IL SAPORE DEL SANGUE

 

 

CAPITOLO VENTISEIESIMO

 

Si torse disperatamente le mani, osservando con indecisione il soprabito. Era un soprabito nero, in velluto, elegante e costoso. Una serva non avrebbe mai potuto permettersi un soprabito simile; ma Kaya sì: perché Shanks, nel mantenere quella domestica, quella vacca da mungere nei momenti di noia, non le aveva mai voluto far mancare nulla. Era una bestia generosa, Shanks the Red.

   E così, oltre i completi da cameriera in raso e seta, e quelle cuffiette ricamate in bianco pizzo, che il sanguinario mostro adorava vedere poggiate sui suoi capelli biondi come il grano, lei possedeva anche qualche abito per uscire dalla villa, opere artigianali di tessuti preziosi e sgargianti, decorati quasi con maniacale cura. Erano tutti nuovi, perché lei non aveva mai avuto il coraggio di uscire: sapeva che, se l’avesse fatto, non avrebbe resistito alla tentazione di improvvisare un’inutile fuga. Fuga che, nelle notti successive, le sarebbe potuta costare una sanguinosa vendetta.

   Ma qualcosa in lei era cambiato. I suoi occhi, così puri e gentili, s’indurirono, mentre, allungando le braccia per afferrare il soprabito, firmava la propria decisione: sfuggire a quell’oppressione. Combattere i vampiri. E… e salvare Usop.

   Avevano inscenato una colluttazione, durante la giornata di sonno profondo dei vampiri: messo sottosopra una stanza e persino, nonostante le riluttanti proteste del prigioniero, procurato un occhio nero alla povera Kaya. Lui sarebbe fuggito, e lei avrebbe raccontato ai padroni che la sua ferocia le aveva impedito di trattenerlo oltre.

   “Vado a cercare aiuto” le aveva sussurrato lui, uscendo dal portone. “Tu aspettami qui.” i suoi occhi l’avevano osservata con lealtà. “Salverò la mia socia; e te.” aveva assicurato.

   Kaya, sognando improbabili futuri in compagnia di quell’improvvisato principe azzurro, lo aveva osservato allontanarsi per il grande prato. Quindi, sbarrando gli occhi per la sorpresa, aveva visto due poliziotti balzare fuori da un cespuglio, afferrarlo e ammanettarlo, per motivi a lei ignoti.

   Impossibilitata ad aiutarlo, era tornata dentro, gli occhi gonfi di lacrime, cercando disperatamente di trovare un piano alternativo: non sapeva perché quell’uomo e quella donna in divisa avessero arrestato il nasuto ex ostaggio, ma di una cosa era certa: per un po’ Usop non avrebbe più potuto chiedere aiuto. Gli altri due ostaggi sarebbero morti. E lui non sarebbe più tornato.

   Aveva atteso la notte, pensando febbrilmente. Infine, i vampiri si erano destati. Tutto ciò che Shanks aveva trovato al suo risveglio era stato quel macello, quei mobili preziosi rovinati o distrutti, e la propria domestica, a terra, disperata.

   Kaya si era teneramente stretta a lui, implorando perdono per non aver saputo trattenere quel malefico ostaggio e lui, troppo fiducioso per spiarle nella mente, l’aveva carezzata con mostruosa dolcezza, sussurrandole di non scusarsi, sussurrandole di calmarsi, sussurrandole che le avrebbe preparato una camomilla. E così aveva addirittura fatto, scaldandole una teiera d’acqua, e immergendovi una profumata miscela di fiori. Le aveva porto una preziosa tazzina in ceramica ricolma di quel liquido color oro, e l’aveva dolcemente assistita mentre lei, timidamente, l’aveva sorseggiava.

