IL SAPORE DEL SANGUE

 

 

CAPITOLO VENTISETTESIMO

 

Quali oscure malvagità possono celarsi in esseri così belli, così perfetti, all’apparenza, così invidiati dai più per quel non so che che i loro corpi armoniosi, come scolpiti nel bianco marmo, emanano a primo acchito… Eppure è proprio in essi che si nasconde la più terribile delle certezze: gelida, spietata, assassina, sovrana delle tenebre eterne: la Morte.

   I tetri corridoi dei sotterranei del maniero del Duca, resi ancor più cupi dallo scendere delle tenebre, riecheggiavano di spaventose urla, di rantolii misti a rabbiose imprecazioni ed oscure minacce. Man mano che si proseguiva lungo le spaventose segrete, avvicinandosi così alla cella di specchi in cui erano stati rinchiusi i due prigionieri, quelle voci, o faremmo meglio a dire ‘quei latrati’, parevano aumentare di intensità, e cominciavano persino ad essere affiancate da ignoti rumori, tonfi sordi, come stesse avvenendo una qualche colluttazione.

   Si levò, infine, un urlo spaventoso, di dolorosa disperazione, prima che il povero torturato ebbe finalmente possibilità di rispondere: «Volete, di grazia, smetterla di mordermi il braccio?!»

   Bisognosa di riprender fiato, Nami obbedì quindi più per reale necessità fisica che per docile obbedienza a colui che, forse, avrebbe potuto divenire la sua ultima speranza di salvezza. Staccò quindi i denti dalla carne del Cacciatore, e recuperò il respiro, pur non accennando minimamente a voler lasciare la presa: si era avventata su di lui come neanche il miglior felino avrebbe potuto fare con la propria preda, e lo aveva percosso con tutta la rabbia che aveva in corpo, corpo che, invero, bruciava di violenta passione.

   Zoro, specchiandosi, arricciò il naso alla vista dei segni lasciatigli da quella furia dai capelli rossi: se fosse miracolosamente riuscito a scamparla, questa volta, gli sarebbe risultato non poco imbarazzante spiegare a terzi che quei graffi e quelle ecchimosi che gli sfiguravano il volto non gli erano affatto stati provocati da una eroica lotta contro i Succhiatori di Sangue, quanto da una scaramuccia con la minuta Miss Nami. Sospirò pesantemente, tornando a rilassare i muscoli del corpo, e a poggiare la nuca contro la fredda e grigia pietra del pavimento, le nocche delle mani sugli occhi chiusi.

   La fanciulla, tutt’altro che intenzionata a rialzarsi, abbandonò anche lei il capo sul petto di lui. “Vi detesto…”

   “Sì, vi amo anch’io…” rantolò il pover’uomo, mai stanco di prenderle, evidentemente. “Non si può neanche scherzare, con voi?!” gridò, esasperato, cercando di bloccare l’ennesimo ceffone che stava arrivando a dargli la giusta punizione. “Se vi impegnaste così tanto anche contro quelle bestie maledette, ce la caveremmo alla grande! E invece no: dovete sprecare le vostre – e quindi anche le mie – energie per sollazzare il vostro stupido orgoglio!”

   “Senti, bel tostacchione…” ringhiò Nami, pur non avendo più la forza di muover muscolo se non quelli che le consentirono di assumere un’orrenda maschera dall’aria palesemente omicida. “In questo guaio mi ci hai cacciato tu. Quindi, ora…”

   “Chi avrebbe cacciato nei guai chi?!” stentò a crederci Roronoa, scattando a sedere e sbalzandola lontano da sé. “Te l’avevo detto chiaro e tondo che non ti volevo fra i piedi! Ma tu, no! Non hai voluto sentir ragioni! Ora che siamo condannati, mia cara, arrangiati!”

   Se nelle intenzioni del giovane c’era quella di intimidire la ragazza, dovette ben presto ricredersi perché quelle sue parole ebbero immediatamente l’effetto opposto, tanto che Nami cominciò a starnazzare sul fatto che un gentiluomo è capace di fare qualunque cosa pur di salvare una signora, che mai e poi mai aveva conosciuto un villano più odioso e vigliacco di lui, che, visto l’elemento con cui aveva a che fare, era molto meglio esser spremuta subito da un vampiro piuttosto che rimanere ancora un’ora accanto a quel troglodita che puzzava come il culo di un cane. E tanto disse, e tanto fece, che anche il povero Zoro, che sappiamo aver votato anima e corpo allo sterminio della demoniaca razza dei Succhiatori di Sangue, cominciò a desiderare che l’imminente condanna a morte ad opera di quei maledetti esseri da lui tanto odiati venisse eseguita all’istante.

