

   “Queste… sì, queste potrebbero essere le ultime ore che ci restano da vivere. Lo capite, vero?”

   Colpita al cuore da quella considerazione e dallo sguardo serio di lui, la giovane donna abbassò ogni difesa. “Oh, cielo… avete ragione, ma…”

   Che cosa voleva intendere, Zoro? Cosa voleva lasciarle intuire? Aveva letto romanzi in cui l’eroina di una storia si concedeva al suo compagno di sventura perché giunti all’ora fatale, perché l’istinto di sopravvivenza, in loro, diveniva forte, irrefrenabile… Era questo che lui voleva dirle? Che la desiderava? Che voleva amarla prima di chiudere gli occhi per il trapasso?

   “… Signore, io non credo che sia il caso…” provò a balbettare, facendo la ritrosa e portandosi le mani al petto, improvvisandosi – o forse sentendosi per la prima volta in vita sua – una povera verginella indifesa, che non sa se cedere o meno all’ultima tentazione, quella che forse la condannerà all’Inferno.

   Tuttavia, considerato che da quando era nata non aveva poi fatto molti sforzi per conquistarsi la via del Paradiso, perché tirarsela in quel modo?

   Stava per riaprire bocca, ormai sicura di volersi totalmente concedere a quel rude uomo, dal temperamento così caldo, così passionale, e cominciava già ad inebriarsi di quel suo maschio profumo che nella sua mente aveva sempre catalogato come ‘puzza de Il Cacciatore’, quando fu questi a parlare, con fare lento e penetrante. “Se credete che non sia il caso di sprecare a questa maniera gli ultimi istanti che ci restano da vivere, e cioè dandomi i nervi, vi imploro: tacete, fatela finita, o giuro che sarò un carceriere ed un boia assai più crudele dei nostri amici vampiri”

   Le fantasticherie romanzesche di Nami si sbriciolarono di colpo, ed un boato di urla isteriche, di insulti e di sputi invase le mura di quella stanza delle vanità (o delle perversioni, se vi piace di più), tanto che fu solo dopo tanto lottare e tante minacce che i due prigionieri si accorsero che il sole era ormai sparito all’orizzonte…

 

Elegante come sempre, vezzoso nel suo solito modo di vestire, il Rosso finì di prepararsi per la deliziosa cena che gli avrebbe accarezzato il palato, e assaporava già, nella sua fredda mente calcolatrice, quel sapore denso e corposo che, ne era sicuro, dovevano avere i suoi due ospiti d’onore al banchetto di quella sera. Un’ultima sistemata alla cravatta e al colletto, un’ultima controllata ai polsini ben chiusi da una coppia di gemelli d’oro e rubini, ed infine spalancò con entrambe le braccia le ante della porta della sua magnifica camera da letto.

   Sanji e Robin, impegnati in un ultimo furtivo bacio, si volsero nella sua direzione, accennando persino un piccolo inchino col capo. “Vi trovo splendido anche oggi, mio Sire” esordì il primo.

   Sorrise compiaciuto, Shanks, avanzando nella sala, le mani intrecciate dietro i reni, la schiena diritta e il portamento impeccabile come sempre. “Siete pronti?”

   “Sì, Maestà”

   “Non vedo il Cucciolo, però” osservò lui, le magiche e splendide iridi fisse sulla porta ancora chiusa del ragazzo.

   Le nere ciglia di Robin si abbassarono, oscurando gli zaffiri del suo viso marmoreo. Neanche quella volta, il suo piccolo Rufy avrebbe partecipato al banchetto.

   Una mano gentile arrivò a sollevarle il mento, inducendola a fissare il suo Padrone negli occhi. “Non ti angustiare, figlia mia, non ti angustiare…” le mormorò gentilmente Shanks che per la sua primogenita aveva una sorta di predilezione. “Ogni cosa ha il suo tempo, e se il tuo Cucciolo non è ancora pronto, vuol dire che gliene serve ancora…”

   “Ha ragione lui, mon amour…” concordò Sanji, sfiorando le spalle della donna con le gelide dita bianche. “Dopotutto, ha l’Eternità per abituarsi alla nostra vita”

   “Scendiamo, ora”

 

 

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