IL SAPORE DEL SANGUE

 

 

CAPITOLO TRENTACINQUESIMO

 

Usop perse il conto delle imprecazioni che Nami, tra i denti, continuava a borbottare fra sé nella camera adiacente, sbuffando di tanto in tanto qualche orrenda bestemmia in direzione del Cacciatore che, con lei, finiva di rivestirsi di quel poco che potesse renderlo per lo meno presentabile. Avrebbe voluto scoppiare a ridere, il povero sottoposto del dottor Hillk, ma tutto quel pelo rischiava di farlo soffocare ogni qual volta si ritrovava ad aprir bocca. Si limitò, quindi, a squittire quello che Kaya, ancora traumatizzata per quella visione non certo romantica, riuscì ad interpretare come un ‘L’ho sempre detto, io…’.

   “Per quanto ancora dobbiamo aspettare quelle due porno star?” sbottò Franky, spaparanzato su una poltrona, una gamba penzoloni dal bracciolo di sinistra, il gomito sullo schienale.

   “Abbi pazienza, mio caro…” alitò Hillk, osservando con i suoi soliti occhi spiritati tutto quel che gli capitava a tiro: finalmente si trovava nel rifugio del Cacciatore. Anche lui, in effetti, incuriosiva non poco lo scienziato folle. Era ‘particolare’, soleva dire quest’ultimo, al punto da poterlo classificare come una creatura a parte. E Miss Nami glielo aveva confermato quando ne aveva decantato l’olezzo tutt’altro che umano. Forse avrebbe dovuto fare ricerche anche su di lui. “Abbi pazienza…”

   “Mi hai disturbato mentre stavo seduto sulla tazza a leggermi il ‘Times’, quindi ora esigo mettermi subito al lavoro, così ch’io possa tornare alla mia pagina dei fumetti” brontolò ancora l’androide. “Ehi, renna!” chiamò, rivolto al piccolo Chopper che, accucciato vicino al tavolino dirimpetto al divano, cercava di riparargli la lente degli occhiali scuri. “Diglielo anche tu!”

   La bestiola alzò lo sguardo, timido, e si schiarì la voce, tossicchiando imbarazzata. “Ehm… effettivamente, dottore, anche noi avremmo i nostri impegni…”

   “Se posso permettermi…” prese parola Kaya, quasi con timore. “…credo che in ogni caso non potremo fare molto prima che il sole sia tramontato… Dimenticate che contiamo sull’aiuto del signorino Rufy”.

   “Ma possiamo davvero fidarci, di quel tizio smorto?” domandò Franky, fissandola con fare scettico. “E se fosse una trappola?”

   “Oh, no! Assolutamente!” lo contraddisse la ragazza, accigliandosi, questa volta. “Il signorino Rufy non è come gli altri tre! Lui è molto più umano di quanto non sembri! Mi ha aiutata molte volte, ed è il primo a voler mettere fine alla scia di sangue della sua razza! Diglielo anche tu, Usop!”

   “Squit!”

   “Visto?”

   “…” commentò il cyborg, guardandola sempre più dubbioso: come poteva essere attendibile il parere di una tizia che parlava con uno yeti viola che si esprimeva come un topo?

   E mentre Chopper gli passava gli occhiali tornati come nuovi, un nuovo nugolo di insulti irruppe nel salotto: Nami era di nuovo presentabile. “Per quale dannato motivo non siete venuti prima, eh?! Avete aspettato troppo, troppo, TROPPO tempo!”

   “… Quello necessario per farti divertire un po’, bella cosciona…” sghignazzò Franky, ritrovandosi nuovamente con una lente in meno nella montatura per l’arrivo di uno stivaletto in mezzo agli occhi.

   “E’ stato LUI a violentarmi!” ci tenne a precisare la rossa. “E, soprattutto, non accetto critiche da un ominide coi capelli a banana ed una foglia di fico a coprirgli il…!”

   “Cough! Cough! Cough!” si sentì tossire Usop che, poveraccio, aveva provato a ridere della situazione, surclassando, per fortuna, la voce della collega: era una bella vendetta, effettivamente, quel quadretto di Nami in biancheria intima che ingroppava Zoro.

   Lei lo fissò stranita, una smorfia a contorcerle il volto. “… Cos’è quell’albero di Natale malaticcio?”

   “Ehm…” farfugliò Kaya, battendo qualche colpo dietro le spalle del giovane e aiutandolo, così, a sputare una palla di pelo lilla. “Usop”.

   Miss Nami si rivolse dunque al suo capo. “Dottor Hillk… cos’avete combinato, ancora?”

   Quello sorrise più di prima, distogliendo finalmente lo sguardo dalla cornice rotta e sudicia che anche lei aveva provato ad osservare qualche giorno prima, e le si avvicinò. “Cosa non combineremo ORA, mia cara…” sentenziò con enfasi. “Preparatevi. Tutti. Stiamo per andare a stanare il topo nella sua stessa casa”.

 

 

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