   Non sappiamo dire al nostro amato lettore se fra le prodigiose facoltà dei vampiri vi fosse anche quella di esaudire gli ultimi desideri di un condannato a morte; certo è, però, che l’uomo pesto di botte e la gracile fanciulla in lacrime di rabbiosa disperazione dovettero balzare in piedi, l’uno pronto a far da scudo a colei che diceva di voler lasciare al proprio destino, l’altra addossata alla parete di specchi alle proprie spalle che cercava riparo dietro la robusta schiena del suo protettore.

   Silenziosi come neanche un gatto avrebbe saputo essere, belli come i malvagi angeli della morte quali erano, i tre vampiri si erano dunque presentati in tutta la loro imponente magnificenza, gli occhi che brillavano dell’antica malia cui facevano immancabilmente ricorso per procacciare le proprie vittime, le labbra sempre sorridenti che già schioccavano pronte a baciare quella carne giovane e, di questo ne erano convinti, dal sangue reso ancor più gustoso per via della paura, della rabbia, della passione che, Shanks poteva leggerlo nei loro pensieri, univa i due cacciatori. Quei sentimenti, quelle emozioni che lui e i suoi simili ormai non potevano far altro che sfiorare appena, erano esclusiva dei mortali, appartenevano solamente a loro. Li amava anche, e soprattutto, per questo.

   “Vi siete divertiti, vedo…” ebbe piacere di esordire con quella voce vellutata che soleva adoperare solo quando era particolarmente di buon umore, malgrado la brutta avventura capitata alla sua affezionata domestica. I suoi ospiti non risposero se non con uno sguardo duro, denso d’ira, di disprezzo: tutto, fuorché paura. Il Duca rise. “Posso leggere nelle vostre menti” spiegò. “So che avete paura, lo so bene” e nel cadenzare lentamente queste parole, lasciava scivolare le sue oscure pupille sulle loro indifese figure. “Paura di morire senza la possibilità di rimediare a quello che avete nascosto forse persino a voi stessi, paura di morire con terribili rimpianti nell’anima… Avreste potuto passare le vostre ultime ore di vita sopperendo a queste necessità, e invece… Avete preferito mettere tutto a tacere per orgoglio. Ne avete tanto, voi due. Smisuratamente testardi entrambi, eppure così fragili, così piccoli confrontati alla grandezza del creato… Ah, la natura umana mi commuove! E voi, miei cari, siete fra gli esseri più belli che mi sia mai capitato di possedere”

   Seguì un attimo di calma apparente prima che, come un lampo, il vampiro biondo che aspettava impaziente alla sua destra balzasse finalmente verso la sua preda, inchiodandola allo specchio dietro di lei con tale violenza che questo andò in pezzi. Zoro cercò di opporsi, di lottare, di liberarsi dalla ferrea presa attorno al suo collo, ma Sanji lo sollevò da terra con una forza che, ovviamente, aveva ben poco di umano. Era spacciato, così come lo era la sua compagna di sventura, afferrata con non meno gentilezza dalla donna di ghiaccio dai capelli neri come la notte. “Lasciala!” cercò di urlare con tutto il fiato che aveva in corpo, fiato che gli veniva meno ogni secondo che passava. “Lasciala, maledizione…!”

   La presa si allentò, ma in compenso poté distinguere con preciso orrore due grosse punture che ora gli laceravano le arterie della gola: il bacio della morte. Stava scendendo su di lui. Con ancora impressa nella mente la figura di Nami che subiva la medesima sorte, Zoro chiuse gli occhi, forse rassegnato, forse incapace di assistere a quell’abominevole spettacolo che gli avrebbe portato via anche lei, oltre che la vita. Ora lo sapeva, sì: ora poteva comprendere appieno quello che aveva provato Kuina più di dieci anni prima. Non poteva arrendersi, non poteva lasciarsi vincere in quel modo.

   Riaprì di scatto gli occhi, forte delle urla disperate di Nami che, preda della più umana delle paure, invocava il suo nome, confidava nel suo aiuto; e strinse i polsi del suo aguzzino, riuscendo quasi a staccarselo di dosso. Ma non fu la forza di volontà del Cacciatore che salvò loro la vita, affatto.

   Fu, invece, l’ordine perentorio di Shanks di lasciarli andare: qualcosa non andava per il verso giusto, e questo qualcosa era annunciato dal penetrante odore di fumo.

 

 

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