IL SAPORE DEL SANGUE

 

 

CAPITOLO TRENTATREESIMO

 

La porta della Maison Toupet scampanellò a lungo prima che qualcuno si decidesse di andare ad aprire. Non avevano dormito molto, quella notte, i due padroni di casa, e tutto perché, come un fantasma, quell’ameba del loro inquilino del secondo piano era piombato alla pensione bagnato fradicio e coperto di sangue; e, per completare il macabro dipinto, portava fra le braccia una svenuta Miss Nami nelle sue stesse identiche condizioni. Ora sì: cominciavano a temere seriamente Mr Roronoa, ritenendolo non solo un poveraccio, ma anche e soprattutto un elemento pericoloso. Forse avrebbero dovuto avvertire la polizia, certo, ma il fatto che quel giovane si fosse preoccupato di curare la fanciulla ferita, li aveva convinti ad aspettare un’eventuale prossima mossa falsa da parte di quello spiantato prima di ricorrere a determinate e drastiche soluzioni.

   Igaram aprì il portone, dunque. “Buon…” e si zittì spalancando gli occhi. Davanti a lui si era presentato, infatti, un curioso quadretto: 1. un vecchio dal sorriso strambo e dagli occhi non del tutto sani; 2. una ragazza apparentemente normale che si appoggiava al braccio di una sottospecie di yeti viola capace di squittire; 3. un armadio alto due metri con capelli a banana puntati all’insù, una camicia fiorita aperta sul petto ed un… uno strambo indumento mai visto a cingergli i lombi per coprirgli l’indispensabile; 4. un cane. No, forse era un gatto. O forse no? Boh, aveva il naso blu e le corna. E convintosi che cani e gatti non hanno corna, Igaram preferì evitare di scoprire di quale strano animale si trattasse.

   “Buongiorno!” salutò con fare gioviale il dottor Hillk, togliendosi il cilindro dal capo per buona creanza. “Cerchiamo…”

   “Mr Roronoa è al secondo piano” lo anticipò l’altro, scostandosi per farli passare senza troppe cerimonie.

   “Oh, ma che gentile!” esclamò lo scienziato, pulendosi i piedi all’ingresso ed entrando in casa, seguito dal suo strascico di bizzarre creature.

   Igaram avrebbe voluto dir loro che gli animali non erano ammessi nella pensione, ma per una volta preferì chiudere un occhio e sperare che anche sua moglie decidesse di fare lo stesso.

 

“Quando avrete finito con il maquillage, posso sperare che mi sleghiate?” domandò giustamente Zoro, i polsi ancora bloccati alla spalliera del letto. “L’unica cosa che posso fare, in queste condizioni, è grattarmi la testa…”

   Nami finì di pettinarsi vezzosamente le sopracciglia davanti allo specchio prima di dargli un’occhiata attraverso la superficie riflettente. “Così però combinate meno danni…”

   “L’avete fatto apposta, allora?!” abbaiò il Cacciatore, cascando dalle nuvole. “Per mettermi fuori gioco?!”

   “Certo” rispose lei, passando al rossetto. “Altrimenti dovrò dividere il mio stipendio con voi, e la cosa non mi solletica nemmeno un po’, ve l’assicuro”.

   “Brutta str…!” cominciò a ringhiare il giovane, interrotto però da alcuni colpi alla porta.

   I due impallidirono: con Zoro ancora legato – e NUDO – nel letto, chiunque avrebbe, e non a torto, frainteso la situazione.

   “Aspettate qualcuno?” sussurrò Nami, non sapendo se avvicinarsi o allontanarsi dalla porta.

   “Siete l’unica pazza che viene a trovarmi, ve l’assicuro…” borbottò lui fra i denti. “E slegatemi, per la miseria!”

   “Sssh!” lo zittì la ragazza, correndo al suo capezzale sulla punta dei piedi e sedendosi sul letto per sciogliere i nodi. “Ma tu guarda che mi tocca fare…” bofonchiò.

   “Mi avete legato voi…” le rinfrescò la memoria Zoro, evitando di farsi scappare qualche imprecazione. “E se volete, vi ricordo anche il perché”.

   “Se non state zitto, giuro che…”

   Di nuovo dei colpi alla porta.

   “Non azzardatevi a rispondere prima ch’io abbia finito!” minacciò Miss Nami, cominciando ad aver paura di essere sorpresa in quella nient’affatto equivoca situazione.

   Il Cacciatore sorrise. “Chi è?” esclamò quindi in direzione della porta, giusto per farle dispetto, ritrovandosi ad urlare un secondo dopo per il dolore che gli procurarono i denti della fanciulla dai capelli rossi, affondati nell’incavo del suo collo, ora sporco di rossetto.

   “Mr Roronoa, tutto bene?” si sentì domandare da fuori l’appartamento. “Sono il Dottor Hillk”.

 

 

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