IL SAPORE DEL SANGUE

 

 

CAPITOLO TRENTANOVESIMO

 

Il cielo, quella notte, era stranamente limpido. Cosa strana per una città quasi perennemente sommersa dalla nebbia o comunque oscurata dalle nubi, in quella stagione. E invece, in barba a tutto questo, la luna splendeva alta su Londra, e le stelle occhieggiavano nel manto scuro della volta celeste, regalando uno spettacolo surreale.

   Nami si strinse nel mantello, guardandosi attorno: non c’era anima viva, per quella via. Tornò a fissare i grandi occhi nocciola sull’edificio buio davanti al quale il droide Franky li aveva condotti, e attese. Attese che Rufy confermasse i suoi sentori.

   “Sono qui” mormorò, difatti, il giovane vampiro, lo sguardo vitreo perso avanti a sé. Miss Nami ne scrutò il bel volto spento per la prima volta, e poté rendersi conto di una cosa: per quanto somigliante agli altri tre, questo cucciolo di Succhiatore di Sangue era diverso. Tremendamente diverso, anzi, nel suo ostinarsi a conservare dei tratti e delle espressioni ancora tipicamente umane e per nulla consone a quelle di un qualunque altro suo simile. Gli occhi scuri del vampiro si posarono sui suoi. “Avete paura, Miss? O forse non vi fidate di me?”

   Lei scosse la chioma ramata. “No” rispose dopo, quasi incantata dalla bellezza di quel ragazzo, bellezza che non si fermava certo all’aspetto esteriore. “Vi seguo”.

   Una mano le sfiorò la nuca, e le dita del Cacciatore si insinuarono fra i suoi capelli con gentilezza. “Stammi vicino” le sussurrò l’uomo, con una sfumatura che mai, Nami, gli aveva sentito nella voce. “E anche voi, Miss Kaya,” riprese Zoro con tono più alto, rivolgendosi alla cameriera che, pur aggrappandosi al braccio di Usop, pareva non avere reale timore di quel che sarebbe capitato di lì a poco, una nuova determinazione a distenderle i tratti del volto chiaro. “cercate di stare attenta”.

   Kaya sorrise. “Sono decisa ad affrontare quest’ultimo ostacolo, non temete”.

   “Se siamo pronti, direi che possiamo entrare” constatò Hillk, la cui voce anelante si adattava perfettamente a quell’atmosfera cupa ed irreale.

   “Bene, allora sfondo la porta” sentenziò Franky, caricando il pugno della mano destra.

   “Non sarebbe più educato bussare?” s’interrogò Chopper, sempre troppo attento alle buone maniere. Ma quella sua proposta arrivò in ritardo, e se anche avesse raggiunto prima le orecchie del suo collega, difficilmente questi l’avrebbe presa in considerazione.

 

Fu un grosso botto, quello che penetrò l’udito sensibile dei tre vampiri che attendevano la compagnia con famelica brama di sangue, un sorriso felino a rallegrare i loro volti di marmo. I sensi animaleschi di cui potevano usufruire, dono della loro vita da Non Morti, percepirono la presenza di ben sei esseri viventi, tra i quali c’era senza dubbio una bestia, e il loro olfatto inebriò ulteriormente la loro mente dinanzi alla prospettiva di quel lauto banchetto: due prede per ciascuno.

   La meno tranquilla dei tre, tuttavia, era la donna. Come Shanks, anche lei si era accorta subito che quello sparuto gruppo di cacciatori di vampiri era guidato da un loro simile, da un cucciolo. Dal suo Cucciolo. L’ingordigia della sua razza cercava di ottenebrare quel legame, costringendola alla vendetta contro quel figlio ingrato, quel folle che richiedeva la morte piuttosto che la vita eterna che contraddistingueva la sua famiglia di Succhiatori di Sangue. Ma il cuore della donna, che lentamente abbandonava, una volta e per sempre, l’ultima vestigia della sua umanità, piangeva amare lacrime: il suo amore più grande, il suo Cucciolo adorato, stava cercando di ucciderla.

   “Non farti vincere dai rimpianti, mio Angelo della Morte” le parole di Sanji giunsero come una gentile e al contempo struggente carezza alla sua anima venduta al Demonio. “Non ha compreso i nostri insegnamenti, ma non è certo per colpa tua. Vuole distruggerci e, pertanto, noi lo precederemo”.

   Robin chinò il capo, serrando le mascelle e sforzandosi di non battere le ciglia per non cedere al pianto. “Sarò io ad occuparmi di lui”.

 

Una voce tuonò per i corridoi della casa che la notte prima era stata invasa dai Vampiri, e più di qualcuno, fra gli amici e i nemici, sussultò: quella voce non apparteneva al Cacciatore, colui che si dichiarava il più acerrimo persecutore della razza dei Non Morti, né ad un qualsiasi altro essere umano presente.

   Era semplicemente il grido disperato di un ragazzo, morto tempo prima, che rivendicava la propria umanità.

 

 

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