   “E’ stato un mio imperdonabile errore, pensare che tu potessi controllarlo.” aveva mormorato, inginocchiato innanzi a lei. “Perdonami.” Kaya aveva annuito, timidamente. “Quando lo troverò, pagherà molto caro il suo gesto. Riposa, piccolo angelo” si era alzato, posandole un tenero bacio con quelle sue labbra più fredde del ghiaccio. “Per questa sera non mi nutrirò di te: sei troppo debole. Inoltre” aveva aggiunto, uscendo dalla stanza con un ghigno. “Ho dei gustosi bocconcini ad attendermi.”

   Kaya l’aveva osservato uscire, spiandolo di sottecchi. Infine, abbandonata una camomilla ormai tiepida, si era precipitata al proprio armadio, pescandovi un elegante abito di un blu profondo; l’aveva indossato, preoccupata.

   Ma ora la sua espressione era più risoluta che mai. Attese che i vampiri scivolassero verso i sotterranei, poi si avviò al piano superiore. La terza porta dopo il grande scalone, eccola. Kaya vi si fermò innanzi, intimorita. Quindi, con delicatezza, bussò. “Signorino Rufy?” mormorò.

   Nico Robin sarebbe impazzita di rabbia, se avesse scoperto che Rufy tendeva ad aprire regolarmente la porta più alla domestica umana che a lei; ma quello era un loro piccolo segreto. Kaya provava un naturale moto di tenerezza per quel cucciolo quasi apatico, e il giovane vampiro provava nei suoi confronti tutto il rimorso che i suoi simili parevano non avere riguardo le cicatrici che solcavano i polsi ed il collo dell’umana.

   “Signorino Rufy” ripeté lei con un singhiozzo a stento trattenuto quando lui si affacciò, spiandola con tristi occhi neri. “Fermiamo tutto questo. Non lasciamo che uccidano ancora!”

   “E come, Kaya? Impediamo questo omicidio, e loro ne commetteranno altri.” mormorò tristemente, aprendo del tutto l’uscio. Kaya prese una delle sue mani tra le proprie, e vi premette un leggero bacio. Era un simbolo antico, una forma rituale, che affidava tutta sé stessa agli atti del suo salvatore. “Anche io sono uno di loro. Anche io un giorno cederò alla sete, ed ucciderò.” aggiunse, amaro, ritirando con orrore la propria mano.

   “Potrebbero vivere di sangue animale! Io li ho visti, li ho visti nutrirsi di topi, di gatti e di capre!” insistette, piantando occhi severi sul suo volto. “Voi vi rifiutate di uccidere, ma se permettete loro di farlo, allora siete ugualmente un assassino. Signorino Rufy!” ripeté ancora.

   Lui ponderò a lungo la questione. Amava oltre ogni dire quella sanguinaria famiglia che, di punto in bianco, gli si era imposta; anche se avevano fatto a pezzi la sua esistenza, i suoi sogni, lui non avrebbe mai saputo fare loro del male. Però…

   “Cosa vuoi che faccia?” chiese. Lei sorrise, illuminandosi come una santa, e agli occhi del vampiro apparve straordinariamente bella.

   “Diamo fuoco a questa abitazione.” mormorò, trascinandolo fuori dalla stanza. Rufy non oppose resistenza, lasciandosi trasportare da lei. “Non li uccideremo, perché saranno abbastanza lesti da fuggire. Ma daremo una speranza di salvezza ai due ragazzi.”

   Lui la seguì per lo scalone, sorridendo impercettibilmente. “Sei innamorata, Kaya.” non era una domanda, ma un’affermazione. Lei arrossì violentemente anche se non rispose: il suo sentimento per Usop era nuovo, eppure straordinariamente potente. L’aveva sorpresa il fatto che Shanks non l’avesse percepito; ma forse, per annusare certe cose, più che poteri soprannaturali, occorreva la straordinaria semplicità di Rufy. “E’ bello?” s’informò, mentre lei recuperava delle torce.

   “Molto.” confermò con un sorriso la domestica, cercando qualcosa per far fuoco.

 

 

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