IL SAPORE DEL SANGUE

 

 

CAPITOLO TRENTASEIESIMO

 

Sarebbe stata una frase ad effetto, quella dello scienziato, se nella stanza non fossero stati presenti un gentiluomo ed una gentildonna quali Zoro e Nami.

   “La casa del ‘topo’ è bruciata” ricordò loro con fare acido la rossa, cercando di ritrovare una ragion d’essere per i propri capelli: quel bruto glieli aveva spettinati, a dir poco. “Qualche imbecille ci ha dato fuoco, lo credereste?”

   L’imbecille – che faceva di nome Kaya – abbassò lo sguardo con aria vergognosa, consolata solo dai flebili squittii di Usop. I quali, per quanta buona volontà ci mettesse il nasuto, non servirono poi a molto.

   “Ma ora siete salva, ed in ottima forma, no?” fece notare il dottor Hillk, come sempre lieto anche quando il buon senso avrebbe suggerito di tacere; o, in alternativa, di procurarsi almeno una decente armatura. “Quindi, possiamo andare, catturarli e studiarli!”

   “Non capisco perché vi auto implichiate nell’affermazione” borbottò Nami, afferrando con aria innervosita uno spillone e, con l’ausilio di varie bestemmie, incastrandolo nei capelli, creando una sorta di chignon disordinato. Che cadde, dopo esattamente tre secondi. La cosa, com’è prevedibile, non migliorò il suo umore. Provò di nuovo ad inserirlo nella corta massa della sua chioma, non ottenendo grandi risultati.

   “Proprio così” convenne Zoro, ed il fatto che quei due fossero d’accordo non poteva far presagire altro che guai. “Andrò io, da solo.”

   “Non ci pensare nemmeno, maledetto bruto!” sbraitò la dolce ed esile fanciulla, liberando con uno scatto i capelli dallo spillone e lanciando lo stesso contro il Cacciatore. L’oggetto si conficcò nella parete, ad un centimetro dal suo naso, e lì ondeggiò pericolosamente. Lui, pur non perdendo la propria boria, non poté evitare di guardarlo con aria un po’ perplessa. “Io andrò a prendere quegli schifosi, io li troverò e io…”

   “E tu offrirai loro un lieto pasto.” completò Zoro, facendo spallucce. “Come preferisci.”

   “Sei un porco, un maledetto figlio di…” ma Nami venne interrotta dal più stupido degli interventi.

   “Sentite, non siamo in una sit com” intervenne Franky, parlando di cose evidentemente solo a lui note. “Piantiamola con questi litigi, e partiamo all’attacco!”

   “ZITTO!” urlarono i due litiganti in coro.

   “Ehi, voi, ma io vi ammazzo!” Franky, punto nell’orgoglio, scattò in piedi come un galletto da combattimento, facendo rumoreggiare le nocche delle grandi mani.

   “Squit!” si terrorizzò Usop, saltando agilmente e coraggiosamente alle spalle di Kaya.

   “Nessuno ha voglia di un the?” fu il diplomatico intervento di Chopper, che però non andò a buon fine. Anzi.

   “Ti spezzo in dodici!” sbraitò Franky, saltando addosso a Zoro. Sull’androide, violenta quanto una marmotta idrofoba, vi fu subito Nami; ma non perché mossa da spirito altruistico.

   “Lo devo ammazzare io, pezzo d’idiota! Lo devo ammazzare io!” prese ad urlare la donna, colpendo con una serie di inutili colpetti il capo della creatura.

   “Squit?” azzardò Usop, sempre dietro alla cameriera.

   “No, non è ancora finita” sospirò lei, mentre Chopper, per motivi ignoti alla scienza ed alla fisica, veniva trascinato nel bel mezzo della rissa, e si beccava un morso sul naso dall’elegante Miss Nami.

   “Che gruppo di giovini interessanti!” rise allegramente il dottor Hillk. E mentre Nami usava la testa di Zoro come randello con cui spappolare la testa di Franky – o viceversa, se possibile – e Chopper, sotto il suo tacco, implorava pietà, il sole cominciò a calare dietro all’orizzonte, tingendo di uno splendido color sangue l’intero cielo sopra Londra.

   La bara semovente si aprì. Rufy ne emerse ancora ad occhi chiusi, sbadigliando; senza sollevare le palpebre, evitò con precisione matematica un povero Chopper lanciato da anonimi verso la parete e, con fare tranquillo, si guardò attorno.

   “Buona sera” salutò, rivolto a Kaya. “Abbiamo compagnia?”

   “Ti evirerò, per vendicarmi di ciò che hai fatto!”

   “Non era questo che urlavi, solo due ore fa! Anzi, mi pare di ricordare certe altre esclamazioni…”

   “Non OSARE, sai?”

   “Sì” ammise la fanciulla, con un sospiro. “Abbiamo compagnia.”

   “Sembrano simpatici.”

 

 

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